domenica 13 dicembre 2015

Abazia, ricordo surreale di un viaggio



Quattro dicembre duemilaquindici. Abazia (Croazia)

Da febbraio, quinta piccola vacanza in questo porticciolo che nell'ottocento era il mare del sud Europa più “vicino” alla Russia. La grande e la piccola nobiltà veniva a intiepidirsi anche, come sto facendo io ora, in dicembre. La famiglia Nabokov, col piccolo Wladimir che non scriveva ancora ma già adorava le farfalle, affittava una villa. Il nonno, ministro di due Czar, vi venne, e mi fermo qui, perché i fantasmi degni di essere ricordati che passeggiano in questo clima primaverile, sono più delle persone di carne e sangue.

Attualmente il paese, Abazia (in croato Opatia con l'accento sulla i), nell'insieme funziona. E' solamente quando si scende nel particolare che si coglie, per esempio, nel liberty sparso, un senso di falso simile a quello che provai a Budapest quando vidi e vissi brevemente, l'hotel Four Season.

Dell'Austria Felix rimane qualcosa di buono … le fette di torta. Ma è un altro popolo e si “sente”.

Le donne per esempio, e anche le ragazze, non passeggiano mai trasmettendo un senso di relax, anche quando risulta evidente che si tratta di due passi sans souci.
Sembra sempre che siano sole anche se non lo sono, e che stiano andando a fare qualcosa di impegnativo. Tengono la borsa come se fosse una cassetta degli attrezzi e così qui, questo oggetto icona, perde la sua “leggerezza” e non appartiene più al superfluo strettamente necessario di ogni donna a ovest del loro confine.
La loro bellezza è pregevole e atletica, Esprimono elasticità, capacità di fare e resistere. 
Vi è in esse un accenno alla bellezza russa, inimitabile e “pericolosa” sopra tutte, con lo sguardo che mescola intelligenza e follia, illudendo il cacciatore di angeli che il risultato sia la Sensibilità … e invece è solitudine.
Qui le donne non volano nell'illusione. Sono concrete, efficienti … doti che apprezzo ma non mi attirano.

Qualche eccezione … una donna antica. Forse ha due o trecento anni. Lo sguardo da regina per il mondo e di devota struggente col piccolo bassotto vecchio e arruffato.
Ho sempre con me minuscoli biscottini da cane e seduco la saggia bestiola che mi annusa. Mi riconosce come uno strano esemplare della sua razza, e sono promosso alle sue attenzioni.
Accetta il biscottino con stile e la signora, in un tedesco più melodioso di quello parlato dai tedeschi, sommato ad incantevoli sfumature frrranscesi, mi ringrazia a nome di Kant.
Il bassotto filosofo comprende e con uno sbandieramento della coda degno di Karajan, approva ... quel Karajannis greco, penso per un attimo, che si finse tedesco per sembrare e non essere ... la Musica.
Mi torna a galla da un passato remoto, per via della parlata della signora, che pensavo fosse cancellato, un leggero inchino che si trasmette automatico al corpo. Lei, elegante e simmetrica, risponde con le vertebre esauste che sembrano tornare adolescenti. Mi osserva con nostalgia mentre mi allontano. Per un attimo abbiamo resuscitato un'epoca, per un attimo l'aria di Abazia era al ritmo di Strauss.

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Spazieren gehen, passeggiare, Promenade.

Amo questi tetti troppo squadrati che sembrano fatti di scaglie di drago. Potrebbero contenere il filo di quel ricordo che cerco in me, che forse non esiste ... e immagino che il terreno a ridosso di questa piccola baja, sia il luogo nel quale venivano per cambiare la pelle, una volta ogni mille anni ... e che il nostro tempo è una briciola, un battito, del loro.
E a queste rive tiepide attendevano che la pelle nuova si facesse spessa, adatta per il fuoco e il ghiaccio di tutti i luoghi, di tutti i desideri.
E poi, passeggiando, li immagino prendere il volo, indossando finalmente il loro abito verde tenue e primaverile delle favole, delle mie favole, che devo decidermi a scrivere per smettere una buona volta di dubitare di essere stato bambino.

