lunedì 11 marzo 2013

E. M. Forster: "L'omnibus celeste"



Istruzioni per l'uso di questo post:

leggere il racconto “L'omnibus celeste” nella traduzione di Gabriella Fiori Andreini. Io ho la prima edizione della Feltrinelli economica, con la copertina gialla che è del 1980. Non so se è ancora reperibile in libreria, ma potete trovarne delle copie sul sito comprovendolibri.it.

Altra avvertenza. Leggere il racconto più volte. Consiglio di affrontare una prima lettura e il giorno dopo una seconda. Con la prima ci impossessiamo della trama, con la seconda, entriamo, ma ancora non completamente, in sintonia col testo e, secondo me dalla terza in poi, ormai capaci di camminare fra le parole senza inciampare, il valore del racconto inizierà ad illuminarci.

Se vi consiglio un minimo di tre letture non è certo perché vi considero “de coccio”...

Ho descritto il percorso che io stesso ho compiuto! Ci si deve guardare come se fosse un appestato da chi pretende di parlarci di un'opera artistica dopo averla “letta” una sola volta. Le virgolette che trovate intorno alla parola “letta”, stanno a significare che tutte le opere, che sia un film, un brano di musica, una canzone, un quadro, una scultura e … ovviamente anche un cibo, per essere compresi e non limitarsi a scivolare sulla trama, sull'azione o incespicare nel linguaggio e nella tecnica, necessitano di più “letture”.

Iniziamo a dare qualche spiegazione di premessa: La traduzione.

Attualmente chi traduce, facendo un paragone che non intende far ridere e nemmeno sorridere, è ridotto, come importanza, al ruolo che ha il bidello, nel complesso sistema di una scuola … serve anche il bidello, mi si dirà, e sono d'accordo, ma nella mente di tutti, nella quale purtroppo, pensateci, non è la ricerca dell'armonia a trionfare, ma la scala del successo, il bidello sta in fondo, col compito ingiusto di tenere la agli altri scala e lustrarla. Se si prende un volume degli anni venti del novecento per esempio, che ha avuto bisogno di traduzione, vedremo che questo attuale “bidello”, ovvero il traduttore, presenta, con una prefazione, il tipo di fatica che ha affrontato. È un po' come se il bidello, quello vero, dicesse al ragazzo “guarda che il prof di mate è interista … se vuoi iniziare col piede giusto fai sparire quel berretto!” anche la semplice info dei bagni, è importante quando si approda ad una nuova scuola e … un artista è una “scuola” a tutti gli effetti. Auguro sedute di cacarella e malanni simili a chi legge per puro divertimento! Un libro vero può far anche ridere, ma non è con questo intento che viene scritto! Ricordo quanto mi son divertito ad immaginare il giovane protagonista della Recherche che viene invitato ad entrare nella stanza di toeletta di una nobildonna sua amica … nel dubbio linguistico che qualcuno può porsi, la stanza di toeletta era quella dove ci si truccava ed agghindava … ebbene, il ragazzo-Proust, entra e dice che non la vede. Lei ringrazia e lo considera un complimento. Anche il marito della nobildonna ride, e scopriamo che la chiama “piccolina” con una certa ironia condivisa, poiché lei è più o meno come un vagone ferroviario! Proust ci presenta un mondo e poi con lui, in esso, passeggiamo, e capitano situazioni comiche, ridicole, tragiche. È la legge della vita! Ma chi pensa che una situazione transitoria sia l'intenzione dell'autore, ha sbagliato tutto.

Il traduttore quindi, la traduttrice in questo caso, è importantissimo. Se un violinista mediocre ci suona un brano, che sia di Bach o di una persona qualsiasi, il risultato sarà mediocre, ricordarlo sempre! Il problema a questo punto è la situazione inversa. Immaginate il brano mediocre che viene interpretato da un grande ed ecco che ci piacerà nonostante i suoi limiti. Come difendersi? con l'esperienza. Se Mina canta una canzone stupida, si apprezza Mina e non la canzone. Se Mina canta “sei grande grande grande ...” dobbiamo disporre dei sensori sufficientemente allenati per comprendere che è grande sia Mina che il testo.

