venerdì 14 luglio 2017

Paul Auster ... una chiave di lettura

Di recente, in uno dei rarissimi casi nei quali con un umano si riesce a discorrere in modo vero, causa la richiesta di qualche consiglio di lettura, l'argomento ha riguardato anche Paul Auster. Il caso ha voluto che fra alcuni libri esposti ce ne fosse anche uno suo. L'ho caldamente consigliato facendo presente una serie di titoli. Dal mio preferito che è “Mr Vertigo” ad altri che meritano la nostra meditazione. Ho poi accennato ad un testo che di fatto Auster non scrisse di suo pugno e che considero fondamentale comunque per comprendere la radice profonda, inconscia, ovvero sconosciuta anche all'autore medesimo. Quando mi capita di far presente che il significato principale è un mistero anche per l'autore e che dovrebbe egli stesso essere il primo e più accurato lettore di se stesso per auto-comprendersi e quindi fare dei passi avanti, ecco che mi si osserva con diffidenza. Questa operazione ho avuto occasione di renderla evidente in scritti riguardanti per esempio Simenon, e si possono trovare su questo blog, ma anche ad esempio per quel che riguarda artisti (intendo il padre delle idee e non il regista che spesso è quasi solo colui che ha gli agganci col produttore), autori di film o video musicali ecc. Con Bruno Bruni per esempio questo tipo di approfondimento ha portato alla pubblicazione di due testi d'arte. Un'analisi simile l'ho fatta per tre film di Tornatore ( Baaria, La migliore offerta e La corrispondenza), Per un video di Lady Gaga, LA filmografia di Quentin Tarantino e di Refn, per i bronzi di Cristiano Alviti e le tele di Suo fratello Patrizio e anche in questo caso ne son scaturiti vari testi … ebbene, per comprendere il nocciolo profondo, quello che irradia calore e vita a tutta l'opera di Auster, l'operazione più semplice consiste nel meditare sul libro intitolato “Ho pensato che mio padre fosse Dio”.



Si tratta di una raccolta di racconti non scritti da Auster ma da lui scelti fra quattromila che gli sono arrivati. Ecco la storia che ha portato al testo: Daniel Zwerdling, intervista nel maggio del 1999 Paul Auster all'interno del programma radiofonico “Weekend All Things Considered”. Al termine della chiacchierata Zwerdling chiede ad Auster se può essere interessato ad una collaborazione, per esempio un appuntamento al mese nel quale racconta una storia agli ascoltatori. Ad Auster l'idea non piace. Il motivo è che scrivere, se lo fai seriamente, richiede tutto te stesso, ed ogni impegno che ti offrono diventa di fatto un ostacolo. E' una faccenda quasi incomprensibile per chi non scrive … appunto con ambizione di verità, di profondità. Serve una quantità di tempo ininterrotto che è come una scala verso l'alto o il basso, verso l'abisso o il cielo, fino ad arrivare al punto quasi irraggiungibile nel quale i due percorsi di toccano … Ogni gradino è uno sforzo che, se ti fermi, se la vita in qualche modo ti distrae, si smagnetizza, perde la sua aura che sei riuscito a scorgere; devi quindi tornare ai tuoi passi precedenti, spesso molti gradini più indietro e ricominciare. Per questo è fondamentale lasciare che un artista vero gestisca i tuoi tempi. Il mercato, il mercante, il gallerista, il produttore, l'editor (che sarebbe il cretino che pensa di saper distinguere l'opera dalla spazzatura e non ha l'umiltà di comprendere che solo un artista può darti il consiglio giusto...) hanno fretta; per loro il tempo è denaro ma comprendere questo genere di valori è compito della sensibilità, non dell'intelligenza ….. Per l'artista il tempo si annulla, diviene circolare, sferico, inspiegabile. Tornerà dai suoi “viaggi” al di là del tempo, con l'opera, e non va condizionato mai mai mai.
Ebbene, Paul Auster per questi motivi era diffidente. Giunto a casa ne parla con la moglie, Siri che risponde così: “Non è necessario che sia tu l'autore dei racconti. Affida questo compito al pubblico. Se gli ascoltatori scrivessero le proprie storie e te le mandassero, tu potresti leggere le migliori alla radio. E se ci sarà una buona partecipazione, potrebbe nascerne qualcosa di straordinario”.
Ho citato pari pari dalla introduzione scritta dall'autore.
Di solito, quando decido di leggere un testo letterario, la prefazione la tengo per ultima. Zero influenze. Ho bisogno di comprendere cosa i racconti dicono a me, al mio io profondo. Se c'è una mediazione, la nostra capacità di lasciarci andare, di diventare sensibili e non solo intelligenti, si riduce. Nel libro ogni racconto riporta il nome di chi l'ha scritto, la città e lo stato USA di provenienza. Si comprende quindi anche senza la lettura della prefazione che si tratta di una raccolta.
La sensazione che ne ho tratto nell'insieme è stata notevole e ho intuito (quindi non compreso razionalmente) che vi aleggiava un'esigenza mistica.
Arrivarono al programma circa quattromila brani e Auster ne ha selezionati 126 per la pubblicazione del libro. Prima considerazione semplice e fondamentale. Nello scegliere l'io di Auster, che è guidato da esigenze profonde, prediligerà certi argomenti. Terminata la mia lettura l'indice del testo era pieno di note e piccole considerazioni a matita e spesso in rosso. Mi ero accorto della prevalenza di un certo argomento, ma questo aspetto non era messo in rilievo dall'indice che era suddiviso in modo per me strano, freddo, a questo punto, dopo quel che avevo intuito, proprio insensato. I racconti erano divisi nei seguenti capitoli argomenti: animali, oggetti, famiglie, comiche, sconosciuti, guerra, amore, morte, sogni, meditazioni. Dieci divisioni che secondo me avevano un senso solo di superficie. Trascrissi alcuni dati su due cartoncini bianchi che allego in fotografia e misi così in evidenza che esiste una categoria occulta che contiene da sola trenta racconti, quindi il 23,809 % del materiale del testo.
Nel primo foglio giallo il titolo dato alla selezione dei 30 racconti è “COINCIDENZE”.



