lunedì 22 aprile 2013

Nemirovsky banalizzata


Oggi, 22 aprile 2013, su “La Repubblica” è uscito l'ennesimo articolo sulla Nemirovsky. Trovo triste la quantità di articoli che le dedicano perché la spinta che li attua non è l'amore per la grande letteratura. Se mai Adelphi nel 2005 pubblicò “Suite francese” che l'anno prima in Francia era stato un caso editoriale importante, quindi con un occhio alla qualità e uno alla borsa, mentalità coerente ... quel che sta accadendo dal 2012 in poi è triste. L'articolo ci informa che in quella data son scaduti i settant'anni di protezione dei diritti d'autore, settant'anni che si contano dalla morte della Nemirovsky, ovviamente. Scopriamo che al carretto della fama postuma di questa grande scrittrice si attaccano ora cani e porci e mi permetto un'affermazione così dura poiché l'articolo, preferisco dimenticare il nome di chi lo ha scritto, dimostra che ben poco interessa comprendere la sua opera. Unica informazione utile è sapere chi ha pubblicato cosa. Per capire lasciate perdere quelle due facciate. Un esempio: ad un certo punto si legge: “-Suite Francese- in grado di descrivere con piglio magistrale l'esodo in massa da Parigi di fronte all'invasione nazista”. Premetto che la persona che ha scritto l'articolo si è permessa di concludere con un microscopico ma visibile “riproduzione vietata” … son costretto a rigettare questo ordine perché penso che il lettore vada un minimo tutelato. Veniamo a quella breve frase. Essa descrive la situazione … ma da quando la situazione è il contenuto? E il significato profondo dell'opera? Esiste un passo sconvolgente in quel libro. Il prete che viene lapidato.



Se “Suite francese” si esaurisse come intento nel “descrivere con piglio magistrale l'esodo in massa da Parigi” eccetera, non sarebbe il grande libro che di fatto è …. e quella scena sarebbe fuori luogo!

In neretto è stato anche scritto: “Era una pensatrice libera, segnata dalla vita e difficile da incasellare. Per questo così attuale”.

Qui siamo all'apoteosi … dire che è attuale chi ha quelle caratteristiche, cioè libero pensatore, segnato dalla vita e difficile da incasellare … lo accetto da Emilio Fede, da Vanna Marchi, ma non da una persona che si definisce un minimo seria. Essere attuali è un enigma che sarà la posterità a comprendere! E incasellare è una passione indecente che fa “scappare” tanti significati!

La Nemirovsky semplicemente, scrive con una sincerità che affascina. In certe sue opere si “sente” che il nocciolo della sua anima, del suo sentire, è non sfiorato, ma compreso!

E poi... cosa vuol dire essere una pensatrice? Se si tratta di colui o colei che pensa, credo che sia una definizione un po' vasta che va bene per tutti, ma proprio tutti, tranne i morti …
E una pensatrice libera? Lasciamo perdere il pensare che per un artista è quasi offensivo, poiché va ben oltre al pensiero, ma la sua libertà? Solo “David Golder” , “Come le mosche d'Autunno” e “Suite francese” lo sono veramente e il fatto si spiega con semplicità, poiché nacquero in periodi nei quali scrivere era fine a se stesso. La Nemirovsky iniziò a pubblicare con Grasset e questi, un valido affarista, si rese conto che un volume come “David Golder”, così spietato verso la figura della finanza ebraica, in un periodo non ancora completamente raffreddato dal clamore del caso Dreyfus che aveva diviso la Francia e appassionato il mondo e di uno scandalo di alta finanza dell'anno precedente che coinvolgeva ricchi ebrei, sarebbe stato un successo. Per lui si trattava della descrizione dura di una realtà attuale, un po' come quando nei nostri tempi, dopo un processo per esempio di omicidio molto seguito dai media, qualcuno fa un filmettino... Grasset sapeva solo che lo aveva scritto una donna e che l'argomento era quello giusto. Aveva, per contattarla, una casella postale. Lei non rispose, poiché stava partorendo la sua prima bambina e lui, per creare attesa, mise un annuncio sui quotidiani, nel quale si dichiarava che si cercava l'autrice di “David Golder” per pubblicare il libro. Cieca un mese dopo, quando Grasset si trovò davanti una ragazza fine, di elevata estrazione sociale e pure ebrea, comprese che ne sarebbe nata una grande operazione commerciale eccellente. Vedete, la Nemirovsky comprese l'aspetto pratico di quel che le stava accadendo, e lasciò fare. Aveva bisogno di soldi. Ora aveva una famiglia. Un marito che era bancario e non banchiere e un'abitudine di vita abbastanza dispendiosa … lasciò appunto, fare. La sua fame di soldi condizionò molte pubblicazioni anche su riviste di destra. Questo l'estensore dell'articolo lo fa notare arrivando a dire, cosa non vera! Che “ l'hanno consegnato ai posteri l'immagine di un'autrice di destra...” ma quale immagine ai posteri! La Nemirovsky era dimenticata! E in più, il motivo di quelle pubblicazioni su Candide e Gringoire era legato al fatto che doveva far tornare i conti e in più l'editore spingeva per tutte quelle operazioni che davano visibilità. A lei personalmente interessava, per l'estate affittare una bella casetta vicino al mare per crescere bene le bambine.
E poi, insisto, cambiare vita andando verso il meglio, lo san fare tutti, ma scendere la china delle ristrettezze quando ti si prospetta una via redditizia, e inoltre sai non sei responsabile solo di te stessa ma anche dei figli… era giusto che agisse così. Il tempo avrebbe eliminato quel legame con la necessità salvando quel che della sua opera era salvabile ed è notevole scoprire che anche il racconto, il romanzo meno riuscito, è comunque interessante!

Non sopporto l'immagine di purezza che si vuole assegnare prima o poi, a tutti gli artisti. Raramente è un lusso che ci si può permettere. Vivere solo di letteratura o di arte, subordinando ad essa tutto il resto, la quotidianità, il problema della sopravvivenza, è quasi impossibile. Capita che si scriva per il desiderio, la necessità di farlo e non per mestiere o necessità, ma se hai un figlio? Se ne hai due come Irene e vuoi dare a loro bellezza e delle possibilità? Se le esigenze primarie, abitare, vestirsi e manducare per intenderci, non si risolvono da sole? Ecco che accadrà anche che, quel che deve essere arte, si fa anche mestiere. Si scende a compromessi.

Ci tengo a dire che amo moltissimo l'opera della Nemirovsky e semplicemente cerco di agire con un po' di senso della realtà. Mi è capitato per esempio di sentir dire che Grasset era un grande editore perché aveva già pubblicato Proust e si era dimenticato che questo grandissimo pagò per far uscire quel primo volume della Recherche.... Grasset era inserito e aveva fiuto, ma più per l'operazione commerciale. Creava situazioni che facevano pubblico, che vendevano. La qualità era già secondaria per lui …

Io penso che il periodo d'oro del rapporto autore-pubblico, fu quello innescato da Dickens. Le sue opere uscivano a puntate su riviste. La qualità era saggiata dal lettore. Nacque così l'abitudine dell'editore di rivolgersi alle riviste per sapere se quel nome, quel libro “tirava”. Non che io stimi incondizionatamente il pubblico. Penso che solo per opere particolarmente profonde sia necessario un intervento dall'alto, possibilmente guidato da altri artisti … Un Kafka sarebbe rimasto sconosciuto senza l'intervento di un saggio editore a nome Kurt Wolff, di estimatori di livello come Carl Sternheim e amici preparati che per anni hanno lavorato di fino sulla sua immagine, come Max Brod.

A chi dobbiamo la scoperta di Hemingway? Non ad un editore ma ad un certo Francis Scott Fitzgerald.... “Il Gattopardo” lo dobbiamo ad elena Croce, figlia di Benedetto filosofo … Proust stesso, lo dobbiamo ad Anatole France, e potrei proseguire...

Irene Nemirovsky e Grasset, facevano parte della vita, erano impuri come tutto ciò che è umano. Solo pochissimi esseri umani riescono a creare, con sofferenza e fortuna, quelle condizioni che permettono di vivere un periodo puro. Kafka, Bulgakov, Nabokov, Pasternak, Skriabin, sono secondo me fra i pochi che ci son riusciti.



Altra frasettina presa dall'articolo e che vale meno di nulla …:

Poche opere, nel novecento specchiano la barbarie della guerra come “Suite Francese”.

Se mi mettessi ad elencare, ne verrebbero fuori parecchi di titoli. Ma come fa una generazione che ne ha vissute due di guerre, e quando è andata bene almeno una, a non parlarne diffusamente!

Sono sbalordito dalla banalità di quella asserzione. Avrei saputo cosa dire se avessi avuto l'intenzione di elogiare “Suite francese”!



Tempo fa, all'uscita del film “Fratelli e sorelle” di Avati nel 1992, lessi una recensione che descriveva quel gioiello come uno spaccato di vita del periodo fra le due guerre. Ero inorridito. Contattai la persona che produsse lo scritto, ci sedemmo in un caffè e dialogammo. Era una persona famosa nel ruolo di critico cinematografico … non ammise a parole di vergognarsi di quel che aveva scritto ma, dopo aver “meditato” il film insieme, il suo disagio, ormai evidentissimo, fu un messaggio chiaro. Mi disse che spesso non si ha il tempo necessario per fare bene.

È vero ... dissi allora e ripeto oggi. Io ho scelto di fare poco ma in profondità.

Morale. L'articolo dedicato alla Nemirovsky, pubblicato oggi su “La repubblica” lo trovo banale. Ciò che è banale, ci allontana dal senso delle cose.

Ma, per fortuna, le parole dei quotidiani … durano un solo giorno.
... e


vi consiglio la lettura di "La vita di Irene Nemirovsky" se veramente avete intensione di scalfire la superficie... scoprirete così che "i paradossi" citati anche in neretto nell'articolo, appartengono solo ad una lettura men che superficiale.


giovedì 18 aprile 2013

Adele: "Rollin the deep"




Oggi, riascoltando “Rolling the deep” di Adele, mi son sentito come l'uomo che attende nella parabola “Davanti alla legge” di Kafka.

Già è arduo trovarlo quell'ingresso e quando ci sei e dici finalmente, il guardiano ti lascia in sospeso. Non sai se puoi o devi o sta a te decidere, e nel dubbio attendi. Attendi e diventi vecchio e il guardiano che ti vede alla fine, sempre li, davanti alla legge, chiude la porta e rivela che quella porta era per te … (trovate la parabola in un capitolo de “Il processo” e come racconto autonomo)

Anni fa, compresi che quando sei davanti a quella porta può accadere che l'indecisione, la paura, il timore, si sfaldino, diventino in un attimo polvere. Ascoltavo Ray Charles. Dal vivo un'esperienza unica. Lui non era un uomo, il contrabbasso di fianco a lui non era uno strumento. In un attimo tutto sparì e io divenni ritmo. È difficile spiegarlo a parole ma ci provo. Sei seduto a Viareggio in mezzo ad altra gente. Sembra una serata mondana, cosa che aborro, ma accade che non sono più io. Il corpo impercettibilmente si muove a quel ritmo che impregna tutto. L'aria vibra, la vista non consegna più immagini. Ti rendi conto che il corpo danza, guidato da quella primordiale essenza e, in quel momento ho pensato, se ora fossi davanti alla Porta, che ancora non avevo trovato, se fossi Davanti alla legge, il ritmo divino che mi si è risvegliato dentro, mi farebbe camminare, accederei alla Legge, sarei un io in sintonia col tutto. Il brano terminò e mi ritrovai deluso, fragile nei confini di un corpo che ha assaporato il volo, ma non sa ripeterlo.