Nella letteratura, il ruolo del traduttore non è meno difficile che per il musicista. Una lingua esprime una italianità, una germanità, per esempio, che va preservata, ma che si perde se di quella origine ben poco sappiamo. Se della Gran Bretagna conosciamo i Pub, qualche stadio e l'Hard Rock Cafè, di Londra, beh, ammettiamolo, della Gran Bretagna conosciamo ben poco. Non basta quindi andarci in ferie. Non basta in fondo, nemmeno viverci. Essere nativi è una sensazione, un odore, una misura della vita decisamente unica! Dobbiamo rassegnarci quindi al fatto che, per esempio, il qui presentato, Edward Morgan Forster, mai ci sarà accessibile completamente, e anche per i suoi compatrioti, l'operazione inizia ad essere complessa, poiché il suo essere Britannico appartiene ad un'epoca diversa da quella dell'attuale lettore, e non c'è libro di storia in grado di colmare questa lacuna. L'opera che esaminerò è quindi distante, per voi, come per me, sia dal punto di vista del tempo, pubblicato nel 1911, che dello spazio, la Gran Bretagna.

Quando accade che queste barriere crollano? Davanti al CA PO LA VO RO.

Un esempio. “Il Processo” di Franz Kafka. É un testo universale. Praga, quella Praga cosi celebre in quanto luogo di Kafka, esistette ed esiste realmente ma, quando affrontate il testo, vi rendete conto immediatamente che si tratta di un luogo metafisico. Ho usato la parola “metafisico”, io che cerco di essere semplice! Vi invito, per comprendere quella parola, a non rivolgervi ai vocabolari della lingua italiana oppure a quelli specifici della filosofia … no! Guardate i quadri di pittura metafisica di Giorgio De Chirico, se volete veramente comprendere. Se guardate le date di quelle tele, vi renderete conto che, quella visione è irreale per quell'epoca, ma è fatta di cose reali, case, strade, piazze, statue eccetera, ma nulla ci offre un appiglio con una realtà localizzabile. Ecco il luogo metafisico. Un posto fatto di cose vere, prese dalla vita quotidiana, ma reso diverso dalla … mente. Da qualcosa che la mente, che si lascia andare, riceve e trasforma in oggetto percepibile ai sensi: la vista per De Chirico, e … per Kafka? Ecco uno dei misteri della letteratura! Essa non è legata direttamente ad un senso. Anzi, non lo è più. Attualmente leggere equivale a ingerire nozioni e farne una immagine mentale, immagine di tutto, suoni, odori, ruvidezze di stoffe eccetera. Anticamente, la voce, come il canto, era la materia palpabile della letteratura tutta e di un senso, l'orecchio, che reagiva. Sensuale, cioè che usa un senso e quindi può dare piacere. Qualcuno leggeva e gli altri ascoltavano. Qualcuno recitava un testo. E poi son spariti, scenografie, compagni di ascolto e il suono della voce. La letteratura si è staccata dalla musica, con la quale condivideva lo strumento necessario del ritmo, ed è diventata rarefatta. Materiale che utilizziamo per creare immagini nella mente, ma immagini personali. Quel che io “vedo” dopo una lettura, è diverso perché io son diverso da qualsiasi altro lettore. E qui nasce un caos che non si può evitare. Solo una divinità, che dovrebbe possedere tutte le esperienze, risulterebbe quindi in grado di comprendere perfettamente un testo? E penso alla miseria di essere un dio. Per lui ogni frazione di prodotto di un mortale, deve sembrare qualcosa di estremamente limitato. Deve ben far sorridere la vita, se la si guarda dal binocolo dell'eternità. E invece secondo me, anche per la divinità esiste una sorpresa! L'artista, quello vero che si lascia andare e lascia sgorgare dalla sua profondità un'immagine, ha un vantaggio anche sulla divinità. Il suo inizio è in Lei, ma la luce che accende ha come energetico qualcosa che anche a Dio sfugge. Se fosse diversamente, cosa se ne farebbe una divinità del genere umano? Niente. Meschini, talmente peccatori da meritare diluvi e roba simile, quante volte Dio medita il nostro annientamento, ma poi allunga la mano sul comodino e rilegge la scena dello spettacolo teatrale di Woland a Mosca e si diverte... e mentre si diverte il tempo passa e noi, in barba alla sua volontà distruttrice, viviamo. Legge poi, sulla copertina, quel nome, Bulgakov, con riverenza, e commosso lo ringrazia. Anche gli dei hanno sete …

Tornando a Giorgio de Chirico, vi consiglio di allargare il raggio d'azione e leggere “Ascolto il tuo cuore città” (per scoprire, fra le tante cose, quale significato ha la statua nella pittura metafisica...) di Alberto Savinio e ricordare che la definizione di Uomo Metafisico, la diede lui nello scritto parigino “Canzone della mia morte”. Alberto Savinio, ovvero Andrea de Chirico.... Il fratello, che ormai, col tempo, e giustamente, sta acquisendo il giusto valore, anche se ancora per pochi. Io li ho sognati spesso insieme. Andrea che dialoga col fratello, in una certa birreria di Monaco di Baviera. Andrea che insegna a Giorgio a vedere con la mente e così, il paesaggio che possono godere dal tavolo, mentre bevono birra, si fa metafisico. Savinio diceva che dopo i quarant'anni non abbiamo più bisogno di “andare“ al mare. Il mare, a quell'età, a forza di averlo cercato e vissuto, lo si dovrebbe avere dentro, e quello è il mare che un artista deve mostrare. Ricordo con piacere Angelica, la figlia di Andrea di Chirico, così felice di scoprire che per me, suo padre era letteralmente un genio! Ricordo qualche quadro di Ruggero Savinio, il figlio di Andrea de Chirico, con l'ombra eterna di un così grande padre che veglia su di lui, eternamente figlio. Basta coi ricordi. Torniamo a noi...

