sabato 7 settembre 2013

Christopher Isherwood: "La violetta del Prater"



Il dono grande di questo 2013 si chiama Christopher Isherwood Qualcuno potrebbe dire!Merglio tardi che mai!” e io rispondo che il più bel dono della vita è l'ignoranza. Posso offendermi se mi dicono democristiano o socialista o pidiessino o forzitalista o anche giornalista. Esiste certamente il modo di infastidirmi, ma certo non dandomi dell'ignorante. È tipico di chi poco sa, reagire male a questa che sempre, anche per una vita lunga centovent'anni, e che ora non è impossibile immaginare, si presenta come una magica, deliziosa conferma. Cosa te ne fai della vita se sai tutto? E peggio ancora se non conosci il piacere di sapere? E conosco tanta gente che si rotola nella circolarità dei sensi. Mangi e sarai sazio per qualche ora, e poi rimangerai, rifarai sesso, avrai ancora sete … sapere è invece una via lunghissima, infinita, oltre la vita, la morte, il corpo e offre sorprese che valgono... la vita. 

Iniziamo con una meditazione su quanto ci dice un anonimo, dalla costa di copertina:

Quanto segue è semplicemente la storia veridica e non resistibile, di come un film nasce e si trasforma, e soprattutto di come giorno per giorno rischia, nei modi spesso più folli e sgangherati, la catastrofe.”

Questa considerazione è vera anche se secondaria, per quel che riguarda la genesi di un film negli anni trenta, ma non trovo ci sia nulla di folle e sgangherato sul rischio di catastrofe. Abbiamo un regista austriaco di origine ebrea, Friedrich Bergmann, che va in crisi verso la metà delle riprese che si svolgono a Londra, poiché ci sono delle sommosse con spargimento di sangue a Wienna e dintorni. Là ha lasciato moglie e figlia. Legge i giornali continuamente e si agita fino a diventare intrattabile. Ebbene, dove sta la follia? È vero che in costa al libro si dice esattamente “in modo spesso folli”, e con quel spesso si può salvare in calcio d'angolo, ma in questo caso si tratta di una reazione umanissima e la follia abita altrove.

L'anonimo estensore prosegue così:

Per John Boorman, questo piccolo gioiello semidocumentario era il più bel libro in circolazione sul rapporto fra il cinema immaginario e quello reale.”

Ora … immaginiamo una Ferrari nuova fiammante e un essere che la apprezza solo perché trova eccellenti i cerchioni ... penso che a chiunque sembrerebbe una stravaganza, oppure una mancanza di …. diciamo qualcosa di fondamentale. Insisto. É vero che il libro è anche un qualcosa di semidocumentario ma questo aspetto sta alla “Violetta del Prater” come i cerchioni di una Ferrari stanno alla intera macchina! Ovvero in essi, i cerchioni, non si esaurisce il fascino della Ferrari, così come nell'aspetto semidocumentaristico, non si risolve questo libro!

C'è di più, c'è del genio, letteralmente del genio!

Ricordo che anni fa, per un film di Pupi Avati che era di una certa profondità, lessi su un giornale che si trattava di “uno spaccato di vita nell'Italia fra le due guerre”. C'erano varie ragazze e ragazzi fidanzati, con una grande attesa dalla vita. Fra gli sposati una sola persona era invece serena …e si trattava, guarda caso ... di una vedova. Il marito le era morto presto e ogni sera lei apriva la finestra e lo salutava fra le stelle. C'era il malato terminale che girava con una grossa valigia in piccoli paesini e vendeva occhiali, le maschere del ventesimo secolo (ora la maschera è il lifting …). … e qualcuno su un quotidiano aveva spacciato per senso del film, l'ambientazione. Che squallore!

Il medesimo problema occorso ad Avati, lo troviamo per questo libro di Isherwood.

L'ambientazione, per quanto veritiera, è lo strumento, minuziosamente “maneggiato”, con ironia e profondità, per arrivare ad un dunque che metto senza indugi fra la più alta liricità del novecento.

La situazione io la leggo così: due persone, Christopher Isherwood e Friederich Bergmann, devono relazionarsi causa un lavoro. Il primo è scrittore e giovane e sarà sceneggiatore, Bergmann è e sarà regista. Non un regista qualsiasi. La sua è arte. Scopriamo per esempio che, senza sapere che era di Bergmann, Isherwood aveva visto precedentemente ben quattro volte un suo film, evidentemente apprezzandolo. Inquadriamo la relazione: Isherwood stima Bergmann. Bergmann, quando scopre che Isherwood parla bene tedesco, all'istante, con una spontaneità da fauno, chiede di essergli sempre di fianco. Gli offre un rapporto paritario. Di fatto comunque, Bergmann è l'artista saggio, un corpo che è l'involucro misterioso di una immensa volontà positiva. Isherwood nel frattempo è fermo all'undicesimo capitolo di una sua opera, non la prima, riveste il ruolo di figlio con un fratello, sta quindi ancora nel nido, e accetta la relazione che, per lui non rappresenta solo le venti sterline al giorno, stipendio notevole per l'autunno del 1933.

Mi sembra immediatamente che la struttura vada ben oltre … i cerchioni!

Isherwood vede vivere e pensare un artista che stima. Lasciamo scorrere la preparazione del film con tutti gli altri “attori” nel ruolo di comparse e approdiamo all'ultima sera. Alle nove meno dieci per l'esattezza, terminano di girare l'ultima scena. Bergmann saluta la troupe e gli attori e … Christopher Isherwood accompagna Friederich Bergmann, a casa.

Tutta la scrittura fin qui assorbita, era in preparazione di quanto accade ora. Qui inizia il capolavoro.

Era quell'ora della notte in cui i lampioni stradali sembrano splendere di un fulgore remoto, insolito,come pianeti senza vita. La King's Road, nera e lucida di pioggia, era deserta come la luna ...”

Ora cambia tutto e la situazione si fa metafisica. Scusate per il parolone … la situazione si fa magica, e la mente si avvia, nello scoprire il senso di quel che è accaduto in quei mesi, in questa esperienza (umana?) con Bergmann. E ora s'invola ben oltre la quotidianità.

L'effetto fra vuoto attuale e pieno precedente, durato centoventidue pagine, proposta é notevole. Ogni scena prima, era emotiva, rumorosa popolosa e, per chi come me conosce King's Road, l'effetto risulta ancor più marcato

Era quell'ora della notte in cui l'io dell'uomo quasi si assopisce. Il senso di identità, di possesso, di nome, indirizzo, numero telefonico diviene estremamente vago. Era l'ora in cui l'uomo è percorso da un brivido di freddo, rialza il brivido del cappotto e pensa ...”

Notate lo straniamento in atto. Non c'è più l'io o si sta dileguando, diluendo. E quel che rimane pensa? Povertà del linguaggio! Isherwood sta tentando di dirci qualcosa che trova impreparata la parola, strumento troppo spesso insufficiente … ma ci riesce ugualmente. Quando non si è più Io non si pensa, e anche le parole che seguono, non rendono conto, all'interno di questa sola frase, della potenza espressiva alla quale comunque lui riesce ad approdare e a portarci prendendoci delicatamente per mano.

Ricordiamoci che l'io è stato disarmato e messo da parte come una corazza. Quel che avviene quindi non è pensiero, anche se non esiste altra parola per esprimere quel fluire di senso, ma una sequenza di verità … rivelate.

Di solito questo accade alla poesia, vetta estrema e estremamente irrazionale, dell'espressività umana …. e infatti per me queste pagine, partendo da “Era quell'ora della notte ...” sono pura poesia.

Il generico “perché esitiamo?”, diverrà un “perché esisto?” che riceverà una risposta …

E poi si passa al mistero dell'amore. Il passo inizia dicendo: “L'amore era J. ...”

E qui devo iniziare facendo i complimenti al traduttore che si chiama Giorgio Monicelli e mi dispiace che nei testi attuali mai, chi svolge questo delicatissimo ruolo di interprete fra due lingue, fra due mondi, riceva lo spazio per dire qualcosa della fatica che ha compiuto.

Questa meditazione sull'amore lui, Giorgio Monicelli, l'ha interpretata e tradotta con una delicatezza che non si coglie facilmente e che cerco di spiegarmi. Leggete il brano e vi renderete conto che il partner descritto, questo quasi innominato J. noi tendiamo a pensare sia una donna perché l'autore di queste righe è un uomo. Questo limite accade agli etero. Chi sa che Isherwood era gay invece, immediatamente darà una connotazione specifica, ma come vedremo non necessaria, a quella informazione. Ma, fateci caso rileggendo ... essa è asessuata ... L'amore fra due esseri è in essa oltre questi ruoli dettati dalla carnalità individuale. Rileggetela e fateci caso.