Non sono semplici parole quelle che ho appena utilizzato, con l'intento di fare buona letteratura. Mai desidero “fare buona letteratura”. Desidero Essere con la E majuscola, e non è facile. Quel che l'Essere compie, se sarà in forma parole, o qualsiasi altra strategia, avrà valore. Non si può decidere consapevolmente di “fare buona letteratura” o buona musica …

quel che provai con Ray Charles fu un brevissimo ma totale stato di trance. Quando ti capita comprendi cos'è la musica e cerchi nuovamente quella sensazione.

Mi è accaduto ancora, con Keith Jarrett e il primo brano del “Koln Concert”. Mi è accaduto e ogni tanto riesco a ripetere quell'estasi, con lo studio opera 8 numero 123 di Skriabin, mi accadde dal vivo nel momento in cui Fabrizio de Andrè iniziò gli accordi di una certa canzone antichissima e pur nuova …

e mi è parzialmente accaduto oggi con Adele.

Di solito “Parto” guardando il video ufficiale. Contiene delle idee eccellenti. “vedere” la percussione con l'idea di una distesa di bicchieri pieni d'acqua che ad ogni colpo vibrano,
lei seduta semplicemente su una sedia in stile, in una stanza coi muri coperti di teli di plastica … sensazione di partenza, di qualcosa che è terminato. Quella visione onirica in costume d'epoca in un mare di bianco in piume e polvere,
la città bianca sul tavolo
e il batterista nel sottoscala. Inizia il brano e sento che qualcosa si innesca, come un pegaso che mi carica e inizia la rincorsa … ma non c'è il volo.

Cerco di capire, ma non si vola.

Passo al video bellissimo (tutto su You tube) di lei in abito nero, guanti che non toglie e borsa matelassè nera di Chanel. Temo quella ricerca di stile ma funziona. Poca gente, diretta radio e alla fine il dj ripete entusiasta agli ascoltatori che era dal vivo …

parto anche qui, pegaso scalpita ma non decollo.

E allora inizio a pensare … quando mi è capitato ancora di partire e non decollare …

varie volte. E un ricordo viene a galla. Anni fa a Istambul, passeggio fra vie popolari per andare al caffè Lotì, e ovunque, dalle finestre aperte, sento “L'onbelico del mondo “ di Jovanotti. Sorrido. È divertente essere appena arrivati dall'Italia e sentire questo simpatico italiano … che non sa cantare, ma ha un'idea abbastanza chiara di così è il ritmo. Ma poi sentii il brano per intero e mi resi conto che era una promessa non mantenuta. Qualcosa scalciava ma non nasceva. Decido ora, di rivedere il video e, complici anni di meditazione, ho la sensazione di comprendere. Cercatelo su You tube e ascoltate solo i primi quaranta secondi …



... e siamo in sella a pegaso, ma quando inizia a cantare tutto si fa concetto, intelligenza, ripetizione, schema e … vita quotidiana. L'immagine potente di lui che “picchia” su un grosso tamburo, al centro della Sala dei Giganti di Mantova, mi mostra una primordialità che non considero primitiva, ma la sorgente espressiva necessaria per fare, per essere musica …

e mi torna a galla una immagine. Una ragazza che “picchia” su un tamburo simile …

ora ricordo. Kt Tunstall. Il brano è “Black Horse and a Cherry Tree”.



Lei è alla chitarra, lei che di ritmo ne ha non resiste e viene attirata dalla sorgente … dal tamburo. Guardo e penso. Anche qui non si decolla, ma si parte. Se si osserva poi il video fatto al Rolling Stone, dal vivo, si intuisce che le basi, le possibilità che questa fanciulla sia faccia Pegaso, ci sono. Cosa porta Adele e Kt Tunstall ad avvicinarsi alla “verità” della musica e poi deragliare nell'ordinario?

Ho una risposta che in fondo è solo un'ipotesi. Inizi la carriera e il mondo è sorpreso da quel che offri, che è tuo, abbastanza tuo e grezzo. Arrivano le leggi di mercato. Tutto si fa meccanismo, non te ne accorgi e le luci si spengono.

E allora penso a come immagino quella canzone di Adele, “Rollin the deep”.

Vado d'istinto, di follia, ma provate a seguirmi per favore. Neutralizzo il testo. Che si canti in una lingua morta. Una lingua che nessuno sa, oppure inventata. Che le parole non trascinino reti di significati e nemmeno ricordi! Nello scantinato solo un antico, robusto tamburo. Bicchieri ovunque. Quelli mi piacciono. Forse un contrabbasso, che ha una voce roca, che sa trasformare lo sfondo in un orologio quasi impercettibile all'orecchio ma nitido ai sensi. E la cantante? A lei chiedo di dimenticarsi di essere.

La ricchezza unica di musica e danza, che merita l'invidia degli esclusi, è che la persona si fa strumento. Essa è la musica. Essa è la danza. Dimenticarsi di esistere e lasciar fare a quel che il ritmo le detta. Un tamburo e lei.

Cos'è un tamburo. Gli sciamani, dall'era del Toro, dal quattromila Avanti Cristo. Lo percuotevano per svegliare qualcosa là fra le stelle, che era la loro guida, il loro consiglio. Che si prenda uno di quegli antichi tamburi che la mediocrità dell'occidente ha disposto in fila nelle teche dei musei trasformandoli da divinità in oggetti. Voglio sentire la loro voce roca. Era pelle di un toro nero con le pleiadi in fronte. Era un ritmo che andava oltre l'umano. E la grande voce di Adele che deve ascoltare solo se stessa. Essere vivi prima che umani. Vibrare come risposta a quel semplice battere antico.

...ma non ci deve essere pubblico. È bello il finale del concerto, mi sembra sia al Royal Albert Hall, ma quel cantare in coro fa tanto festa di paese e infatti lei non fa altro che cantare, senza lanciarsi, senza partire da se stessa …

è accaduto qualcosa di più alla radio. Nessuno l'ha distratta, ma ha ripetuto se stessa. Solo una mano, verso la fine, mimava l'alzarsi dei toni, forse non se n'è resa conto, ma la spontaneità è eleganza, e quel gesto “spingeva” la musica più su …

Adele è uno strumento perfetto. Può tutto con la voce. Ora deve scoprire la via stretta, che porta all'origine.

Zucchero Fornaciari, a inizio carriera, consapevole dei suoi limiti, si affidò alla musica nera che per un certo periodo gli fu buona maestra.

Ma esiste la musica Klezmer, le varie esperienze tribali e folcloriche. Son tante le vie che possono condurre al medesimo centro. Io immagino il ritmo che ci rende leggeri, che spinge i fiori fuori dal terreno nutrendoli di voglia di vivere. Ecco, ho trovato la parola. Il ritmo, quello originario, fondante di tutta la grande musica, è voglia di vivere. È vita. De Andrè, mi conquistava particolarmente con i testi dialettali. Non li capivo e non li volli capire per anni. “Megùn Megùn”, ora so cosa narra, ma quando non lo sapevo ancora, per me la sua voce era strumento che colmava un ritmo nuovo e antico che mi ammaliava. Sì, ora ricordo. Fu quell'inizio per me perfetto di “Megùn Megùn” a farmi decollare, dal vivo, l'unica volta che lo vidi dal vivo. Ora, una estasi calma, come un veleno dole e lento, me la dona “Da me riva”.

Come ho tentato di spiegare prima, troppi talenti producono la prima opera o liberi o in libertà vigilata. Penso a Tiziano Ferro. Era sorprendente. Ora è omologato. È come quando leggi un poeta indubbiamente eccellente, prendiamo per esempio Montale... senti che è giusto, che va, ma senti un freddo che non ti spieghi. E poi leggi Dylan Thomas e respiri e capisci tutto anche se in fondo non hai capito niente. Rispetto Montale ma amo Dylan Thomas. Per ora rsipetto il talento di Adele e …. spero di potere amarlo. Mi sembra una persona decisa, con un caratterino di quelli che se provi a pestarle i piedi … alcune cosette me le hanno raccontate …

La fortuna di de Andrè fu nel suo coraggio di essere in dipendente. Una volta che il problema economico è risolto, ci si può permettere di toglierlo dalla nostra mente. I soldi, oltre una certa quantità, non son altro che stupida accumulazione. I soldi sono possibilità. Quando le tue le stai vivendo, in banca stai accumulando le possibilità …. degli altri. Sentir dire sempre che il tale cantante o artista ha guadagnato una certa cifra, non appaga se non la casa discografica e una cultura che si sente bene solo nell'incremento continuo. È mania di accumulazione. È malattia. E nel frattempo, mentre accumuli la vita ti scappa via. Sembrava ieri, e le luci si spengono ….
Adele, è dopo Terence trent d'Arby il grande talento britannico...



maltrattato dal mercato ma grande talento. lo ricordo al pub la sera in centro a Londra. parcheggiava una Aston Martin d'epoca (il modello me lo hanno detto; non distinguo lei vari tipi di auto) stupenda e poi dentro a bere birra e chiacchiarare ...ma ci basta quando sappiamo che era ed è un talento strepitoso? e non lo hanno lasciato fare .... Ora Adele è la nuova promessa. Ha tempo, spero la voglia di esser libera e ... che il suo talento diventi  grande fino a farci volare con Pegaso, oltre noi stessi.







lunedì 15 aprile 2013

Simenon: "La chiusa n.1"




Per entrare nell'atmosfera di questo post son necessarie alcune istruzioni: Primo, leggere il post “Simenon e il commissario Maigret” del 10 aprile 2013. Secondo, leggere “Maigret e i testimoni reticenti. Questo post l'ho pubblicato in data 15 aprile 2013 e prosegue il ragionamento. Segue, nella medesima data, "Maigret a scuola”. Quindi il seguente testo che consiglio di aver letto prima di inoltrarsi....

Come ho già spiegato, ho scelto tutti i testi a caso tranne “Maigret e il barbone”. Anche “la chiusa n. 1” ha seguito la medesima sorte. L'avevo comunque già letto qualche anno fa. Non si tratta quindi di una scelta tendenziosa e lo dimostrerà la particolarità del testo che si riduce alla seguente regola: tre eventi sono oltre la colpa e l'assurdo. Il suicidio di un figlio e la consapevolezza continua che si sta morendo e la scoperta di non essere fertili.

Andiamo con ordine. Il suicidio del figlio. Se esso accade come nel caso narrato ne “La chiusa n.1”, colui che l'ha causata, anche se non volontariamente, ma con comportamenti che hanno massacrato il valore per Maigret fondamentale della famiglia, non potrà essere riabilitato per il semplice fatto che nemmeno un dio può farti tornare dalla morte. La morte è un evento che conclude e non permette di ristabilire un equilibrio.