Ecco l'elenco dei racconti:
  1. La farfalla gialla
  2. la storia del coniglio
  3. cieli azzurri
  4. zingaro alla radio
  5. storia di una bicicletta
  6. porcellane della nonna
  7. il basso
  8. la mia sedia a dondolo
  9. il monociclo
  10. la penna a righe (desiderio di una coincidenza)
  11. la bambola (coincidenze mistiche)
  12. la videocassetta (coincidenza miracolo)
  13. legami
  14. la terra perduta salvata da Dio
  15. 50 anni dopo
  16. il fuoriclasse
  17. l'ultima mano
  18. coincidenze
  19. ho pensato che mio padre fosse Dio
  20. tavolo per due
  21. il biscotto della fortuna
  22. Harrisburg
  23. qualcosa su cui riflettere
  24. partita a carte col morto
  25. il fantasma
  26. la lettera
  27. il sogno di mio padre
  28. vite parallele
  29. riflessioni sul coprimozzo

Ai brani 10, 11 e 12 ho aggiunto all'epoca della mia prima lettura, un'aggiunta che non mi sembra trascurabile.
A questo punto un calcolo ci offre il dato del 23,809 %:
126 racconti totali STANNO a 100 COME trenta racconti STANNO a X
che in matematichese si esprime così:
126 : 100 = 30 : X

30 . 100
X = --------------- = 23, 809 % che per comodità arrotondo
126 per ottenere ¼ ovvero
il 25% dei racconti.

Se i racconti sono parti individuali che contengono i significati più disparati, una mente che ne sceglie 126 da quattromila, agisce in base a quel che è in essa più importante.

A Paul Auster premono le coincidenze …...
Ebbene … si tratta ora di capire cosa sia una coincidenza non in senso generale ma nello specifico del pensiero di chi ha fatto la selezione dei racconti.

Ecco cosa ne pensa il vocabolario:
  1. concorso di fatti o circostanze fortuite
  2. Lungo una linea di servizi di trasporto (aerei treni ecc), corrispondenza fra l'arrivo di un mezzo e la partenza di un altro, per la prosecuzione di un itinerario.

Da Wikipdia : la coincidenza (termine derivato da “con” e dal latino “incidere”, “cadere insieme”) è un fatto accidentale e casuale. Oltre ad essere a congiunzione di un evento ad altri, deve avvenire in maniera accidentale ed inaspettata.
Sempre da Wikipedia è interessante anche quanto segue: Aspetto statistico: dal punto di vista statistico, le coincidenze risultano inevitabili e meno casuali di quanto appaiono all'intuito. Per esempio nel “paradosso del compleanno” la probabilità che due persone condividano la data di nascita raggiunge il 50% in un gruppo di appena 23 individui.
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Quel che si coglie è la volontà di mantenere la coincidenza in un ambito razionale. Ma … nella vita quotidiana, la coincidenza è ben altro. Se il “paradosso del compleanno” sembra allontanare la possibilità di altri significati, accade invece che la razionalità si trasformi nella prima irruzione del sacro.
I motivi sono tanti. L'impossibilità di rendere sensata la morte nonostante lo sforzo delle religioni e la scontentezza del quotidiano che viviamo che prima o poi si riveste di monotonia oppure di angoscia nella lotta per soddisfare le esigenze fondamentali (casa, caldo cibo) sono in assoluto le spinte irrazionali principali. La scienza, particolarmente dall'illuminismo in poi, non esita a rendere tutto coerente, e questa sensatezza onnicomprensiva, che annulla il sacro, non può bastare particolarmente all'uomo americano? Direi che prima di tutto non basta a Paul Auster. É lui che ha selezionato 126 racconti da quattromila e la sua opera tende mediamente in questa direzione. “Mr Vertigo” per esempio narra di un ungherese (ebreo chassidico) in grado di ottenere qualcosa che va oltre il razionale: la levitazione di una persona, che nel caso specifico deve essere un bambino accuratamente istruito. Potere che con la pubertà sparisce.
Fateci caso all'importanza della levitazione come prova che esiste qualcosa che va oltre il razionale e quindi dimostra il sacro! Per esempio nel film “Youth” firmato Sorrentino ma di idee di ben altra mente che ama rimanere nascosta. Altri casi le varie arti hanno espresso di recente in questa direzione … e il significato è il medesimo: la vita attuale è insoddisfacente, non basta, crea alienazione e la causa di questa celebre sensazione parte da un'assenza di senso, di finalità nell'esistenza quotidiana. La cultura USA e non solo, ha l'etica dell'arrivismo che si esprime a livello popolare col guadagno, nei ceti alti con l'acquisizione di potere. Quel che accade in chi accumula denaro per esempio, è di avere una vita intensa nel realizzare quell'obiettivo. Potrebbe accadere che ti ritrovi che son passati vent'anni in un attimo e tranne l'accumulazione di pecunia … cos'hai? Se questa corsa sfrenata avrà una sola pausa anche breve, ci si accorgerà che non ha senso e si è mangiata la tua vita. Questa situazione esistenziale riguarda tutti, non solo chi è riuscito ad accumulare. Colui che lotta quotidianamente con per sopravvivere non soffre di meno né di più ma, sente ugualmente alla radice dell'esistenza l'assenza di un senso.
Accade allora a tutti di aver vissuto coincidenze spesso ben più forti di quella del “paradosso del compleanno” … spesso, quando umanamente si diventa consapevoli di aver raccolto quasi niente, ci si accontenterà anche di situazioni che non sono nemmeno coincidenze … è l'urgente bisogno di senso che manipola la realtà per evitare un suicidio virtuale o concreto.
Ma a chi non sono capitate situazioni veramente al limite!ricordo per esempio a New York di avere incontrato quattro volte nell'arco di una settimana la medesima sconosciuta. La prima volta in un museo e la notai per la sua eleganza, la seconda in un ristorante dozzinale, la terza a teatro e l'ultima, per me stupefacente … in chiesa. Ero entrato per il silenzio, per sedermi un attimo in un ambiente senza tempo e lei era li davanti a me, seduta, solo lei … come non dubitare della razionalità, come non supporre che le risposte che gli eventi possono offrirci siano indizi di qualcosa d'altro … e questo qualcosa è il sacro. Io con quella donna non parlai mai. Ma già il vederla una seconda volta, in una città formicaio mi turbò, ma non accettai il responso del cuore perché due volte è possibile. Al terzo incontro il mio stupore produsse un silenzio che non voleva dare la stura a considerazione di alcun tipo. Alla quarta volta l'irruzione del sacro si è fatta concreta e rompendo gli argini, con l'aggiunta della bellezza di lei, della graziosità del suo stile … e mi son sentito invaso da un senso di armonia, da una consapevolezza che nonostante ble difficoltà che stavo vivendo qualcosa, qualcuno, non sa spiegare, stava vegliando e guidando fuori dall'apparente caos della vita, i miei passi.

Questo è solo un esempio di quel che può accadere in grazia di certe coincidenze. E quando penso a “Uomo nel buio”e “Sunset Park”, a queste descrizioni di vite senza soluzione, e poi a “Vertigo”, deduco che individualmente in Paul Auster l'esigenza del sacro è la chiave, la ricerca di una vita. Un sacro che appartenne alle sue radici ebraiche, non per niente l'ungherese che sa far lievitare i bambini viene da un mondo antico ma suo, nel suo sangue, nel passato delle sue origini. Si tratta di un bisogno di recuperare qualcosa che si sente che ci è appartenuto e che per nostra incapacità, insensibilità, non si riesce più a cogliere … e le coincidenze rappresentano il primo passo, secondo l'inconscio di Paul Auster verso la possibilità di un recupero che potrebbe anche naufragare nella sconfitta.