Io non ho mai avuto problemi con gli altri sessi. C'è chi dice che sono due, chi tre chi trecentosessantadue e in Giappone qualcuno in più … non mi riguarda. Io ho la mia sessualità e ognuno ha la sua che si vive come meglio crede. Ho già accennato in un altro scritto con un esempio paradossale, ma che nella vita spesso si concretizza, quel che penso del rapporto sesso-amore. Il sesso è l'innesco, se si è giovani e/o sani. Ma immaginiamo che uno dei partner della coppia si ritrovi un “malaccio” che non gli permettere più di essere partecipe sessualmente … ebbene … l'amore potrebbe continuare, e se accade, e sappiamo che speso accade, o si tratta di abitudine, o convenienza oppure … oppure ci tocca ammettere che l'amore è qualcosa che va oltre la carne! Ecco come la penso.

Ma in questa situazione magica creata e forse realmente vissuta da Isherwood, in questa King's Road notturna e vuota, con i lampioni “che sembrano splendere di un fulgore remoto, insolito, come pianeti senza vita”, lui ci dice che la storia d'amore che sta vivendo al presente con J. Finirà: “... Perché J. non è realmente la persona che voglio. J. ha soltanto il valore di esistere ora. J. passerà, il bisogno resterà. Il bisogno di ritornare nell'oscurità, nel letto, nell'amplesso caldo e nudo in cui J. è come K., L. o M., dove non c'è che la vicinanza, la dolente malinconia di stringere il corpo nudo fra le braccia. Il dolore degli appetiti, sordo, continuo sotto ogni cosa. E la fine di ogni voluttà, il sonno senza sogni dopo l'orgasmo, quel sonno tanto simile alla morte.”

Son conclusioni alle quali sono approdato faticosamente, nella mia piccola esistenza, è forse è per questo che quando le ritrovo, immediatamente le "sento".... La fame dei sensi che si ripete, il corpo che tocchi penetri, ma non arrivi ad altro che alla necessità di ripetere ripetere e ripetere, come bussare continuamente ad una porta che non si apre. E i sensi sempre sazi e di nuovo affamati si limitano a bussare ad una porta chiusa? No. L'altro, la relazione, nel caso del libro una profonda amicizia con il regista Bergmann, rivela un gradino successivo, che nell'amore diviene sorda e alienante ripetizione e si tratta di quell'intuizione del sacro che ultimamente spesso racconto. Ma in Isherwood, essa è una scoperta che, alla sua prima rivelazione spaventa, manca il coraggio per inoltrarsi in essa. Ma procediamo con ordine. Dopo aver spiegato la ripetitività alla quale approdano gli “appetiti”, la scrittura prosegue meditando la paura.”Non le paure che tutti conoscono, le paure cui si fa pubblicità, ma quelle più terribili: le paure dell'infanzia ...”

e queste antiche paure si raggrumano in una sensazione che lo guida all'intuizione del sacro, alla, alla paura radicale, originaria e ultima, la “paura della paura”:

Ma se è mia (la paura delle paure) , se è realmente dentro di me, allora … Perché? E in questo istante, così fioca, così remota, come la vaga visione di un sentiero impervio su un'alta montagna che si perde fra le nubi, vedo un'altra cosa: la via che conduce alla salvezza. Dove non c'è paura, non c'è solitudine, nessun bisogno di J., K., L. o M.

Per un istante, la scorgo. Per un secondo, è perfino chiarissima.

Quindi le nubi si richiudono, e un alito che soffia dal ghiacciaio, gelido di quel freddo sovrumano che regna tra le vette, mi sfiora la guancia.

No” mi dico. “Non potrò mai farlo. Meglio la paura che conosco, la solitudine che conosco ...”

Dopo l'intuizione, enorme per l'essere umano chiuso nell'abitudine alla corporeità, ecco la paura. Una paura più vasta, non sperimentata mai, e la sua novità è la sua essenza del momento.

Ma il sacro ormai si è rivelato, quella dimensione oltre la carne, oltre … la vita, che già in vita si può avere la fortuna di intuire e il cammino è aperto.

Ma … Isherwood a chi deve l'intuizione? All'essersi lasciato andare a Bergmann, al regista anziano e vivo di una vitalità che spesso sembra sorprendente o lucidissima o ridicola, ma che produce l'opera grande. Insomma all'artista vero.

Questo libro racconta una iniziazione.

Questo libro è enorme, sincero, eccezionale, perché anche a noi, può accadere e le forme del suo accadere sono molteplici.

Mesi fa volevo fare uno scritto dedicato a “Un uomo solo”, sempre di questo autore. Rimandai per due motivi. Desideravo avere anche riscontri da amici. Io già dalle prime pagine ero commosso. Come ho accennato, le varie sessualità non mi infastidiscono. Vivo la mia e amen, quindi quel volume che chiaramente si schiera e si presenta come una storia con risvolti omosessuali, potrebbe essere mal vissuto da chi ha delle remore, dei muri dentro ...e in fondo la paura di esserlo …

Mi dissero poi che il Film “A solitary man” di Tom Ford, era tratto da quel testo. Stimo notevolmente Ford come stilista. È decisamente uno dei migliori, e il film quando uscì, me lo lasciai scappare. Qualcuno mi diceva che era un capolavoro, altri una noja. Ne sono entrato in possesso solo da un paio di giorni e non mi sentivo quindi pronto per scrivere qualcosa di, diciamo completo, ma ieri, in una delle mie solite cacce ai mercatini dell'usato, per la somma “spasmodica” di tre euro, ho trovato “La violetta del Prater”. Avrei potuto comperarlo in libreria se ero così colpito da Isherwood, direte voi, ma provate a comperare qualcosa in Italia in agosto! Se non ce l'hanno in “casa” arriva alle calende greche. Attendevo la metà di settembre per provvedere, ma il caso, unica legge valida quando il mondo si fa troppo affollato, mi ha offerto con un se pur breve anticipo di una manciata di giorni in fondo, questa notevole esperienza.

ciao
















venerdì 6 settembre 2013

My sweet home ...


Laura Baldrati, una fotografa impegnata, tempo fa vide la mia tana ed espresse il desiderio di fotografarne alcuni particolari. Ha fotografato anche me … ma non mi sopporto nelle foto. Io non sono solo il mio corpo …

la casa è comunque una parte importante del “ritratto” di una persona.
 
In me, per sentirla viva, ci sono certe direttive che penso siano elementari: gli oggetti devono essere eterni o comunque avere la possibilità di durare più di me … amo la porcellana, quindi qualche lutto accade, ma assai di rado. Praticità ed eleganza devono scendere a compromesso.
niente armadi. non li sopporto. Sono relegati, reclusi, in un'unica stanza che qualcuno chiamerebbe guardaroba ma io chiamo coscienza tranne uno che ha lo scheletro di legno kiaro, per il resto è vetro e contiene una lampada Bauhaus (Juker-Wagenfeld) che la illumina dall'interno. Il mucchio della roba da stirare, gli oggetti che non servono o servono solo in certe stagioni, per esempio il ventilatore ...
Non ho un buon rapporto con l'aria condizionata. Lolita, il kane, nemmeno.
Secondo me si devono avere poke kose, ma "buone" ... e ne ho un po' troppe. Sto smaltendo facendo regali o con certi siti di internet.
Non amo avere persone che lavorino per me. Niente cameriere giardinieri e simili. Trovo sia un'umiltà necessaria fare con le proprie mani. quando stiro ascolto musika klassika, spesso si son divertiti a fotografarmi. Sembra ke un uomo ke stira sia una rarità. a me non dispiace, proprio perké è un lavoretto silenzioso e spesso il ferro "danza" al ritmo di Strauss.
I piatti.... Non ne vedrete nelle foto ma vi dico ugualmente. odio la serialità. E' comoda per l'industria. a me piace scegliere tutto diverso. Mi spiego. compero i set uguali; un piatto piano  + uno fondo e quello da frutta. se ho ospiti, ognuno sceglie di sedersi nel posto che più gli aggrada. medesimo discorso per piatti e posate.

Niente televisione. Penso siano ormai sedici anni che l'ho eliminata. Amo le radio e ho delle ottime Tivoli. Amo la musica classica, i cantautori e altro, quindi ho un piccolo impianto che fa il suo dovere senza urlare mai.

Ho molti libri, ma meno di quel che si crede. Stimo molto un oggettino che si chiama e book. Ovviamente il libro di carta è affascinante, ma devo essere pratico. Se volo via, in un e book ci stanno anche duecento volumi … e questo mi piace. Mai più zaini o valige pesantissime! Ho letteratura greca e latina in carta e testi che in formato e book non mi soddisfano o non si trovano. Alcuni testi hanno il mio affetto causa la frequentazione di anni. Vedrete il Meridiano di Fitzgerald, molto vissuto, con qualche ferita … Borges lo tengo di carta. Ci son troppo affezionato. Certe kose di Kafka e dei fratelli Singer per esempio. I libri quindi non mancano ma non sono, appunto, tanti come qualcuna immagina.