Dicevo che se un'opera artistica è un CA PO LA VO RO, quei problemi di spazio e tempo non esistono. È solo necessario che il lettore si sforzi in ripetute letture ed ecco che il salto, sia temporale che spaziale si compie. Un esempio? Dante Alighieri. Leggere l'Inferno, la prima volta, è avventurarsi in un terreno accidentato. Si “sente” il medioevo, la sua presenza è troppo forte e aspra per riuscire a trarre qualche beneficio dal testo. Digerendo le note a piè di pagina e leggendo e rileggendo, la distanza si colma, la patina del tempo viene scrostata ed ecco il capolavoro. È per questo che tante immagini dantesche tuttora irrorano di colore e vita la lingua italiana!

Un altro esempio? Prendiamo “essere o non essere” dello Scuotilancia da Stratford! Quelle parole! Magnetiche, complete, infinite, allora come ora. Dal periodo elisabettiano a quello berlusconiano in agonia, senza un graffio al suo cristallo!

E Rilke nelle “Elegie duinesi”, per toccare le vette, fino al Trilussa … quanta arte ha sconfitto il tempo. E ricordate che la vita della divinità, è senza tempo …

L'omnibus celeste” è un'opera metafisica. Essa non sconfigge, ma annulla quella creazione dolorosissima del pensiero umano, che è il tempo.

Se può sorprenderci e ancorare ad una data, il fatto che l'azione si svolga per mezzo di una carrozza, vedrete che, procedendo nelle riletture, essa diventerà irreale, e comunque nel racconto troviamo anche un treno che può aiutarci ad affrancare la carrozza dal calendario. Tuttora, se si volesse si saprebbe dove reperire una carrozza. Essa è diventata obsoleta, ma non è sparita, quindi è ancora possibile, appartiene ancora alla nostra realtà. Immagino, fra qualche secolo, se carrozze e treni non saranno più nemmeno ricordi ma solo immagini chiuse in una memoria di computer che equivale esattamente a dire in un cassetto, immagino, dicevo, il lettore, che per staccarsi dal suolo con essa, dovrà faticare solo un po' di più, come capita, secoli dopo, al lettore di Dante.

Devo dirvi qualche cosa di Edward Morgan Forster? Penso non sia necessario. Il racconto regge benissimo anche se di lui ci mancasse persino l'identità. Solo un particolare devo “raddrizzarlo”. Molti conoscono i film di Ivory, che son “presi” dai suoi romanzi. “Camera con vista”, “Casa Howard”, “Passaggio in India”, “Maurice” e forse dimentico qualcosa. Ma … aver visto i film non è come aver letto il libro. E in questo caso, particolarmente, la differenza è evidente. Più che la differenza, l'abisso...

Nei film si possono apprezzare i costumi, le recitazioni, ma l'idea, l'anima di Forster, non è stata nemmeno sfiorata. Capita spesso, e la critica non aiuta. Si comprenderà meglio quel che intendo dall'interpretazione di questo racconto e, in futuro, quando ne avrò voglia e tempo, dalla “lettura” di “La storia di un panico” tratta dalla medesima raccolta di racconti.

Offro un altro dato, assolutamente non necessario, ma che non riesco a trattenere. È come i pizzi sulle poltrone delle vecchie zie, non servono, … ma in fondo servono...

Edward Morgan Forster, nacque a Londra il primo gennajo del 1879 e se ne andò nel 1970. Vi ricordo anche che fu amico e frequentò Virginia Woolf, una delle artiste più grandi di sempre.

Veniamo al racconto e ora, prosegua nella lettura solo chi ha letto e riletto almeno tre volte! Chi agisce diversamente si ricordi che si comporta come quella persona che bara mentre fa un solitari con le carte! Quel che accade da questo momento è cogliere come si percorre la “via”; ci si deve mettere alla prova …

Delle diciannove pagine dell'edizione Feltrinelli tradotta dalla Andreini, prendiamo ora in considerazione il primo capitolo.

