domenica 31 marzo 2013

Il toro Raton




Il 24 marzo, verso mezzogiorno, è morto il toro Raton. Era anziano, aveva l'artrosi e non ha retto alle cure. Lo so che sembra strano dedicare lo scritto della pasqua cristiana ad un animale che oltre il resto ha ucciso tre persone e ne ha ferite una trentina, ma per me è un simbolo, Il simbolo dell'assurdità degli uomini.

Nato nell'aprile del 2001, il suo destino fu di essere sacrificato nelle corride. Ma quel destino gli aveva assegnato anche, in dote, cinquecento chili di muscoli e lui li seppe mettere a regime. Il suo stile non era piacevole. Non si arrabbiava più di tanto. Aveva accettato il suo destino. Faceva la sua parte con un poco di svogliatezza, ma osservava attentamente. La prima, forse l'unica distrazione del torero era da cogliere e questo fece. Era potente ma non come i tori più massicci. Vi era in lui qualcosa di sorprendentemente agile che spesso lo sfidante dimenticava durante l'ineguale sfida. Sì, ineguale, perché il toro veniva accuratamente indebolito e dissanguato per mezzo di quei multicolori artigli che il torero gli piantava nella parte alta della groppa. La sua unica possibilità era nell'istante, in quell'istante nel quale un malato narcisismo di dimenticava cosa stava accadendo.

Ormai siamo in tanti a tifare per il toro, in generale, ma non è abbastanza. Raton ebbe in sorte una vita ridicola. Uccidere per sopravvivere a lui non bastò, come accadde ad altri tori. Salvarsi dall'arena spesso aveva come premio una vita calma, da riproduttore. Non il massimo per chi ha nel cuore, un cuore da erbivoro, da pecora, anche se enorme, prati morbidi d'erba, sole sulla pelle e passeggiate che gli umani chiamano pascolare …

A Raton andò male sempre. Dopo aver ucciso tre volte, e per lui è sacrosanto parlare di legittima difesa, fu conteso delle ferìe, dalle sagre. Un toro normale costava mille euro all'ora. Per lui, per il toro assassino, si offrivano diecimila euro. Si arrivò fino a quindicimila, e la sua pace fu l'artrite, la malattia.

Caro Raton, mi scuso, mi vergogno di essere un umano.

Ti racconto come da sempre ho sofferto più le ingiustizie patite dagli animali che non quelle che l'uomo, in fondo causa stupidamente, a se stesso.

La prima angoscia fu a Istambul. Il giorno della fine del ramadan. Ero in casa. Non uscii. Sapevo che là fuori stavano sgozzando migliaia di innocenti. Ero chiuso in camera. Ricordo i muri bianchi, le lenzuola bianche, le pagine di un libro e le parole che erano sparite. Fogli bianchi, terribilmente bianchi … e con la mente, col cuore sentivo gli urli, vedevo le lame alla gola, il sangue scorrere.

Fu un momento così sconvolgente che, a sera, quando tornai in me, era già sera … feci i bagagli, chiesi un taxi con i vetri scuri e me ne andai all'aeroporto. Attesi il primo volo, non mi interessava la meta. Solo andare via era importante.

Mi accadde allora per la prima volta, e avevo una trentina d'anni. Ora la pasqua è la mia ossessione occidentale. Uccidere gli agnelli...

Io penso da sempre, caro Raton, che essere umani equivalga all'emanciparsi dall'omicidio. Non faccio differenza fra umani e animali. Chiunque sia capace di affetto “sento” che deve essere rispettato. Se nell'antichità, nel medio evo e anche fino ad un ieri ormai distante qualche decennio, era impossibile emanciparsi da questo peccato originale, e la morte di un animale era per noi un'esigenza irrinunciabile per la sopravvivenza, ora, da qualche decennio appunto, di quel peccato gli umani, se solo volessero, potrebbero liberarsene … ma non c'è la volontà e nemmeno il sospetto che si possa agire in questa direzione.

Quella medesima scienza che fa della tecnica un'arma che è in grado di sterminare e non solo, ma anche curare e trasformare una vecchia in una ragazzina ... eccetera, questa scienza, questa potenza della mente umana, non è stata direzionata, purtroppo, verso la liberazione da questa condanna. E quindi, caro Raton, la condanna, per l'uomo, diventa colpa ….

Uccidere un essere capace di affetto quando non è strettamente necessario! Questo per me è intollerabile. Ma io so di essere estremo. I canili mi angosciano non meno degli orfanatrofi. Le greggi, anche se incorniciate in un bel paesaggio alpino, per me son schiere di condannati. Ricordo il giorno che, in un paesaggio da favola, tolsero il vitellino alla madre e lo caricarono su un furgone. L'urlo materno, il più vero, forse l'unico che ho compreso. E quel vitellino tirato senza sensibilità per un destino di bistecche.

Ovviamente son quasi vegetariano. Il quasi è dovuto al fatto che se son ospite, non voglio creare complicazioni e mangio quel che c'è e quasi sempre me la cavo senza insozzarmi.

Che provino loro, caro Raton, se vogliono mangiar carne! Che provino non solo a comperare al supermercato, ma che partano dall'omicidio! Che sentano il dolore di esistere a queste condizioni. Loro fanno presto … non ci pensano. lo sanno ma non ci pensano. Ma che provino a prendere il coltello, ad immergerlo nella carne di un essere vico e con uno sguardo che ha capito!

Io amo la vita, sono per la vita, anche se la mia di vivibile per ora ha avuto ben poco. Quel che mi dona la carezza donata a un cane, la carezza ricevuta anche solo dallo sguardo di un cane, è un riscatto, un infinito, una via che percorro da anni. Provate a toccare un agnello, a prenderlo in braccio e pensate per favore ad un altro modo di santificare una pasqua o un ramadan o qualsiasi festa … per favore.

Quando Abramo ricevette l'ordine, di fatto si trattò di una lezione! Un dio feroce stava cambiando idea, almeno un poco. Quando Isacco fu posto, già legato sulla pietra del sacrificio, quel dio degli eserciti lo fermò e gli disse di prendere il capro. Ordinò. Non gradiva più i sacrifici umani. Ora so che quel dio colpevole e senza pace, ha capito che chiunque è capace di affetto merita di poterlo vivere, di poterlo tirare fuori quel mondo che ha dentro. Il dono che si può, che si deve fare ad un dio, è nel riuscire a dare affetto alla sua creatura, alla vita tutta. L'affetto è lo specchio immenso che riflette una realtà talmente grande e inattesa che nemmeno la morte, le resiste. E se un dio antico sbagliò, ricordiamoci che se l'era inventato l'uomo. Un dio che crea la vita, è per la vita. Una divinità non può concepire nulla di diverso dal paradiso. Se quì sembra tutt'altro .....

Per me, oggi, non è un bel giorno caro Raton. Gli urli degli agnelli, i loro sguardi, li sento, anche se, come a Istambul son chiuso in casa. Io ora posso guardarli negli occhi senza colpa, senza vergogna, Si può essere felici, o almeno contenti, solo quando tutto intorno a noi è felice, o almeno quando gli altri stanno percorrendo quella via.

Ho atteso oggi Raton, per salutarti, vittima di un'umanità ridicola...

ciao










3 commenti:

  1. condivido con animo animalista- ciao bac8

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  2. ho ricevuto un bacio anonimo! sono i migliori...

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    1. Buongiorno, anche se è passato del tempo, volevo dire che ho molto amato il suo scritto sul toro Raton. Condivido tutto. Grazie, mi sono emozionata.

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