Altre meditazioni tratte dai miei appunti
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questo è il foglio 1/b degli appunti presi qualche anno fa.
si vedono elencati i dieci capitoli così come sono stati presentati dalla pubblicazione.
la prima colonna riporta il numero totale di racconti per capitolo, la seconda i racconti che trattano di coincidenze. ho cerchiato di arancione i tre capitoli che hanno fornito più materiale.
all'inizio del foglio si legge "effetto Mishima", mi spiego. Ne la tetralogia del mare dell fertilità si ha un annullamento di tette le forme illusorie di fiducia in qualcosa che va oltre il razionale. La monaca nel finale per esempio nemmeno ricorda di quel vecchio che dice di essere stato in gioventù il suo grande amore. L'annientamento dell'io risiede anche nel fatto che l'altro, e non un altro a caso, non ci ricordi più. Sempre nella tetralogia anche i segni che rappresentano la trasmigrazione dell'anima di una persona cara in un altro corpo, risultano illusorie. 
La ricerca di coincidenze è presente anche nel fatto che si affidi alla presenza di qualche neo esattamente posizionato sul corpo di un altra persona, come era in quella che ci è venuta a mancare. In questo caso la coincidenza apre alla certezza della trasmigrazione dell'anima, al fatto che la morte non esiste e che la persona scomparsa è di nuovo a noi anche sensorialmente. 

Questa considerazione permette di aggiungere altri due racconti all'elenco delle coincidenze: "Sospensione per pioggia" e "e se ...". In questo modo la statistica centrerebbe esattamente il 25% dei racconti selezionati.


Questo foglio dimostra la non trascurabilità di un'altra categoria. 
Il capitolo della morte contiene 14 racconti e lo troviamo segnato nella parte bassa del foglio (morte 14). a destra in alto, con inchiostro color ruggine, si legge "morte sparsa"; i numeri sottostanti, 2, 3,2,4,6 (più un uno che dopo anni non capisco più quindi elimino dal computo), totalizzano altri 17 racconti che parlano di morte dei quali sei sono espressamente riguardanti la "premonizione di morte", ovvero venir a sapere di una morte per vie non razionali. 
A questo punto la morte dispone in questa selezione di 126 racconti, di 18 racconti nel capitolo che le è espressamente dedicato, e 11 in ordine sparso sotto altre voci. Il totale reale è quindi 29 che corrisponde al 23% dei brani che Auster ha selezionato.
II 23% in un capitolo inconscio, occultato in parte sparpagliando il materiale in categorie più di superficie, riguardante la morte, sommabile a un 25% legato alle coincidenze che permettono di ipotizzare un senso superiore dell'esistenza. siamo così al 47% di racconti che rivelano molto, prima di tutto di Paul Auster e poi degli USA e secondo me di tutto l'occidente industrializzato. Morte come possibile momento di senso sacralizzato, coincidenza come prova dell'esistenza del sacro ovvero di Dio .... e non per nulla, non penso sia un caso che il termine Dio, accuratamente in minuscolo sia nel titolo, un titolo che ha in Dio-padre (anche questo termine è presente) un'accezione arcaica meravigliosa. 
La morte nella cultura agricola, si inseriva in un senso di ciclicità che, sommato al fatto che era vissuta come un evento collettivo, riusciva a renderla spesso sopportabile (l'esempio assolutamente più bello e profondo che io conosca è nell'inizio del film "Terra" del regista ukraino Dovshenko che consiglio assolutamente di guardare per capire cosa intendo dire (lo si trova su youtube). La cultura post agricola ha trasformato la morte in un enigma che diviene quindi terreno per estrarre sensi profondi. la chiave per me è la seguente. Non esiste nulla di più umiliante, di più tragico che morire in solitudine. Penso al giorno che seduto ad un caffè, noto un signore non anziano, seduto da solo, che si guarda attorno con una certa agitazione, la sua agitazione mi fa sentire a disagio e decido di allungargli il quotidiano che non ho ancora terminato di leggere. Sorride e lo accetta ma ha uno sguardo ... che mi faceva male. "tutto bene?" ... "no ..." un attimo di silenzio e aggiunge "... c'è che sto morendo ... e non se ne accorge nessuno ...". 

La coincidenza in relazione di morte si chiama la premonizione. Nel mio foglio di appunti in fondo vediamo una sequenza di numeri: 1,2,3,4,5,9 poi una freccia  e la scritta 6 su 10.
Questo sta ad indicare quanto nella morte dell'altro quella coincidenza che ci fa capire in modo non razionale che la falce sta tagliando, sia importante.  
Se sommiamo i racconti contenenti la premonizione di morte che sono 6, alla categoria coincidenze che mi sembra le appartenga di diritto e che ha già 30 racconti, arriviamo a quota 36 che corrisponde al 28,57% di racconti che puntano sulla coincidenza come evento che può destabilizzare l'esistenza razionale ed aprire una via individuale, incomunicabile, verso il sacro.

Un terzo scarso dei racconti in quella direzione ... penso sia sufficiente per poter supporre che questa sia la chiave di lettura prevalente di Paul Auster prima di tutto e forse degli USA, ma non si dimentichi che la realtà è una finzione che spesso gli artisti ci offrono poiché essendo immersi nella nostra medesima melma che si chiama presente del tempo, cercano una salvezza che può venirci utile. Auster secondo me non ha rivelato la realtà morale nella quale si sta dibattendo la sua epoca. Paul Auster, da grande scrittore, da grande anima sofferente, sta dando alla sua nazione una versione dell'esistenza che può rendere la vita sensata e quindi sopportabile.

Amen


lunedì 10 luglio 2017

La tempesta di Murakami Haruki

Ieri, dieci luglio,alle nove e quarantuno di mattina una persona mi manda via whatsapp la seguente immagine.