Un ragazzo abita in un certo paese, Sorbiton. Conosciamo anche il nome della via e, l'edificio che al numero 28 ha un nome preciso che è Agathox

Nella via c'è un cartello e ci si legge “per il cielo”; (per i testi metafisici, quindi mentali e fuori dal tempo, si può usare il presente. Non ci interessa se Sorbiton esiste. Esisterà in noi. Non ci interessa, in Dante se Firenze sia esistita. Esisterà in noi quella dantesca, dopo la lettura).

Dalla mamma viene a sapere che dei ragazzi lo hanno attaccato tempo fa. (Si noti come si coglie subito che la traduzione sembra appartenere ad un'epoca precedente la nostra, anche se di poco. Anche questo ostacolo va limato, spianato, deve essere reso scorrevole nella mente e quindi richiede varie letture). I ragazzi che hanno messo il cartello, erano scapestrati e uno di loro scriveva versi. Il ragazzo che ha chiesto con la madre, decide di parlarne col signor Bons. Questi, per mezzo di una logica infantile resa in modo delizioso, viene considerato “...con molta probabilità, l'uomo più saggio del mondo”. Risulta poi, da questo signor Bons, che quel giovane che scriveva versi, si chiama Shelley. Per noi lettori, immediatamente quella scritta diviene opera di uno dei più grandi poeti Inglesi, ma eper il signor Bons? Per la madre? Di libri di Shelley Bons ne possiede sette copie e la madre due, e quest'ultima li presenta dicendo “... Uno è un regalo di nozze e l'altro, stampato più piccolo, sta in una delle camere degli ospiti.” Si coglie subito (dopo la nostra terza lettura ovviamente, e anche oltre) come i libri siano, per loro due, oggetti da possedere. Se ne hai di più sei migliore, ma … e il leggerli? Ed ecco che comprendiamo, anche se l'autore non ce lo dice, che la madre li possiede ma non li ha letti; questo ci è chiaro dal fatto che una delle copie è nella stanza degli ospiti, mentre l'altro, il signor Bons, siamo sicuri che li ha letti, ma c'è qualcosa che puzza di bruciato fin d'ora, in lui. Il signor Bons non crede a un vero Poeta! Non “crede” a Schelley! Se Shelley, se un grandissimo, mette quel cartello, anche se è giovane, se scrive in quel punto della via “per il cielo”, questo non può non avere un senso! Quindi Bons legge da intellettuale, con l'anima chiusa e la mente che mette in ordine rime, note, date e orpelli simili. Detto in poche parole, apparecchia in modo eccellente ma non mangia, perché per mangiare quelle parole di Shelley, non servono i denti della cultura.

Fermiamoci un attimo e facciamo un bilancio. Una facciata e tutti questi significati! Regola da dedurre. In una opera metafisica, in una opera veramente d'arte, nulla è dato al caso, nemmeno una virgola. E che non accada che, se non comprendiamo ci venga da dire che non l'autore si è spiegato bene! Se non comprendiamo, il limite è in noi oppure nel traduttore, ma molto spesso, anzi quasi sempre in noi, perché il traduttore, anche se è considerato come un bidello e come lui è pagato, per tradurre, ha letto e riletto e meditato e sfogliato. Regola: in una grande opera il linguaggio è sempre necessario e sufficiente. Ho preso in prestito una frase fatta dalla matematica poiché ad essa siamo abituati e rende bene l'idea. Anche un Manganelli nei suoi ottimi “Presepio” e “La palude”, con quel linguaggio così accessoriato, ricercato e particolare, mantiene in sé qualcosa di sorgivo e spontaneo. Egli nulla ha costruito. Ha ascoltato in sé un senso e lo ha rivestito di parole, del minimo necessario per farci “vedere” il presepio, e la palude come li ha visti lui.

Forster ha un'immagine che spinge,che sta nascendo. Essa ha un senso ma è incorporea. Lui sa usare le parole e allora con essa la veste. Ma non mette a quell'idea troppi nastrini e gioielli e accessori inutili. Provate ad immaginare un alpinista col salvagente oltre alla sua strumentazione. Il ridicolo è dietro all'angolo. Il minimo oggettino, anche un ninnolo, apre la porta del ridicolo che è la finzione. Osservate ora, quando uscite la sera, come veste la gente, poiché di sera più che altrove gli uomini son maschi e le donne femmine. Comprendere quell'essenza, potrebbe essere semplice, se si veste un impulso, un Pan, una ninfa che in noi armeggia per farsi notare … ma quanti, son coperti di “inutilezze”, di oggetti femminili i maschi e le femmine di troppi particolari. Ma la somma dei particolari è la persona! Eccetera eccetera eccetera. Eccovi spiegato, forse maluccio, un modo che ha l'arte, quella enorme, quella metafisica, di diventare maestra di vita anche nelle piccole scelte. Non comprerai più un oggetto perché ti piace in sé. Ma lo penserai armonizzato con altri che insieme a lui fanno il nostro io esteriore che vorrebbe rappresentare quello interiore si definirà con più coerenza. E la scelta dell'oggetto? Se la fa la moda è finita. Io non sono la moda. Io sono io. E cos'è l'io? È Pan, è il Fauno, e di nuovo eccetera eccetera eccetera.

