domenica 11 settembre 2011

Salinger: "Il giovane Holden"




“Tra l'altro scoprirai di non essere il primo che il comportamento degli uomini abbia sconcertato, impaurito e perfino nauseato. Non sei affatto solo a questo traguardo e saperlo ti servirà d'incitamento e di stimolo. Molti, moltissimi uomini si sono sentiti moralmente e spiritualmente turbati come te adesso. Per fortuna, alcuni hanno messo nero su bianco quei loro turbamenti. Imparerai da loro....se vuoi”.

Siamo a pagina 220 de “Il giovane Holden”. Il libro finirà, nella mia edizione Einaudi tradotta bene da Adriana Motti, nel giro di 27 pagine.

Sembra facile consigliare la lettura di questo libro. Quest'anno Salinger, schivo come l'America non seppe tollerare, se n'è andato e come capita sempre quando qualche scrittore lascia il mondo, qualcuno pensa e qualcuno “ci prova” e gli editori, il mercato, spremono quel che possono da quel momento che dovrebbe essere di meditazione. E' un provarci volgare. E' troppo facile dirci che uno è bravo senza spiegare qualcosa sulla natura di questa bravura e poi sentirsi dire che ha venduto milioni di copie? Penso che ormai anche voi siate in grado di rimanere indifferenti davanti a questo dato che ha vari difetti: primo, in generale non è dimostrabile ed è un'esca perché il pollame, non gli esseri umani, se vengono a sapere che ha fatto milioni di copie, lo comperano e solo per citare un caso....anche Faletti ha stravenduto ma lo augurerei solo al mio nemico, se esistesse, per fargli perdere un po' di tempo. Secondo; si è capito che vende non chi vale ma chi ha saputo rendersi visibile. Vai in tivù? Vendi. Negli anni settanta e ottanta dovevi scandalizzare e la pornografia per esempio andava bene e poi si giocava a fare i redenti o i convinti e le autobiografie vendevano meravigliosamente. Tutta robetta così. Dimenticavo, oggi fare pornografia non rende noti, la fanno tutti ormai....

Vali? Semplicemente vali? Cosa che dovrebbe bastare? E allora non esisti. Esiste qualche altra possibilità se sei “lievemente” raccomandato. Diversamente, il silenzio. E in fondo, se si fosse saggi e veramente si volesse raggiungere un buon risultato con una qualsiasi espressione artistica, si dovrebbe amare questo silenzio, poiché solo in esso si sente quel che l'anima ha da dirci. Alcuni esempi grandiosi. Kafka si rifugiò in campagna dalla sorella Ottla, a Zurau. Era sufficientemente distante dagli amici per farli desistere. Poche visite quindi: pace, verde, pensiero.

E poi Marquez! Disse con la moglie: “cara mi tappo in casa finché non ho terminato questa idea”. Aveva già figli. Finirono i soldi. Lei si arrangiò e un giorno il marito uscì da quella camera dicendo “Fatto!”. Era “Cent'anni di solitudine”.

E la Torre di Muzot. Uno dei luoghi silenziosi di Rilke. Pensate, se ci andate ora non si vede più il suo panorama ma un supermarket kon parkeggen.....ke skifen,

Gli editori non si interessano quindi, al valore dell'opera. Non sono in grado strutturalmente di inoltrarsi in questa direzione. Loro sanno che questo libro ha venduto, ha fatto moda e quindi, poiché i mass media divulgheranno la notizia sulla sua fine, approfitteranno di questa pubblicità gratuita per spremere, spremere, spremere.....e noi tentiamo di capire, non loro. Questo libro di Holden merita, ma per essere apprezzato non basta che lo si legga! Va calato prima di tutto nel flusso storico. Nel presente anche, ma solo dopo averlo ben collocato nella sua epoca.

L'idea di questo romanzo era già contenuta in un racconto che avrebbe dovuto essere pubblicato sul “New Yorker”, ma c'era la seconda guerra mondiale. Non se ne fece niente.

È importante questo particolare. Il protagonista ha già nome e cognome come nell'opera di cui stiamo parlando e che fu data alle stampe nel '51.

