giovedì 11 agosto 2022

"LA FLAGELLAZIONE" di Piero della Francesca

Un altro saggio su questo argomento ... un altro fra centinaia, diranno in tanti, ma ho un preciso motivo per aver deciso di scriverlo. Di solito aggiungo "nel mucchio" del mondo solo quando ritengo di aver qualcosa da dare. Ho letto quel che altri pensano di quell'opera e ritengo che predomini un errore  nell'interpretazione di un particolare, che per me invece è chiarissimo e da questo si stratificano le complicazioni interpretative. Mi riferisco ai piedi scalzi del personaggio centrale della parte destra della composizione. 

Nel medioevo e quindi anche nel Rinascimento che si pone sia come sua fine che contemporaneamente come l'inizio di qualcos'altro, l'abbigliamento aveva un significato diverso da quello attuale, talmente diverso da riuscire difficile abituarsi a quella per noi inusitata forma mentale anche quando se ne prende atto dalle leggi suntuarie e da validissimi studi sulla storia dell'abbigliamento. Per esempio, quando si riceveva un incarico anche non di rilievo a questa corrispondeva si un contratto, ma anche un abito. A noi ne rimane traccia nel vocabolo "divisa" che ci fa venire in mente ormai solo i militari. 

... poi ... come è fondamentale per l'arte europea medievale e rinascimentale avere a disposizione un testo lapidario, un florario e un bestiario per cogliere il livello simbolico di piante animali e pietre, così serve, una certa conoscenza di storia dell'abbigliamento. In più, è una miniera sorprendente utile una certa overdose di cultura generale. Un esempio; sempre per Piero, la "Morte di Adamo" di Arezzo risulta incomprensibile se non si conosce l'opera di Jacopo da Varagine e una bella dose di mito da "pescare certamente in Ovidio ma non solo, perché altrimenti i due personaggi sulla estrema sinistra, Ercole e Alcesti, rimarrebbero enigmi. 

Descrizione dell'opera

Immaginiamo che dalla bocca del personaggio barbuto posto in primo piano nella parte destra del dipinto, parta la classica nuvoletta dei fumetti. La nuvoletta non contiene parole come oggi, ma una immagine che rappresenta quelle parole. Nella nuvoletta poniamo il quadrato a sinistra che contiene la flagellazione, colonne incluse. 





Definisco immediatamente i tre personaggi in primo piano a destra poi spiegherò perché la penso così. Il barbuto con gli stivaletti chiari, Giovanni VIII Paleologo, la figura centrale scalza, un angelo, la persona a destra Giovanni Bacci. 

Cosa significa la parte sinistra che ho posto nel fumetto? ... "leggo" le immagini e le trasformo in parole: Cristo = il Cristianesimo (ortodossi + cattolici) viene flagellato dai turchi (i due personaggi di schiena). La persona seduta è l'imperatore Giovanni VIII Paleologo che nell'opera è quindi rappresentato due volte, a sinistra col cappello imperiale, a destra senza perché così si può realizzare un dialogo alla pari. Poi chiarisco bene. L'edificio vuol dire, come in un rebus, Impero romano (d'oriente); si tenga conto che le insegne imperiali del celebre impero romano le aveva il trono di Costantinopoli poi, per parentela finirono a Kiev, poi Mosca e infine San Pietroburgo ... "zar" è la contrazione di "Caesar" ... 

I turchi  sono due e di spalle. Li si riconosce uno per il turbante e l'altro per il curioso copricapo blu e rosso. Vi è una terza persona che vediamo in viso e che allunga la mano verso il nodo nascosto dei polsi di Cristo. Questi è un romano, servo di Pilato che in questo rebus ha l'aspetto di Giovanni VIII. 

Trasformazione dell'immagine in parole: gli INFEDELI STANNO FLAGGELLANDO IL CRISTIANESIMO ED IO, (GIOVANNI VIII imperatore romano), NON SONO IN GRADO DI DIFENDERLO. AIUTATEMI. 

Alcuni studiosi hanno interpretato lo scranno sul quale il Paleologo siede, come un faldistorio (seggio mobile pieghevole utilizzato dal vescovo nelle situazioni ceimoniali in cui, essendo prevista una sistemazione laterale rispetto all'altare, non è possibile utilizzare la cattedra fissa posta in fondo all'abside). Si tratta invece della sella curulis, altrettanto pieghevole ed utilizzata solo ed esclusivamente dall'imperatore romano. Se quella rappresentata nel quadro non è troppo somigliante da come oggi sappiamo che fosse, è perché al tempo di Piero si sapeva che era pieghevole e poco più (l'imperatore era anche soldato e portarsi in giro un trono era lievemente scomodo come andare a funghi con i tacchi a spillo....). Quindi ... sella curulis = imperatore. 