Il secondo caso, quello della consapevolezza che sta sta morendo, Maigret lo esamina in modo eccellente nel volume “Maigret si diverte”. In quel caso, una ragazzina scopre che ha un problema al cuore e che non vivrà a lungo, questa scoperta, fatta origliando quel che si dicevano genitori e specialista, porta ad una reazione di frenesia di vita che scombina tutte le regole. La figlia che essa avrà dal marito, sarà una conseguenza secondaria di un terremoto totale.

Il terzo caso, la scoperta di non essere fertili, con relativa reazione di una attività sessuale sfrenata che equivale all'immagine di bussare alla porta della vita che mai si aprirà, è ben descritta ne “Maigret e la vecchia signora”. Si può ben dire che, a livello inconscio, l'infertilità è una sensazione di morte che proietta nello stato conscio comportamenti socialmente distruttivi esattamente come accade ai comportamenti di Eveline jave, la donna morta de “Maigret si diverte”. Il dramma dell'infertilità di Arlette Sudre de “Maigret e la vecchia signora”, si somma, viene accentuato dal comportamento anaffettivo totale della figura materna; realtà questa attualmente comunissima che porta a futuri blocchi della capacità relazionale.

Questo modo di agire appartiene sempre alla sfera inconscia e possiamo constatare che è un portato individuale presente precedentemente espresso, nella tragedia greca. In essa le situazioni rilevate, sono quelle che mandano in crisi il sistema morale che vorrebbe sovrapporsi perfettamente a quello legale e alla sua continua impossibilità di adattarsi alle regole divine. Riscontro, particolarmente nei primi quarant'anni del novecento, una tendenza alla tragedia di tipo greco, ma trasposta anche nella letteratura, nella cultura americana. Il suo sistema giovane ha utilizzato la crisi presentata dalle opere per esempio di Arthur Miller come una coscienza pulsante. Ebbe quel ruolo anche Fitzgerald e attualmente le cosccienze americane sono, a livello alto, Clint Eastwood e Robert Altman, a livello medio, George Clooney e Robert Harris, e a livello basso, ma assai influente, Stephen King.

Devo far comunque presente un particolare. Risulta che Simenon abbia scritto settantasei testi sul celebre commissario, in un periodo compreso fra il 1931 e il 1972.

è possibile che qualcuno di essi non rientri in quello schema che ha natura secondo me inconscia. È comunque possibile che due ragioni abbiano portato ad un agire diverso, puramente intellettuale, oltre al sondare casi limite come quelli che ho descritto.

Primo: Simenon scriveva tanto e comunque sempre ad un livello notevole. L'abitudine quotidiana alla scrittura porta come risultato secondario, alla capacità di scrivere sempre bene, anche quando le idee esposte non appartengono all'io profondo o quando qualcosa di contingente, appartenente alla vita quotidiana, allenta o crea tensioni. Il nostro io, per accedere al subconscio, ha bisogno di determinate condizioni che non sono uguali per tutti. Ognuno di noi le deve scoprire.

Secondo. Simenon, che non era uno stupido, potrebbe aver colto la sua chiave di lettura e aver cercato di “evitarla” coscientemente. Questo può esser accaduto o per pudore, rivelare la chiave che fondamentale della propria anima potrebbe farci sentire fragili, attaccabili, oppure può essere accaduto per una sorta di esigenza tecnica. Si rischiava di essere ripetitivi, anche se, l'autore fu ben consapevole che quella chiave non era stata colta.

Ne “La chiusa numero uno” vedremo confermata in pieno la mia teoria. Se ci tengo a precisare queste cose è perché ritengo che, comprendere la chiave profonda di un grande artista, non corrisponde all'aver decodificato tutta l'opera. Simenon scriveva per sé, ma anche per far quadrare il bilancio e si può supporre che qualcuno gli abbia chiesto pure una trama con un certo ambiente, con certi personaggi. Un esempio a lui precedente e che riguarda la storia del cinema, è col regista ukraino, Dovgenko. Il figlio racconta che il regime comunista gli imponeva forti limitazioni espressive e che una quota del dieci per cento di ogni film è da considerarsi effettivamente libera a livello espressivo. Un dieci per cento che è stato comunque sufficiente per creare capolavori come “La terra”, appartenente ancora al periodo del film muto, e che amo molto.

Il fatto che per ora sei libri su settantasei, scelti tutti a caso tranne “Maigret e il Barbone”, ci deve insegnare che questa è la chiave giusta, ma non si dimentiche che l'artista è calato nella vita, che la sua libertà espressiva raramente è totalmente libera. Per farlo devi esiliarti dal tuo tempo, non avere legami, poiché ogni legame ti attacca sempre più al suolo. Kafka ci è riuscito. Bulgakov anche e questa sua libertà in un mondo, quello russo di Stalin, decisamente oppressivo nel campo delle arti, gli è costato sofferenza e salute. Il compromesso che penso possa essere esistito per Simenon è più leggero. La sua era l'epoca del commercio che continua tuttora. Si hanno così uomini col portafoglio che in ragione di quel possesso dettano legge e sembrano soddisfatti solo dagli incassi. Se chi ti fa lavorare ti pone degli ostacoli per motivi che non sono i tuoi, puoi rifiutare, e Simenon poteva, oppure, se l'ostacolo ti sembra irrisorio, aggirarlo. La sua onestà intellettuale era esemplare. Lo dico pensando a quando diresse un Festival del Cinema, Cannes, e premiò Fellini messo in competizione con Antonioni. Scelse il meglio e lo premiò. Le case di produzione, particolarmente quelle americane, avevano fatto pressioni su di lui e sulla giuria per assegnare qualche premio al mercato americano. Maigret non li ascoltò e il risultato fu che non diresse mai più un festival del cinema. Peccato....

Mi raccomando! Non si pensi che io stia cercando delle pezze perché il prossimo testo “scappa” dalla rete della mia idea! Tutt'altro!

Dico che sono invece preoccupato dal fatto che possa accadere il contrario. Disporre di settantasei testi con la medesima chiave inconscia, sarebbe sbalorditivo e quasi insensato.

Veniamo al testo:

Parto subito da quello che considero il punto più importante. Quella che definisco “scene sacra”. Maigret va su un barcone per parlare con una ragazza e accade …

: “... si trovò di fronte la ragazza bionda che, seduta su una sedia di paglia, allattava un bambino. Era una scena così inaspettata e allo stesso tempo così naturale che il commissario si tolse goffamente il cappello, si infilò in tasca la pipa ancora calda e indietreggiò di un passo”.

Ci rendiamo conto dai gesti, che si tratta di sacralità e ci basti pensare che, nell'entrare in chiesa, un credente avrebbe agito esattamente nel medesimo modo per due gesti, ovvero togliere il cappello e occultare la pipa e che col terzo sottolinea il fatto che l'azione, essendo vera, in carne e ossa, che va ben oltre l'effetto che si avrebbe davanti ad una statua che allatta, porta a reagire ponendo quella distanza che si deve frapporre fra il sacro accadente, e l'uomo. Si pensi ora a “Il Castello” di Kafka … esiste la medesima scena. Il protagonista entra in una casa di povera gente e vede una donna che allatta e anche in questo caso la visione è sacralizzante. Nel caso di Kafka si trattava della legge, della soglia che non era in grado di varcare, nel caso di Simenon della presenza tangibile di quello che considerava il valore più alto da tutelare. Tutta l'opera, intendo il volumetto “La chiusa n.1” si imposta sulla descrizione di un caso umano estremo e inconciliabile con la vita. Si tratta di Emile Ducrau che agisce con potenza e non rispetta nessun valore. Le conseguenze sono un figlio suicida e la paternità non certa di una bambina, nata dalla moglie del suo miglior amico. Si somma la reazione spropositata di impiccare una persona che ha agito indubbiamente in modo impuro, ma nessuno negherà che esiste una sproporzione intollerabile fra colpa e pena che Ducrau ha realizzato. Per portare l'immagine di immoralità all'estremo, Simenon ci mostra la situazione abitativa che è folle. Ducrau abita il primo piano della sua casa, al secondo c'è l'amante, Rose, ballerina di Night e il figlio è relegato al sesto piano, chiaro simbolo di mancanza di dialogo. Conclude l'elenco delle efferatezze che rendono ducrau un essere intollerabile per chiunque sia un minimo umano, il suicidio di Gassin, l'amico di una vita, che non regge l'urto della scoperta del tradimento.

Vediamo che comunque la situazione di sicurezza per l'infante ovviamente presente nel testo è ben delineata e anche in questo caso il suo futuro possiamo immaginarlo deducendolo dai dati del testo che vanno comunque sottolineati, poiché solo una lettura attenta rivela la precisione del risultato. Veniamo al testo: Ducrau e Maigret dialogano. Quest'ultimo ha intercettato una lettera destinata ad Emma, sorella di Gassin, l'amico “cornificato”, la quale figlia, forse sua, forse di Ducrau, ormai adulta, ha avuto una bimba che allatta, e a lei è riferita la “scena sacra”. Maigret no fa leggere la lettera a Ducrau, e scaturisce il seguente dialogo:

a chi è indirizzata?”

a sua sorella”

a Emma? Che fine ha fatto? Per un po' ha vissuto sulla chiatta del fratello, e credo anche di esserne stato innamorato. Poi si è sposata con un maestro della Haute-Marne che dev'essere morto poco tempo dopo...”

ha una locanda al suo paese”.

Scrutiamo questo dialogo. Ducrau non ha certezze su quel che dice, e la risposta di Maigret sembra un oracolo delfico. Se si “passano” velocemente queste parole si deduce che la sorella di Gassin abita in quella certa zona ed è vedova ma … dire “ha una locanda al suo paese”, il paese di chi, di lui, lui inteso come marito morto, o di lei? Si tende ad incorrere, con una lettura affrettata, col dare credito a quel che suppone Ducrau, fateci caso. La realtà evidente è invece la seguente: Maigret sa la verità e da una risposta che deve essere scrutata. Quel che io comprendo è che, al paese di lui, nella Haute-Marne, il marito ha una locanda. Se poi sommiamo la lettura della lettera che Gassin scrive alla sorella, scopriamo che lui si rivolge da fratello a sorella, con un per sempre che rinforza il legame di sangue e quindi può escludere ogni riferimento, nel patto ultimo, col marito. Aggiungo che l'omertà di Maigret, opposta alle imprecise informazioni di Ducrau, ha senso perché tutela un destino.

Veniamo ora ad una chiave fondamentale. Simenon centellina accuratamente gli aspetti autobiografici del suo commissario. Nel Volumetto “Maigret a scuola”, scopriamo varie informazioni poiché il comportamento di vari bambini innesca la sua memoria involontaria. Nel testo in osservazione, scopriamo un dato che non si deve mai dimenticare ed è il seguente:

ha figli?” chiese poi al commissario con quello sguardo di traverso che Maigret cominciava a conoscere.

Ho avuto solo una bambina, che però è morta”.

Il commissario Maigret ha vissuto quindi uno degli eventi più assurdi, e oserei dire, quasi contro natura, della vita. Veder morire un figlio, sopravvivere ad un figlio.