Ecco a quali cambiamenti sensati, anche di spiccioli della vita quotidiana, si può giungere rendendo profondo, intimo, il rapporto con l'opera vera. Posso aggiungere che spesso non ci rendiamo conto del cambiamento e son gli specchi … a rivelarcelo. Gli specchi son di due tipi, quelli di vetro, che ci mostrano un'immagine che potrà certamente sorprenderci, ma essendo meditata da noi, in fondo più di tanto non offre. Sia io che l'immagine riflessa, ci nutriamo dalla medesima sensibilità, del medesimo cervello, del medesimo passato; i somigliamo comunque sempre troppo. L'altro specchio son gli altri. Specchio che si esprime in parole, e ci rivela, in modo diretto assai raramente, e in modo indiretto più spesso, ogni nostro cambiamento.

Esempio che mi vien spontaneo in quanto mente maschile … Attrae di più una donna che pensa o una donna che ha una borsa di Hermes? Il saggio Wilde mi direbbe, “una donna che pensa e ha la Kelly intonata alle scarpe!” E Wilde, si ricordi, ha sempre ragione... ma se, a qualcosa quella donna dovesse rinunciare, perché capita che non ci si possa permettere proprio tutto? Ecco, direi di rinunciare alla borsa. È vero che costa molto di più avere uno sguardo che pensa, sia in soldi che in tempo … il tempo! La vera moneta della vita non eterna! Ma quando passeggio vedo borse bellissime e occhi bistrati, che sfuggono ogni sguardo e si riflettono negli specchietti da borsetta e nei vetri dei negozi … (l'uomo che è in me, più del maschio, da anni, lo va dicendo a se stesso, e ora anche a voi, e son consapevole che le donne pensano esattamente le stesse cose, degli uomini. Non son ovviamente borsette, ma Rolex e automobili, e queste ultime ormai, più che mezzi di trasporto sono protesi per minidotati cerebrali. Amen. Torno a me, dopo una crisi di bachettonismo, anche se bachettone non lo sono per nulla ... ma mi piacerebbe anche, ogni tanto, un po' di sensibilità. Torno su “L'omnibus celeste”...

Proseguiamo. Il signor Bons se ne va. Il ragazzo lo accompagna alla porta e poi rimane a guardare il paesaggio. Cerchiamo di avvicinarci al senso della descrizione che lui vede:

       “...e, quando se ne furono andati, non tornò immediatamente in casa, ma si trattenne ad abbracciare con lo sguardo tutta la Buckingham Park Road, in su e in giù. I suoi genitori vivevano sul lato destro della strada. Oltre il numero 39 si aveva un brusco declino della qualità delle abitazioni, tanto che il 64 non comprendeva più nemmeno l'entrata di servizio a parte. Però, in quel momento la strada appariva tutta indistintamente assai bella, giacché la luce di un sole appena tramontato, con gran fasto, annegava in uno splendido giallo zafferano ogni disparità di affitto.”

la descrizione non è certo terminata qui, ma già essa ci mostra come la bellezza di un tramonto riesca ad annullare le differenze sociali. Non dobbiamo dimenticare che è il ragazzo che sta “comprendendo” questo da un tramonto. La natura gli offre un significato che armonizza. E in voi che effetto ha fatto un tramonto, da ragazzi? E ora? La visione ingloba anche il treno del paesino, e pian piano tutto il paesaggio, e riflette la tendenza alla gioia di chi guarda. E il viadotto col treno, questo strumento che potrebbe portarti via e farti scoprire il mondo, gli crea un senso di disagio, qualcosa col sapore di nostalgia e “...si sentiva tutto strano e aveva una gran voglia di piangere.” Questo esito, bilancia un dialogo del racconto che avviene a pag 51, con sir Thomas Browne, il postiglione dell'omnibus meraviglioso. Eccolo:

ha sempre fatto il guidatore?”

ero medico una volta”

perché allora ha smesso? non era bravo?”

se scarso fu il mio successo come guaritore di corpi, sì che varie schiere di miei pazienti mi precedettero, il mio potere di guarir lo spirito, si è rivelato superiore a ogni mio merito o speranza. Infatti, benché i rimedi da me offerti, non fossero nella mistura, né più ingegnosi né più giovevoli di quelli forniti da altri, pure li offrii in tal squisite coppe che più volte l'animo cagionevole fu tentato di attingervi e ne trasse ristoro”

l'animo cagionevole,” mormorò il ragazzo, “quando il sole cala dietro gli alberi e ti senti all'improvviso tutto strano, è quello l'attimo cagionevole?”

lo hai provato?”

eccome”

Fine del dialogo. Sarete d'accordo con me, che ad una prima lettura questi intrecci di significato possono sfuggire … se a voi non capita mi complimento....