Non sa che di Murakami Haruki ho letto non tutto ma molto. Medito sulla frase e la trovo bella, sicuramente bella, ma imperfetta … manca in essa una possibilità esistenziale, la più diffusa. Entrare nella tempesta ed uscirne, come Dante che entra nella Selva e poi “grazie a Dio” si salva, ti cambia, è vero, ma la stragrande maggioranza di noi si sveglia alla vita che è nella tempesta … a questo ho pensato. Alla fine questa bella frase descrive l'eccezione che, si sa, conferma la regola.
Ed ecco la mia risposta sempre su whatsapp e il resto di questa breve ma secondo me profonda comunicazione:

Sbaglia Haruki
Se nasci nella tempesta non conoscerai altro.
Se accadesse, ed è rarissimo, che il fortunale termini, il piccolo essere sarà sorpreso e preoccupato come accade per ogni cambiamento.
Verso l'ignoto … e poi … se successivamente
apparisse il sole nel cielo azzurro … sarebbe terrore.
Solo il caso esiste e ci illudiamo di poterlo governare …
Il sole nell'azzurro potrebbe essere stupendo solo se da cucciolo te l'hanno raccontato … e con nostalgia.
E comunque, tra immaginarlo e trovarcisi dentro, in quel cielo azzurro, c'è un abisso. E potresti annegarci in quel blu leggero, perché non hai saputo riconoscerlo”

Scusa … non ti seguo … almeno non completamente … troppi i pensieri intrecciati ...”

E' semplice invece … mai leggere una cosa vera, o che ambisce di esserlo con umiltà, una sola volta”.

Attendo un minuto e aggiungo

Il mio sangue non è acqua ma fiele, e ti farà guarire”

risponde “questa mi piace”
Mi piace … il piacere è sensualità … si deve raggiungere il pensiero e poi proseguire … oltre il pensiero esiste una forma di comprensione che sembra divina e forse lo è”

Non è facile seguirti, ma stimolante”

"Grazie"

"da che canzone è la citazione?"

"Non mi ricordo ..."

"Scalo a Grado. Film Bianca"

"Si ... ho fatto Scalo a Grado la domenica di Pasqua
... gente fintamente assorta ..."

e risponde con una faccina sorridente.

Mi manda poi un fiore di girasole senza sapere che è tra i miei preferiti e fine dello scambio mattutino di messaggi.



Ho letto e riletto il dialogo. Mi piace, ma con queste soluzioni informatiche si comunica e nulla o quasi si conserva. Quanto di Whatsapp a volte, secondo me potrebbe essere poetico. Non questo caso. Si tratta di meditazione. La poesia è di più, è oltre.
Per questo l'ho trascritto. Per conservarlo che, come disse Borges, oggi la bellezza è comune e si nota solo quel che merita di essere ricordato.



Altra notazione. Nella mia risposta all'immagine utilizzo un termine arcaico, quasi in disuso. Non accade per atteggiamento. Non me la tiro. Porto un esempio che mi è caro. Anni fa veniva spesso a trovarmi un tipografo. Un gigante barbuto e buono che amava quel che scrivevo. Appena in casa guardava sulla mia scrivania e leggiucchiava mentre scambiava due chiacchiere. C'era una poesia che non ho conservato perché non ne valeva la pena. In essa lui notò l'uso della parola barman e mi fece notare che era un atteggiamento. Negli anni novanta del novecento il barman era in locali chic che il destino incrociava di rado e nella popolazione lo si conosceva grazie al cinema americano e a Bogart che era quasi sempre al bancone di un bar. Cerchiai di rosso quella parola che, usata da me, era un peccato di narcisismo. Non l'avevo vissuta. In essa mi atteggiavo, rappresentavo al lettore un frammento di vita che non avevo vissuto.
La lezione la imparai allora e cerco di stare ben attento all'uso dei termini.
E quel “fortunale” come si spiega? Termine che solo i vecchi conoscono e io a quella soglia non ci sono ancora.
Lo devo a Zorzi da Castelfranco detto Giorgione e al suo quadro erroneamente chiamato “La tempesta”








Purtroppo circolano delle interpretazioni parziali e spesso veramente orride. Titolo vero … fortunale. Questo vocabolo contiene la fortuna che anticamente aveva il significato di destino (oggi di cose che vanno bene) e di tempesta. Nel quadro essa effettivamente sopraggiunge. Si vede un fulmine. Arriverà Thunor detto anche Thor, il dio col martello che attualmente si è laicizzato e si chiama tuono. Arriverà un attimo dopo che abbiamo iniziato ad osservare il quadro e scoperto il fulmine. Sta quindi per giungere la tempesta/destino … su chi? Su un soldato a destra e una cingana (attualmente zingara) a sinistra. Sono fuori dalla città, quindi dalla vita civile. Anticamente zingari e soldati condividevano per certi aspetti un destino simile. Per motivi diversi vagavano, ed erano i più esposti alle scosse del destino. Loro, i più provati, i più allenati alla fortuna/destino, sono tranquilli. Ed ecco che sento il collegamento con la frase di Haruki. Anche lui parla di tempesta. Di tempesta che giunge in una vita che prima era serena. Io conosco troppe vite che son nate al buio e che se vedessero la luce avrebbero paura, la considererebbero un'altra forma della sofferenza. Per questo la frase di Haruki non mi basta. L'eccezione ha visto la luce riconoscendola come positiva. La farfalla notturna vive un giorno, vede il lampione illuminato e all'estasi di chissà quale fantasia, si brucia … e se ti bruci è per sempre.

Ecco perché in quella risposta ho messo un termine obsoleto come fortunale, Perché l'ho vissuto anche in arte.

domenica 2 luglio 2017

Simenon: "Le signorine di Concarneau"




Le meditazioni che qui propongo si inseriscono in un contesto, riguardante questo autore, già da ma ampiamente trattato. Potrebbe quindi venire utile, anche se non è strettamente necessario, leggere anche il seguente post digitando: il piacere di leggere e scrivere Simenon e il commissario Maigret.
Riassumo brevemente quella che secondo me è la chiave di lettura di quasi tutta l'opera di questo scrittore.
Fra la legge di natura e la legge che gestisce le comunità umane, sia al tempo attuale che in quello di Simenon (prima metà del novecento), se esiste anche una minima incompatibilità, essa sfocerà nel dramma che prenderà le forme della nevrosi o della violenza anche estrema.
Il testo che meglio rivela questa struttura, lo troviamo ne “Maigret e il barbone”. E' stato ucciso per annegamento il proprietario di un battello fluviale da carico. Maigret ha capito chi è l'assassino, ma l'unico testimone, un barbone, si rifiuta di parlare. L'assassinato era un ubriacone che teneva sulla barca anche la figlia. Il mozzo si innamora di lei, ma vivono succubi di questo padre padrone alcolizzato. La sua morte permette ai due giovani di sposarsi e di mettere al mondo un figlio. La scena che il barbone mostra al commissario nell'ultima scena è proprio questa. La barca/casa, la madre, i padre e il bambino. Chi ha ostacolato il corso della legge fondante della natura è stato eliminato e per la natura è questo il colpevole e non chi lo ha ucciso. Per la giurisprudenza occidentale, chi uccide è colpevole sempre, tranne nei casi di legittima difesa …

