giovedì 5 dicembre 2013

Paul Auster: "Mr Vertigo", "Uomo nel buio" e "Sunset Park"


Intendo parlare del romanzo “Sunset Park” e descriverò anche i difetti che “sento”. Premetto che per me parlare di difetti, non vuol dire che siano per forza di aspetti negativi. Son differenze di stile e di contenuto che non sento miei, che considero o superati o superabili e poi si tratta di un discorso di contenuti letterari suscettibili di crescita, di evoluzione.

Questo volume, pubblicato in Italia da Einaudi, è del 2010.
Parla di un presente che per noi è ancora pienamente tale, la crisi economica. In un modo di vivere che consuma anni come se fossero epoche, un testo che descriva una situazione contingente nel 2010 e che sia valido, attuale, ancora parte viva del presente, verso la fine del 2013, già promette bene. Dico subito, per scacciare i sospetti di un mio intento critico negativo, che Paul Auster per me è degno del Nobel, di quel Nobel, se esiste ancora, che premia la qualità e non la moda o la scelta politicamente corretta.

Tre libri suoi ammiro molto. “Mr Vertigo”, “Uomo nel buio”, e appunto “Sunset Park”.

“Mr Vertigo” narra una vicenda fantasiosa e godibilissima alla lettura.
Si tratta comunque di un tema tremendamente serio che merita di essere affiancato, nel contenuto più alto, al “Lamento di Portnoy” di Philip Roth, del quale è secondo me migliore anni luce. Un bambino che vive di espedienti e ha dietro una famiglia distrutta, viene scelto da un fantomatico signore di origine ebrea ungherese. Questi conosce l'arte della lievitazione e gli serve appunto un bambino per farlgliela praticare come spettacolo circense e di piazza e guadagnare soldi. Lui lievitava da bambino e sa che una volta adolescente, con lo sviluppo sessuale, questa capacità si perde. Ora … ci si deve immergere nel senso che va al di là della trama che è ben inventata ma non intende semplicemente farci divertire … e non è semplice. Mi spiego. Quel dono, la lievitazione, era tipico della cultura ebreo chassidica che si basava sui rabbini detti santi e dotati di poteri magici. Un residuo quindi della spiritualità, viene abbassato a tecnica per produrre soldi. Viene svilito, trasformato, dalla sua origine religiosa e simbolica, dono del sacro a chi ha fede, in mentalità americana, e sappiamo che quest'ultima ti considera arrivato se fai i soldi, non certo se sei felice ed eventualmente felice per mezzo del sacro.

Un capolavoro. In questo testo Auster si è lasciato completamente andare ad un'immagine che contiene tutto un salto epocale affrontato dalle radici della sua stirpe. Un salto che sente anche involontariamente suo, poiché egli ora, nel mondo fatto di calcolo economico che il bambino del romanzo deve saper affrontare, ci vive e non certo bene. Il libro sancisce una differenza di stile di vita, di contenuti esistenziali fra l'autore e lo stato in cui vive (gli USA). Accadde a Kafka qualche mese fa nella Praga popolata da ebrei ormai assimilati ma ancora con nonni santi e frammenti di religiosità ormai incomprensibili ma affascinanti. Accade oggi a Paul Auster.

Questa linea di scrittura approda a “Uomo nel buio” che io considero il capostipite, forse per la letteratura americana contemporanea, di una “scrittura bloccata” che ha la sua origine, forse indipendente, in “Vergogna” di Coetzee, Nobel del Sudafrica e mai come con lui quel premio si è riabilitato da tante scelte degne di emilio fede (minuscolo voluto meditato e meritato...)

Di “Uomo nel Buio” non mi interessa dire molto della trama se non quanto segue. Un nonno e una nipote sono bloccati. Due generazioni distantissime che approdano per vie diverse alla medesima incapacità esistenziale. La vita non fluisce più. I motivi sono enormi ma individuali.

Ora “Sunset Park”, nel quale i motivi individuali, nonostante la crisi economica descritta, e che è quella nella quale ancora sguazziamo, i motivi individuali dicevo, con fatica prendono una direzione, hanno voglia di vivere, la ritrovano e progettano. Ora, Paul Auster ha compreso che la vita non si blocca per un meccanismo interno come in “Uomo nel buio”, ma in effetti è l'esterno, la società che non rende possibile nulla con dignità.