Sappiamo poco anche dai libri di storia cosa accadeva negli USA in quel periodo. A livello sociale intendo. Si sa della grande crisi del ventinove, ma di tempo ne è passato. L'economia Americana sta benone, anzi, scoppia. Magazzini troppo pieni e con la guerra che sta divampando in Europa gli affari calano. La tanto amata e irrinunciabile “corsa” americana dovrebbe rallentare. E invece non rallenterà. Rifaranno il paesaggio di mezza Europa......con le bombe. Son finiti i tempi di Canaletto e dei fiamminghi. Per favore non si pensi alla morale e nemmeno che sono un cinico estremo. L'economia pensa ai bilanci e basta.

Quel che dobbiamo comprendere da queste informazioni ridotte all'osso per non essere pedanti, è che la crisi del personaggio di questo libro, un diciassettenne che per la terza o quarta volta si fa buttare fuori da un college (corrispondente alle nostre scuole superiori), non è datata al dopo guerra, ma prima. Quel benessere troppo fine a se stesso cos'ha creato? Lo trovate in quel libro. Quel che il protagonista vi mostra è u quadro impietoso di quegli anni. Mi vien da pensare che il dopoguerra abbia innescato un inasprimento di quei difetti che han portato al sessantotto......

Ho letto da qualche parte che si tratta di un romanzo di formazione. Balle!

La mania di far kategorie si inginokkia davanti ai suoi limiti. Eventualmente se proprio dobbiamo, possiamo pensare a un romanzo di “sformazione”, nel senso di primo testo nel quale il personaggio non si prepara alla vita ma alla sconfitta. Il primo di un'epoca che ha portato, con il regista Kazan e il suo eccellente James Dean, la mitica figura della “gioventù bruciata” e che culmina, se parliamo di letteratura e non di robetta, con “On the road” di Kerouac.

Una volta che avrete letto questo libro, se poi passerete immediatamente a “Sulla strada”, noterete una cosuccia interessantissima. Il protagonista di Salinger è pronto per fuggire, per lasciare tutto. Sta scoppiando, ma accade una scena simpaticissima. Vuole salutare almeno la sorellina che è a scuola. Ha una decina d'anni e si presenta con la valigia piena di vestiti, vuole andare via con lui. E lui, per la sorellina, rinuncia e non se ne andrà. L'esplosione, quella che deflagra con tutta la potenza possibile, avverrà qualche anno dopo, con Kerouac. Del suo personaggio mi sento di dire che nonostante tocchi le più svariate forme di abiezione, quasi il nulla in un continuo lasciarsi andare, alla fin fine è l'unico che cresce e rimane puro, coerente con se stesso mentre gli altri si trasformano in coloro che criticavano e criticheranno questo ex amico che non si arrende.

E l'America non si arrende. Se non vuoi stare al passo secondo la loro univoca e indiscutibile visione della società, puoi rimanere, ma nel ruolo di reietto oppure andartene, non mancherai a nessuno. Lì sei un fallito se non arricchisci. Pensare, “sentire”, non va di moda. Ricordo che quando Gibran pubblicò “Il profeta”, nel 1923, dovette rimediare con “Sand and foam” tre anni dopo. Ben tre anni! E ormai se lo stavano dimenticando perché là, già nel '23, tutto correva talmente veloce che se volevi mantenerti visibile al pubblico, al mercato, dovevi pubblicare qualcosa al massimo ogni due anni!

Vi racconto qualcosina degli USA. Ero con amici a Minneapolis. Erano nati e vissuti sempre lì. Uno si chiamava Vanelli di cognome e non sapeva nemmeno di essere di origine italiana! Lo imparò da me. Era originario della Toscana e decise che ci sarebbe andato in viaggio di nozze. Comunque veniamo al fatterello. Siamo in un bar che ha una grande vetrata che dà su un parcheggio. Ci sediamo. Si chiacchiera e proprio di fronte a noi parcheggia un'auto un po' navigata. La parte bassa della targa ha una scritta. Reduce del Vietnam. Dico: “Bene! Finalmente ne vedo uno!” Scende un omone degno di far parte di un film. Enorme, tutto muscoli un po' vissuti per età, tatuaggi e cicatrici. Non ci credevo quando Dan, l'amico che non sapeva di essere di origini italiane, mi chiese cos'era. Vi rendete conto? Non sapeva chi o cos'era un reduce del Vietnam e io, un europeo, gliel'ho dovuto spiegare!