Che parlino le immagini e qualcosa se mi viene, lo aggiungo sotto.
Ecco la scritta sul muro. una delle tante. dopo anni di matita questa l'ho rifatta con trasferelli gommosi.
La frase è di Fitzgeral e viene da quel libro. "I taccuini". non rinuncerò mai a questo oggetto finké avrò un corpo! potete vedere vicino tre copie di Giovanni Papini, autore che stimo molto. Laura mi ha chiesto di mostrarle i libri che preferisco e alcuni li ha fotografati. il tavolo, tondo e di legno, mi è stato prestato. chi me lo ha dato si è forse dimenticato, ma io ricordo ...
Ecco il vissutissimo volume coi romanzi di Fitzgerald. Ne ho altri che ho vissuto personalmente fino ad ... ammalarli ...
Ecco uno degli angoli Che Laura preferisce. I volumi sono dei Meridiani di Letteratura latina, greca, italiana e internazionale. il mobiletto a cassetti, ne ha sei, è di colore giallino chiaro. Chi me lo donò, lo dipinse di giallino e il mio gatto di allora ci camminò sopra che era ancora "fresco". Ora ammiro quelle pedatine di Cagliostro, il mio stupendo ex gatto nero orbo da un occhio. E' un ricordo bellissimo ...
Questo angolo è nella mia camera da letto. Ho anche un'altra stanza dotata di libreria e letto. ufficialmente si chiama "stanza degli ospiti", ma di fatto mi serve ... mi spiego. mi capita, in certi periodi, di non riuscire a dormire. Non indaghiamo sui motivi... Ho scoperto, leggendo l'autobiografia di Churchill, che quando non riusciva a dormire, gli bastava cambiare letto. Beato lui. A me accade una volta ogni dieci ... meglio di niente.
Sul mobiletto a cassetti della foto, a destra potere vedere un vassoio con profumi; la foto sotto mostra meglio:

Il mio rapporto coi profumi. Premetto che questa è solo una piccola parte. Non mi profumo quando esco, ma quando vado a letto o quando so che resto a casa per un certo tempo. Mi piacciono certi "buoni odori". Ho anche incenso, Mirra, eccetera.


Questa foto mostra meglio i particolari. La foto in alto a sinistra; la Tata, una delle mie care cokerine ormai defunta. La foto che si vede a destra è di Diane Arbus. Il gigante, che io lego ad un racconto che piaceva a Tonino Guerra e che grazie a lui ha due finali.



Altro particolare della medesima stanza. La statuetta di Ladrò è defunta, in frantumi. Mi ha aiutato Lolita. Mi metteva a disagio con quelle tette al vento. La mia Bibbia ... Penso che a Laura sia piaciuto il sacro dei libri e il profano dell'acquaiola. Una delle mie tante agende. le prediligo ad anelli. Una per argomento, e le piccole, come quella che vedete, da avere sempre in tasca.                

                            

Di fianco alla Bibbia, sulla sinistra di questo tavolino basso, ecco una delle mie ventiquattro ore. Son oggetti che mi piacciono non per fare il fighetto o il finto broker. Arredano e son passate di moda, quindi si trovano a prezzi squisiti... il libro che si vede è "Lasciami andare madre". Insieme a "Il rogo di Berlino", due capolavori di Helga Schneider che porto sempre con me.




Ecco una delle mie agende di appunti. In questo caso meditazioni e citazioni da libri letti.  Appunti da "Maigret e la vecchia signora" nella pagina a sinistra, "Maigret a scuola" a destra.


Dalla medesima agenda: "vocaboli borghesi-intellettuali" in "Scritti corsari".


Adoro il caffè ... un'amica etiope, me lo porta non tostato direttamente da casa sua una volta all'anno. Lo tosto, lo macino a mano sul momento e fa un profumino delizioso! Tazze Wedgwood con la danza delle ore. piccolo dato storico. Azienda fondata nel 1759. Il fondatore era sposato con la figlia di Charles Darwin .... un caffè buonissimo in una tazzina che profuma di storia ...



Latavola della sala ... Radio Tivoli, Vasetto Wedgwood verde in tinta con una farfalla fatta personalmente da Tonino e da lui donatami. Carta geografica dell'Europa. Mi piace pranzare o sorseggiare il caffè immergendomi nella "mia" cara Europa. Quella cosa nera che regge la piastrella della farfalla è una lampada alogena assai potente. Ho gli occhi deboli, quindi la luce deve essere decisa !



angolino della stanza dell'insonnia. Quadro donatomi da Tonino. Ha una storia simpatica. Ce l'aveva a casa, appoggiato per terra all'esterno. lo portai a casa, si tratta di un piastrellone non leggerissimo e, mentre aprivo la porta di casa lo appoggiai per terra. Con mia sorpresa attirò un plotone di gatti che ci si strusciarono con affetto. Lo annusai e mi resi conto che i cinquanta gatti di Tonino, forse non tutti, lo avevano accuratamente autografato. L'ho dovuto ingabbiare e tenere all'aperto per mesi. Ora è vivibile. Il piatto incorniciato è di epoca napoleonica. Solo due donne stazionano stabilmente a casa mia, questa graziosa pulzella francese e una signorina di Chanel che ha un nome, me lo hanno detto, ma non lo ricordo. Eccolo:




Questo cartellone pubblicitario staziona, appoggiato ad un mobile basso, nell'altra camera da pisolo, quella che di solito uso. Son sempre sorpreso dalla disattenzione che si presta ai cartelloni pubblicitari di profumerie o negozi di abbigliamento. Alcuni son stupendi e prenderanno anche valore col tempo. Un giorno entrai in un negozio di Benetton con sei bicchieroni di coca cola; intendevo sedurre le sei commesse e portarmi via tutte le pubblicità di Oliviero Toscani che avrebbero buttato per il cambio di stagione .... che spreco. Hanno ceduto alle mie lusinghe!


Torniamo alla stanza dell'insonnia. Ecco un altro tavolino sul quale macino le ore e spesso le notti. 


Ecco ora un libro che amo più che altro per l'editore. si tratta di Kurt Wolff ...  che ebbe il coraggio e il merito di pubblicare per primo Kafka....


Questa foto mi diverte. Alla fotografa piaceva il cuscino della sedia! non so perché ha scelto proprio quel libro, assai tragico e comunque un capolavoro, di Malaparte. L'insieme comunque mi diverte.


Concludo con le mie mani. Trovo che siano foto riuscite. Si dice all'estero che se una nave affonda e sopra c'è un italiano che non sa nuotare, basta farlo parlare ... muoverà talmente le mani e le braccia da stare a galla. Mi son reso conto, da queste e altre foto, che galleggerei anch'io ....


anche questa mi piace.
E ora l'ultima, le due mani insieme. Vi invito a notare il ciondolino  di argento a forma di cane. lo misi il giorno della morte della mia cara Mafalda. Il cane che mi fu madre. è volata via circa tre anni fa.


eccola ....

... mentre nuota serena nel lago vicino a casa. La foto ... non ricordo chi la fece. Non io che son negatissimo. Per me gronda affetto. Ecco mia madre.

... e Grazie a Laura. Non avrei mai osato il mio volto. Ho accettato alcuni particolari della casa e lo devo a lei. in questo periodo sono lontano, da tutto. Tornerò, perché per me è un luogo dell'anima.
ciao

giovedì 5 settembre 2013

Simenon; "La finestra dei Rouet"




Penso sia la prima volta che mi avventuro a descrivere i contenuti di un'opera di Simenon che non sia della serie del commissario Maigret. Come ho già spiegato in altri post, Migret era scritto con la macchina per scrivere. Serviva per far quadrare il bilancio famigliare. Le altre opere, quelle scritte a mano, avevano, nelle intenzioni dell'autore, ambizioni più elevate, più profonde. Si trattava quindi di ciò che gli era più caro. L'opera che mi accingo a meditare, fu terminata nel luglio del 1942, e già questo particolare deve farci pensare perché della guerra non troviamo il minimo accenno. Accade la medesima situazione in un quadro di Balthus che, con l'aiuto della data di composizione, 1940, diviene apparentemente enigmatico. Ecco l'opera:


una ragazza che raccoglie ciliegie in un paesaggio naturale, bello. Ecco la soluzione; l'uomo può distruggere ma le stagioni continueranno a tornare, ad esistere, indifferenti all'uomo e alla sua follia.

Balthus aveva tentato di difendere in divisa, il suo mondo, la sua Francia, la sua Parigi, ma tutto crollò in un attimo e, ferito e rifugiato in Svizzera ci diede questa lezione di umiltà.

Torniamo a Simenon. Fu accusato di collaborazionismo per aver scritto e pubblicato romanzi in piena invasione tedesca del suolo francese … ma se si leggono le opere di quel periodo, si coglie che non gli interessava calarsi nella descrizione della situazione contingente. Non era schierata la sua opera, parlava d'altro e, a differenza del quadro di Balthus, parlava d'altro anche se si va a scavare a fondo come per esempio mi accingo a fare per quest'opera.

Devo prima fare una specie di “riassunto delle puntate precedenti”. Il lettore stakanovista-masochista se vuole, può reperire nel blog gli altri scritti su simenon, oppure, e glielo consiglio, accontentarsi di questa piccolo riassunto. Dalle opere del commissario Maigret, ho dedotto che per Simenon il nucleo fondamentale è l'unione uomo donna che produce la tenerezza. La famiglia è invece il gradino successivo e lo scopriremo qui. L'umo e la donna, son di fatto una coppia che cambierà valore e significato davanti al mondo e davanti a se stessa, sia intesa come coppia che come due individui, solo davanti al figlio.