Esistono poi delle situazioni che divengono critiche in un ambito nel quale la giurisprudenza non può agire. Una volta stabilite le leggi, ecco che si ha libertà di agire rispettandole. Capita che in questo contesto che definisco extra legale, si creino i presupposti del mancato rispetto della legge di natura. Di questo tratta “Le signorine di Concarneau”. Se il padre alcolista oppressore agiva in modo sanzionabile dalla legge, ne “Le signorine di Concarneau”, abbiamo un comportamento da parte delle due protagoniste, che la legge la rispetta, le signorine del titolo non sono sanzionabili, ma di fatto distruggono una vita, ostacolano il fluire della legge di natura.
Ora i personaggi e la trama …
Tre sorelle; Celine è la più giovane, segue Marthe, la mediana, sposata con Emile Gloaguen e che vive sempre a Concarneau (Bretagna) ma in un'altra casa e infine Francoise, la più grande, anche lei zitella.
Abbiamo ora colui che sembra il protagonista, Jules Guerec, che vive con le due sorelle zitelle. Essendo morti presto i genitori, sono state Celine e Francoise ad educarlo, e di fatto è un bambino di quarant'anni che si ritrova il lavoro col capitale indiviso di famiglia (hanno due pescherecci e un terzo un costruzione e al piano terra della residenza hanno una mescita che funge anche da negozio di marinerie) ed obbedisce a tutto. Celine ha un ascendente enorme su di lui. Non riesce a nasconderle nulla, e anche la questione economica è maniacalmente gestita dalle zitelle. Jules deve rendere conto giornalmente fino al centesimo. Il romanzo breve infatti inizia con lui che non sa come occultare cinquanta franchi che ha speso per una prostituta. E' fresco di patente e sta rincasando. Teso per la guida, la sua mente oscilla fra le difficoltà della guida e il pensiero dei cinquanta franchi. Si deve aggiungere, per comprendere bene la trama, che Simenon crea due figure femminili estreme e forse irreali. Celine e Francoise, di fatto sottomettono il fratello più giovane e nel frattempo è come se fossero asessuate. La narrazione dice chiaramente che nonostante siano donne di fatto non lo sono poiché nessuno le ha mai corteggiate. La sorella, Marthe, ha invece avuto due spasimanti prima di sposarsi. La situazione è particolare ma funzionale al testo. Due donne dunque che non attirano minimamente gli uomini e non ne sono attirate. Per loro ha importanza solo la meticolosa gestione incrementale del capitale. Non penso esistano esseri simili. Semplicemente, in Europa ed USA particolarmente, da un paio di secoli abbondanti, l'unica forma di stima del prossimo consiste nella sua opulenza ed esistono particolarmente nei ceti alti, persone che fanno una religione dell'accumulo di denaro case ed oggetti trascurando ...la natura ed il cuore.

I fatti:
Jules Guerec dopo una riunione di lavoro, ha avuto un incontro con una prostituta. Mentre medita su come nascondere l'ammanco di cinquanta franchi sta guidando con molta difficoltà perché è un principiante. Accade la disgrazia. Passando per una strada stretta, investe un bambino. Tempo che ha realizzato cos'è accaduto, decide di svoltare per ritornare sul luogo del misfatto. Quando arriva, pochissimo dopo, c'è gente e per terra non c'è più nessuno. Non sa spiegare perché ma se ne va. Nei giorni successivi viene a sapere che ha le gambe fratturate e qualcosa che non va nell'intestino … e poi il bambino muore in ospedale.
Jules soffre ma nel frattempo tace perché ha scoperto che gli spetterebbero tre anni di carcere. Si interessa della famiglia e scopre che la madre, Marie Papin, ha ventidue anni e un altro figlio di sei anni, gemello del defunto. Era operaia ma da un po' disoccupata e sopravviveva lavando panni in casa. Marie ha anche un fratello debole mentalmente ma buono. Jules decide di assumerlo su una delle sue barche e così riesce ad incontrare Marie e se ne innamora. Lei è fredda con lui che cerca di spiegare in modo elementare quel che lo fa agire. Il bimbo morto ormai è dimenticato, si è innamorato. La natura costruisce. La fatalità ha portato all'incidente. Se si dovesse dar retta alla legge lui sarebbe in galera e lei avrebbe solo il vantaggio di un risarcimento. Jules, col suo comportamento NATURALE, va oltre la giustizia facendo veramente giustizia. Vuole essere padre del bimbo rimasto, ama la madre e ha deciso di vivere con lei. Riesce a dirglielo ma nel frattempo Celine, la sorella piccola (la detective maligna della situazione) ha capito tutto. Ha compreso anche che l'incidente lo ha causato il fratello e lo affronta dicendogli che la liquiderà con del contante. É la seconda volta che le sorelle risolvono così, con l'unico dio che conoscono, gli amori del fratello. Le dice chiaramente che se lei agirà dicendo tutto a Marie Papin, lui se ne andrà per sempre. La sorella la mattina seguente agisce e torna a casa con una ricevuta nella quale Marie dichiara che si accontenta dei soldi e che non sporgerà denuncia. Lui reagisce, schiaffeggia Celine, distrugge la mescita dalla rabbia e malmena anche un avventore impiccione e si può dire che quella vita fintamente equilibrata, nella quale come per Ippolito si era trascurato di sacrificare ad Afrodite, quella vita crolla. La rissa è nota a tutti e loro vendono e se ne vanno. Francoise, la sorella maggiore, nel giro di un anno invecchia di dieci anni (ovvero sapeva vivere solo così) e poi muore di polmonite. Jules lo ritroviamo che Celine a Versailles a fare in perdita l'assicuratore. Vite annientate … e nel frattempo Marie Papin si è sposata.

Il messaggio di Simenon è chiaro ma chi legge potrebbe non coglierlo perché la bilancia emotiva oscilla molto e a fine lettura essa potrebbe essere considerata un appagamento sufficiente. Peccato fermarsi a questo punto. Sarebbe come ridurre l'esistenza ai sensi. Un vero libro non è semplicemente uno shacker per le emozioni … e rileggendo, ora che l'emozione nel riviverla si affievolisce, la struttura potrebbe apparire e impartirci una grande lezione per la vita. Rispetta sempre la natura che è la legge sulla quale si fonda il tuo essere qui sulla terra.