Questo può bastare a dimostrare quanto non conosciamo gli USA ed andarci come turisti non basta per capire la loro tragedia, una tragedia, si badi bene, della quale non sono consapevoli. E non è solo un fatto di cultura che mi si potrebbe obbiettare che vive benissimo anche chi non sa cos'è la guerra del vietnam. Non sono completamente d'accordo ma provo ad accettare l'obiezione ricordando quella volta che un signore, pure laureato, mi chiese, dopo avermi ascoltato con interesse: “Lei ha parlato di seconda guerra mondiale....ce n'è stata quindi anche una prima?”

Voi cercatelo in Europa un umano che non sappia nemmeno questo! Io non ci sono ancora riuscito.

Quindi del disfacimento di quel mondo interiore che fa l'uomo con la u maiuscola, gli USA del '42, già lo avevano in atto. Consumatori. Fretta di fare, di vivere, ma quel fare e quel vivere non andavano oltre la superficie delle reazioni sensoriali, come il ragazzo che oggi va in un parco giochi tipo Mirabilandia....scuote i sensi. Nient'altro, esce contento della “shakerata” che si è preso e va pure bene, ma, se in nessun'altra tappa della vita il condimento migliora, quel che alla fin fine si costruisce non è più l'essere umano.

E come mai Salinger coglie tutto questo disagio con così tanto anticipo?

Ho una mia risposta: perché era ebreo.

Ricordo al museo di scienze naturali di New York, la domenica mattina, padri ebrei ortodossi vestiti nel loro modo inconfondibile basato su camicie bianche, il resto nero, barba e cernecchi. C'erano solo loro e ….io che mi incantavo di quel museo fantastico e di quei padri che davano ai figli quella marcia in più che gli americani e anche gli ebrei occidentalizzati quasi sempre, hanno ormai perso. New York la domenica mattina era deserta. In quel museo ci andavano le scolaresche, lo sapevo, ma vuoi mettere il vedere con calma con papà che ti spiega? Che sa essere serio e giocoso nel contempo?

Salinger non era certo ortodosso, ma di padre ebreo e madre convertita. Esiste una comunità, un pensiero, una tradizione. La tradizione negli USA si fa pagliacciata, quasi sempre. Non dimenticate mai, quando vedete Babbo Natale vestito di bianco e rosso che si tratta di un dipendente della Coca Cola trasformato, in un compromesso banale, in Santa Klaus..... e la Coca Cola è di capitale ebraico. Quella immagine quasi blasfema per un cristiano, non sfiora la loro interiorità. Essere ebrei, quasi sempre, equivale a saper pensare, avere dei riferimenti. Gli americani medi hanno come riferimento solo la televisione.....

Ecco che Salinger, prima tappa di un malessere americano che ho cercato di definire, si ricongiunge con il recente personaggio del film “Into the wild”. Vi consiglio di ascoltare bene anche le canzoni della colonna sonora. Sono di Eddie Wedder. La mente dei Pearl Jam che in questo caso agisce come solista. Concentratevi sulla canzone “Society” e traducetela. Troverete che potrebbe cantarla benissimo anche il protagonista di Salinger.

Anzi, faccio di meglio. Eccovi il testo:



SOCIETY

E' un mistero per me

abbiamo un'avidità

con cui ci siamo accordati

e tu pensi che devi volere più di quanto hai bisogno

e fino a quando non avrai tutto

non sarai libero.



(ritornello)

Società

sei una folle genia

spero tu non ti senta sola senza di me



Quando vuoi più di quanto hai,

pensi di averne bisogno

e pensi più di quanto vuoi

i tuoi pensieri cominciano a morire dissanguati



penso di aver bisogno di trovare uno spazio più grande

perchè quando hai più di quanto pensi

hai bisogno di più spazio.



(ritornello)

Società

folle veramente

spero tu non ti senta sola

senza di me



eccetera......



e il ritornello finale, modificato....