Il singolo, la singola, sono sacrificabili; la coppia ha valore per il suo essere in divenire, la famiglia, entità che diviene tale solo con la presenza di almeno un figlio, è il nucleo al quale tutto si scarifica. Essa deve poter crescere, procedere. Essa diviene culla concentrata sulla crescita della prole.

Maigret, questo alter ego semidivino di Simenon, sembra semplicemente un commissario che agisce per tutelare la legge scritta, ma di fatto cura la legge di natura. Non si deve pensare che un suo libretto sia terminato con la “cattura” del colpevole. Il suo compito è reintegrare secondo la legge di natura. Ebbene … le opere scritte a penna, e “La finestra dei Rouet” ne è uno degli esempi più totali, completi, le opere scritte a penna, dicevo, si incaricano di descrivere la legge di natura. Capita che qualche opera, ad esempio “Il piccolo libraio di Archangersk”, sembri indipendente, ma di fatto agisce con una spinta prevalente su uno solo dei tasselli del mosaico che compone la legge di natura secondo Simenon. Ci tengo a dire che è soggettiva questa legge, è la sua, poiché, per quanto io la condivida, ritengo che un tassello manchi. Mi spiegherò più avanti. Ne “Il piccolo libraio di Archangelsk” l'argomento è l'integrazione nella comunità. Lo ritroviamo in fondo sempre nel modo di agire di Maigret, il quale di fatto sempre, agisce calandosi nella comunità nella quale il crimine è stato commesso. Diviene uno di loro, cerca di ragionare, come loro. Dalla comprensione della comunità si ottiene il risultato principale, ovvero la comprensione del perché di un atto. Di conseguenza a questo agire, si ha la scoperta del colpevole che verrà aiutato o consegnato a seconda che la colpa sia in relazione alla legge di natura o a quella dei codici. Esemplare è in questo caso la lettura de “Il porto delle nebbie”. Nel finale Maigret è talmente integrato e accettato che gli dispiace venire via da Ouistreham.

Qui si coglie un problema anzi, il Problema con la P majuscola, della giurisprudenza umana. Essa non tiene conto delle realtà, definiamole comunitarie, ma da essa solo, parte. Ogni ambiente ha il suo galateo, la sua scala di valori. Ci basti pensare che chi ha compiuto reati di natura sessuale contro i bambini di solito in carcere viene ucciso … questo dimostra che perfino quel luogo estremo ha le sue norme. Ebbene. La legge scritta nei secoli dall'uomo, si è distanziata dalla natura e anche dalla comunità. Ci basta leggere “Maigret e il barbone” per comprendere e venire convinti dell'esistenza di questa problematica. Anche “Il porto delle nebbie”



si può comprendere solo se si è consapevoli di queste dolorose discrepanze. In questo libretto, tutto accade per riunire non una famiglia legale, ma una famiglia naturale! Legge, contro natura! E tutta la battaglia si giustifica e si fa sensata e bella proprio perché è un'ottica condivisibile. Il suicidio di colui che ha usato la legge per “fregare” la natura, quasi ci fa piacere, lo sentiamo giusto. E questo accade perché ci rendiamo conto che nulla può la legge contro la mostruosità che quel suicida ha attuato. Il padre naturale ha le sue colpe, ma esse non danneggiano la legge di natura. È in quest'ottica che si valuta se un comportamento è più o meno grave, condannabile o perdonabile. In più, sempre ne “Il porto delle nebbie”, Maigret, che è stato legato come un salame e abbandonato su un pontile per tutta una notte piovosa e fredda, reagisce con un certo cameratismo rendendo la “bagnata” a chi lo ha bagnato, ovvero gettandolo nel canale. Comportamento poco adatto per un commissario, non credete? ma ammissibile da parte di due persone che sentono di fare parte della medesima comunità.

Ne “Il ranch della giumenta perduta”, la mania del gioco d'azzardo di uno dei protagonisti, diviene, la si sente minima. Ha più il sapore della colpa l'averla taciuta e nascosta all'amico fraterno a colui che è massima espressione del vivere comunitario rasentando la simbiosi. Si è quel che si è e la perfezione non esiste. Questo ci viene detto dall'esperienza e da Simenon. La natura lo sa, e la legge scritta invece no, punisce nella sua generalità e freddezza, chiunque non sia perfetto. E ditemi se non è perfetto chi agisce in tutto per tutto secondo le leggi. Perfetto in modo strano, irreale, e quindi malato. Ci basti pensare a quando stati come Italia e Germania, spinti da grottesche dittature, ordinarono il razzismo, lo resero legge, contro ebrei e minoranze. L'uomo, che è ovviamente imperfetto, diviene quindi spesso non un tutelato, ma una vittima di un sistema di legge che aderisce alla logica, alle idee … ma la vita è concretezza, quotidianità...

Se pensiamo poi al rapporto della morale con la legge scritta! La legge insegue la morale, ad essa cerca di conformarsi, ma essendo la morale sempre in continuo mutamento …. si hanno micro e macro tragedie. L'esempio più ridicolo e invadente che la storia ricordi è secondo me l'invenzione del purgatorio avvenuto a Parigi per merito del monaco Pietro il mangiatore (di libri), per salvare dall'infermo i mercanti.

La morale che più ci interessa è esattamente quella sessuale. Da essa dipende la coppia, in essa la coppia si fa famiglia, e ne “La finestra dei Rouet” abbiamo esempi dei danni che si possono creare se si ha pretesa di regolare un qualcosa che in ognuno di noi è di fatto autoregolato, ovvero la legge di natura, che nasce e diviene consapevole in ogni individuo con lo sviluppo sessuale all'inizio dell'adolescenza. Prima predomina l'egoismo che è uno strumento primordiale per la sopravvivenza individuale. Veniamo a qualche brano tratto dal libro:

“... aveva ricominciato a sentirsi viva: era avvolta da un'atmosfera di gioia amorosa...”

“Vive. Vivrà. Ha incominciato a vivere. La sua anima e la sua carne sono appagate. Lo incontrerà, rimarrà sola con lui. Vivrà l'unica vita che valga la pena di essere vissuta.”

Per Simenon si vive quando si ama. Si deve fare il possibile per amare, anche compiendo atti che la legge umana non permette? si. La legge di natura, secondo Simenon, non ha pietà. Essa non ha rispetto se non per se stessa. Premetto che su questo punto non sono in accordo con Simenon e mi spiego. La protagonista ha sposato il rampollo della ricca famiglia Rouet. Lui si ammala. Ha attacchi quotidiani. Lei gli da le gocce … e poi un giorno decide di non dargliele. È nella stanza di fianco. Lo sente rantolare. Non entra e senza quelle gocce lui soffoca. Deduzione. Secondo la legge di natura, lui che è tagliato fuori dall'erotismo, dalla carnalità, può soccombere, anzi deve, poiché la sua presenza, limita la vitalità di un altro. Per me è inaccettabile. Ho un'altra idea dell'amore. Immaginiamo una coppia. Uno dei due si ammala e non è più in grado di fare sesso... sarò un sognatore ma per me, la storia potrebbe andare avanti, poiché l'amore non si basa sulla sessualità. Sa trascenderla, andare oltre! Serve quasi sempre per l'innesco, non per il proseguimento.

Nella seconda citazione leggiamo: “...Vivrà l'unica vita che vale la pena di essere vissuta”... non va, almeno per me personalmente. Posso comprendere che la pulsione erotica sia potente, invadente oserei dire, ma essa è più in basso della mia concezione dell'amore.

Faccio notare ora un altro aspetto che mi distanzia da Simenon che comunque stimo e leggo con estremo interesse, consapevole che mi insegna molto: in lui non esiste il sacro. La vita è solo carnalità, è terribilmente, completamente e secondo me assurdamente laica. In me esiste un'intuizione del sacro che probabilmente per molti miei coetanei, sembrerà ridicola. Se solo ciò che è dimostrabile è veritiero, hanno ragione, ma il sacro non ha bisogno di avere a che fare con laboratori, teorie scientifiche e simili. E non si tratta dell'accettazione delle norme, in fondo sociali di un dio barbuto. Per spiegarlo uso la letteratura, mi faccio artista, ma senza ambizione, con umiltà. Nel blog si può assaggiare “Incubo bianco”. Penso che rimetterò anche in circolazione il racconto “Viagra”, dopo un'ennesima limatura, poiché in esso quell'intuizione, non so se ben resa, convive con la più bassa carnalità, nel tentativo di far comprendere anche quel che il linguaggio umano non è in grado di … spiegare. Forse anche “Ciliegi in fiore” rende l'idea del sacro, e senza miracoli gnomi o fatine. Ci penserò ...Esso, il linguaggio appunto, è nato per la vita, per la quotidianità, per risolvere problemi pratici che richiedono l'intervento di un'altra persona. La celebre frase dei Flinstones ne è un simpatico esempio: “Wilma dammi la clava!” ti serve uno strumento e devi saper modulare un verso che renda possibile il passaggio della clava da parte di … Wilma, ovvero di una comunità. Nel dialogo con se stessi, dobbiamo invece imparare a tenere staccati i pensieri dal linguaggio, così, senza i suoi limiti, vanno molto più nel profondo... Ora la lingua si è raffinata. Esistono bei paroloni come metafisico, ontologico (che giustamente somiglia molto a oncologico), ma a me sembrano più una malattia del linguaggio, una cancrena causata da una ristretta cerchia che cerca appunto di descrivere l'indescrivibile, il non razionale che è ben diverso dall'irrazionale oppure cose fini con un linguaggio nato per farsi passare la ...clava. Si tratta ovviamente dei filosofi... io son laureato anche in filosofia, ma mi ha fatto ribrezzo questo “gioco” del linguaggio. Spesso si ha una costruzione immensa di migliaia di parole e paroloni per approdare ad un significato piccolo piccolo. Non va, non mi piace. Non so se in futuro il linguaggio riuscirà a risolvere questo suo limite. Per ora accade che l'intuizione del sacro possa trovare casa solo nell'arte, nella letteratura, spesso nella forma a parabola che Kafka utilizzò … divinamente.