Ho sottolineato “Animo cagionevole perché, quando lo dice per la prima volta il postiglione, sfugge. A me è accaduto. Quando il ragazzo lo ripete, mi son reso conto che doveva esserci anche nella frase lunga del sir e la son andata a cercare per conferma di coerenza.

Ebbene, cosa vuol dirci Forster? Che il ragazzo, essendo ancora un ragazzo, dispone ancora di una sensibilità non “educata” dalla civiltà. Ma … questa sensibilità, che gli permette di giungere ad uno struggimento che, deduciamo noi, essendo condivisa con sir Thomas Browne, (che non fu proprio il due di coppe quando la briscola è bastoni), un senso grande deve pure averlo!

Prima andate a vedere su internet chi era questo sir. La sua collocazione temporale spiega quel suo parlare così forbito, e dopo averlo identificato, meditiamo.

Ora...

Ma quel cartello con la scritta “per il cielo”, tutti possono leggerlo! Sì, tutti quelli che gli passano davanti e son tanti, visto che è per strada! Ci sta che lo si prenda per uno scherzo! Io dico si, se il senso della realtà di chi lo legge è stato già rinchiuso nelle strette mura della razionalità. Il ragazzino ha un'età nella quale non è ancora, come si suol dire, ne carne ne pesce. Egli valuterà il fatto che l'omnibus celeste, con quel suo metodo di fare i biglietti, non può avere un bilancio positivo, per esempio. Questo ci dimostra che egli sta quindi in bilico fra due mentalità, che è in metamorfosi. Ma accade che in più del viandante occasionale, che potrebbe credere al cartello solo se fosse o un Poeta o un bambino, questo mi sembra evidente, lui viene a sapere che lo ha scritto Shelley e che Shelley è un poeta, del quale ci son dei libri in casa. Ma … questa notizia rivela qualcosa al ragazzo? No. Per un adulto sarebbe quella la via, è questo che Forster ci vuol dire, ma gli adulti del racconto, anche se leggono, mancano di qualcosa per comprendere. Di cosa mancano?

Il protagonista, in bilico fra infanzia ed età adulta, è ancora molto bambino e gli sarà sufficiente che, durante un momento di struggimento, dell'omnibus rilevi almeno una traccia.

Per prima cosa, di fianco al cartello “per il cielo” ne troverà un altro che spiegherà tariffe e altre cosucce che anche noi lettori sapremo decrittare solo più avanti, ma poi “... si rese conto che, se non era tutto un inganno, un omnibus era partito nel momento stesso in cui egli salutava i Bons sulla porta di casa. Nell'addensarsi del crepuscolo scrutò il terreno; e vi scorse segni che potevano, con ogni probabilità, esser tracce di ruote.”

Interviene poi il padre, essere ormai completamente razionale, che lo prende in giro, ma appena il ragazzo è solo pensa e, ricordando che l'omnibus dovrebbe partire all'alba, così diceva il secondo cartello, ecco che “...egli si buttò giù dal letto, vestendosi rapido, deciso a stabilire una volta per tutte quale delle due realtà fosse la vera. L'omnibus o le strade?”

Pensiamoci. Due realtà? Sì. La tragica notizia di Forster, e non solo sua, è questa. La razionalità, la struttura sociale ufficiale, quella da vivere quotidianamente, si è divisa in due. Non più, per esempio, una misura unica fatta di ninfe, folletti e Newton, poichè ai primi tocca il destino di essere negati, annientati.. E non è necessario credere alla ninfa Egeria che ho frequentato a Nemi o ai sette nani che non ho mai avuto occasione, per ora, di conoscere ... mi raccomando, ma si pensi alle divinità tutte, fino al Dio degli ebrei e dei cristiani e dell'Islam (in ordine di apparizione e non di preferenza! Cerco di essere neutrale con le divinità!) che son negati perché per tanti esseri, solo la scienza esiste.