E si pensi ora a quale gioco pazzesco è il destino! Sua figlia morì, e nel peggiore dei modi, suicida. Quel timore che è nella chiave del ruolo di protettore di bambini che definisce l'agire del suo personaggio più noto, il commissario Maigret, quel timore dicevo, sconvolgerà la parte finale della sua esistenza che divenne per lui un giallo da rileggere identificandosi nel ruolo di innocente impuro che ha ceduto ad una donna terribile, la seconda moglie, che col suo comportamento ha portato la figlia al totale rifiuto della vita. Simenon ha “giocato” con la sua paura, l'ha esorcizzata, l'ha in un certo senso chiamata? Ognuno di noi sa della vita quel che umanamente ci è consentito sapere, si legga il mio breve scritto intitolato “il pensiero fisso di Gogol” datato 3 giugno 2012, e si mediti. Mai farsi prendere da un timore e affilarlo con tonnellate di meditazioni. Esso verrà e avrà i tuoi occhi ….

Simenon: "Maigret a scuola"




Prima di affrontare questo scritto consiglio di leggere il post “Simenon e il commissario Maigret” in data 10 aprile 2013. in esso spiego la mia idea generale sul nucleo inconscio che regge la sua opera. Segue un altro post in data 15 aprile 2013 con titolo “Maigret e i testimoni reticenti”. Seconda istruzione necessari: aver letto “Maigret a scuola”...

Questo libro venne scritto nel 1953 e venne pubblicato in Francia l'anno dopo. Non posso far a meno di lodare … manca una erre … lordare, quel raffinatissimo imbecille che ha speso ben tre righe di una presentazione che ne totalizza venti per comunicarci una notizia “succosa”. Premetto che prima ci rende noto che un giornalista si recò a casa dello scrittore per cinque giorni e produsse uno scritto di 13 pagine. Quel che l'essere immondo incaricato dei scatenare la sua genialità in queste venti righe … ci fa sapere … è che -“Simenon rivela ad esempio che un racconto di Natale, scritto in due giorni, gli ha fruttato qualcosa come 30.000 dollari”-. Dato influentissimo per valutare la caratura di un grande artista! Se si ragiona veramente così finisce che Pupo potrebbe risultare migliore o pari a de Andrè....

Ma mi domando... in quelle tredici pagine, il giornalista ha scritto solo robaccia di quello spessore? Torniamo a noi. Mi son sfogato, nel mondo non cambierà nulla, ma sto meglio!

La trama ha del divertente. La strega del paese, Leonie Birard, viene uccisa da un proiettile ridicolo sparato da un fucile da ragazzini. Colpita ad un occhio, muore sul colpo. Aveva sessantasei anni, era in pensione da un po' e non usciva più di casa perché era malmessa fisicamente. Aveva tenuto il paese in pugno per anni. Lavorava all'ufficio postale e si teneva delle lettere. Sapeva i fatti di tutti e li sbeffeggiava pubblicamente. Era veramente odiata. Ora che non usciva di casa, dalle finestre, dalle quali teneva continuamente sotto controllo tutto il vicinato, proseguiva la sua attività sgradevole. I bambini, e forse non solo loro, rispondevano a insulti e sberleffi e si scatenavano in scherzi. Dalla mala riuscita di uno di questi nasce la disgrazia. Un ragazzino trova un ferro di cavallo per strada. È con un amico; decide di scavalcare il recinto della megera e di tirarglielo in casa, al primo piano, ma viene da lei sentito quindi scappa e torna sulla strada. È sera e viene investito. Si rompe una gamba. Rimarrà a letto per un mesetto. La strega ha visto tutto e sbeffeggia continuamente padre e ragazzo mostrando il ferro dalla finestra. Loro abitano li vicino e devono subire, oltre gli sberleffi, anche il timore che lei riveli quel che veramente è accaduto all'assicurazione. Il padre del ragazzino ferito e allettato, è Marcellin il macellaio. Accanito bevitore e perseguitato dalla sfortuna, ha un furgoncino sempre rotto e non gliene va bene una. Sappiamo che ha affittato dei terreni per pascolo ma c'è stata la siccità per qualche anno. Si tratta insomma di uno scalognato naturale. Preferirei pensarla così. La sfortuna ha un suo percorso, un suo ciclo e poi se ne va. Se qualcuno “dà una mano” per allontanarla …. tanto di guadagnato.

Come ho spiegato precedentemente, per prima cosa si devono trovare o donne in dolce attesa oppure ragazzini preadolescenti. Qui di preadolescenti ne abbiamo tre e sono tutti potenzialmente validissimi ma con qualche nota stonata nel destino. Uno è appunto il figlio del macellaio. Ci viene descritto così: “...dei tre ragazzini era senza dubbio il più bello, quello che più sembrava sano, senza problemi” esaminiamo come l'apparizione di Maigret nel suo destino, crea cambiamenti. Sappiamo che è stato il padre ad uccidere, anche se non intenzionalmente la “gentildonna”. Sembra negativo il fatto che debba andare in carcere? Direi di no. È la sua salvezza. Sappiamo dal medico del paesino che se continua a bere così, entro tre mesi si assisterà al suo funerale. Allontanarlo e chiuderlo in carcere equivale a salvarlo. Sappiamo anche che Maigret ha promesso che non rivelerà niente della truffa all'assicurazione. Accadrà quindi che ci saranno i soldi per il furgone nuovo. Il padre lo desiderava perché così poteva allargare il raggio dei clienti. Vediamo quindi che l'apparizione di Maigret in questa esistenza, pone le basi per la sconfitta della sfortuna.

Veniamo al secondo ragazzo. È il maestro e segretario comunale del paesino che si chiama Saint Andre sur Mer (Charente). Due abitanti non sono originari del posto. Il medico e lui, ma il primo ha accettato la mentalità del luogo che vanta varie scorrettezze; per esempio solo medico e maestro pagano le tasse e tutti gli allevamenti di ostriche e cozze, e sappiamo che tutti in paese ne hanno, sono in nero. Così è pure per certificati, pensioni di varia natura eccetera. Quando la strega muore, il paese concentra la sua tensione sul più disinserito che è già odiato per il fatto di non accettare di firmare tutto quel che gli si propone e poi … è di fuori...

Si chiama Joseph Gastin. Quando capisce che lo arresteranno, scappa a Parigi e chiede aiuto a Maigret che accetta. Ha una moglie che ha un senso di colpa enorme che pesa sulla famiglia. Secondo me Maigret, che è un protettore di ragazzini e donne gravide, ha ammirato il fatto che il maestro, dopo quel che aveva combinato la moglie, non avesse reagito con un divorzio, distruggendo quindi la famiglia. È il primo caso che incontriamo nel quale “l'innocente impuro” è una figura femminile.

Come salva il futuro del secondo ragazzino? Semplice, dimostrando l'innocenza del padre.

Terzo ragazzino. Si chiama Marcel Sellier. È il caso più difficile da cogliere. È il figlio del lattoniere e guardia campestre. Sappiamo che il padre è un arrivista assoluto. Questa malattia si ripercuote sul figlio che deve essere esemplare in tutto. Infatti è bravo a scuola ed è pure chierichetto. È importante la sua relazione con le bugie, con la morale. Le dice, ma poi corre a confessarsi, non resiste e poi deve dire la verità. La lezione che riceve dalla bugia che dirà, legata a questa morte, bugia detta per salvare l'amico figlio del macellaio, che crede colpevole, lo aprirà definitivamente ad una via morale coerente col suo sentire.

Immaginiamo la generazione successiva del paese. Quelle sono le tre menti. Uno onestissimo, uno laico e assai metodico e il terzo intuitivo e intelligente.

Abbiamo occasione di vedere all'opera una realtà di paese decisamente corrotta e sgradevole. Tutti fregano tutti quando possono e ciò che è esterno e distante, ovvero stato e assicurazioni, sistematicamente si mungono. I figli vengono mandati a scuola malvolentieri eccetera.

Più che mai, in questa opera si va oltre il giallo. La lezione è di vita, ma può sfuggire appunto se si considera semplicemente il tutto come un giallo. Qui, di nuovo, non ci si limita a scovare il colpevole, ma anche a raddrizzar destini che, come capiterà spesso, ormai è dimostrato, son di ragazzini preadolescenti o divite che stanno per nascere.

amen

Simenon: "Maigret e i testimoni reticenti"




Consiglio prima la lettura del post “Simenon e il commissario Maigret” del 10 aprile 2013. Questo scritto prosegue la meditazione su una mia versione interpretativa dell'opera di Simenon.

Non sono in grado di dare informazioni precise sulla stesura del testo. La mia copia è una prima edizione Mondadori dell'aprile 1961. Ho terminato la lettura per la prima volta alle ore 17.20 e immediatamente mi son messo a scrivere. Trovo importante precisarlo. Questo diventa il quinto testo analizzato ma il primo che non ha avuto una meditazione lunga e sedimentata. Quel che scrivo è quindi contemporaneamente pensato per la prima volta.

Invito il lettore di questo post a mettersi personalmente in gioco. Che legge il libro provi a valutare prima da solo se è in sintonia con la mia teoria. Solo dopo aver spremuto un poco se stessi, penso che la lettura di quanto segue possa farsi particolarmente interessante.

Come ho precedentemente spiegato, il fulcro gira intorno o a una donna in dolce attesa, oppure ad un ragazzino.

Veniamo ai fatti: abbiamo tre fratelli:

Leonard Lachaume è il più grande. Dirige un'antica azienda di biscotteria. Viene ucciso da un colpo di pistola sparato a bruciapelo e trovato nel suo letto in casa sua.

Era sposato ad una ereditiera, Marcelle Donat, morta da anni. È nato un figlio che al momento dei fatti ha dodici anni. Dopo l'omicidio lo mettono in collegio. Sulla scena non appare mai. Egli è quindi orfano di entrambi i genitori. Ha due nonni che son da badante, uno zio malato e la zia acquisita.

Segue Armand Lachaume, fratello di sette anni più giovane. Malato. Sposato con Paulette Zuberski. Ricca. Non hanno figli ma ci hanno provato.

Veronique, di trentaquattro anni, sorella più piccola. È andata via da casa da anni e non ha più contatti con la famiglia.

Paulette Zaberski non ha avuto figli dal matrimonio. Dichiara di essere affezionata al nipotino.

Abbiamo due figure femminili che possono essere proiettate in un futuro prossimo col ruolo di madri di Jean Paul. Veronique è descritta da Maigret-simenon come molto positiva. Paulette è con ogni evidenza una donna che non ha vissuto ma sta ponendo le basi per riuscirci, ovvero un divorzio.

Sia Paulette che Veronique sono intenzionate ad accasarsi con la medesima persona: si tratta di Arthur Baquet. “...è un giornalista. Si occupa di pubblicità cinematografica ...ha avute tante stelline del cinema quante ne ha volute, ma succede che anche loro vivano soprattutto in albergo e mangino al ristorante. Così ha cominciato a pensare a una donna come (me)”

Veronique, chiacchierando con lui, rivela che Paulette è ricca. Arthur, che sul lavoro si fa chiamare Jacques Sanival, inizia la “caccia” all'ereditiera per accasarsi e arriva ad un passo dal colpaccio. Paulette sta preparando le carte per il divorzio ma …. Leonard, fratello del marito, viene ucciso e l'operazione rimandata.