Amen



domenica 5 marzo 2017

Edgardo Franzosini: "Questa vita tuttavia mi pesa molto"



Animali in bronzo, belli da volerli toccare, da non stancarti di guardarli, perché come i cieli di Turner non erano frutto del caso, ma scelti da un'artista, li vidi al Bargello ed ero un ragazzino. Spesso andai a trovarli negli anni seguenti. La meta prima era un viso di donna, anzi di ragazza, candido, di Luca della Robbia. L'ideale femminile che spesso, deluso dalla realtà, raggiungevo e contemplavo nella sala grande, luminosa, riflettente l'eco di pochi passi, che anni fa quel museo non era visitato come oggi.
Il viso sparì. Ce l'ho comunque in me, e agli animaletti del Giambologna



mi ritrovai a preferire quelle di Rembrandt Bugatti. Sapevo poco della sua vita. Fratello del celebre “inventore” di automobili capolavoro come la Atlantic, fratello di Carlo, inventore di mobili troppo speziati per il mio gusto, figlio di un padre che era assai originale eccetera, ma non mi sono mai interessato oltre e queste notizie di fatto, erano passivamente entrate in me vuoi per un amico fissato e collezionista di auto rare o un altro che aveva rimediato abbastanza pezzi da organizzare un minuscolo salottino autentico che venerava e non usava. Solo ora, leggendo il libro di Franzosini, “Questa vita tuttavia mi pesa molto”, ho compreso come mai non mi interessai alla vita dei questo bronzista con un nome pesantissimo …. Rembrandt.
Se il pittore celebrissimo, la stampa dei cento fiorini l'ho osservata con la lente spesso e i suoi autoritratti sono dei gioielli …. se il pittore, con la sua fama e la sua carnalità gioiosa lo abbia condizionato all'inizio dell'esistenza, quando così lo chiamavano ed iniziava a comprendere che avrebbe percorso la medesima via, allora ecco che scegliere una “via” opposta, senza carne, rappresentare le ali ma non l'angelo, divenne il suo tratto distintivo. I suoi animali di bronzo … non ho aggettivi. Mi capitava di sapere che un antiquario ne aveva uno e facevo un viaggio. Venivo lisciato come un futuro cliente ma io guardavo solo e non sopporto il possesso in arte, mi sembra assurdo. Del Giambologna il ricordo svanì. Ora vado al Bargello per Michelangelo e il tacchino



lo trovo bello, ma non sublime. Questo aggettivo che non so spiegare lo metto tutto negli animali di Rembrandt Bugatti. Mi bastava guardarli, di lui, dell'uomo, dell'artefice che li aveva fatti, mi dimenticavo. Esisteva davanti a me, colata nel bronzo, un'animalità al di là del bene e del male, qualcosa che rappresenta si per esempio la pantera, ma va oltre essa, oltre la sua figura, e nel frattempo le somiglia in un modo così forte da comprendere che mai prima di aver visto quelle opere, mi ero soffermato veramente sulla pumità, sull'aura che quel corpo ha e che non si esaurisce nella usuale meraviglia che si consuma come paglia al fuoco, dello stupore di una novità. Attualmente tutto viene sfiorato con lo sguardo. C'è una tigre? Vediamola! E si consuma un rito più per avere un argomento da bar e da salotto che per cercare di capirci qualcosa ... in questa esistenza. E Rembrandt Bugatti, scopro dal libro di Franzosini, li osservava per ore, per giorni. Ogni dettaglio del reale si sommava, diveniva la polpa concreta di una misura spirituale … di quel sublime che riveste il corpo di quegli animali. Un'opera mi colpì.



Una ragazza nuda che solleva un gatto. Mi sorprese il fatto che il corpo di lei, aggraziato, non lo percepivo come sensuale. Era semplicemente gradevole e nel sollevare il micio esprimeva una serenità che non si banalizzava nella contentezza che è soddisfacimento dei sensi. C'è chi accarezza un gatto perché è liscio, c'è chi lo accarezza perché in esso è racchiuso, ma con altra forma, il mistero dell'esistere.


Non sapevo che Rembrandt Bugatti si era suicidato. Non sapevo come, non sapevo perché … e mi sono commosso. Quando ho chiuso il libretto di Franzosini (115 pagine di un tascabile ma non si legge in un soffio...), ho preparato da mangiare al cane, e sono andato avanti e indietro per casa come smarrito. Il corpo si muoveva, scaricava l'emozione che io non sapevo gestire.


Se nella parentesi ho scritto che il libro è breve ma non si legge in un soffio è perché, citando un autore, Borges, che Franzosini stima moltissimo (e anch'io) la sua semplicità non è semplice, che questo è il tratto caratteristico della banalità. La vera semplicità in arte, cela in sé una segreta complessità, per questo ci si inoltra in quelle pagine piano piano. Si soppesa tutto e tutto sembra leggero ma poi, con il momento dell'eccidio di Anversa, il peso si fa, almeno per me insopportabile.
Un altro autore ha toccato questo argomento, la strage degli animali, come segno di assoluta abiezione umana. Andrej Tarkovskij, scrisse “Andrej Rublev”. Di solito si conosce il film, veramente un buon film, ma il libro … ecco, il libro secondo me è ancora migliore. Per chi fosse curioso dico che è un Garzanti non recente. Compresi allora che Tarkovskij era più capace con la penna che con la macchina da presa e Tonino, Tonino Guerra, alla mia domanda “perché fece film visto che il suo talento era la poesia?”, rispose … “per non essere paragonato al padre dai critici. Amava suo padre e trovava volgare questi confronti che l'intelligenza si sente in dovere di fare”. Me lo confermò la Achmadulina, quando le dissi che secondo me Tarkovskij era sommamente poeta. Ma torniamo al libro “Andrej Rublev”. Per farla breve, il fratello del signore di un certo territorio, sconfina con i suoi uomini armati, nei territori che invidia e vorrebbe. Fa strage di cigni e ricordo, spesso mi appare improvvisamente questa immagine, il mucchio di cigni bianchi e in cima l'ultimo che sta morendo e muove l'ala esanime.
Il senso delle due scene è il medesimo. Tarkovskij ci descrive il massimo dell'orrore insensato con la distruzione di animali che rappresentano per noi quasi un archetipo di bellezza e col loro biancore spesso lancinante, di purezza.
Franzosini sa che Rembrandt era presente ad Anversa quando, durante la prima guerra mondiale, il Belgio, per far fronte all'avanzata dell'esercito di Guglielmo secondo, dette ordine di far abbattere tutti gli animali dello zoo.



Se la coerenza, ci fa comprendere che era necessario farli fuori, la sensibilità esplode, almeno in me, e Franzosini ha probabilmente colto nel segno immaginando che Rembrandt, certo non entusiasta dell'umanità, davanti a quella strage degli innocenti, e poi al suo seguente servizio volontario come barelliere, che gli ha mostrato la follia umana senza veli o attenuanti, ha immaginato, che Rembrandt si sia disgregato. Il “viaggio” verso Dio, che non soddisfa, la bella immagine dell'ultima opera che tenta di realizzare, un crocefisso enorme, e quella fine, sensata, se sei così profondamente diverso e quindi profondamente irrimediabilmente solo.