E questa scelta dell'età, diciamo di mezzo, del ragazzo? La ritroveremo pari pari in “La storia di un panico”. Chi subisce l'azione di quel racconto è un ragazzo. Chi “sente” la situazione anche se non l'ha vissuta è una bambina, e chi è in sintonia poiché è più fauno che essere umano, è Gennaro. Questi è un ragazzo italiano che è ancora una fetta di pura natura. La civiltà lo ha solo sfiorato. È per questo motivo che quando gli mettono la divisa del cameriere momentaneamente assente, mai riuscirà a portarla decentemente e sempre, ovviamente senza rendersene conto, aggiungerà un particolare che rovinerà l'effetto di ordine tipico delle divise. Si ricordi che la divisa annulla l'identità. Con essa sei l'essere totalmente civile. L'ingranaggio, il ruolo, e in essa l'io si annulla. Forster è un genio. Ed è un genio perché queste cose non le pensa, ma le “sente” e son più complete di qualsiasi testo di filosofia. Genio quindi non nel senso di Einstein o Mozart o Maradona, che hanno un talento eccezionale, ma genio nel senso di genietto di boschi, della natura, del “sentire”.

Si faccia caso poi che nella prima facciata del racconto “La storia di un panico”, il protagonista elenca i partecipanti al fatto che ha deciso di narrare, un po' come la prima facciata dei testi teatrali che riporta i protagonisti. Ebbene, fateci caso, Gennaro in quell'elenco non c'è. Perché? Il messaggio è chiaro. Il protagonista narrante, essere adulto e che si reputa altamente civile, non lo considera umano...

Vi dirò che dell'assenza di Gennaro, me ne son reso conto subito perché, quando i protagonisti iniziano ad essere una folla, e qui in una facciata ne erano citati, mi pare, una decina, faccio uno schemino. Procedendo nella lettura lo schema l'ho aggiornato. Per esempio il nome delle due sorelle anziane l'ho scovato più avanti. Esse comunque erano presenti da subito anche se senza nome. Avevo scritto “due signorine Robinson” riservandomi di aggiungere i nomi. Ma, quando leggendo è apparso Gennaro, mi son reso conto, che era assente dall'elenco degli “attori”, un po' come un cane che per caso, anche se ripetutamente passa sulla scena che si sta filmando e che, lo sappiamo! non troveremo citato nei titoli di coda. E poi, come viene trattato, con una inferiorità che rasenta il rapporto ottocentesco fra uomo e bestia. E la diversità abissale delle menti di Gennaro e del protagonista narrante! Un abisso. La più totale inconciliabilità e, fatto curioso, si deduce che per Forster l'Italia sia terra che, più che uomini, ha fauni e ninfe, e se fosse ancora vero … sarebbe bellissimo.... La metamorfosi di questi fauni in esseri della cultura occidentale è avvenuta. La troviamo nel parlamento e dintorni .... l'essere così trasformato, si è ben adattato? No. Della civiltà occidentale è un po' parassita, perché certi struggimenti, in lui son ancora presenti, ma ormai totalmente incompresi, e tendono ormai a comportamenti ignobili sia per un essere civile che per Pan... per questo L'Italia, più che altrove, se si creassero le condizioni, potrebbe tornare ad essere luogo nativo di artisti

Torniamo a “L'omnibus celeste”. Se si ha accesso quello “struggimento”, è possibile oscillare fra la realtà quotidiana e il dubbio dell'omnibus, e questo è l'inizio del viaggio. Chi quello struggimento riesce a mantenerlo vivo anche da adulto, è l'artista. L'artista che per questo diventa come “l'albatro” di Baudelaire. Dell'artista, chi non lo è, coglie solo la realtà che assomiglia alla sua, la realtà banale, quotidiana, quella che oltre l'intelligenza non sa andare. È per quello che dall'ottocento si adorano tanto i gialli. Che raramente han necessità di essere anche sensibili per soddisfare. Quell'altra misura, quella che permette di accedere al viaggio dell'omnibus e a scoprire l'eternità popolata guarda caso non di santi, (che si fustigano, che amano la morte, la sofferenza, la castità e aberrazioni simili), ma di artisti, diventa ridicola per la stragrande maggioranza della gente. Leggi il cartello “per il cielo” e penserai solo ad uno scherzo e senza nemmeno il dubbio, sei solo carne…

E gli artisti che ruolo hanno in questa vera e completa realtà? Guidano degli omnibus celesti. Anche Shelley, scopriamo, ne ha uno suo e nel secondo viaggio, il “pilota” sembra essere un certo Dante … e guidare gli omnibus per venire sulla terra a cogliere l'uomo ancora bambino, ancora pan o ninfa o forse, raramente, già adulto e come risorto nonostante tutto, nel magico momento dello struggimento, nel momento nel quale la porta è ancora socchiusa e può accadere che salga e sia salvo... ecco il ruolo dell'artista, e l'omnibus è l'opera, è questo racconto.