Arthur, detto Jacques non è altro che un'altra versione di quel personaggio ricorrente che ho chiamato “impuro innocente”. Questo è sicuramente meno innocente di altri, ma si immagini il futuro: Pauline sposata con Arthur. Lei è una figura positiva e con istinto materno. Jean Paul, ormai orfano e con solo uno zio malato e dei nonni mummificati sarebbe certamente andato con lei. Ricordiamocelo. Questo è il futuro possibile che la divinità-Maigret, che trama contro le leggi dell'uomo in favore di quelle di natura, potrebbe considerare in alternativa a Veronique madre.

Perché Maigret questa volta fatica tanto? Perché non è più libero di agire.

Esiste una porticina simbolica … “(Maigret) aveva la chiave della porta a vetri dalla quale si passa nel Palais de Justice dalla P.J., e che viene chiusa con cura dopo che un detenuto se ne servì per evadere.”

E' la medesima porta a vetri che ritroviamo in “Cecile è morta” …

Essa, che ora è chiusa, rappresenta la separazione ormai avvenuta fra il palazzo di Giustizia e la P.J., polizia giudiziaria. Vi ricordo il mio schemino. La polizia giudiziaria ha in sé qualcosa di sacro. In essa le colpe vengono comprese e certi destini, guidati. In questo ambito la divinità naturale a nome Maigret, tutelerà e avvierà alla giustizia puramente umana solo gli “sterili”. In questo libro Maigret, la divinità, è invecchiata. I magistrati che son giovani e “pieni di diplomi” non lo lasciano più agire liberamente. Essi, gestiscono ora anche la ricerca del colpevole. Prima si limitavano a prenderlo e condannarlo in base a quanto aveva ottenuto Maigret con i suoi uomini.

... Col povero Camileau (un vecchio giudice) che per tanto tempo era stato il suo nemico personale, c'era una battaglia aperta. La vecchia lotta mai confessata ma sempre latente tra Parquet (palazzo di giustizia) e il Quai des Ofevres (polizia giudiziaria). Altri giudici lo lasciavano agire a modo suo e spettavano con pazienza che portasse loro un dossier completo, con annessa, di preferenza, la confessione del colpevole.”

Maigret ci mostra in vari punti come questi siano inesperti.

Ecco un esempio: “...Propendo per l'ipotesi di rapina...” Maigret taceva … valeva la pena di spiegarsi, di far capire al magistrato ciò che … aspettava delle domande precise. “Voi che ne pensate” gli chiese finalmente.”

E Maigret smonta in un attimo la “intuizione” del magistrato che rimane “imbarazzato e sorpreso” ad ascoltare.

Ecco un altro passaggio: “ … “chi vi ha imposto di tacere e di lasciar credere ad un furto?” “Nessuno in particolare”. Perbacco! L'avevano riempito di teorie ed era la verità che doveva piegarsi alle teorie, entrare in questa o quella categoria.”

In questo caso il pensiero di Maigret mette in evidenza il problema insito nel modo di agire della nuova generazione. Essa è troppo intellettuale e così non può funzionare quando si agisce sull'umano.

Appare poi anche una critica alla freddezza. Siamo alle battute finali del libro. Esattamente penultima facciata: “Credo che non abbiate più bisogno di me signor giudice”. E Maigret si avviò lungo il corridoio, verso la piccola porta che dava sulla P.J.. Se l'interrogatorio fosse stato condotto da lui le cose sarebbero andate diversamente”.

E' appena accaduto che il marito di Pauline, dietro alla porta chiusa del magistrato, si è sparato un colpo in bocca. Il nuovo metodo della giustizia ha pure sulla coscienza una vittima … che col metodo di Maigret forse … si sarebbe salvata.

Vedete, in fondo la via è spianata per la nuova famiglia, composta come sempre da una brava donna e un uomo imperfetto, e per il ragazzo orfano si apre la via della salvezza che è possibile solo con una famiglia, ma rileggete il finale di “Maigret e il porto delle nebbie” e fate tesoro dell'atmosfera positiva che dilaga una volta che il caso è risolto! Pensate a Grand Louis che per aver legato Maigret eccetera verrebbe punito da quel giudice …

Fate caso poi al modo di trattare il ladro di appartamenti, che riceve rispetto dalla Polizia Giudiziaria nonostante quel che ha fatto, mentre è ammanettato e annientato dall'attesa davanti al rappresentante dl Palazzo di Giustizia! Questo personaggio, il Canonico, non avrebbe alcun senso nella trama del giallo. Per Simenon è invece fondamentale per dimostrare una differenza di umanità che si sta perdendo.

Il giudice dice: ”... “continuate signora” … Paulette non aveva l'abitudine di parlare davanti a uno stenografo che prendeva nota di ciò che diceva. La cosa la impressionava. Cercava le parole e, parecchie volte, Maigret dovette farsi forza per non intervenire.!

Poco più avanti leggiamo: “... Non poteva più stare seduta. In piedi, continuava, volgendosi non più verso il giudice ma verso Maigret.”

Com'è evidente. Il giudice, il Palazzo di Giustizia, manca di umanità, è glaciale e Pauline si rivolge a Maigret, parla con lui. A questo punto il nostro commissario non ce la fa più...:

... Maigret aggrottò la fronte. Indifferente alla gerarchia disse: “Permette, giudice?”

Non aspettò risposta e continuò ...”

Ora Maigret gestisce la situazione. Torna l'umanità e ... la legge di natura può agire.

Ricordiamoci che è evidente che Maigret preferisce Veronique come madre …

Il loro primo dialogo si conclude con una promessa che corrisponde ad una complicità. Maigret la terrà informata e una donna del genere se informata … agisce. Tutto in lei gli risulta gradito poiché è se stessa con schiettezza e senza falso pudore.

Ecco le ultime righe del libro: “...Ma il commissario aveva già afferrato il telefono per chiedere il numero di Veronique, in rue Francois I. Quella là, mentre aspettava di farsi una ragione, aveva il diritto di essere tenuta al corrente.”

L'opera è terminata, ma come al solito si delinea un futuro che non è difficile intuire.

Lui, il giornalista, tornerà da lei, Veronique, e il nipote dodicenne avrà quella famiglia.

Ognuno dei cinque libri analizzati prepara una situazione futura non descritta ma che si può cogliere. Diversamente questo finale non sembrerebbe altro che una chiusura buttata li senza troppa fantasia. Sembra in effetti quasi tronca. Ma come fa ad essere accettabile qual finale con il commissario che telefona alla tipa! Ma tutto è e deve essere in funzione del significato e solo interpretando così quel finale è … un finale sensato.

Una considerazione:

Maigret è rimasto in bilico fra due potenziali madri. Pauline è stata da lui annullata nel momento della morte del marito. Se la morte del cognato rientra nella legittima difesa, quindi pone Pauline sullo stesso piano di Veronique, e vediamo la bilancia pendere lievemente verso quest'ultima diciamo, per simpatia, la morte del marito la macchia. Lui non si è sparato un colpo in bocca solo per lo scandalo del fratello che disonorava la sua blasonata famiglia, e nemmeno per la fine della fabbrica di ciambelle … la fine sua la sento nella consapevolezza del legame definitivamente interrotto con la moglie. Un legame per il quale non era all'altezza.

Ognuna delle due candidate madri adottive, ha qualche scheletro nell'armadio. Per la legge di natura, che guida le scelte di Maigret, quale è meno colpevole o più innocente? Con la seconda morte che Pauline, e non solo il tribunale, poteva tentare di evitare, definitivamente vince Veronique che viene quindi avvisata e messa nella condizione di agire. Lei ora sa com'è il suo uomo. È consapevole dei suoi limiti e lui pure, quindi accadrà e … colui che andava salvato, il nascente alla vita, il fulcro della mente di Simenon, è accasato.
ciao







mercoledì 10 aprile 2013

Simenon e il commissario Maigret

Dopo aver letto più di una cinquantina di opere di Simenon, non sapevo come impostare uno scritto. Mettere qualcosa di ognuno di essi, anche poco, avrebbe prodotto un ammasso utilizzabile solo da chi, come me, avesse letto le medesime cose, quindi un assurdo. Il punto è che avevo l'impressione di aver colto il nucleo profondo intorno al quale tutti quei testi giravano! Aveva senso enunciare in modo generale? Secondo me nemmeno. Serviva un minimo di dimostrazione. In un secondo tempo avevo deciso di descrivere solo un libro, quello che secondo me rivela in modo più chiaro, ma anche questo modo di agire non mi soddisfava. “Aprirne” uno e far “sentire” la poltiglia più antica che contiene la matrice di tutta l'opera di un grande non lo sentivo sufficiente. Se qualcuno prendesse una mia sola opera e pretendesse di dedurre la mia anima da questa ... sarei diffidente. Potrebbe uscirne qualcosa di buono, ma consiglierei di leggere anche qualcos'altro. Ho pensato e ripensato e ho deciso di agire come segue: scegliere due libri a caso e verificare se contengono quel nucleo. Chiudere gli occhi e lasciar fare al caso non era semplice. I primi due volumi dell'opera completa contengono 24 romanzi; ho poi delle edizioni singole grandicelle, alcune tascabili e, anche il formato prodotto per la serie del commissario Maigret. Fare foglietti sarebbe stata la mossa migliore e poi pescare così, ma … un'altra idea mi è venuta in aiuto. È risaputo che Simenon, i romanzi più sentiti, li scriveva a penna, mentre gli altri, quelli che servivano per il bilancio famigliare, li “faceva” direttamente con la macchina per scrivere. Mi son detto: questi ultimi, per l'esattezza i gialli del commissario Maigret, sono quindi, probabilmente, i meno mediati dall'intelletto. Il fattore tempo ha compresso la creatività. È probabile che il seme che dà origine alla sua opera sia rimasto più vicino alla superficie, che meno strati di intelletto, celino!
Ho allungato la mano fra i gialli e ne ho scelti due. Il primo è risultato è stato: “La balera da due soldi” e il secondo “Cécilè è morta”. Mi son dato il ritmo di uno al giorno, concedendomi così lo spazio per ri meditare con la mente freschissima queste ri letture. Terminata la prima opera, la chiave era confermata, e con la seconda pure. Ero soddisfatto. Pensavo: se due su due, scelti a caso, confermano … ma mi rodeva un minuscolo senso di colpa … ho quattro copie di Maigret che sono più vecchie di me … ed essendo di formato diverso le ho escluse dal sorteggio. Ho così deciso di fare un altra “pesca” fra quelli e ho allungato la mano. Se anche il terzo avesse contenuto quel nucleo …!

Il caso mi ha offerto “Maigret e il porto delle nebbie”. Qui mi son sentito perso per un bel po', ma poi il finale ha confermato al millimetro!

Ho poi deciso di sommare, a mia discrezione, “Maigret e il barbone”, poiché in esso la “porta” che conduce al significato più elevato e secondo me parzialmente inconscio, non è chiusa e nemmeno socchiusa, ma spalancata.