Società

abbi pietà di me

spero che tu non sia arrabbiata

se non condivido



e in inglese queste parole suonano bellissime. Qualche esempio:

“society

you're a crazy breed

hope you're not lonely

without me”



“Society

have mercy on me

hope you're not angry

if i disagree”

Society. Parole di Jerry Hannan, musica e voce di Eddie Wedder.

Il film è recente.



Tocca il cuore. È l'America di oggi. Può sembrare una faccenda diversa perchè il personaggio principale alla fine muore, ma è una fatalità. Come in Salinger il diciassettenne è “salvato” dall'idea del viaggio -fuga dalla sorella-bambina, così in “Into the wild” anche questo adolescente giustamente inquieto, è salvato, dall'amore. È la fatalità che fa ingrossare un torrente nell'Alaska imprevedibile. È per questo che finisce male, ma finisce così quando ha capito a cosa può attaccarsi per dare un senso la vita.



E guardate l'America, esattamente gli USA che il film vi mostra. Io l'ho vista. È così....

Veniamo ora al linguaggio utilizzato da Salinger.

Il linguaggio è quello quotidiano. Si potrebbe quasi dire che non c'è traccia di tecnica letteraria?

Sta scrivendo esattamente come parla.... penso che si possa dire e fregatevene di critici e professoroni. È spontaneo, diretto, non costruito. Una bomba per l'epoca. E poi forse per la prima volta appaiono un uomo che si veste da donna e i gay. Immagino le boccucce atteggiate alla ooooooh dello scandalo! In una scena importante, sempre verso il finale, il ragazzo si confida con un prof che stima e che vive con una donna molto più vecchia di lui e ricchissima. Dialogano e la frase che apre questo scritto è detta da questo prof che ha sempre il bicchiere in mano. Parla bene e poi gli prepara il letto perché crolla dal sonno. Il ragazzo si addormenta subito perché è stanchissimo ma si sveglierà di soprassalto perché una mano lo accarezza nel buio. Il ragazzo si veste e letteralmente scappa. Pensa che il prof sia gay. Ha qualche dubbio. È disorientato. Ecco l'esito più “alto” di quella società... l'ambiguità che nasconde una realtà che si stenta a comprendere e quindi non si sa che fare, non si sa se fidarsi....o fuggire. Erano carezze e basta, per tenerezza? O era gay? Noi lettori del duemila, più abituati a tutto di un diciassettenne del '42 non esitiamo ad avere un chiaro quadro della situazione: ha sposato una donna anziana e ricca, sta al gioco e nasconde chi realmente è. Se poi rileggete il brano che apre questo scritto, troverete quella frase finale: “imparerai da loro....se vuoi”. Lo vedete dove va a parare? No? Ebbene ve lo dico. Rimbaud. Questo Rimbaud che negli USA appare nelle forme più inaspettate. Vi basta prendere Rambo e spostare l'accento sulla o finale....... quindi quell'ultima frase che il diciassettenne non poteva comprendere, era un invito. Ti guido io......

E ora torniamo al linguaggio. Non si pensi per favore che basti scrivere come si parla, per “fare un libro” e nemmeno cercare le “cose” che oggi fanno mettere la boccuccia a sedere di gallina per la meraviglia. Ho già parlato di “Lolita” di Nabokov. Dietro allo scandalo per menti povere, si cela un capolavoro che spesso, se si perdono energie nel bacchettonismo e nel desiderio di stupirci, ci sfugge.

Molta gente ha provato a scrivere come parla, come ha fatto Salinger. Sembra facile. Ma Salinger ha vestito così delle idee! Son quelle che rendono “forte”, “robusto” il suo libro.

Prima le idee e, se possibile, che non siano razionali. Lasciarsi andare.



Vi ricorderete sicuramente di Superman....



a un ragazzo ebreo, negli USA, uccisero il padre mentre era dietro al banco nel suo negozio. Il ragazzo ebbe, com'è ovvio, un periodo orribile. Sognava un personaggio negativo, con ossessione, che uccideva tutti. Con calma, distillando il dolore, è nato Superman, che eternamente, nel sogno salverà suo padre.



Grande. Non trovate?



E le sofferenze famigliari di Walt Disney? Arrivò a concepire, per avere un'isola di pace almeno dentro di sé, un mondo senza genitori. Ci piace ancora. Ci piacerà ancora per anni....