Il legame col testo citato di Coetzee, “Vergogna” è nell'innesco della vicenda.
Qui un docente universitario viene pesantemente criticato perché ha una storia (vera e non rapace) con una sua studentessa. Lui si irrita con l'istituzione e lascia l'incarico perché non tollera che una scelta personale, della quale deve rendere conto a lei e alla propria morale, venga criticata dal mondo esterno. Siamo con lui. “Sentiamo” che ha ragione e sottolineo l'importanza dell'istanza morale che spiegherò con un “secondo me” tra breve. La sua scelta di vita si fa estrema alla fine del libro. Accetta di fare l'unico lavoro nel quale avverte ancora la presenza di un mondo morale umano, sensato. I cani devono essere portati dal canile alla soppressione. Questo assurdo rito innescato dal calcolo economico, che va contro alla vita, in questo caso di uno degli animali più capaci di affetto, non può essere impedito dall'ex docente, da un uomo solo. Lui può solo metterci il cuore, caricarli sul mezzo, far compagnia, essere presente, affettuoso …. UMANO … nell'accompagnarli alla morte ingiusta.

U N C A P O L A V O R O!

La nostra epoca, il mondo a noi esterno è così. Ci vuole così, senz'anima, senza cuore, senza sentimenti, semplicemente calcolatori della convenienza basandoci sulla monetizzazione.

Ora “Sunset Park”. L'affinità di trama con “Vergogna” risiede nel partire da una istanza sentita dalla comunità, che così appare come ente destabilizzante, come immorale. Lui, ventotto anni, ha una storia d'amore (vera anche questa, non dettata dall'istinto), con una ragazza di diciassette anni. L'età scelta è subdola e importante. La legge dice che a diciotto si è maggiorenni, ma la vita molte volte ti offre percorsi che anticipano e ritardano quella maturazione. Chi non conosce persone adolescenti di quarant'anni? La loro vita di coppia deve strutturarsi su un'attesa della maggior età di lei. Partenza quindi da una falsa istanza morale. Essa approda poi ad un finale violento. Il ragazzo si trasferisce a New york da un amico che ha deciso di entrare e abitare abusivamente a Sunset Park, in una casa disabitata. In fondo non fanno male a nessuno e sopravvivono cercando di darsi una dignità e risparmiando qualcosa.
La vita sembra innescarsi, così, a piccoli timidi passi, ma poi arrivano le forze dell'ordine, arriva lo sgombero, un gesto cattivo e insensato poiché l'edificio era vuoto e lasciarlo così per speculazione quando c'è gente che non sa come vivere, come far tornare i conti e lotta coi centesimi … è senz'anima, come di fatto la nostra epoca dimostra di essere. Lo ripeto; ai governi interessano i bilanci economici, a noi individui quelli del cuore …

E ora descrivo quelli che sento come difetti del libro. La scrittura è fredda. Qualcuno osserva quel che accade ad alcune persone e la formula letteraria, troppo intellettuale secondo me, troppo calcolata a tavolino, si basa sui “lui dice” “lui fa” eccetera ferisce un testo che vuol rivelare l'assenza delle possibilità del cuore. Il problema è mio, ma solo fino a un certo punto poiché so che quel tipo di scrittura va di moda e ho in odio tutto ciò che nell'arte si fa prendere da quell'assurdo feticcio esteriore. Io sono all'opposto e metti l'io e il tu. Per me la situazione descritta dal libro di Auster è chiara da quando ero un bambino. In me quindi vince la ricerca di quei particolari che rendono gesti e comportamenti, altrimenti freddi, e solo pratici, saturi di poesia, di un senso che dovrebbe commuovere. “Le rose abbandonate” (presente nel blog) è un esempio di come la concretezza di un agire può divenire poetico. Odio quelle vite che si arrendono agli aspetti pratici e non lottano per qualcosa di più. La vita non è avere una casa e un lavoro. Quelle sono situazioni che vanno create spesso con dispendio di tempo, ma è la costruzione interiore che va sempre salvaguardata. Una casa per esempio, è un'entità fredda se vi entrano esseri legati agli istinti e alle esigenze concrete organizzative. La casa diventa un simbolo enorme se si parte dall'amore e con esso si costruisce. La piantina di rose del racconto, erano cariche di valore simbolico. Qualcuno, una lei, parte, non si possono portare con sé. Come fare per mantenere un senso elevato e non ridurle all'oggetto rosa? Questo nel raccontino tenta di accadere. Chi legge, così mi è stato detto, è in accordo con la ragazza e con la sua irritazione. Si è ormai talmente estranei alla sensibilità che non si pensa possa esistere se non in rarissimi casi nei quali anche una pietra potrebbe, ma non sempre, palpitare. Il lettore, quando scopre quali soluzioni erano possibili, comprende quanta poesia manca al suo essere vivo, al suo essere troppo pratico e poco … umano.