Penso a Hemingway, esattamente a “Per chi suona la campana”. Un capolavoro. L'intuizione di un destino da parte di una donna anziana è la chiave di tutto. La sua scelta di lasciare che la ragazza che protegge “vada” col protagonista e faccia esperienza della vita, avviene perché ha compreso che lui morirà. Una scintilla di divino. Diversamente non si spiega quella certezza. Poi l'amato Fitzgerald che visse un'epoca, gli anni venti del novecento, ne descrisse la malattia, ne intuì il crollo e crollò con essa …. un mondo senza sacro. Insisto su un aspetto. Il sacro non è una religione. Il novecento poi si ubriacò di religioni laiche come il comunismo, i fascismi, il nazismo che si differenzia dagli altri fascismi per il fatto che il culto del capo stava per diventare religione …

Il sacro è l'intuizione che esiste un'armonia fra noi e il tutto. Ci sono momenti nei quali ne sono pervaso e non è certo l'amore, nel mio caso per una donna, essendo io eterosessuale, a portarmi a questo. L'idea dantesca e della sua epoca, che una Beatrice, (per altri una Laura, secoli prima una Cinzia), possa portarmi a dio, simbolo del sacro, non mi sfiora, e il risultato è dato dall'esperienza che ho fatto nella mia breve e scalcagnata esistenza. Ho addirittura la sensazione che l'amore sia la distrazione che la carne ottiene per non pensare ad altro. La comunità, calarsi in essa, l'amore come massimo contatto con un altro essere. Ma si nasce da soli, e il primo atto è un pianto. Si muore soli, oggi più che mai. Si è soli davanti alla luce della vita. Ci si immerge nella comunità e nel sentimento di origine carnale, e non si pensa. Anche mangiare è una deviazione dal pensiero quando si allontana troppo dalla sua funzione base che è nutrirsi. A me non interessa che si pensi alla morte. Mi interessa il contrario. Pensare alla vita. Ci sfugge il sacro perché viviamo troppo la carne. Essa deve essere assecondata e compresa, ma la sua ebbrezza non deve diventare una ubriacatura perenne. Quando si scopre che ogni fame del corpo, sessuale o di cibo è uguale, non è mai sazia, questo circolo vizioso dovrebbe secondo me insegnarci che ci siamo impantanati, che giriamo intorno, a vuoto. E si rischia di arrivare avanti negli anni senza aver pensato. I sensi e le loro esperienze sono la base dalla quale prendere il volo. Se non accade così, se non si tratta di un trampolino di lancio ma di un vizio ripetitivo, allora, quando la morte giunge, si muore davvero, totalmente, irrimediabilmente.

Torniamo a Simenon e alla “Finestra dei Rouet”. Abbiamo una donna sui quarant'anni, Dominique, che abita in un appartamento che dà sulle finestre di casa Rouet. Lei vede la vitalità di questa moglie che uccide il marito (oppure come precisa il testo, non dandogli le gocce lo lascia morire). Lei vede la sua sensualità e la misura con la sua esistenza men che vuota. Figlia di un generale burbero che mai fece il padre. Membro di un clan famigliare estremamente selettivo ed esclusivista e di una madre arrendevole e senza carattere, si è ritrovata adulta senza sapere come si vive e senza soldi. È rimasta sola con un appartamento in usofrutto, ma non lavora e non ha rendite. Vive al minimo anche economicamente. Si vede costretta a “prendere” un inquilino e questi, nel giro di poco si porta la fidanzata che poi diventa moglie. Ha quindi espressioni di vitalità in casa e dalle finestre di fronte. Impara così, la vita. Guarda dalla serratura e vede tutto. L'amplesso, il membro eccitato del maschio, e ne è attratta e schifata. Quella è la vita, ma non sa come fare per farne parte. La sua comunità, l'unica nella quale aveva un ruolo, era il clan famigliare coi parenti, ma vivevano in varie città. Erano presenze non costanti e troppo regolate. Senza una comunità nella quale essere integrati, senza nemmeno l'intuizione della vita carnale … si soccombe. Bellissima è la descrizione del suo orgasmo in treno. Inizia, per l'edizione italiana, a pagina 134, (dal punto che inizia con: dovevano essere ormai lontani, oltre Digione...). Il tutto accade in una situazione di dormiveglia ed è innescato dal contatto fisico con un giovane militare che è seduto al suo fianco e si è addormentato. Spesso la sua testa “cade” sulla spalla di lei che si assopisce, ha uno strano sogno e … appunto un orgasmo che si attua in lei come una sensazione notevole ma incomprensibile. Ricorderà che le accadde solo un'altra volta, a sedici anni. In quel dormiveglia lei fa un sogno. Appare una vicina che abita in alto nel palazzo di fronte. È appena morta e per prima cosa vuole vedere lei, parlarle, dirle che ora che si è liberata del corpo sta bene, finalmente bene. Da qui si intuisce che la nostra quarantenne senza vita approderà al suicidio. Il corpo la tortura, il corpo che manda segnali che la spaventa, che non comprende, quindi del corpo si libererà.

Si tenga conto che l'intuizione della morte della vicina anziana della quale non ha certezza se non dopo il dormiveglia, non ha nulla della fattucchiera o del misterioso. Si tratta di un dato razionale che viene elaborato in modo non consapevole. Lei ha notato che da giorni la finestra di questa anziana vicina è rimasta chiusa; ... lei che tutti i giorni, con la pioggia, il sole o la neve, ci si metteva davanti per osservare la vita degli altri... come lei. Due escluse che vivevano … di altri. Si ricordi, e questa è una delle tante conferme, che in Simenon il sacro non esiste! C'è una terza persona che vive alla finestra. È la signora Rouet, la suocera. Non cammina quasi più e la sua esistenza consiste nel controllare la nuora, ora vedova, come prima controllava in tutto e per tutto la vita del figlio e poi degli sposi che vivevano nell'appartamento sotto al suo. Il suo significato nella trama è assai presente in Simenon. Si tratta di colei o colui che, col suo agire, limita la vitalità di altri. Ne “Maigret e il barbone” chi non permette alla coppia, e poi alla famiglia, di formarsi, quindi frena la vitalità, viene ucciso per annegamento.

Questo libro, “La finestra dei Rouet”, ci mostra anche i gradi di evoluzione di un rapporto di coppia normale. Mi riferisco agli inquilini della protagonista. Si conoscono e scatta l'intesa erotica, intensa e gioiosa. Essa, in casi normali dovrebbe evolvere nella nascita di almeno un figlio, situazione che dovrebbe, secondo Simenon, cambiare profondamente la natura degli amanti una volta fattisi genitori. La situazione normale la possiamo “vedere” in Maigret e il corpo senza testa”. Nelle prime pagine, abbiamo a che fare con due fratelli che vivono e lavorano su un barcone. Hanno vari figli. Sto procedendo a memoria. Mi sembra siano cinque, di cui uno appena nato e una delle due mogli è in dolce attesa. In Simenon il barcone è una dimensione congeniale poiché fonde insieme l'ambiente di lavoro e quello della famiglia. In quel contesto si intuisce che quelle due coppie son passate dallo stadio di amanti a quello di genitori con una continuità che oserei definire perfetta.

Nel caso de “La finestra dei Rouet”, la condizione perfetta, ideale, del barcone (che Simenon non si limitò a vedere, ma visse anche e quindi comprese dall'interno) non è presente. Lui non ha un lavoro sicuro quindi non può garantire alla coppia quella situazione che rende abbastanza naturale il passaggio amanti-genitori. Ho detto abbastanza poiché appunto per Simenon, il fatto di doversi assentare per tante ore per andare a lavorare, fa male alla famiglia. (Ha ragione ma trovo che attualmente sia un problema irrisolvibile). Cosa accade nel romanzo? Che la sessualità di coppia, che non può trovare il suo sfogo naturale, si trasforma in una di quelle situazioni che la morale definisce col vocabolo dispregiativo … perversione. Un rapporto puramente sessuale e consenziente di due donne con un uomo, per una notte. È solo la notte, quindi solo sesso. Non c'entra la vita quotidiana che rimane di coppia e tendente al suo naturale divenire, e infatti hanno dato una scadenza e stanno per andare in un appartamento tutto loro perché le condizioni di lavoro di lui son diventate più stabili.