Prima le idee. E lasciatele crescere senza addomesticarle. Quando usciranno da voi e si faranno, parole, immagine, perderanno un quaranta per cento di purezza. Nulla avrà mai lo splendore di un'idea prima che si materializzi. Ma quel che rimane brilla e sconfigge il tempo, lo annulla.



Il corpo di Salinger è morto a Gennaio di quest'anno. Solo il corpo.

Il suo pensiero sensibile vive ancora. Non sono chiacchiere. È vivo tutto quel che può aiutarci a crescere e un libro è spesso più vivo di molti esseri vivi solo col corpo.....








sabato 3 settembre 2011

l'eternità e l'attimo


Quando la misurai, dalla punta del naso alla codina mozza, era settantasei centimetri. La codina era così non per mia scelta. Muoveva comunque quel mozzicone con la medesima eloquenza di un cane che l'avesse avuta lunghissima. Tutto in lei era pacato, fatto di bisogno di presenza, di affetto, e la mia vita, che per svariate peripezie mi rendeva presente con continuità, particolarmente negli ultimi nove mesi, era per lei perfetta. Non gliela avevo certo fatta tagliare io. A qualcuno che aveva agito così dissi che per equità avrebbe dovuto farsi tagliare la sua. È ridicolo un mondo nel quale l'aspetto estetico viene prima di tutto. Va bene per “una botta e via”, ma per viverci, per starci, con qualcuno, che sia cane, gatto, cavallo o donna nel caso mio, è necessario dell'altro, dell'altro che forse saprei spiegare, ormai, ma non mi ci metto perché l'argomento di queste righe è un altro. Mi piacciono i cani di razza. Spesso sono stupendi. L'idea di cane allo stato puro, ma personalmente non li cerco. Amo salvare e non ci trovo niente di ridicolo. Se il mondo è pieno di canili che attendono un gesto, non vedo perché andare in giro con un cane firmato pagandolo pure caro. Il cane mi dà giocosità, affetto. Io vivo da solo, ma immaginatevi una famigliola classica con moglie e figli. Siete sicuri, rientrando dopo una giornata che difficilmente sarà stata eccezionale, di trovare tutti sorrisi? Se volete garantirvene almeno uno: prendete un cane. Quando non ci siete ci sta male. Ci fa un po' l'abitudine alla fine, ma vive nell'attesa del suo branco unito ed elegge uno dei suoi membri come sua anima gemella. Ebbene, io mi son garantito in questi ultimi anni, quindici per l'esattezza, sorrisi di natura canina, docce di guaiti festosi e gioia di essere tornato nella “tana”. Sophie è venuta spesso da me perché una delle sue padroncine si è ritrovata il corpo che ha fatto cilecca non una ma varie volte. Me la davano e lei alla fine ha deciso che stava meglio da me, con me. Non c'era cattiveria nella sua scelta. Aveva bisogno di mischiare la sua anima a qualcuno. E io c'ero, perchè per realizzare questa alchimia serve prima di tutto l'essere presenti.



Ricordo un caso simile accaduto a Lump, un bassottino nero focato. La sua storia ve la racconto perché aiuta a comprendere la troppo mitizzata fedeltà dei cani. Essa non è come si pensa.... e quel pensare è tutt'uno con quanto si desidererebbe, dalla propria donna, dai figli, dagli amici. La fedeltà dei cani non è cieca. Se lo fosse sarebbe stupida. È profonda, questo sì, un abisso che si può scoprire solo se si affronta il rapporto cane-umano senza preconcetti perché altrimenti accade che si pretendono dalla realtà cose che essa non si è mai sognata di contenere e si fraintendono comportamenti che invece sono sensatissimi e se fraintesi creano dolore o rimandano la serenità forse a mai più.