Veniamo prima di tutto alla mia “storia” con Simenon. L'ho sempre accuratamente evitato perché per me era semplicemente l'autore dei gialli che riguardavano Maigret. Questa è purtroppo è l'immagine che ne da l'editoria, quindi ... auguro ad ognuno di loro tanti anni di dissenteria quanti ho impiegato io dall'età della ragione al giorno che ho potuto apprezzarlo! I gialli non mi hanno mai entusiasmato. Questa formula nella quale il cavaliere del bene è il detective, mi è sembrata quasi sempre un gioco d'intelligenza non troppo diverso dai frutti della “settimana enigmistica” … In essa ci son giochi raffinati, come il Bartezzaghi, ma anche parole crociate ignorantificate e “unisci i puntini e costruirai una immagine”, che sono giochi adatti per coloro che amano buttar via il tempo limitandosi a cibo, digestione … per quel che riguarda il Giallo con la G majuscola, esiste qualcosa di eccellente come “Dieci piccoli indiani” di Agatha Christie, qualche perla rara, e poi tanta tanta tanta tanta tanta banalità, nella quale il gioco consiste nel cercare di indovinare chi è l'assassino. Poi ne parli con l'amico e gli dici “io l'ho capito a pagine settantadue!”, e se l'altro ci è arrivato anche solo una pagina dopo, ti sentirai migliore di lui … ma migliore in cosa, mi domando! L'intelligenza è bene sì allenarla, ma poi va usata per qualcosa di più alto di lei!!! Essa è lo strumento, non la meta!

Mi ero reso conto comunque che di Simenon in libreria, esistevano sia libri con la copertina gialla, che libri, di solito di formato più grande, con copertine più seriose. Non mi son comunque lasciato indurre in tentazione per anni, poiché la “roba” da leggere non mi mancava. Quando ho scoperto i mercatini dell'usato, la mia ottica si è fatta meno rigorosa poiché il vincolo finanziario si è reso meno castrante. Davanti a volumi che spesso costano meno di un caffè, cedevo e uscivo spesso con la sporta piena. È capitato così che un suo volume, di formato serioso, che possiedo ancora, e che sulla copertina riporta la scritta in corsivo a penna “questo libro fa schifo”, entrò in casa. Su proprio quella scritta a farmi decidere. Mi fece sorridere, e un pomeriggio iniziai la lettura. Non mi entusiasmò ma lo trovai valido.

Trovai poi “Cargo” e mi resi conto che si trattava di un capolavoro. Ora ne ho “spolpati” più di una cinquantina e ho divorato anche, con commozione, le sue “Memorie intime”, un librone quasi cubico che riesce veramente a lasciare sconvolti. Il suo destino fu sicuramente ricco, anzi ricchissimo di soldi, ma per nulla invidiabile ... si tratta di più di mille pagine scritte benissimo e di un livello di sincerità alla quale non siamo più abituati dal giorno prima della creazione dl mondo … non consiglio però di leggerlo subito. Meglio dare la precedenza alle sue opere e dopo, calarsi nella verità della sua vita che rappresenta lo scontro-sconfitta con quel nucleo primordiale che ancora non vi ho rivelato …

Non voglio fare il prezioso e nemmeno costringervi a leggere tutto fino in fondo. Trovo essenziale far percorrere i pensieri che ho affrontato e approdare alla soluzione. Trovo brutto dare una informazione che così, senza una calma spiegazione della sua gestazione, sembrerà stridente per non dire slegata.

Consiglio la lettura di quanto segue a chi ha già letto le opere.

Iniziamo con ”MAIGRET E IL BARBONE”


Partiamo da un presupposto fondamentale per il giallo. In esso tutto è funzionale alla caccia del colpevole. La medesima regola vale per l'opera letteraria degna del titolo di opera d'arte. In essa vi è un nucleo dal quale la trama scaturisce. Si aggiunga un'altra considerazione: un essere umano, può girare onestamente solo intorno a se stesso. Si potrebbe dedurre che ogni umano evolverà un solo argomento ma penso che nell'arco di una vita quel nucleo possa variare. Per esempio, all'inizio il fulcro potrebbe essere l'amore, inteso come sentimento da spargere su un partner. Una volta ottenuto si potrebbe “sentire” la realizzazione di sé nell'essere genitore. Quando i figli son volati via tocca alla nostra anima che salvo eccezioni di immortalità che per ora non conosco, sarà destinata a volare via. Ma … ed è il grande ma dell'arte, a livelli eccezionali, se quell'essere umano ha subito un trauma, l'unica soluzione della sua esistenza sta nell'imparare a conviverci, nell'esorcizzarlo continuamente. Rarissimi casi approdano ad una soluzione. Posso dire che Kafka, per esempio ci è riuscito. Si possono trovare le tracce nell'opera, e non nella biografia, di un primo rapporto fisico con una donna, vissuto male. Questo ha portato secondo me all'impossibilità di portare una relazione alla completezza col matrimonio. Si ricordi che all'epoca, solo dopo l'unione ufficiale l'atto carnale diveniva lecito. Kafka, non oltrepassando mai il limite del fidanzamento, non dovette più affrontare quella soglia che lo bloccò e che non osava ripetere. L'incontro con Dora Dymant rappresenta una soluzione-compromesso. Kafka è ormai malato. La carnalità viene esclusa a priori. Il legame si fa spirituale e possibile. Ecco che la soglia del fidanzamento è superata e si ha la convivenza, ma di anime.

Torniamo a Simenon. É vero che ho letto le sue “Memorie intime”, ma non ne ho un ricordo mnemonico. Ricordo le sensazioni che mi ha lasciato. Ma, posso garantire che già prima di questa lettura, avevo colto, in modo non troppo nitido qualcosa. Se la sensazione aleggiava, ancore indefinita, sull'opera in senso generale, la lettura di “Maigret e il barbone”, mi diede una sensazione di chiarezza completa.

Premetto che devo “andare” a memoria perché quel cialtrone di un libretto, che oltre il resto possiedo in duplice copia, è circa un anno che non si fa trovare. Forse una copia l'ho prestata, ma l'altra mi sta prendendo in giro da un pezzo.

La TRAMA è comunque, senza nomi propri che non ricordo, la seguente:

Un ponte sulla Senna a Parigi. Una persona annegata viene recuperata vicino a un barcone da carico che è ormeggiato. Nelle vicinanze un altro barcone dal quale è scesa la persone che toglie il cadavere dalla Senna con l'aiuto di un altro. Si scopre che si tratta del proprietario del barcone. Non ci sono prove.

Un barbone però viene malmenato tempo dopo in quel medesimo punto. Ci bivaccava da un pezzo. Non parlerà. Maigret arriverà a comprendere la situazione. Abbiamo un barcone da carico con comandante un uomo che ha a bordo anche la figlia. Esiste un marinaio che verrà sostituito da un altro. Fra questo nuovo marinaio e la ragazza nasce l'amore. Il padre è una persona durissima e beve. Ostacola il rapporto. Accade che, tornando una sera ubriaco sul suo barcone, viene “aiutato”, a cadere in acqua. Le grida vengono sentite e l'assassino e il salvatore, in ritardo (dalla barca vicina), recuperano il corpo ormai senza vita. Passato un anno, il barbone viene appunto malmenato, con l'intento di ucciderlo, poiché fu testimone della scena.

Ora la domanda. Perché il barbone non testimonia? La mia risposta è la seguente: esiste una legge di natura, superiore alla legge degli uomini . Qual'è questa legge? Quando Maigret, verso la fine del libo torna dal barbone, sa che non metterà le mani sul colpevole. Sa chi è con certezza ma non andrà oltre. Dialogano e la scena che vedono, davanti ai loro occhi, è di un bimbo e una madre su quel battello.

Il padre-padrone bloccava il corso della natura. Questo rende lecito l'omicidio. La natura è per la vita e il padre padrone ucciso, la vita la ostacolava. In questo libro, non si coglie ancora bene qual'è il vero ruolo di Maigret. Egli, contrariamente a quel che accade nel giallo come genere e che quindi si ritiene coerente anche nel caso di Maigret, non è il buono che consegna il cattivo alla giustizia. Maigret è un gradino più in alto … e apre la via a chi è portatore di vita.

Questo libro, come giallo, è comunque anomalo. Il commissario ha svolto il suo compito. Ha scoperto chi ha ucciso. La situazione comunque è tale che questi “la fa franca”. Accade quindi che la regola fondamentale del giallo è rispettata. Il colpevole secondo la legge degli uomini, è stato scovato. Il problema della cattura è di altra natura e non riguarda Maigret poiché, in senso generale, noi sappiamo che il passo della condanna spetta al magistrato. Vediamo il legame con la religione … la colpa la decide l'Inquisizione. L'esecuzione del colpevole spetta al cosiddetto “braccio secolare”, ovvero all'autorità civile. Seguitemi e per favore fidatevi! Quel che fa Maigret è l'analisi del mondo morale in relazione ad una legge fondamentale della natura. Agisce come una divinità. Simenon separa la colpa dalla condanna. Nel giallo solitamente, il colpevole una volta individuato, viene automaticamente consegnato alla giustizia e si da per scontata la punizione perché solo così il sistema morale e legale che il cavaliere del bene difende, può continuare ad esistere.

Passiamo ora a: “LA BALERA DA DUE SOLDI”

In questo caso il libro si è lasciato trovare quindi posso dirvi che fu scritto a Ouistreham nel 1931 e pubblicato in quel medesimo anno. Teniamo conto che il celebre commissario è nato nel 1929 a Delfzijl in Olanda (vicino a Groningen), quindi era “giovane” e ben in forze anche nella fantasia del suo padre e creatore …

Trama: tutto parte da Lenoir, un condannato a morte che rivela a Maigret di non essere l'unico a meritare quella sorte. Nell'ultimo incontro, nella cella, racconterà che l'altro candidato, si trova spesso nella “Balera da due soldi”, ma il commissario non capisce dove questa si trova. Parla di un suo socio di malaffare che “ormai dovrebbe essere al sanatorio” perché già tossiva, e gli “scappa” il nome: Victor. Racconta che una notte di circa quindici anni prima videro un tipo uscire con un altro che veniva sorretto camminava come un manichino. Lo seguirono e questi, presa la macchina, raggiunse un canale e buttò giù il … cadavere. Lenoir e Victor ricattarono la persona per anni, fino a quando questa non cambiò casa e si rese irreperibile.

Questo è l'antefatto. Otto settimane dopo, piena estate, Maigret decide di fare un acquisto prima di recarsi dalla moglie che è in villeggiatura. Andata e ritorno per il week end, ma tutto salta perché nel negozio entra un tipo gioviale che vuole un cappello stravagante per un finto matrimonio che si svolgerà l'indomani alla “Balera da due soldi” ... ovviamente Maigret dimentica il week end dalla moglie, segue il tipo e arriva alla Taverna. Viene facilmente introdotto al finto sposalizio e all'ambiente, da uno stravagante ed amatissimo James.