Quando dico che Simenon, nonostante sia assai distante da me per quel che riguarda il sacro, è una lezione continua, non sto giocando con le parole. La sua spiegazione sul perché accadono situazioni prettamente erotiche, sessuali, diciamo non canoniche, è secondo me adattissima alla sua epoca e anche un poco, ma solo un poco ormai, alla nostra. Se la vita erotica non trova le condizioni ideali per evolversi naturalmente … crea degli adattamenti.

Anche in questo caso Simenon parla per esperienza e non per ipotesi o idee nutrite, ingrossate e farcite a tavolino. Il suo inizio di carriera ebbe ritmi frenetici e molte incertezze:

“ (A casa mia a Parigi) … Io sto là, nella veste di barman, maglione bianco a collo alto, ad agguantare una bottiglia dopo l'altra e mescolare i vari liquori. E ci sono parecchi rappresentanti di Montparnasse, da Foujita a Vertès e a … Ma a che scopo elencarli? Qualche volta c'è Josephine in persona, con tutta la sua gloria, e poi ballerine russe, la figlia di qualche ambasciatore orientale, e, alle tre del mattino, un certo numero di corpi nudi e altri corpi allungati su cuscini di velluto nero dove passeranno il resto della notte, mentre io, alle sei in punto, mi metterò alla macchina per scrivere le regolamentari ottanta pagine … (Memorie intime, pag 41)

(nota di colore … la Josephine citata era la Baker e … sentite un po'!: “perché ero diventato l'amico, come si diceva appunto in quel romanzo, di Josephine Baker, che avrei sposato se non mi fossi rifiutato, io che ero nessuno, di diventare il signor Baker. E sono persino andato, con Tigy, a rifugiarmi nell'isola di Aix, davanti alla Rochelle, per cercare di dimenticarla.”

Il caos dell'esistenza che si ripercuote sull'erotismo in una vita che ben poco ha di privato. Questo accadde nella vita di Simenon e accade alla coppia affittuaria della nostra protagonista. Qui il caos è compresso in pochi giorni, nel tempo della preparazione del nuovo appartamento che è comunque vissuto nella cattività della stanza in affitto.

Per spiegare invece l'affinità fra le frasi precedenti citate, quelle che riguardano la vita come vera solo quando si ama, ecco una citazione, sempre da “Memorie intime” che dimostra quanto Simenon fosse vero, e la sua invenzione letteraria prendesse sempre spunto dal vissuto e mai si trattava di un gioco puramente intellettuale preparato a tavolino: “Se a volte mi è capitato di inseguire qualcuno dei miei simili, si è sempre trattato di donne, perché ero continuamente a caccia di amore, di amore fisico e tenerezza. Ed è la caccia più estenuante e più scoraggiante che ci sia, perché nella società che ci siamo costruiti, o meglio che altri, più avidi e maligni, hanno costruito per noi, sempre più coercitiva, l'amore e la tenerezza sono più rari del diamante. Quella benedetta tenerezza, specialmente, che tutti noi sogniamo e di cui abbiamo un bisogno profondo, radicato nella carne, e che, non essendo quasi mai raggiunta e goduta, crea tutto un universo di scontenti, di automi infelici.” (pag 60 edizione italiana)

Questo pensiero, scritto da un Simenon settantasettenne, uomo vissuto e sconfitto minuziosamente, catastroficamente, questo pensiero dicevo, ci serve per comprendere altre sfumature de “La finestra dei Rouet”. La frenesia della vedova che nella carnalità cerca … la mai raggiunta tenerezza. La scena chiave è quella di lei ubriaca col mulatto, quando esce nel locale e vomita. Scena estrema dell'angoscia, di una ricerca di affetto.

Sono nel locale, la vedova trentenne e il suo nuovo amante mulatto. E' ubriachissima.

... lei piangeva sulla sua spalla del mulatto, come una bambina, si lamentava, commiserava lui e se stessa.

capisci almeno? … Dimmi che mi capisci … Ci siamo solo noi due adesso … Non c'è nient'altro … dimmi che ci siamo solo noi due e baciami, stringimi forte ...”

Il cameriere ci guarda”.

Lei volle a tutti i costi bere un'altra bottiglia, che rovesciò; le misero il visone sulle spalle; fuori inciampò sul bordo del marciapiede, l'uomo la sostenne passandole un braccio intorno alla vita, e a un tratto, vicino a un lampione a gas, Antoinette si chinò in avanti e vomitò; dagli occhi le scorrevano lacrime che non erano di pianto, cercava ancora di ridere e ripeteva:

Non è niente, dai … Non è niente ...”

Poi, aggrappandosi all'amante, che si girava dall'altra parte:

Mica ti faccio schifo, di'? … Giurami che non ti faccio schifo, che non ti farò mai schifo, perché ora sai …”

E aggiungiamo noi al silenzio che segue, “perché ora sai, ci siamo solo noi ...”

prima di tutto complimenti a Federica di Lella e a Maria Laura Vanorio. La traduzione è la loro e la trovo quasi perfetta. Dico quasi solo perché ritengo che agli umani non sia concessa...

Notiamo la scrittura. Termini quotidiani. Linguaggio necessario e sufficiente. Non c'è tempo per colorare, per andare a cercare in un cassetto della mente i pastelli-aggettivi. È diretto il rapporto fra il pensato di Simenon, che è rivivere per trasformare in parole, stati d'animo vissuti. Anche a lui, come a noi, è capitato di stare male e di dire “perché sai, ci siamo solo noi ...”

scrittura sincera e vera, quindi geniale. Come è geniale la semplificazione della pennellata e della tavolozza nel Picasso del Periodo blu, figlio di un grande e vero dolore e, per la stessa dinamica, la poesia di guerra di Ungaretti.

Della citazione presa a pagina sessanta di “Memorie intime”, ci serve anche il frammento che riguarda la coercizione della ricchezza. Esso ci aiuta a comprendere la figura della signora Rouet, la suocera. Coercizione esercitata sulla necessità fondamentale … la tenerezza.

Veniamo ora a quelle che un bachettone chiamerebbe deviazioni sessuali. E osserviamo il nostro tempo. Immagino una lei che abita lontano per lavoro e un lui che … altrettanto. Lavori ovviamente instabili, come si dice attualmente, precari. Riuscite a vederla la distanza non tanto dalla situazione ideale e perfetta del barcone-casa di “Maigret e il corpo senza testa”, ma dalla classica coppia che va al lavoro e che già scende, agendo così, a compromesso con la legge di natura? Ma che in fondo, in confronto a due precari distanti è … principesca?

Io si. E tanto. Tante persone hanno pagato un prezzo altissimo per questo, rimettendoci equilibrio, salute e spesso un rapporto. Nel vivere insieme, la sessualità si stabilizza, nella distanza salta. In più immaginiamo persone che abbiano un passato che non corrisponde, non accade mai, alla perfezione evolutiva dell'esistenza. Ricordo una ragazza che aveva l'ossessione della pulizia. Qualcosa di estremo. Mai ha capito che era patologica, nemmeno contava dirglielo. Era la sua normalità. Non era calata nel clan famigliare, ma distante, prima per studio e poi per lavoro. Se viaggiava e doveva cambiarsi maglia, per esempio perché iniziava a far caldo, la metteva dentro un sacchettino e poi nella tasca esterna del trolley. Quando arrivava alla meta, causa quella maglietta, così diceva, lavava tutto il contenuto della valigia... Dove abitava la chiamavano “quella della lavatrice”, poiché era sempre in funzione e quando andava la centrifuga … si sentiva bene per vari isolati. Veniamo a un confronto con Dominique, la quarantenne troppo sola de “La finestra dei Rouet”. Ovviamente è un'altra epoca, ma non “sentite” una certa somiglianza con il suo (di Dominique) passeggiare, consapevole di essere notata e derisa dalle operaie del cartonificio? Il suo osservare la vedova Rouet ormai scopertamente senza riuscire a controllarsi, a farlo con discrezione, sapendo che non è bello ...! Quel trovare l'anomalia che si vive, così necessaria da non riuscire più a rinunciarvi nemmeno se si è consapevoli che è stigmatizzata e in sé esagerata… invece di comprendere che rappresenta la parte affiorante del problema, una notte che gestisce la quotidianità come una febbre! poiché è il sintomo di uno scombinamento generale. Sommate questo esempio alla distanza sia da un eventuale partner e dalla comunità originaria e avrete, per esempio una persona estremamente emotiva, sempre al limite.