Ebbene, veniamo alla storia di Lump. Viaggiava con un fotografo famoso. Quel su e giù dagli aerei, le camere d'albergo che cambiavano spesso, i party pomeridiani e serali, erano la sua esistenza, e la amava, perché non ne conosceva altre, e il suo umano era il migliore perché, anche se ubriaco o brillo, o sedotto da un mammifero della sua razza, mai si dimenticava di lui e insieme alle valigie partiva tranquillo. Un giorno atterrarono a Nizza, si recarono ad Antibes ed entrarono in una casa grande, con la porta spalancata. Dopo aver percorso un po' di giardino che odorava di mare, vide al piano superiore, immerso nella vasca da bagno, un corpo d'uomo un po' sfiorito, col volto nascosto dietro ad una maschera esotica che faceva dei gesti strani. Sul primo momento Lump si preoccupò, ma quando vide che il suo umano chiacchierava in modo buffo con la maschera che si dimenava nella vasca, comprese che stavano giocando e la paura volò via. Mentre loro due discutevano, decise di aggirarsi per la casa. Nel frattempo la maschera si tolse l'uomo di torno, andò a riposare le sue fatiche al chiodo di un muro bianco e i due umani si avviarono in giardino per il pranzo. L'uomo smascherato era vestito ora. Non ci guadagnava molto perché aveva una canottiera che non ne poteva più di esistere e dei pantaloncini color sabbia macchiati da tutti i colori.

Finita l'ispezione alle stanze, Lump si ritrovò sollevato in aria dalla mani del padrone di casa che se lo tenne in grembo per tutto il desinare e gli lasciò allungare il musetto a punta nel piatto e nei dintorni. Quando decise di scendere da quelle gambe non ce la fece, vinse il sonno e si svegliò che era ancora lì e quel signore parlava, parlava ancora e sempre in modo strano, e Lump aveva capito che si mascherava anche senza maschera, che nascondeva qualcosa agli altri umani, a tutti, ma si rese anche conto che con lui era se stesso.

Quando il fotografo decise di partire chiamò il suo quadrupede che nel frattempo, ben nascosto chissà dove, col pallottoliere canino aveva fatto due conti. Questo signore, che aveva capito chiamarsi Pablo, viveva in quella casa con le porte aperte e con l'odore di mare. E poi c'era il giardino e la pappa che era superlativa, ma a questo diede valore minimo. Diciamo una pallina nera, e la spostò col musetto. Pensò poi al suo sguardo, che era fragile sì, ma aperto totalmente, senza riserve, nella sue direzione, e risentì le sue mani calde, con un odore strano che sembrava vernice e spostò tutta una fila di pallini rossi con una scossa al cuore. Confrontò il pallottoliere di Pablo con quello del fotografo e si rese conto che l'amore andava ben oltre a quelle briciole che aveva comunque vissuto pienamente con l'ormai bocciato ex convivente.



Decise quindi di trattenere il respiro. Promise a se stesso di non scattare dalla gioia quando avesse sentito la voce di Pablo e di tenersi la codina ben stretta fra i denti perché quella andava sempre per conto suo quando si emozionava e avrebbe sbattuto come un tamburello contro il legno dell'armadio.



Pablo, dopo un po' di ricerche, disse all'amico “salterà fuori, vedrai, e la prossima volta che vieni te lo prendi!” Il fotografo aveva ovviamente fretta perché lo aspettava un aereo e partì.



Lump si mosse dal suo nascondiglio solo quando fu veramente certo che il suo ormai ex umano se ne era andato. Il suo timore pretese anche che il suo odore si fosse diluito nell'aria salmastra al punto da non sembrare più nemmeno un ricordo e poi saltò fuori, fece finta di niente (era ora di cena) e saltò sulle gambe di Pablo. Tutt'e due si comportarono come se quel mangiare insieme e il successivo condividere il letto fosse un'abitudine vecchia di anni. Quando verso mezzanotte il cameriere disse “Maestro, ecco la contessa”, questi trasformò il volto in una maschera. Ormai Lump aveva capito e sentiva che quell'uomo, ormai anima sua, non vedeva l'ora che quella donna profumatissima e luccicante se ne andasse.



