lunedì 25 marzo 2013

Caravaggio; lettera dall"Aldilà'


DALLALDILA’ 2 (Caravaggio)

Ciao. Immagino non ti siano mai arrivate lettere da un Aldilà che di solito mettete rigorosamente in dubbio. Io che ci muoio costantemente ogni giorno, con fiamme vere che bruciano non le carni, ma l’anima, ormai so e questo dirti per me non conta. Non salva.

Se ti ho scritto, ovviamente autorizzato dal potere unico che qui incombe, è perché forse, tramite il tuo pensiero, qualcosa sull’interpretazione della mia opera potrà cambiare.

Compresi i fatali errori solo nel momento che le dita presero un pugno di grossolana sabbia su quella spiaggia che vide la mia fine. Quella umana clessidra che nel giro di un attimo si vuotava e, come graffiando la spiaggia, con frenesia riempivo ancora e ancora e ancora, sgocciolava il non senso, il sacrilegio non divino, ma umano della mia opera.

È vero che a Malta, in un lampo di lucidità dolorosa, sentii la possibilità di un’altra via. Per questo, nella tela del Battista gli spazi sono enormi e il tragico fatto ricopre un ruolo che appare secondario. Commessa l’opera per motivi religiosi da cavalieri con divise candide ma macchiate di rosso in modo talmente simmetrico e preciso da parer una croce, io ci misi un altro senso. Fu per la leggera e feroce malizia di una donna che il Battista perse la testa. Fu per un futile motivo di femmina che sguainai e vendicai il nulla, guidato da bacco e da una compagnia audace in bravate. Ricorda che nelle osterie del mio tempo, i dadi segnavano il destino non con i numeri che elargivano. Se perdevi decidevi bravamente che l’altro era baro e, paladino di una finta giustizia grottesche goliardate frantumavano ogni senso e spesso una spoglia finiva nel Tevere. Il mattino seguente, il mal di testa lo combattevi con dell’altro vino, che nelle cucine del cardinale mi era concesso perché avevo condiviso segreti di licenziose oscenità pederaste. Era tutto normale. Non c’era vergogna, ma in quanto compagno di sollazzo, anche se gerarchicamente sottomesso, il ragazzino che tu ricordi del ramarro amavamo ricordare brindando le gioie che non nascondeva nello sguardo e in gorgheggi suadenti. Prima il cardinale. Solo in questo la gerarchia reclamava i suoi diritti, ma lui vecchio traeva più una gioia della fantasia che io rimpolpavo di ebbrezza virile davanti ai suoi occhi invidiosi, lascivi e contenti.

Ora dimmi. Come hai potuto non cogliere l’effeminato atteggiamento del ragazzino e parlare solo di tecnica sopraffina?

Ed ecco il Battista che cade per l’erotica voglia assassina di una femmina che vuol vedere sottomesso colui che comanda gli uomini e che ha il nome già per altro reietto, di Erode.

Taccio di altro. Ricorda comunque e immaginami, indebolito su quella spiaggia mentre scopro che non era necessario per la mia opera credere e sperare che un dio esistesse davvero, ma farlo credere a chi, nella povertà delle carni, del cibo e quindi della mente, aveva bisogno almeno di quella strana certezza per sperare e tirare avanti.

Quando decisi di ritrarre l’annegata in quanto madre di Dio, si trattò di un gioco altrettanto osceno. Fraticelli e cardinalini mi sfidarono ad osare con motteggi e nella speranza di mettere pepe nella loro vita che avendo provato di tutto ormai aveva perso ogni sapore. C’erano più veneri languide alla veneziana nelle camere da letto dei cardinali e dei religiosi tutti, pudicamente coperte da una tendina che si apriva all’occorrenza che cristi in croce o santi e madonne. E quando si chiedeva una venere, si diceva a me o ad un qualsiasi artista, di andare da una modella ben precisa, che amante era e non di rado di più d’uno e alla fine, per aver le carni al meglio eternate, del pittore stesso.

Le luci livide che ammiri e ammirate nella mia opera, sono il livido rancore del male e del bene che aleggiano e poco può quella luce nel disvelar quel che si sa e si sapeva. Lo scandalo era creato perché divertiva. Come oggi a Roma, una donna per stupire non pone confine alle sue gesta in una morale, e nell’esigenza di stupire affitta un nano da ostentare al guinzaglio ad una festa. Accade veramente ai tuoi tempi. Per comprender certe opere e certe menti della tua e la mia epoca, ti prego, guarda anche in basso. Ora, quella donna col suo nano guinzagliato, è stata superata da una rivale che ne ha trovato uno che è, con evidenza, effeminato e che si professa giudeo. Questa è la tua vita. Questo è il mondo tuo e fu il mio. Puoi, sconvolto, alzare le membra dal fango e mondarle con la religione e la filosofia, ma non dimenticare che da quello provieni e il fango è immondo e anche quando elevi lo sguardo e con esso la mente, i piedi comunque in esso sguazzano impietosi del tuo desideroso slancio.

Comprendi ora la mia mano che in quella giornata ultima colse pugni di tiepida, granulosa rena e vide la vita languire e alleggerirsi e sparire col terrore di questa nuova lucidità nella mente e negli occhi, e pensa che la vita mia, che fu gioco d’osterie e d’osceni divieti ingranditi ed eternati con la mia arte, io che mai lessi i vangeli, ma da orribili bocche di chiesa ne sentii le versioni blasfeme,

ora aborro la mia opera più di me stesso poiché essa dura e perpetua, alla “mente vera” il mio vagare nel fango.

Nessun commento:

Posta un commento