Ho descritto una situazione che prende parzialmente dalla realtà, ma non ha a che fare con una persona concreta in tutte le sue parti. abbiamo comunque così due realtà oggi per nulla estreme. Una sul lavoro precario, una su un'instabilità interiore che si manifesta in manie ossessive ed emotività a fior di nervi. Troppo emotivi, per mancanza di tenerezza, dono questo che può prendere forma solo partendo da certe basi che per essere elaborate e predisposte richedono consapevolezza, equilibrio e ... buona sorte.

Ecco come vedo l'umanità odierna. Senza comunità. Vai dove ti porta il lavoro, e sei forse inserito in apparenza, ma mai completamente. Completamente, vuol dire esseri nati, aver condiviso la vita. Per "sentire" la portata di questo valore, si legga “Il piccolo libraio di Archangelsk”. In più sommo appunto uno sviluppo adolescenziale precario ora assai diffuso, e la difficoltà di passare dalla situazione di amanti a quella più stabile di coppia forse con prole...  forse, perché attualmente fare un figlio … è un atto di irresponsabilità verso il bilancio famigliare che conta più del cuore e si rimanda giorno per giorno l'angoscia del bilancio risicato. Il non farlo è in fondo paura della vita? o a forza di rimandare la vita sfugge ed è finita, si è troppo vecchi per tutto, anche per se stessi...

Noticina a piè di un ragionamento. Più che all'iperigienismo che in fondo è abbastanza raro ed è solo un caso fra le miriadi di manie che accumuliamo in quanto sradicati e con una sessualità sbalestrata, si pensi alla mania, che ormai è considerata una normalità, di presentarsi agghindati perfettamente ma, in effetti omologati. Perfezione esteriore che costa ore di attenzione … su ben poco, poiché la profondità che dovrebbe reggere quell'apparenza, o esserne in sintonia, rappresentarla, richiede il lusso più grande, il tempo al quale, solo rinunciando alla ricchezza, e al suo inseguimento o mantenimento, possiamo accedere. Tempo, ricco lui veramente, di sensibilità … e anche di tenerezza.

Ma questo esempio costruito su tre variabili sempre presenti, rapporto con la comunità, equilibrio interno e sessualità sofferta, possiamo trovarla anche in una quotidianità più comune e riuscita. Si lavora e si torna a casa con il pensiero del denaro, del bilancio, del desiderio di oggetto che mai ci lascia in pace. Si cerca amore, la coccola è diventata abitudine e il sesso, senza il suo contorno di corteggiamento continuamente rinnovato approda quasi sempre all'orgasmo, ma quasi mai alla tenerezza. È come per sentire le mille sfumature della grande musica. Occorre silenzio e nella nostra vita non esiste più. Puoi tacere, ma è il mondo intorno, come un grande meccanismo a fare sempre … rumore.

Problema tecnico de “La finestra dei Rouet”. È molto lento. La descrizione delle situazioni è minuziosa … per un'epoca abituata a libri pieni di trama, di un'azione che si ribalta e stupisce ad ogni pagina, questo sembrerà una noja. …. E invece è oro, e merita non solo di essere letto, ma riletto con umiltà, con calma, col tempo che non avete ….

Simenon è un mondo. Non condivido tutto ma mi aiuta a pensare, a crescere, a capirmi, a capire il mio passato, certi miei comportamenti che mi stupiscono ma hanno un senso spesso sorprendentemente coerente anche se solo scavando un po', come quel quadro di Balthus del ciliegio...
Chiudo con un brano da Memorie intime: pag 51

Sempre, in tutta la mia vita, ho avuto grande curiosità per ogni cosa, non solo per l'uomo, che ho guardato vivere ai quattro angoli della terra, o per la donna che ho inseguito quasi dolorosamente, tanto era forte e spesso lancinante, il bisogno di fondermi con lei; ero curioso del mare e della terra, che rispetto come un credente rispetta e venera il suo dio, curioso degli alberi, dei più minuscoli insetti, della più piccola creatura vivente, ancora informe, che si trova nell'aria o nell'acqua.”

E poi, breve e stupendo …

... Quella grande culla vivente che è il mare ...”

ciao   




lunedì 2 settembre 2013

Londra, 20 agosto 2013....




Il 20 agosto a Londra, muore Moritz Erhardt... aveva ventun anni. La notizia sui quotidiani è durata due giorni e poi è sparita. Non si tratta di una morte diciamo normale, ma causata da un eccesso di lavoro. Settantadue ore consecutive. Non era la prima volta che gli accadeva. Si trattava di uno stage presso una banca molto nota. Non riporto il nome poiché non intendo stigmatizzare un'azienda ma un sistema. Si trattava di uno stage pre-laurea pagato anche abbastanza bene. La follia secondo me sta nell'aver accettato di sottostare ad una situazione simile. Se lo avessero proposto a me li avrei mandati a quel paese. Non sono migliore di un altro se accetto situazioni così assurde e invece è questo il messaggio che passa. Su un quotidiano di fianco alla foto di questa vittima, c'era scritto “Talento”. Ma talento in cosa …. nel farsi sfruttare?

Ci interessa un curriculum? Va bene, si faranno dei sacrifici per renderlo interessante, ma esiste un limite oltre il quale si va nell'assurdo. Il male comunque è così generalizzato e diffuso che gli esempi si sprecano. Io che ho avuto in sorte di passare qualche estate sulla famosa riviera romagnola, ho visto spesso, troppo spesso, quasi sempre, dipendenti stagionali strapazzati oltre ogni limite. E questo esempio che guarda verso il basso dimostra che lo stagista a Londra, che prende settemiladuecento euro per sette settimane, dovrebbe comprendere, come lo stagionale di riviera, che se chi pretende, supera certi limiti, va lasciato al suo destino. È ovvio che lo stagionale è in un certo senso costretto ad accettare orari di lavoro massacranti poiché così la situazione, per chi non ha lavoro, per chi lotta quotidianamente con la sopravvivenza, e che costringe ad accettare gogne tristi. Questa categoria è vastissima ma non riguarda quel ragazzo. Non c'era altra necessità che nutrire un curriculum e quindi l'ambizione, ma l'ambizione di cosa?.

Ognuno di noi si faccia un esame di coscienza e mediti su quanto segue. Se lo stipendio ci serve per vivere, siamo in quella categoria che potrebbe essere costretta prima o poi, ad accettare situazioni diciamo poco umane, poco civili. E non si pensi a stipendi bassi.

Io immagino anche colui che prende per esempio cinquemila euro al mese e ha creato un tenore di vita tale che in quei trenta giorni che li ha guadagnati, li spende tutti.... se la mettiamo in quest'ottica, vittime di cilindrate potenti che mensilmente salassano, di rate su tutto, ci accadrà che un gradino alla volta, si accetterà l'abiezione. Vedete … il gradino in sé è una piccolezza, è quasi tollerabile, ma un gradino oggi e uno domani, ecco che inconsapevolmente ci si trova in un abisso. Se ci si volta, per un attimo si potrebbe inorridire valutando quel che era un passato forse normale, civile, coerente, nel quale il lavoro era in funzione della vita e non la vita del lavoro. Anche per questo motivo la nostra epoca evita il passato, poiché come l'artista vero, rappresenta una coscienza fastidiosa. Questo metodo subdolo e involontario dei gradini, sporca qualsiasi istanza morale. E il lavoro, se dalla morale viene sradicato e si fa suddito solo dei bilanci e dell'arrivismo fine a se stesso, diventa una mostruosità.

Mi si può dire, l'ho accennato prima, che la necessità in molti casi costringe ad accettare situazioni infami. Ne so qualcosa. Io vengo dal nulla più assoluto, ma ho preferito lasciar perdere, rinunciare a certe proposte veramente indecenti ma grondanti contante. Penso spesso ad una frase di Van Gogh, che si trova nelle lettere che inviava a suo fratello Theo. “Per riuscire serve l'ambizione, ma l'ambizione mi sembra assurda”. E ce lo dice qualcuno che nel suo campo è indiscutibilmente riuscito come pochi nella storia dell'umanità. Non si pensi che lui stesse parlando solo del suo essere artista, ma della vita in generale. Non vendeva niente o quasi, era consapevole in anticipo delle critiche che sarebbero state mosse alla sua opera, ma non si arrese. Il punto è che, se perdiamo tempo per l'ambizione fine a se stessa, essa ci assorbirà, alla fin fine completamente. Arrivare arrivare arrivare, là in cima, ma ...perché! Per i soldi, la potenza (detta anche potere...)? Ma la meta deve avere sempre e comunque un senso. Arricchirsi non è un valore sufficiente, ma una premessa per fare qualcosa di preciso e consapevole e l'ambizione è il modo di agire che si applica su una visione chiara di quel che vogliamo fare. Chi è solo e semplicemente ambizioso è già rovinato e irrimediabilmente in partenza, anche se è un adolescente, anzi, peggio se è un adolescente. Cosa vuoi dalla vita? Soldi. E quando li hai? Vivo. Ma i soldi non si vivono, si spendono... Nelson Rockfeller, quando gli chiesero se la ricchezza portava la felicità. Rispose che non la porta, ma permette di pagare un gruppo di esperti per studiare il problema …. chiaro, non trovate? Ed è detto, con ironia anche perché di esperti sulla felicità non se ne conoscono, ed è detto dicevo, da uno che era più ricco degli Stati Uniti. Ricchezza e felicità sono, e aggiungo fortunatamente, due aspetti della vita non incompatibili, e non necessariamente presenti insieme

Facciamo un esempio: anche un'operazione banale come comprare, fare shopping, richiede gusto e se interpretata come una meta, ovvero il poter comperare di tutto, è sintomo di follia. Follia diffusissima purtroppo. Comperare è un'azione. Questa azione deve essere preceduta da un ragionamento, non da un impulso, quel che si chiama appunto shopping compulsivo, e che consiste nell'uscire con l'idea di acquistare senza un motivo o una necessità.