Accadde a Picasso, ed è accaduto a me con Sophie, una cockerina gentilissima che non chiedeva di meglio che diluire il bianco dell'anima con quella di un altro essere. Non viveva certo male, ma spesso stava chiusa in un garage per delle ore e in quei momenti pensava con nostalgia all'immenso giardino che le avevano momentaneamente precluso perché si dovevano tenere aperti certi cancelli per far passare i trattori e i lavoranti delle vigne e dei peschi o perché uscivano da quella grande villa e per paura che la rubassero.....la chiudevano in quella stanza. C'era acqua e c'era la branda. C'era il calduccio e.... e l'attesa, amando teneramente quel che aveva, ma l'attesa, si sa è insopportabile in egual misura per i giovani e per i vecchi, per i ricchi e i poveretti e, ricordatelo, anche per i cani, che amano amare e farlo quando il branco è presente ha senso, farlo sull'attesa è buttare via la vita.



E venne da me perché qualcuno di quella casa immensa dovette fare i conti con dei chirurghi e gli tolsero un pezzo di qua, e uno di là e per rattoppare bene tutto e far sì che stesse insieme senza perdere brandelli per strada, furono necessari mesi e mesi di pazienza.



E Sophie entrò così nel mio tram tram quotidiano fatto di presenza continua, letture, pensieri, passeggiate, lavori con stilografiche che amava mordicchiare e computer. Odore di mare e odor di tigli. Odor di pini e giochi con la palla. Un cane grande e grosso che si chiamava Mafalda e due gatti, Cagliostro e Paracelso, che quando avevano freddo, di ritorno dalle loro scorribande invernali, sprimacciavano Mafalda come un cuscino e si infilavano fra le zampe e sotto la pancia e poi dormivano beati. Notti d'inverno in cui si stava tutti nella tana-casa che non subiva i lampeggiamenti sonori e luminosi, sommamente sgradevoli per cani e umani, della televisione e si saliva tutti quatti quatti nel lettone di quell'umano che a mattina si ritrovava sepolto in una coperta vivente di cani e gatti: era bello, troppo bello per tutti.



E arrivò pure Tata, un'altra cockerina che si scoprì essere sorella di Sophie, proprio della medesima cucciolata. Era stata sballottata da due umani che avevano intenzione di divorziare e che alla fine avevano deciso, per farsi reciproco dispetto, di portarla canile. Quell'umano, io, lo venne a sapere ed ecco che si vide arrivare in quella casa, una cagnetta stressatissima, con lo sguardo appannato e poca voglia di credere in qualcosa. Nel giro di tre giorni Tata capì come funzionava in quel branco e si diede alla pazza gioia. Divenne la più allegra, la più scatenata nei giochi e la sua fame di coccole richiese mesi per poter essere riequilibrata. Le voleva da tutti, dai gatti, dalla sorella , da Mafalda e da me che sotto questo aspetto ero il più disponibile.



E poi uno alla volta, prima i due gattini, poi la Tatina e Mafalda nove mesi fa, son “partiti”, tutti. Mi han lasciato un indirizzo ma per raggiungerli non basta volerlo. È più complesso. Se gli altri si son limitati a quel passaggio che l'umana paura chiama morte, per quanto accompagnata regolarmente con eventi che la scienza non accetta, Sophie ha deciso di andarsene nel modo più particolare.



Quando la misurai era, come ho scritto all'inizio, settantasei centimetri. Un brutto male non le faceva più toccare cibo ed ero tristemente rassegnato a vederla scheletrirsi e poi.....



e invece mi ero accorto che qualcosa di particolare stava accadendo. La sua poltroncina l'avevo posizionata di fianco al letto e il suo musetto andava a finire sul materasso per circa quattro dita. Io leggevo e la accarezzavo continuamente e poi è giunto il momento e mi son reso conto che con il corpo messo come al solito per tutta la lunghezza della seduta della poltrona anche il muso ci stava dentro..... E poi, accarezzando la cassa toracica avevo constatato che, nonostante quattro giorni di digiuno totale durante i quali beveva solo e passeggiava in giardino con passo da stordita che dovevo guidare perché era cieca ormai da un anno, accarezzando la cassa toracica dicevo, mi ero reso conto che non era per niente dimagrita.



Allora ho iniziato a misurarla un giorno sì e uno no e ho dovuto prendere atto che si stava rimpicciolendo. Quando ho accennato la situazione al veterinario, ho capito che l'ha presa per una battuta. Ho deciso quindi di tenere la faccenda per me e ho sospeso le sei punture giornaliere alle quali era sottoposta in fondo solo per allungarle una vita che vita non era più.