La persona che ha seguito dal negozio di cappelli fino alla Taverna, si chiama Marcel Basso, è sposato e ha un figlio... Ricordiamoci che figli adolescenti e donne gravide, sono il nostro nucleo arcaico!

La trama esplode. Muore un certo Feinstein per mano, sembra, di Marcel Basso. Scopriamo poi che Feinstein aveva un negozio di camiceria che era sempre sul limite del fallimento. La moglie piena di vita, era invece sempre a caccia di amanti e lui, facendo finta di sapere e non sapere, riusciva a farsi prestare soldi da loro.

Maigret trova Victor che è un avventore che racconta di avere un polmone solo e di essere appena uscito dal sanatorio. Il commissario ha conferma che è il “socio” del defunto Lenoir quando gli chiede i documenti. Tramite Victor, che mira solo ad avere qualche soldo poiché gli rimane poco da vivere, riesce a sapere chi era la persona che fu gettata anni prima nel canale. Si tratta di un usuraio dal quale si “fornivano” di contante sia Feinstein che James.

Parentesi...

Pensiamo ora come un contadino che sta curando la sua pianta … l'unico ramo con una gemma è quello di Malcel Basso. La gemma è il figlio adolescente. Gli altri son rami secchi, da eliminare. Infatti l'usuraio, James e il camiciaio, sono rami che si possono tagliare per dare più vita a quello che sta fiorendo …

Torniamo alla Taverna:

Simenon crea, nel finale, una situazione bellissima: in guardina ci sono Marcel Basso presunto assassino del camiciaio, James che è l'assassino dell'usuraio, e Victor, che è il testimone che ha visto gettare il camiciaio nel canale e sappiamo che ha un anno di vita e vuole solo trentamila franchi per finire in pace. Maigret dice che deve andare a telefonare e lascia i tre da soli perché si accordino. Non lo trovate strano per un mastino della giustizia? Victor vorrebbe dei soldi. Basta darglieli e dirà che fu il camiciaio, ormai morto, a uccidere l'usuraio scagionando così James. Rimane da sbloccare la situazione di Marcel Basso, ma già sappiamo che è possibile dimostrare che il camiciaio aveva minacciato di uccidersi pur di avare un prestito da Basso e che lo aveva già fatto con altri. Basso aveva tentato di disarmarlo ma … il colpo è partito. Se si somma, per il camiciaio, l'incriminazione per l'uccisione dell'usuraio, si comprende che son tutti salvi ma … per quanto sia simpatico, James ha una colpa agli occhi della legge di natura, una colpa che lo condanna alla colpa minore di omicidio. Egli non ha gemme, non ha figli. Egli è solo nel presente e senza futuro. Ha una moglie, ma vivono come separati in casa. Son di fatto due singoli. La colpa della infertilità lo getta in basso, nel gradino inferiore dove la legge e la vita degli uomini rispetta il codice penale, il vivere sociale; in essa egli ha vissuto e vive, senza esser entrato nella legge di natura che si innesca con il figlio. Il suo senso di colpa quindi,lo porterà alla confessione. Si ha la sensazione che se fosse padre, ma colpevole di omicidio, la legge superiore della natura, che lo vuole presente come genitore, sarebbe in grado di tacitare il senso di colpa anche di un delitto, fino a cancellarlo, ma esso ha colpito un ramo secco. “Ma... questo accade in Maigret e il barbone” ! In quel libro l'assassino se la vive bene e il senso di colpa nemmeno lo sfiora!

In questo libro, nella “Taverna da due soldi” trovo “strano” il fatto che Maigret cerchi una via di scampo per James, ma poi torna nei binari della coerenza che ho immaginato.

Sembra quasi che l'assassinio di un usuraio sia perdonabile solo perché chi lo ha commesso è simpatico! … ma esiste una legge anche per gli dei e il dio che salvaguarda gli interessi della natura, ossia Maigret, lascerà James in quanto sterile,al suo destino. Essendo senza figli, per la natura vale zero.

Merita una certa attenzione la reazione dell'innocente Marcel Basso che, consapevole di non aver ucciso, fugge. Egli ha una colpa? Si, ma secondo Maigret è piccola. Ha ceduto ad un essere sensuale che è definito, quasi irresistibile e che sarebbe la moglie del camiciaio e alla quale anche James ha sacrificato, in fondo, il senso della vita. Notiamo come, tendenzialmente, esistono in Simenon figure femminili che si pongono ai due estremi: o totalmente negative, distruttrici e inevitabili, o con un forte rigore morale che si identifica con la regola della natura che Maigret tutela. Gli uomini sono invece sempre esserei incerti, ma dotati di una debole volontà che il femminile, se tutto va bene e con tanta fortuna (senza non ci si salva...), indirizzerà verso la legge di natura.

Veniamo ora a “CECILE E' MORTA”


fu scritto nel 1939-40 a Nieul sur Mer e stampato nel 1942. esiste anche una versione cinematografica del 1944.

Trama: la narrazione inizia con Cecile che è nella sala d'attesa della polizia, quella che viene chiamata da tutti, ”Acquario”.Maigret prova un certo disagio nei suoi confronti. E' zitella, bruttina e i colleghi lo prendono in giro dicendo che è una sua spasimante. Lui la fa sempre attendere per ore. Cecile viene già da mesi perché ha la sensazione che la notte qualcuno si introduca nel suo appartamento dove vive con la vecchia zia Juliette Boynet nata Cazenove e chiede tutela. Maigret ha da fare e dopo qualche ora decide di riceverla, ma Cecile non c'è più. Maigret ne è stupito. La ricorda che attendeva immobile e composta per mattine intere.Omicidio.

La zia di Cecile viene trovata morta strangolata sul letto. E Cecile è trovata in uno sgabuzzino della questura, morta e senza borsa. Risulterà poi che la zia non è decrepita come sembra, ma che ha cinquantanove anni e che non si tratta esattamente di una fatina … rimasta vedova di un uomo benestante, ha iniziato a investire quote di capitale in bordelli tramite un vicino, il signor Charles Dandurand, ex avvocato radiato dall'albo causa una condanna a due anni di galera per qualcosa che ha combinato che ha a che fare con la morale, con ragazzine. L'appartamento si trova in periferia ovviamente a Parigi ed è in una palazzina che apparteneva tutta alla defunta zia. Veniamo poi a sapere che dodici anni prima, la sorella di lei, vedova, morì, lasciando tre figli. La zia Juliette Boynet vedova Cazenove, li accolse più o meno come Crudelia intendeva accogliere i cuccioli di dalmata ne “la carica dei 100 e uno … erano in tre fratellini; Berthe, che riuscì a scappare velocemente e a non farsi più vedere. Lavorava alla Galerie Lafayette come commessa. Il fratello Gerard che prima si arruolò, poi tornò in città, si sposò ma era, nel presente della narrazione, in cattive acque, ovvero senza soldi, senza lavoro e con la moglie in dolce attesa ...Alt! Ecco il bimbo! Già sappiamo che Gerard verrà “salvato”!. Cecile è la terza sorella, la più grande che si è rassegnata a fare la serva della zia. L'aspetto negativo delle figure femminili, le Lilith o Circe (gran dama e maga che trasformava gli uomini in maiali non solo di fatto ma anche metaforicamente...) del racconto sono rispettivamente la zietta che defunge, e le due sorelle Siveschi di origine ungherese che abitano nel medesimo condominio e che tentano tutto e tutti. Una di non più di sedici anni e assai lasciva, l'altra, di poco più grande e sempre seminuda. Effettivamente era difficile non trasformarsi come voleva Circe…. poiché vediamo che vagano per il palazzo e i dintorni seminando ormoni grossi come conigli che qualcuno sicuramente raccoglierà. Si noti comunque la reazione del commissario Maigret. Lui non le regge. Lui non è di carne come noi! Non sto scherzando. Lui ha una morale con confini ben precisi e si è o dentro o fuori dal cerchio. Chi fugge in questo libro, come il Marcel Basso del precedente libro, è di nuovo “l'innocente impuro”, colui che ha prodotto si il ramo gemmato, ma nel frattempo, nonostante le buone intenzioni, non riesce ancora a “camminare diritto”. Si noti che Marcel Basso cede a Circe e Gerard all'emotività che proprio non controlla. Si coglie che per Maigret, e per traslato per Simenon, queste colpe son perdonabili poiché vengono valutate secondo le legge della natura. Sembra anche che la debolezza per lui, sia congenita nell'essere maschio. La figura femminile positiva esiste, ma non si “sporca” nella trama. È in dolce attesa in una stanzuccia di una vastissima Parigi. Berthe, la sorella che lavora ai grandi magazzini, sembra che si relazioni con uno sposato, via che porta alla sterilità. Cecile la nipote che fa la cameriera-badante e che elemosina sempre qualche soldo per il fratello in crisi, ed è comunque sempre aperta alla via di natura che la fortuna non rende fertile, quando si rende conto che è stata “menata per il naso” dalla zia per anni, la strangola. Anche lei è, per destino un ramo secco. Si noti che l'omicidio non porta eredità al ramo gemmato. Simenon inventa un premio di ventimila franchi offerto dai gestori di bordelli che vogliono sapere chi ha ucciso la loro socia.

Alla fine del libro, Gerard è proiettato nel futuro con un figlio e ventimila franchi! Si ricordi che questo è l'esito dell'operato di Maigret-Simenon e il resto è solo gioco.

Notiamo che in questo libro il materiale utilizzato per la mentalità del libro giallo in senso stretto, non è necessario e sufficiente, ma eccede in “pezzi” non strettamente significativi. La sorella che lavora ai grandi magazzini non è necessaria, la paternità di Gerard nemmeno e così il premio in denaro... se si vuole rendere tutto coerente con un fulcro portante, si deve accattare il fatto che di giallo non si tratta se non in apparenza.

Dai tre libri per ora analizzati deduciamo il seguente nucleo famigliare: madre solida, padre che prova ad esserlo ma fa acqua da tutte le parti e scappa anche se innocente, e figlio, o in pancia quindi altamente simbolico, oppure adolescente, quindi, il secondo, identificabile col Simenon adolescente veramente esistito …

Concludo con una considerazione di colore. In questo libro appare la figura tutta francese, per non dire parigina, della portinaia. Di recente, “L'eleganza del riccio”, aborto in forma di libro, basato su melensaggine e luoghi comuni, ha allietato le menti del medesimo pubblico che ama i reality eccetera. La figura della portinaia era quella della bisbetica, e “infatti” nel libro di Simenon questa “pia donna” considera un brav'uomo il lascivo avvocato Dandurand. In Simenon abbiamo questa figura nella sua verità storica. Si pensi che, se a una donna dicevano, e dicono tuttora per esempio a Milano, “sei una portinaia” non è che tornasse a casa felicissima! Ora che le portinaie son quasi estinte, la loro reputazione è stata “lavata” da un libercolo che grazie al cielo è già dimenticato e nel quale si disegna la figura di una saggia che elargisce relazioni che benediranno varie esistenze. Ma … si ricordi che non dobbiamo cercare negli altri quel che si deve trovare e costruire in noi … l'equilibrio ottenuto attaccandoci ad un altro e quindi tirandolo giù, è una colpa.
dimenticavo. l'intreccio, che è magnificamente torbido, ci rivela che l'avvocato ha ucciso cecile poichè stava portando a MAigret le prove che la zia caimana aveva fatto avvelenare da lui il marito...

