DALLALDILA’
2 (Caravaggio)
Ciao. Immagino non ti
siano mai arrivate lettere da un Aldilà che di solito mettete
rigorosamente in dubbio. Io che ci muoio costantemente ogni giorno,
con fiamme vere che bruciano non le carni, ma l’anima, ormai so e
questo dirti per me non conta. Non salva.
Se ti ho scritto,
ovviamente autorizzato dal potere unico che qui incombe, è perché
forse, tramite il tuo pensiero, qualcosa sull’interpretazione della
mia opera potrà cambiare.
Compresi i fatali errori
solo nel momento che le dita presero un pugno di grossolana sabbia su
quella spiaggia che vide la mia fine. Quella umana clessidra che nel
giro di un attimo si vuotava e, come graffiando la spiaggia, con
frenesia riempivo ancora e ancora e ancora, sgocciolava il non senso,
il sacrilegio non divino, ma umano della mia opera.
È vero che a Malta, in un
lampo di lucidità dolorosa, sentii la possibilità di un’altra
via. Per questo, nella tela del Battista gli spazi sono enormi e il
tragico fatto ricopre un ruolo che appare secondario. Commessa
l’opera per motivi religiosi da cavalieri con divise candide ma
macchiate di rosso in modo talmente simmetrico e preciso da parer una
croce, io ci misi un altro senso. Fu per la leggera e feroce malizia
di una donna che il Battista perse la testa. Fu per un futile motivo
di femmina che sguainai e vendicai il nulla, guidato da bacco e da
una compagnia audace in bravate. Ricorda che nelle osterie del mio
tempo, i dadi segnavano il destino non con i numeri che elargivano.
Se perdevi decidevi bravamente che l’altro era baro e, paladino di
una finta giustizia grottesche goliardate frantumavano ogni senso e
spesso una spoglia finiva nel Tevere. Il mattino seguente, il mal di
testa lo combattevi con dell’altro vino, che nelle cucine del
cardinale mi era concesso perché avevo condiviso segreti di
licenziose oscenità pederaste. Era tutto normale. Non c’era
vergogna, ma in quanto compagno di sollazzo, anche se gerarchicamente
sottomesso, il ragazzino che tu ricordi del ramarro amavamo ricordare
brindando le gioie che non nascondeva nello sguardo e in gorgheggi
suadenti. Prima il cardinale. Solo in questo la gerarchia reclamava i
suoi diritti, ma lui vecchio traeva più una gioia della fantasia che
io rimpolpavo di ebbrezza virile davanti ai suoi occhi invidiosi,
lascivi e contenti.
Ora dimmi. Come hai potuto
non cogliere l’effeminato atteggiamento del ragazzino e parlare
solo di tecnica sopraffina?
Ed ecco il Battista che
cade per l’erotica voglia assassina di una femmina che vuol vedere
sottomesso colui che comanda gli uomini e che ha il nome già per
altro reietto, di Erode.
Taccio di altro. Ricorda
comunque e immaginami, indebolito su quella spiaggia mentre scopro
che non era necessario per la mia opera credere e sperare che un dio
esistesse davvero, ma farlo credere a chi, nella povertà delle
carni, del cibo e quindi della mente, aveva bisogno almeno di quella
strana certezza per sperare e tirare avanti.
Quando decisi di ritrarre
l’annegata in quanto madre di Dio, si trattò di un gioco
altrettanto osceno. Fraticelli e cardinalini mi sfidarono ad osare
con motteggi e nella speranza di mettere pepe nella loro vita che
avendo provato di tutto ormai aveva perso ogni sapore. C’erano più
veneri languide alla veneziana nelle camere da letto dei cardinali e
dei religiosi tutti, pudicamente coperte da una tendina che si apriva
all’occorrenza che cristi in croce o santi e madonne. E quando si
chiedeva una venere, si diceva a me o ad un qualsiasi artista, di
andare da una modella ben precisa, che amante era e non di rado di
più d’uno e alla fine, per aver le carni al meglio eternate, del
pittore stesso.
Le luci livide che ammiri
e ammirate nella mia opera, sono il livido rancore del male e del
bene che aleggiano e poco può quella luce nel disvelar quel che si
sa e si sapeva. Lo scandalo era creato perché divertiva. Come oggi a
Roma, una donna per stupire non pone confine alle sue gesta in una
morale, e nell’esigenza di stupire affitta un nano da ostentare al
guinzaglio ad una festa. Accade veramente ai tuoi tempi. Per
comprender certe opere e certe menti della tua e la mia epoca, ti
prego, guarda anche in basso. Ora, quella donna col suo nano
guinzagliato, è stata superata da una rivale che ne ha trovato uno
che è, con evidenza, effeminato e che si professa giudeo. Questa è
la tua vita. Questo è il mondo tuo e fu il mio. Puoi, sconvolto,
alzare le membra dal fango e mondarle con la religione e la
filosofia, ma non dimenticare che da quello provieni e il fango è
immondo e anche quando elevi lo sguardo e con esso la mente, i piedi
comunque in esso sguazzano impietosi del tuo desideroso slancio.
Comprendi ora la mia mano
che in quella giornata ultima colse pugni di tiepida, granulosa rena
e vide la vita languire e alleggerirsi e sparire col terrore di
questa nuova lucidità nella mente e negli occhi, e pensa che la vita
mia, che fu gioco d’osterie e d’osceni divieti ingranditi ed
eternati con la mia arte, io che mai lessi i vangeli, ma da orribili
bocche di chiesa ne sentii le versioni blasfeme,
ora aborro la mia opera
più di me stesso poiché essa dura e perpetua, alla “mente vera”
il mio vagare nel fango.
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