Come ho “incontrato” i libri di Edgardo Franzosini.
In un mercatino dell'usato trovo “Raymond Isidore e la sua cattedrale”. Prezzo di un caffè. Ok, accetto il rischio che sta nei soldi che in questo caso quasi si azzera e nell'eventualità di buttare via il capitale più prezioso, il tempo. Non stimo la casa Editrice Adelphi quando fruga nel contemporaneo. Quindi la mia diffidenza non era poca. Ammetto che molto mi ha aiutato Raymond Isidore che mi fa sorridere e stimo come artista. Male che vada ci guadagno con qualche notiziola interessante anche se all'inizio mi sembra di aver a che fare con un racconto lungo. Temo chi in questa epoca inventa. Raccontare è una misura meno rischiosa e seminare la sensazione che si tratti di fatti reali sembra sia un ingrediente fondamentale … e per me che leggo “Il cacciatore Gracco” due volte all'anno … quest'epoca, non solo per questo, va strettina... Questi i ragionamenti, gli ostacoli fra me e il testo, ma comunque iniziai a leggere.
Colto, non lo nasconde ma non capisco se lo ostenta. La mia diffidenza vede nero ovunque ed è colpa di Calasso che ho già decapitato in un altro saggio.
Stima Borges e mi sembra che un poco lo emuli, ma di fatto lo scritto, lo ammetto, mi piace anche se non ho ancora messo a tacere tutte le mie remore. Vado comunque in libreria e chiedo “datemi quel che avete di Franzosini!” e così leggo “Sotto il nome del cardinale” mentre “Questa vita tuttavia mi pesa troppo” è stato ordinato.
Il libro del cardinale.... diffidente come sempre, lo trovo all'inizio troppo strutturato, troppo un saggio che non capisco dove vuole portarmi se non ad una erudizione fine a se stessa … e poi qualcosa in me cede. Davanti alle lettere di Giuseppe Ripamonti che spiegano senza possibilità di errore cosa fece il cardinal Federico Borromeo … beh, indignato come un cliente del bar sport quando la sua squadra subisce un rigore inesistente, ho mangiato il libretto rapidamente e la notte medesima mi sono immaginato a distruggere con la lima la statua di questo enorme ladro delle capacità altrui. L'ho sognato davvero, non scherzo, e ho immaginato che venisse messa al suo posto una statua del Ripamonti seduto finalmente sorridente fra tutti i “suoi” libri in elegante latinorum.
A questo punto ero liberato da sospetti e timori di buttare via il tempo e quando è arrivato in libreria “Questa vita tuttavia mi pesa molto”, mi son buttato.
Lettura lenta ho detto, anche perché serve spesso il vocabolario. Mi spiego. Ad ogni nome che conosco poco o nulla vado su internet e mi informo; ad un'opera citata, digito e scopro o riconosco. Questo rallenta ma perfeziona. Non servono più le note nei libri e nemmeno una parte di immagini, basterebbe, e lo consiglio a Franzosini e non solo, di aprire un sito per esempio col titolo del libro, per accedere immediatamente all'immagine della scultura di Kathleen Kahn che ritrae lo scultore, o a quella di Walter Vaes che come la precedente non ho trovato. La mia ricerca è stata incompleta, alcune fami insaziate, e spero che l'editoria comprenda che serve quasi sempre allegare un sito per note ed
immagini.




Ora comunque, fra gli autori italiani che meritano di essere letti ne ho aggiunto un altro e in libreria ho ordinato le altre due cosine che spero siano reperibili.

E' un peccato anche che escano libri degni di essere ricordati (altra citazione da Borges …. la bellezza oggi è comune...) e che la pubblicità, che ci rifila pannolini e pannoloni ad ore pasti ecc, non abbia spazio. Ma non è possibile che nelle tivù di stato si possano promuovere a costo zero? Almeno il furto del canone, per alcuni centesimi acquisirebbe un senso....

Amen

giovedì 9 febbraio 2017

Due soggetti con tema "LA VIOLENZA ALLE DONNE"






Oggi pomeriggio nove febbraio, mentre si dialogava, con l’intenzione concreta di realizzare un lungometraggio sull’argomento riportato nel titolo, mi son venute due idee e intendo descriverle. La prima, che mi accingo a narrare, si è innescata nella mia mente poiché mi è apparsa una scena brevissima. Una donna della quale vedo il viso che si riflette anche in uno specchio e un uomo di schiena che sferra un pugno e manda in frantumi …ovviamente lo specchio. Ho ascoltato un poco quel che altri proponevano e improvvisamente mi è apparsa la situazione che è fulcro della prima immagine. Ora vengo al soggetto:



PRIMO SOGGETTO: LO SPECCHIO



Stanza da letto con luci stile Caravaggio. Unica fonte una lampada di design. Lei è seduta ai piedi del letto verso sinistra. Lui in piedi di schiena. Ha del sangue che le cola da una narice. Lei dice: “Per favore, portami l’asciugamano”. Lui in silenzio sparisce verso destra. Rimane lei e la sua immagine riflessa su uno specchio che è a destra. La macchina da presa passa da lei all’immagine riflessa e di profilo, si vede il lato non ferito. Poi lei si gira e si guarda e nel frattempo dice “bagnalo un po’ nell’acqua fredda …. Per favore”. Si sente l’acqua che scorre e lui sempre di schiena che glielo allunga. Lei lo guarda. “per favore …. Fai tu”. Lui si inginocchia e provvede e lascia per terra l’asciugamano.

Lei: “ora per favore ascoltami. Passami il tablet” appena lei ce lo ha ricevuto, lo guarda negli occhi e … “la violenza fa parte della vita. Lo sappiamo. Gli animali la usano per fame o per conquistare la femmina … i mammiferi” mentre lei parla cerca qualcosa su internet e il suo viso è illuminato da questo riflesso. Lui si siede alza in piedi fra lei e lo specchio che comunque continua a rifletterla. Si può passare a vari primi piani senza problema di intaccare il senso. “all’inizio pesci, poi anfibi, poi rettili poi uccelli” lei alza il capo e lo guarda. “sai come fanno all’amore le anatre? Il maschio stupra la femmina … guarda”. Anche il pubblico vede il filmato dal tablet. Quando termina lei lo riprende e prosegue … “noi siamo mammiferi. Siamo più evoluti. Abbiamo il pensiero e la parola. Anche i gatti sai in quei momenti …(lei cerca di nuovo sul tablet), spesso sono un po’ diciamo… particolari” ora mostra il filmato ma noi non lo vediamo. “vedi … come il maschio la morde sulla schiena. Si potrebbe anche fraintendere e dire che il micio ci mette troppa passione … e comunque quelli sono mammiferi senza possibilità di dialogo …”

Lei appoggia il tablet e lo guarda. “sottomettere è la soluzione di chi non sa dialogare … capito?” lui risponde … “non darmi lezioni”, con tono pacato, ma poi parte un destro e colpisce lo specchio anzi, l’immagine di lei allo specchio e si frantuma.