E cosa accade al signor Bons? Non riesce, non vuole, non sa non può più accettare quella realtà. Lui quelle persone in cielo le potrebbe riconoscere tutte, ma ha un senso della realtà che nega quel che accade fuori dalla sue mura. Gli hanno insegnato che oltre quelle mura non c'è nulla ... e soccombe, crolla disperatamente senza riuscire a gioire della scoperta. Questo vuol dire che nessuno ti può aiutare, nemmeno la madre, nemmeno un amico. Il ragazzo ha il suo struggimento e la capacità di dubitare. Questo gli basta e a questo punto comprendiamo che quel ragazzo è un artista, che quel ragazzo è Edward Morgan Forster che racconta la sua “resistenza” ad una educazione, ad una civilizzazione del fauno che è in lui.

Esiste una immagineidentica nel valore, presente nei due racconti citati.

Ne “l'omnibus celeste”, sir Thomas Browne invita il protagonista a guardare anche in basso mentre si svolge il meraviglioso viaggio. Ecco cosa vede: “Un raggio di sole colpì in quel momento un verde laghetto e al passaggio egli scorse tre fanciulle che emergendo da quelle acque, cantavano e giocavano con qualcosa che luccicava come un anello. “

l'uomo colto pensa subito a Wagner e si riempie la pancia della mente di soddisfazione per aver colto la citazione, … e si ferma ma, se si “salta” nell'altro racconto, ne “La storia di un panico”, si troveranno di nuovo tre figure femminili, questa volta non più giovani. Il ragazzo che ha subito una specie di fascinazione bacia la prima sulla destra e credo che i colti tenderanno a pensare a Cloto, quindi le altre due son Lachesi e Atropo.... e invece questa coincidenza ci deve dimostrare dell'altro.... che simboli antichissimi riappaiono. O gli artisti ce li mostrano vestiti alla Wagner, quindi elaborati culturalmente da un altro artista e questo accade nel primo racconto, oppure li offre senza orpelli e citazioni, ma noi lettori, ci attacchiamo un peso, un piombino di citazione e immergiamo quel senso profondo nelle acque spesso sterili e torbide del puro nozionismo … ma si tratta di psicologia del profondo, di un rimasuglio arcaico splendentissimo! Questo per me ha il medesimo fascino che ben sappiamo immaginare in un archeologo quando trova un oggetto eccezionale. Qui l'oggetto è impalpabile, ma più antico di qualsiasi vaso o ciotola o statuetta. È un simbolo puro, nudo, semplice. È quel tre che ritroviamo nelle “re Grazie” non solo di Raffaello, il tre della trinità Cristiana, il tre di Brahma, Vishnu e Shiva dell'Induismo. Il tre così potente in Dante! È quella struttura minima sulla quale poggia la vita! Qualcosa di indecifrabile ma completo, di sazio e stabile, che riappare in Forster con sorgiva freschezza e dimostra quanto spontaneo sia il suo essere se stesso, quanto i suoi struggimenti siano antichi e profondi, sino ad accedere alle viscere più arcaiche della vita non solo sua, ma nostra. Che gli bastasse la visione di un tramonto per “sentire “, come il protagonista del racconto dell'omnibus, quello struggimento fondamentale? Non lo sapremo mai. Quel che è certo che l'iniziazione viene a chi dubita, a chi la attende.


E ora non ci resta che meditare alle nostre miserie quotidiane, misurarle col “possibile” mostrato da questa novella e cercare uno struggimento, desiderarlo, e ... forse accadrà anche a noi di far parte dell'eternità che questo racconto ci fa toccare.


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P.S.

La fotografia della copertina mostra un adesivo rosso con una scritta: "seminar libri negli scaffali Coop". si tratta di una bella iniziativa che cerca di porre rimedio all'immobilità delle biblioteche. immobilità non nel senso che non agiscono o operano male, mi raccomando! intendo dire che non si potrebbe avere tempo di recarsi in quel tempio dei libri e poi, Borges la definì "La biblioteca di Babele", sottolineando l'infinità che una biblio sempre contiene se la commisuriamo alla vita di un uomo. si può dire che la biblio, spesso mette in soggezione chi vi entra. e invece alla Coop trovi qualche scaffale di libri che son stati donati e la gente spesso si libera di veri e propri gioielli, come in questo caso. che sia per incapacità di cogliere un valore o semplicemente per fare spazio non ci deve riguardare. io spesso recupero libri svenduti nei mercatini dell'usato. direi anche umiliati. che un tesoro come certe opere, venga venduto al prezzo di un caffè, e anche meno, non mi va proprio. apprezzo invece la gratuità, come avviene alla Coop e anche il fatto che libri di testo delle scuole siano regalati e vedo con piacere che molta gente apprezza questa idea.

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