Veniamo ora a “MAIGRET E IL PORTO DELLE NEBBIE”

In questo caso non so dirvi molto sul testo poiché ho la prima edizione italiana del 1958, febbraio. Copia in condizioni ottime rimediata in un mercatino dell'usato.La vicenda si svolge a Ouistreham, casualmente il luogo nel quale venne scritto “la balera da due soldi”.

TRAMA. Yves Joris, ex comandante di mercantile in pensione e ora capo del porto di Ouistreham, dotato di chiuse per giungere a Caen, sparisce e viene ritrovato a Parigi, circa due mesi dopo, che vaga stralunato e incapace di parlare. Ha una parrucca che cela una ferita. Risulta che è stato operato al cervello e si comprende che il chirurgo era di valore. Viene pubblicata la foto, arriva da Ouistreham una donna che si chiama Julie Legrand che lo identifica e dice di essere la sua domestica. Viene riportato a casa in treno e accompagna la coppia, il nostro commissario. Quando entrano in casa, il gatto esce e Julie si insospettisce. Aveva lasciato il gatto fuori... Maigret si reca a dormire al “Caffè della marina”, poco distante. La mattina dopo viene chiamato perché il capitano Joris sta morendo. Avvelenamento da stricnina che qualcuno ha versato nella caraffa dell'acqua che era di fianco al letto. Inizia l'indagine ma nessuno parla. Esiste un fratello di Julie, ex carcerato per omicidio. Ha ucciso da ubriaco con un pugno e ha scontato otto anni di carcere. Lo chiamano Grand Louis perché è un omone enorme. Aveva una copia della chiave della casa del capitano quindi è sospettabile. Il sindaco del paesino si chiama Ernest Grandmaison. È anche maggiore amministratore, quindi padrone assoluto, della Compagnia Anglo Normanna di Navigazione. Il capitano Joris fu un suo dipendente. Questi è altezzoso. Si atteggia a gran signore e Maigret ci va d'accordo come cane e gatto.

Un ricordo. ..Nelle “Memorie intime”, la seconda moglie di Simenon desidera una Rolls Royce. Simenon è contrariato. Per lui quelli che hanno la Rolls non sono esseri stimabili. Troppa vistosità, troppa scena, ostentazione. Vanno al salone di Ginevra e la seconda moglie-Lilith, ottiene quel che vuole. Morale: quando Simenon “si racconta”, non dice, ma si sente, che è una persona rimasta semplice e con delle velleità comuni. Amare, aver figli, essere insomma un ramo gemmato. I soldi per lui sono solo lo strumento per semplificare quel nucleo fondante che è la famiglia …Torniamo a Ouistreham

Succede di tutto e noi, come Maigret, non ci capiamo assolutamente niente. Tutti tacciono e quel che accade è, almeno in un caso, al limite del ridicolo e mi riferisco a Maigret che fa aprire col grimaldello la porta della casa del sindaco perché ha sentito una colluttazione e lo trova sanguinante, tumefatto, con Grand Louis che lo pesta, allegramente sbronzo e senza minimamente preoccuparsi di esser stato scoperto. Il sindaco poi dice che sono affari suoi … ma, essere picchiati, anzi pestati, è un piacere? Leggendo mi son immaginato poliziotti che fanno irruzione in casa di una coppia che sta praticando sadomasochismo. Innegabilmente c'è della violenza, ma consenziente … non sempre la violenza è reato... e infatti Maigret, è sconcertato e noi con lui, dobbiamo ammettere che se qualcuno è contento di ”prenderle” fino ad avere occhi come un panda … e che le prenda! Ma se, nella situazione del sadomasochismo sentiamo l'evidenza del fatto che la violenza può essere accettata e desiderata, quindi non è sempre un reato (non è comunque il mio caso, non so perché ma ci tengo a dirlo …), nel caso del sindaco Ernest Grandmaison, sappiamo che c'è un omicidio e che Grand Louis non è proprio quel che si dice un maestro di cerimoniere …

Non ho dubbi, questo libro rivela il genio spontaneo, sorgivo, di Simenon, più di altre sue opere. Per la quasi totalità della lettura del libro non si capisce cosa sta accadendo. È solo la presenza labile di un adolescente in collegio che mi ha dato un orientamento. Sarebbe figlio di questo sindaco che è antipatico come la Fornero e ha una moglie che sembra più finta di un manichino … quindi anch'io, con le mie teorie, fino a pagina 155 (su 182!), ero in alto mare, quasi rassegnato al fatto di avere trovato una eccezione alla mia teoria e consapevole che uno su quattro che sgarra è un po' troppo. Ma improvvisamente, appunto a pagina 155, uno spiraglio!

Girava per il paese una persona ricca. Maigret ne aveva intuito la presenza e sapeva che conosceva Grand Louis. Aveva pure trovato la sua stilografica d'oro. È riuscito ad acciuffarlo ma la situazione scottava. Cittadinanza straniera, rischio di problemi col consolato e nessuna possibile incriminazione. Ma … la moglie del sindaco viene trovata da Maigret in una casetta di un paesino mentre con questo straniero benestante sta scrivendo una lettera ad un collegio … ecco di nuovo il figlio adolescente! Scopriamo poi che la moglie del sindaco recitava una vita finta e che, prima di sposarsi con lui, amoreggiava con questo signor Jean Martineau che realmente si chiama Raymond Grandmaison, figlio di un fratello del padre del sindaco, rimasto orfano e senza soldini. Fu assunto alla ditta ma si godeva la vita un po' altre le sue possibilità. Prese denaro dalla cassa aziendale, fu beccato, e il cugino ricco e proprietario gli intimò di andar via dalla Francia e non farsi più vedere, se voleva evitare la denuncia. Scopriamo anche che l'adolescente in collegio, e che si chiama Stanislas, è figlio di Raymond, il primo amore della moglie del sindaco.

Il sindaco imprenditore sapeva della paternità, e avrebbe allontanato il rivale in amore per poter avere la donna. “Sentiamo” la massa di immoralità del sindaco che infatti, anche in quanto assassino di Joris, si suiciderà. L'immoralità raccolta tutta in questo unico personaggio, è quella che Simenon-Maigret considera la vera nemica della vita. Esiste un figlio, una gemma, nulla deve ostacolare il corso naturale degli eventi. La conclusione del libro crea le precondizioni perché l'adolescente finalmente viva con i genitori naturali.

È anche curioso notevole il fatto che Maigret, legato come un salame da Grand Louis e due complici, passi una nottata sul molo con pioggia e freddo e poi … si comporta quasi come niente fosse. Si limita a darli una spinta e a fargli fare il bagno nel canale. Se si pensa alla dinamica del libro giallo, questo sarebbe un colpevole secondario da consegnare alla giustizia. Perché viene perdonato in fondo come tutti i reticenti che hanno fatto impazzire il commissario? Perché la sua-loro azione era giusta secondo la legge di natura. Aiutavano un padre naturale a ricongiungersi col figlio.

Si faccia caso anche che tutta la comunità di Ouistreham è composta di “innocenti impuri” e che la divinità-Maigret ci si trova a suo agio. Come si spiega?

Secondo me così. L'umanità tende al bene ma è imperfetta. L'imperfezione è la condizione di partenza ed in essa si deve realizzare la legge di natura.

Vedete come anche qui Maigret agisce solo in seconda istanza, in favore della legge degli uomini?

Domanda? Per quale motivo il nucleo fondante dell'opera di Simenon è sfuggito all'interpretazione per tanti anni?

Perché è talmente bravo come scrittore che, terminata una sua opera, siamo ubriachi di sensazioni di trama, di atmosfere. Anche dal punto di vista del giallo, entro certi limiti, le sue trame sono così ben fatte, che alla fine, si pensa appunto a prendere fiato, a riemergere da una vita che si è conclusa per noi in quel momento, con quell'ultima pagina.

Veniamo a una citazione. Le edizioni Adelphi, che quando va bene ci danno un'informazione scarsa quando non è sbagliata … (esempio... James Stephens dichiarava di esser nato lo stesso anno, lo stesso messe lo stesso giorno alla medesima ora di Joyce e i volumi Adelphi a sua firma ci fanno grancassa, ma ho scoperto che era lui a dirlo e non ci son prove a confermarlo... sveglia Calasso! Stai troppo davanti allo specchio....), dedicano, per ogni volumetto di Maigret, meno di una facciata di citazioni che appartengono alla categoria “cavoli a merenda”. Ecco assaggino.

Muovendo dalla suggestione di un'atmosfera, Simenon individua anzitutto dei personaggi e annota poi su una busta gialla i particolari relativi alla loro vita e al loro ambiente. Solo a questo punto si pone il quesito da cui scaturirà l'intreccio: “dati un certo uomo, il luogo e il clima in cui vive, la sua professione, la sua famiglia ecc, quale avvenimento può mai spingerlo fino all'estremo limite di sé?” “

la parte finale è una citazione direttamente da Simenon e qui vi voglio!

Vi è capitato di assistere ad una partita di baseball senza conoscere le regole? A me si. Potevo descrivere quel che accadeva, ma dalla comprensione ero escluso. Siamo nella medesima situazione. Non possiamo accontentarci, come fa colui che ha curato questa stitica prefazioncina, di conoscer il clima, la famiglia, eccetera. Dobbiamo comprendere qual'è il limite! Poiché è sul limite sopportabile che la regola si fonda!

Quel che accade anche di scorretto nella stitica prefazioncina è che un intellettuale ha reso intelligente tutto quel che ha toccato... sembra tutto semplice, ora che si ha quella traccia. Io lettore vedrò un ambiente e dei caratteri e ogni ambiente ha un suo limite oltre il quale c'è l'esplosione che si chiama delitto! E invece no … esiste un senso in Simenon che va oltre al singolo testo e quindi al singolo ambiente!

Abbiamo già visto, nel caso dell'interpretazione del periodo blu di Picasso, quale disastro può compiere un essere semplicemente, banalmente razionale, quando agisce sull'opera d'arte. Quei quadri rappresentavano una sofferenza enorme e nessun essere di natura puramente intellettuale si è domandato di che dolore potesse trattarsi …

Ora c'è una traccia, per Simenon. Una sofferenza culminata nell'adolescenza, verso i quattordici quindici anni di età. Ingredienti, una figura paterna instabile che probabilmente è lontana e percepita senza colpe gravi, e una materna invece, certa e vicina.

Si tratta di leggere nella biografia se siamo sulla strada giusta?

Lo farei se fossi un intellettuale. Il trauma sessuale di Kafka lo trovi nell'opera … non nella biografia! L'opera parla. L'opera di un grande artista è la sua anima veramente completa …

P.S.

(forse ci sono molti errori. Abbiate pazienza. Ho scritto tutto il giorno e ora ho un lieve dolorino alla schiena, sete e freddo ai piedi. Il cane (Lolita) mi sta guardando con rimprovero … passeggiatina … e ha ragione. Correggerò un altro giorno. Oggi non ce la faccio. ciao)

amen