Sto elaborando attualmente, sempre in quell'ottica, un'idea innescata da una penna a sfera. Si tratta di una Montblanc Toscanini. Spesso la uso e ho immaginato che una persona ricevesse un dono del genere dalla persona che ama. Come può, il ricevente, esaltare quanto ricevuto e introdurre un significato aggiuntivo e delicato? Ecco a cosa sono approdato. Lui, dopo aver ricevuto il dono, si impegna a trovare un'altra penna uguale. Non è facile perché si tratta di una tiratura limitata non recente. Riesce nello scopo e la accompagna un giorno al treno o all'aeroporto. Lei parte per un breve viaggio, una breve separazione. Lui dice che ha un dono e le offre la penna. Lei si adombra. Lui aggiunge. “Sai che ti amo, quindi pensa positivo”. Lei non capisce e lui dal taschino prende la seconda penna e gliela mostra. Lei chiede perché lo ha fatto. Lui sorride, prende le due penne e le mette dietro la schiena. Gliele mostra di nuovo e chiede se è in grado di riconoscere quale è quella che lei ha donato da quella che ha appena ricevuto. Lei perplessa risponde che ovviamente non può distinguerle. Lui allora risponde così. “Bene. Ora non sono più una penna tua e una mia … sono nostre … prendine una”. Io penso che questa sia la delicatezza che manca alla vita di oggi. Anche “Ciliegi in Fiore” e “Dieci quaderni” (presenti nel blog) sono stati concepiti in quest'ottica.

Paul Auster ci mostra il mondo bloccato ed è secondo me ad uno stadio di consapevolezza che dovrebbe essere superato da un , poiché questa società men che schifosa, ci massacra ormai dal secondo dopoguerra. Meglio tardi che mai, dico.

Coetzee si pone ad un livello superiore e con una scelta esemplare perché estrema. Egli dimostra che la soluzione individuale deve andare nella direzione di un agire carico di senso morale.

Io agisco e scrivo, con piccoli gesti possibili, fattibili. Se non è un oggetto ricercato come la Montblanc Toscanini, può essere un più comune pelouche, e in fondo qualsiasi altro oggetto.

Vedete, per me la morale è la regola fondante della relazione fra persone, che si tratti di amicizia o amore o rapporti parentali, è sempre la medesima faccenda, e questa regola, come ci dimostrano Coetzee con la studentessa universitaria e il professore, e Auster col ragazzo e la diciassettenne, deve esser dotata dalla nostra elaborazione interiore di valori e non dall'acquisizione non meditata di valori esterni, della società appunto. Le basi della morale sono secondo me la lealtà (che se disattesa si chiama purtroppo tradimento) e l'assenza di bugie. Questi due dati distruggono. Quel che si ottiene è un essere non più umano, capace solo di essere rapace in relazione alle sue più o meno elevate esigenze. Spesso poi, quest'ultime sono legate a istinti primari come il bisogno di sicurezza o il sesso per portare due esempi semplici. Il sesso è un istinto che, se non guidato dalla mente, sa essere solo tremendo, solo una fame. Per esso si strutturano le strategie più laide e complesse. Ci si maschera da innamorati e si promette il mondo, ma essendo partiti non dal cuore, ma dall'istinto appunto, che guida tutto il nostro agire quando non è retto da pensiero e sensibilità. Accade allora che una volta appagato, si spenga la motivazione scatenante e la recita si riveli facendosi farsa.

Questo esempio comunissimo e che non vede il solo colpevole in chi si lascia guidare dal solo istinto ma anche in chi, sempre per mancanza di meditazione e sensibilità, pretende di trovare d'impulso in pochi segni superficiali il riflesso di ciò che si desidera, ad esempio l'approdo ad una sicurezza socialmente intesa ma non individualmente sensata, e che quindi senza ombra di dubbio non parte dal cuore che quando parla, alla fonte della sensibilità immancabilmente ci accosta … un accostare che non basta, perché il pensiero si muove in una versione del tempo che definirei atemporale, mentre le esigenze quotidiane premono con forza sui nervi dell'orologio, sui giorni che passano, sulla fretta di ottenere anche quel che con la fretta mai verrà bene. Questo esempio comune dicevo, ci dimostra che le vite bloccate di Auster sono ancora una reazione impulsiva, una constatazione sofferta e non meditata, un prendere atto, che per ora non evolve in strategie di sopravvivenza.

Io ora semino piccoli gesti. In racconti come “Peter” e “Kopf” (nel blog) prendo atto di come va il mondo in modo estremamente simbolico, grottesco e violento, ma poi cerco una soluzione, cerco di elevare il senso di piccoli gesti quotidiani, e utilizzo un vasetto di rose, una penna. Miro a far sentire la mancanza della poesia nella vita spicciola di tutti i giorni e, nonostante le batoste, non demordo, perché senza poesia la vita puzza di morte.

Paul Auster scrive e scriverà ancora. Spero che nella sua letteratura inizi comunque la ricerca di soluzioni, di strategie possibilmente individuali. Attendo con fiducia poiché “sento” l'evoluzione dei suoi contenuti. Potrebbe anche soccombere a questa sensazione di blocco, ma spero che non accada perché sa scrivere, ha qualcosa da dire, e … non è solo.