Differenza di copricapo nelle due rappresentazioni del Paleologo. Non si poteva parlare con l'mperatore se era in trono. in questo caso era una ostensione, veniva mostrato. I riti di corte bizantini erano veramente particolari ed in occidente si conoscevano. Nella rappresentazione del Paleologo nel lato destro egli non è a capo scoperto perché sarebbe un atto di umiltà che lui rivolge solo alla divinità e ai santi. Ha quindi un copricapo fiorentino e non ci sono gradini che lo innalzano. Abbiamo da sinistra, un ortdosso (Giovanni VIII) un angelo (valido per ambedue le versioni del cristianesimo, e un cattolico romano (Giovanni Bacci). Concentriamoci ora su loro tre. Il Paleologo sta parlando, è concentrato e ha le labbra socchiuse. 


Veniamo al metalinguaggio. Le mani si muovono per rinforzare il parlato. Osserviamo ora le mani di Giovanni Bacci. Oreciso che per comprenderle serve un buon ingrandimento che ho qui allegato.


Ha i pollici all'interno della cintura che è sotto una discreta panza. Tipico atteggiamento di chi è concentrato e disposto all'ascolto quindi in attesa. Ora l'angelo: per noi che osserviamo il braccio sinistro è lungo il corpo, inerte, quindi senza messaggio. 

Il piede corrispondente è indietro. Il lato destro, posizione attiva, mano sul fianco che aiuta a rendere la postura eretta e da idea di azione.


Piede destro in avanti quasi a contatto con quello di Giovanni Bacci. Si coglie comunque immediatamente che l'angelo è più vicino al cattolico ... e in questa opera nulla è dato al caso. La lettura immediata è che l'angelo appoggia il cattolicesimo che non deve scendere a compromessi con gli ortodossi ma comunque riassorbirli (= unificare le due chiese) e aiutarli. Piccola precisazione: l'esito del Concilio di Basilea-Ferrara-Firenze (sedi cambiate per sfuggire alla peste) fu quello di unificare le due versioni del cristianesimo, ma senza modifiche fastidiose per i cattolici. Di fatto erano gli ortodossi ad essere in braghe di tela ... accadde poi che quando i documenti del Concilio arrivarono a Bisanzio, i religiosi ortodossi lo rifiutarono sdegnati. 

Perché sono sicuro che il personaggio centrale sia un angelo?

Perché non è possibile essere scalzi se si ha un vestito così raffinato. Scalzi o con gli zoccoli erano i poveri e basta. Quell'essere scalzi ha evidentemente un livello simbolico. Immaginiamo di osservare realmente quel dialogo. Si vedrebbero solo il Paleologo, Giovanni Bacci e lo sfondo cittadino e si udirebbero le parole ma non si vedrebbe la scena della flagellazione che le rappresenta. Ora immaginiamo che la Divinità ci dia un potere dei suoi ed ecco che vedremo l'angelo che come un ambasciatore appoggia la posizione cattolica per conto nientepopodimeno che del Grande Capo Assoluto. Gli ambasciatori divini hanno bisogno di parlare ? no. influenzano gli eventi per mezzo di visioni (Mosè di Michelangelo) o portando i contendenti sulle sue posizioni spesso senza che questi nemmeno si rendano conto di essere guidati. 

Perché ritengo che il personaggio all'estrema destra sia Giovanni Bacci?

La somiglianza con altri ritratti, il ruolo avuto al concilio di Basilea-Ferrara-Firenze, l'amicizia col Bessarione, la stoffa non italiana (broccato a melograni) rivestita di pelliccia, lusso estremo che il Bacci poteva permettesi, lui ricco commerciante aretino la cui famiglia commissionò le storie della vera croce in san Francesco, ma che di fatto rappresentava un incarico. Non si trattava di un commerciante comune ovvero semplicemente ricco. Il Bacci vestiva così perché si trattava della sua "divisa" del momento. Non dimentichiamo l'esigenza di vestire in certi modi già presente nell'antica Roma, per rendere immediatamente esplicito il ruolo che si svolge. Si noti che sulla spalla non in vista pende una fascia rossa. Egli aveva evidentemente un incarico all'interno del Concilio e per questo Piero lo scelse nella rappresentazione. Perché lui e non altri? Perché si conoscevano, si stimavano profondamente ed avevano molti amici ed argomenti in comune, in più era una delle star del Concilio di cui si voleva parlare. Trovo non sia assurdo considerarlo anche il committente.

Il falso problema della doppia rappresentazione del Paleologo ... è appunto falso. Osserviamo il già citato affresco della morte di Adamo e vedremo Adamo due volte ... perché accade nel caso della morte di Adamo? Perché senza soluzione di continuità partendo da destra, abbiamo quattro scene; tre di queste sono parte della trama come descritta da Jacopo da Varagine e la quarta è un'aggiunta simbolica (Ercole e Alcesti = prova mitica della possibilità di tornare dal segno di morti = resurrezione) che apparentemente sembra far parte della terza. Ne la Flagellazione di Pietro abbiamo dunque un dialogo contemporaneo al pittore a Giovanni Bacci e all'imperatore, nella scena destra, e il contenuto del discorso dell'imperatore trasformato in immagine nella parte sinistra.

Piedi nudi? Come mai questa scelta?