Ora lui ha la mano ferita. Si guardano negli occhi. La mano sanguina. Lui le chiede …”per favore … fai tu, lei si alza, prende l’asciugamano da terra e inizia a pulirlo.

Poi lei dice … “vado a preparare la cena …”





SECONDO SOGGETTO: GLI OCCHIALI



Mi ero reso conto che nelle idee esposte mancava il colpo di scena e nel frattempo ero condizionato dall’idea della regista. Ha raccontato di aver immaginato un palcoscenico teatrale. Sul fondale è proiettato un parco. Un uomo e una donna passeggiano. Lui per qualche motivo che ora non ricordo (mi sembra gelosia perché qualcuno l’ha guardata) la schiaffeggia. Sono presenti altre donne e si coalizzano per tutelarla. L’idea non mi convince perché il gesto di lui è talmente primitivo che solo una persona altrettanto primitiva potrebbe sopportarlo quindi considero o stupidi o irreali rapporti simili. È vero che accadono ma si comprende subito una gelosia così assurda e secondo me chi la tollera non è meno malato di chi la esercita.

Ha poi per me un sapore strano che mi ricorda le Erinni, quel coalizzarsi fra donne. Non deve esserci questa lotta fra due generi. Prima di essere uomini e donne siamo esseri umani e la violenza, che sia psichica o fisica deve inorridire sempre. Solo in caso di estrema legittima difesa, e sottolineo estrema, la comprendo, e penso comunque che il buono costretto alla violenza si porterà dietro, anche se era nel giusto, un rimorso.

Uno studente ha proposto di utilizzare un transgender. Idea buona ho pensato, ma …

Se si dedica tempo per stigmatizzare l’assurdità della violenza fra uomo e donna, se siamo socialmente ancora così indietro, che effetto farà la violenza per me altrettanto e identicamente grave che spesso i transgender devono subire? Idea interessante ma comprensibile per pochi, anzi pochissimi…

Suggestionato da quel particolare della reazione femminile di massa presente nell’idea della regista ha iniziato ad apparirmi in mente quanto ora descrivo.



SOGGETTO



Un bar bello. Giorno. Una coppia entra e si dirige verso un tavolo al quale siedono quattro donne e due uomini in allegria. La lei della coppia che sta entrando ha degli occhiali da sole molto grandi. Compie un gesto brevissimo che rappresenta un momento d’incertezza. La mano destra va alla stanghetta destra, ma poi cambia idea e non li toglie. Al tavolo saluti sereni. Le fanno i complimenti per gli occhiali e le chiedono se sono nuovi. Conferma e poi cambia argomento. Una delle quattro ragazze comunque la osserva e dopo un poco le chiede perché non li toglie. Lei risponde che sta bene così e in qualche modo cambia argomento. Mentre dialogano in gruppo la ragazza si avvicina e osserva e ad un certo punto dice seria e con voce alta “Hai un occhio nero!” si zittiscono tutti. “cosa ti è successo!”. La ragazza dice che le è accaduto un incidente da poco, niente di grave, ma viene interrotta e l’altra si arrabbia e chiede col ragazzo “cosa le hai fatto!” aggiunge poi altre cose e la ragazza si toglie gli occhiali e davanti all’occhio annerito si zittiscono di nuovo. “mi hanno scippata e lui è intervenuto, ha schivato un colpo e l’ho preso io…”

“davvero? E allora perché lo hai nascosto così!” “perché sono una donna e desidero essere bella, o almeno normale, e con un occhio nero tanta gente penserebbe come te, come voi… comunque ora sei tu che devi spiegare una cosa … hai reagito in un modo così assurdo, così esagerato …”

La ragazza sbalordisce e china il capo, una delle altre le chiede “cosa sta succedendo … parla”. La ragazza tace poi alza lo sguardo serio e gli occhi lucidi verso la ragazza con l’occhio nero. In quel momento si sente una voce allegra e tutti gli sguardi vanno in direzione di questa. È il ragazzo della vera vittima, sorride, è in controluce. Si avvicina. “ciao a tutti! Ma che facce ragazzi! È morto qualcuno?”

Fermo immagine. L’immagine appare una immagine che su di essa con una stilografica scrive … “che io possa mai più ritornare” …rimane la scritta, gocce di pioggia, la scritta si cancella sfumato, fine.

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Caratteristica comune dei due soggetti è che non si indaga sul motivo scatenante. Per me, secondo me, nulla giustifica la violenza quindi non mi focalizzo sul perché. Mi interessa la rivelazione, oppure un tentativo di dimostrazione della sua insensatezza poiché qualsiasi dissidio può essere risolto in modo civile.
Un altro aspetto mi preme e la sua incoerenza mi affascina. Spesso la donna che subisce violenza (ma in fondo accade in tutti i contesti), nasconde il fatto e continua a convivere con l'aggressore. Anche in questo caso non indagherei sulle motivazioni ma sul fatto che, se chi è vicino a queste persone sofferenti, agisse in modo meno egoistico e quindi più sensibile, altruistico, la violenza verrebbe smascherata.
Lo smascheramento è la condanna del violento. Altre pene non sono pesanti quanto l'essere marchiati così. Se una persona è debole per amore (sentimento che rende deliziosamente assurdi ma anche assurdi in modo angosciante), se, come dicevo, una persona è debole e non riesce a gestire una situazione con le sue forze, una maggiore sensibilità verso il mondo, verso l'altro, da parte nostra, potrebbe sbloccare la situazione.
Un esempio per tutti. Immaginiamo una donna picchiata per strada. L'indifferenza di chi passa è secondo me una colpa maggiore di quella dell'aguzzino che spesso è un malato, una persona con problemi o un vero e proprio animale (chiedo scusa agli animali che mai sono animali nei loro peggiori comportamenti quanto sanno esserlo gli umani). Immagino un uomo che picchia una donna per strada. Nessuno si ferma. rimane il filmato come spesso attualmente accade grazie alle videocamere che riprendono un po' tutto e ovunque. Qualcuno si impegna per riconoscere tutti questi indifferenti e poi crea un evento al quale li invita. Siamo in diretta tivù, mostra il filmato, li smaschera e li accusa, poiché l'indifferenza altro non è che una delle forme della violenza. Sono comunque in tanti e una massa è un aspetto regressivo dell'individualità. Immagino di conseguenza che si alzano e reagiscono picchiandolo fino a ucciderlo poiché nessun argomento giustifica quel che hanno fatto. .... Solo alla fine della reazione primordiale tornano alla loro individualità, si rendono conto che tutto è in diretta e scappano.
In questo modo, insisto su questo punto, diviene evidente, e lo ripeto, che l'indifferenza è l'atteggiamento del potenziale violento .... sempre.