Si rimpiccioliva e non mangiava ormai da non so quanti giorni.



Sono arrivato al punto che dormiva perfettamente accomodata sul palmo della mano e ho iniziato a preoccuparmi quando è diventata così piccina che mi ci voleva la lente. L'ho messa allora in una piccola scatolina di legno col fondo di spugna che era una bomboniera e passavo il tempo a guardarla. Ho capito che sarebbe arrivato il giorno in cui non l'avrei più vista, nemmeno con la lente, e questo mi faceva star male come se si fosse trattato della morte, poiché essa ci spaventa perché è una separazione e anche questo infinito rimpicciolirsi lo sarebbe diventato.



Ma accadde l'imprevisto. Voi direte che vi sembra che sia già accaduto, ma.....state a sentire.....

vedo Sophie che scava con decisione nella spugna incollata al fondo della scatolina ed ecco apparire dal buchetto un muso. La Tata! E poi si fa spazio Mafalda e poi i gatti. Nell'ordine Cagliostro, poi Isidoro e Beppo che ebbi anni fa e ultimo, come sempre un po' pigro, Paracelso.



Era ed è una situazione di fatto inspiegabile, non ci posso fare niente e non so che dirvi.

Posso solo raccontarvi che mi sono messo a pensare e ho dedotto quanto segue: i miei animaletti esistono ancora. Sono lì nella scatola. Il problema è che io sono enorme, smisurato, e loro meno di un millimetro. Domanda chiave: come posso fare per diventare come loro e quindi tornare a vivere con loro o far ridiventare loro come me? Non mi attaccherò al dio dei cristiani e ai suoi santi. Chi propone una via di salvezza che passa dal dolore ha dei seri problemi e merita un migliaio di sedute dallo psicologo. No. Qui è tutto diverso. È gioia di vivere, gioia per quel che si ha vissuto e la sensazione che quel che abbiamo prodotto di positivo nella vita si fa eterno. Mi riferisco ovviamente agli affetti.



Mentre meditavo, oggi verso le quindici, e osservavo con la lente la mia minuscola e allegra brigata

è accaduto qualcosa di emozionante. Mafalda è entrata nel buco dal quale è riapparsa dopo nove mesi di assenza anche dai sogni e mi son sentito male. Ho pensato, ecco che se ne vanno tutti e mi lasciano qui da solo. Avevo un nodo in gola, immenso. Ero un vetro che una palla incandescente stava per frantumare ma....... ecco che Mafalda ritorna e io sono dietro di lei, minuscolo, identico a... a me stesso.



E ora ditemi voi qual è quello vero. Chi sono!



E poi si fa sera, e poi notte. Chiudo la scatola. Mangio, così, senza convinzione, perché devo, perché va così e sembra che non possa andare diversamente. E poi finisco, mi pulisco la bocca col tovagliolo ed esco nel giardino ormai vuoto. Il cielo è senza stelle. L'aria è calda e umida. Un purgatorio.



Non ne posso più. È come essere morti, poi entro in casa, apro la scatoletta di legno e faccio luce piano piano, per non disturbare, con una candela. E sono lì, steso, addormentato su quel muschio di plastica grigia, con tutti miei animaletti addosso. Eccola la mia vera coperta, intessuta d'affetto.



E questo mondo di umani troppo carnivori, troppo razionali, troppo calcolatori, mi fa ridere. E dentro quel riso si fa urlo. Angoscia, solitudine.



Io sono morto. sì. Un sacco vuoto con una mente scardinata da troppe regole, troppi dovresti essere.



Troppi.



E nel silenzio di questa notte.



Consapevole di essere oltre la vita



nella vita



perché quando ho amato



l'ho fatto con tutto me stesso.



Nel freddo dell'anima, senza la mia coperta.



conto i passi del silenzio, del buio, dei pensieri



e li mando in malora tutti



perché ho amato.



Anche se mi è riuscito solo con cani e gatti



ho amato.



E chi ha amato sa che non c'è differenza fra l'eternità



e l'attimo



perché l'attimo al quale hai dato tutto te stesso



si fa eternità e si ripeterà



per sempre.







Ciao piccola Sophie