Cosa ha spinto Moritz Erhardt, all'età di ventun anni, ad accettare uno sforzo così al limite da averci rimesso la vita? L'ambizione ovviamente, ed è tristissimo. Mi domando se una società che è riuscita a far credere ad un ragazzo di quell'età che quella era una scelta giusta, non sia ridicola. Vince chi guadagna di più o chi lotta per la felicità? E guardate che quella parola, F E L I C I T A', non è una chimera.

Io penso questo della vita. Più si è, e siamo miliardi, più diventa evidente che l'unica legge è il caso. Quel che si deve fare è prepararsi ed essere pronti e, quando (o se) l'occasione si presenta, saltarle in groppa. Ma se l'occasione che ci viene inculcata come fondante è solo far soldi, allora la faccenda si fa triste. I soldi sono possibilità, entro un certo limite sopravvivenza, ma poi possibilità … Ho amici che guadagnano cifre astronomiche e non hanno tempo, io volo basso, ma so cos'è un tramonto. Per me un tramonto non è solo una parola o un evento fisico. Ricordo un giorno a Milano che mi presentarono un tipo munito di vettura che vale quanto un appartamento, orologio che vale quanto un appartamento, cartella portadocumenti che vale quanto una macchina di media cilindrata e abiti che valgono quanto un'utilitaria. Aveva di fianco un figlio settenne. Me lo presentano e mi chiede dove abito. Glielo dico e faccio presente che la mia casa è a cento metri dalla spiaggia. Vedo nel bambino uno sguardo sognante. Chiedo se gli piace il mare e mi dice si. Poi aggiunge che l'ha visto solo in televisione. A questo punto mi arrabbio veramente col padre. Prima lo prendo in giro poi lo massacro. L'Italia ha circa cinquemila chilometri di coste e un bimbo italiano a sette anni non ha mai visto il mare!?! il padre mi guarda con odio, è sempre stato assecondato e lisciato proprio perché vistosamente benestante e non poteva immaginare nemmeno lontanamente che un essere deviato, un artista, che preferisce un tramonto ad un'auto di lusso, potesse ancora esistere, ma purtroppo per lui siam sempre esistiti … l'ho infamato, ma ho ottenuto qualcosa. Una cartolina con su scritto ho visto il mare, mandata da quel bambino qualche mese dopo.

L'artista vero è la coscienza sporca di un'epoca. L'esempio più evidente è Fitzgerald. I suoi romanzi mostrano la follia amorale degli anni venti americani. Lui aveva capito cosa stava accadendo e aveva visto, calcolato al millimetro, il baratro che li stava inghiottendo, lui compreso. Io non so nulla del mio valore; non devo, non posso interessarmene, ma sento che devo proseguire per la mia strada che è purtroppo solitaria e difficile. Ma pensateci un Po'! a ventuno anni, per ambizione in fondo solo di denaro, il denaro che è un mezzo e non una meta, ha accettato più di un turno di quattro giorni consecutivi, senza sosta, senza tregua, di lavoro! E se resisti sei bravo? No, sei uno schiavo con i soldi, ma i soldi se non hai avuto tempo di pensare, di capire te stesso, per cosa li usi? E lo sappiamo che si compreranno oggetti ... ne abbiamo le case piene. E anche le donne, e in generale i partner, poiché il problema riguarda tutti, diventano oggetti. Ma un partner comprato, un oggetto comprato e non studiato, meditato, compreso, che senso ha? Produrranno solitudine e angoscia.

Non sono luoghi comuni. Avrete certamente letto di quanti divorzi hanno avuto come causa scatenante la crisi economica. Non garantisci più un certo tenore di vita al partner e il giocattolo si rompe. E' accaduto poiché quei rapporti si reggevano sulla falsa convinzione che felicità e denaro siano sinonimi. E quanti comprano oggetti carichi di prezzo senza valutarne il senso! Ho visto acquistare opere scellerate per cifre folli e l'unico movente per quella spesa era la moda, averlo in salotto, essere al passo col proprio ambiente. Opere che spesso sono solo apparenza, mercato ma purtroppo non di rado gioielli di profondità, frammenti di anima veri. Con lo stesso pensiero non pensato, si compera un Tiziano o , per esempio un duchamp (minuscolo meritato...).

Ricordo un uomo che ricevette in dono dal padre una Porsche. Non sto inventando, era un mio prof delle superiori.... dopo un annetto non resistette, la vendette e lo si vide girare con una macchina famigliare indubbiamente decente ma molto meno costosa and vistosa della precedente. Gli chiesero perché aveva fatto così, rispose che nella Porsche non ci stavano le canne da pesca. Quando si è allontanò lo derisero, ma la sua scelta era, anche se per un fatto irrisorio, nella direzione dell'essere, e non certo dell'apparire. Non aveva dimenticato che, se la riduce all'essenziale, un'auto è un mezzo di trasporto … ma per molti, per troppi una protesi, un prolungamento del pene....

Che il nostro io si senta migliore di altri in relazione alla qualità e quantità degli oggetti che possediamo è osceno, ma se osserviamo la nostra esistenza ci accorgeremo che è questo il meccanismo che ci ha deformati, travolti. E come è accaduto? Un gradino alla volta, un oggetto alla volta, sgranati, nel tempo. Mi si potrebbe dire che predico bene e razzolo male poiché ho tante cose belle ma … primo, non sono tante, secondo, io mi affeziono agli oggetti, sono, come direbbero i filosofi, un po' animista. Per me cambiare macchina è sempre un dispiacere. La mia auto è piena di ricordi. Mafalda, Tata, Sophie, Tonino Guerra, Danelia eccetera ...un amore che di fianco a me venne a vedere un lago che intensamente mi ricordava mio padre… per questo poso dire che le mie scelte non son compulsive. Amo per esempio per la casa, gli oggetti disegnati da Richard Sapper. Aveva “la fissa” della durata. Dovevano “vivere”, le sue creazioni, almeno quanto una vita e così la loro morte, (anche gli oggetti muoiono, si feriscono, invecchiano), e così la loro morte non ci colpirà e ci sarà meno sofferenza, anche se non comparabile con la dipartita di un essere vivente. Solo dei doni non mi considero responsabile e quindi colpevole. Ne ho ricevuti di notevoli di irreali e di assurdi. Spesso stanno relegati in una stanza che chiamo coscienza, nella quale si stratifica quel che è mio controvoglia e, quando credo che donare quei doni sia ormai senza offesa per chi me li ha donato, li libero da quella stanza senza tempo. Anche gli oggetti devono vivere, hanno diritto di esistere … e per esistere non è mai mai mai sufficiente esserci.

E penso alla London school of economics. Un figlio di Gheddafi ci “comprò” un titolo di studio, ma tuttora quella scuola è ambita. Io l'avrei chiusa e messo in galera chi ha “venduto” quel titolo. É come l'Università Bocconi, nella quale qualche studente di famiglia non abbiente è stato invitato ad andarsene. Solo figli di gente che ha l'azienda! E chi invitò ad andarsene si chiama Monti e fa il senatore a vita, l'onorevole eccetera; chi fu così maltrattato, resistette e riuscì comunque a laurearsi, fa l'onorevole giustamente arrabbiato. E chiudiamo pure la Bocconi! Intervista fatta davanti a questo tempio del nulla: “a cosa ambisci?”, “ Ad un lavoro da almeno settemila euro al mese...” e io lo prendo, aggiungo una enne a euro e lo sbatto alla neuro. Qualche clistere alla menta, così ha un retrogusto di freschezza che potrebbe piacere … lo farei per dare almeno l'illusione che parte dello schifo che hanno dentro, sia eliminato, e poi un po' di silenzio e di Beethoven, con quei la e sol iniziali della Quinta che sono il destino, quello vero, che bussa all'anima che non hanno, per far sentire il peso angosciante del loro essere veramente e completamente, il nulla, e poi a zappare la terra, a “sentire” la vita, come quel protagonista proprietario di terra di “Anna Karenina”, che nel corpo, del corpo si sforzò di comprendere il linguaggio della vita. Settemila euro al mese! Ma mi dicesse una casa, che è sicurezza, una famiglia, un amore … ma anche una collezione di quadri o di farfalle rare, o della beneficenza! E invece no!!! Minimo settemila euro secchi. Senz'anima.

E su questa china ci siamo da decenni.