Fingere il passato per essere, perché senza fondamenta non esiste casa e destino che stia in piedi.
Ma inventare utilizzando quel che gli uomini chiamano realtà, non mi basta. Per me è già favola lo sguardo di un cane, o quell'uccello che ora, sbattendo le ali, inventa il vento, o il falco più potente, e padre dell'uragano. Ed è sufficiente ignorare le leggi della prospettiva per credere, e fermamente, che quell'uccellino laggiù, a dieci metri di distanza, sul mare, è un drago con la pelle nuova, distante un chilometro. Se la prospettiva è illusione ottica, io dell'illusione faccio l'uso che mi può far sorridere.

Mi siedo ad un Caffè. L'acqua sussurrante è a due passi. Prendo carta e penna e scrivo queste parole. Poi sorseggio una bevanda tiepida come questo sole delle otto e mezza del mattino, e mi lascio incantare … come un bambino, da una montagna che in mezzo al mare e alla foschia, spunta come da un quadro zen. La sensazione è che davanti a me ci sia un lago ma so che non è vero. A scuola me lo hanno fatto studiare e so che l'Istria è una penisola, ma mi hanno anche detto che la terra è tonda, e l'ho imparato a memoria, ma per me questo pianeta è un seme che, nonostante le spine, sarà la Rosa. E anche il mio sangue sarà il sacrificio per quel calore di porpora. E quell'isola … stupenda e irraggiungibile che vedo là in fondo, mi ruba i pensieri … Ora in groppa a un drago volo via, mentre le persone del posto, con le pelli che i draghi hanno lasciato nei secoli dei secoli, ormai dure come pietre, costruiscono inconsapevoli di tanta storia, i loro tetti.


Sera. Caffè Wagner.
Sembra una fresca primavera.
All'aperto. Se serve offrono un plaid bordeaux, ma sembra sia dignitoso snobbarlo. Pini. Il mare è immenso solo ora che non lo vedo, diluito nel buio. Così silenzioso, questo mare che prima, alla luce del giorno, si fondeva col cielo in un grigio fiorito di grida e curve gotiche di voli di uccelli.

Ma il pino del giardino del Wagner, curvo e slanciato verso il mare, grosso come il nervo di un dio, e come un dio immobile … lo “sento”, e mi sussurra dalle foglie … 
Questo pino vide i Nabokov, questa nobile e vasta famiglia, e lui ancora cucciolo, ancora inconsapevole della colpa che costruì con la sua fantasia per darsi un senso ... la colpa di amare eternamente le dodicenni.

Era l'età di Dolores, che la gente conosce col nomignolo di Lolita. Era l'età di Ada. 
L'età di un ricordo mai rivelato e che per sempre voleva rivivere. Ma se a dodici, a quattordici, a sedici anni, amare una dodicenne fatata era possibile, e in quell'epoca era amore di fantasia, poi, coll'aumentare della distanza nel tempo, anche il sogno chiese il conto perché nella realtà divenne sconcezza e poi reato.
E fu la letteratura, dichiarando che era pura invenzione, a far vivere l'impossibile. Wladimir, l'adulto, mise la maschera. Finse di fingere per poter dire la sua realtà intollerabile e irrinunciabile e poter così amare eternamente la sua prima, mai toccata, fatina. La colpa era del lettore ora, che sembrava leggere per desiderare perversioni, mentre lui, l'autore del sogno, dal sogno fu perdonato.

Un valzer fragile, di carta pesta e filo spinato, cancella l'immagine, nebbia sulfurea, di un Wladimir ancora innocente, ancora bambino, che di fianco al possente pino del Wagner, in calzoncini corti e camicia alla marinara, pensa al mistero della musica, alla quale mai ebbe accesso … e per me è inaccettabile ... inaccettabile questo valzer suonato per i turisti, senza stile, e mi fa cadere nella realtà quotidiana quando si presenta così sgangherato, e passo dalla fantasia leggera all'odio per quei musicisti che, è evidente, non amano quel che fanno.

Mi alzo e me ne vado. Wladimir mi segue per un poco come un fuoco fatuo chiedendomi di non smascherarlo, poi si avventura nel nulla immenso di buio e mare, mentre io, dal nulla della realtà scrivo queste ultime parole del quattro dicembre e, sorseggiando Chopin in camera, costruirò, negli occhi chiusi, un mondo di orchidee azzurre, serpenti in forma di flauto che suonano respirando, e petali croccanti come patatine.