Corrisponde al nudo in generale come dimensione divina mutata dal mito. Si osservino il "concerto campestre" di Tiziano (Giorgione?) e "amor sacro amor profano" di Tiziano. I nudi ... divinità. Nel primo le muse, nel secondo Venere. La nudità definisce il divino. In quei quadri stiamo osservando delle visioni in atto. 

Angelo senza ali ... ma è possibile?

ja !!! vedere nel Giudizio Universale di Michelangelo e valutare anche le interpretazioni bibliche che all'epoca del primo rinascimento si nutrivano ormai anche delle interpretazioni ebraiche. Nella Bibbia i vari -el, Gabri-el, mich-el, erano angeli e le ali sono un modo pittorico per rappresentare la loro capacità di volare. Servono le ali per volare? direi non sempre ... io quando prendo l'aereo non indosso ali, le ha comunque il mezzo che mi permette di volare e quindi con un atto di fantasiapotrei rappresentarmi con ali di aeroplano ... le ali sono semplicemente simbolo della capacità di volare o meglio, passare dalla dimensione divina quella umana e ritorno. 

Un esempio pittorico simile nel qualcun concetto viene rappresentato con un artificio ... Assunzione della Vergine in cielo. Spesso dentro la tomba aperta si vedono fiori. Ma cosa si voleva rappresentare con quei fiori? un profumo ... poichè le tombe dei santi appunto profumavano e spesso per questo le si riconosceva fra molte. provatevi ora a dipingere un profumo ... 

Ebbene, l'angelo di Piero non è appena giunto e ripartirà subito come quello dell'annunciazione che doveva lasciare un breve messaggio, attendere un ancor più breve risposta e portarla al Grande Capo. L'angelo di Piero è presente al Concilio e come quello di Anatole France ne "la rivolta degli angeli", probabilmente le avrà messe in un armadio. Immaginate di arrivare in moto con tuta e casco a Milano e poi a sera sapete già che dovrete andare alla Scala. Vi cambierete o ci andrete con casco da coleottero di design e tutona stile bebè spaziale? ... vi cambierete ... non c'è dubbio ... le ali servono per volare, e in quel frangente il suo lavoro di manipolazione dell'esito del concilio che non sarà breve ... non le richiede. Un'altra osservazione sul presupposto angelo .... ha decisamente la faccia da angelo ... in più tre angeli della Madonna Williamstown vestono nel medesimo modo e quello a destra pure nel medesimo colore. Deduzione ... quello era il look da angelo secondo Petro de Burgo (foto subito sotto)





Se osserviamo gli angeli della Natività della National Gallery di Londra ...


(Dei 5 rappresentati ho scelto quelli più esterni perché evidenziano quel che sto dicendo), vedremo che, senza ombra di dubbio non hanno ali. Come spiegare questa scelta di Piero? Osserviamo per esempio che, nella Madonna di Senigallia, in quella di Williamstown e nella pala di Montefeltro  di Brera (quella famosa con la pectinidae e la perla che pende (non un 🥚 di struzzo...🤭 come nella pala di san Zeno ...) Maria non ha l'aureola ... sommiamo ⚓ un altro particolare particolare che spiego con una domanda: sempre nella pala di Montefeltro i quattro angeli hanno le ali?
Le noteremo solo se le cerchiamo .... e son ridotte alla parte più alta che svetta di un minimo nei soli due angeli di sinistra. 
Il punto è il seguente. Piero della Francesca stava trasformando un poco alla volta le scene sacre in scene che somigliassero sempre di più alla quotidianità. Maria sarà sempre più simile a noi comuni mortali, Gesù bambino sempre più un bimbo reale e non celestiale. Un altro particolare che troviamo per esempio nella pala di Montefeltro
e in quella di Senigallia 
ci dimostra questo intento, e mi riferisco al corallo al collo del sacro bambino. Questo oggetto non è un simbolo della passione di Cristo. Era un amuleto molto in uso in Campania (aveva questo ruolo ⚓ ai primi del XX° secolo), che si diffuse in tutto il sud e nel centro della penisola. Qualcosa di addirittura non cristiano poiché già nell'antica Roma lo si usava per i bimbi per proteggerli da incubi, crisi epilettiche e per aiutarli durante la crescita dei primi dentini ....


mercoledì 10 agosto 2022

MEDITAZIONE SU "LOLITA" DI NABOKOV

L'otto agosto di questo torrido 2022, mi son svegliato da sogni inquieti ma non mi ero trasformato in un mostruoso insetto. (si badi, trasformato perché die Verwandlung non vuol dire la Metamorfosi. Il bel pasticcio fu prodotto da intellettuali, non certo da artisti ... il titolo, "la metamorfosi", poi alla seconda riga del racconto troviamo il verbo verwandelt = trasformato, che è stato tradotto in modo corretto. Ma trasformazione e metamorfosi, alla pelle nervosa, quasi di cristallo e sensibilissima di un'anima sveglia ... fa venir brividi assai diversi ... e alcuni "geniacci" volevano pure tradurre verwandelt con metamorfosato, vocabolo che chiaramente è la masturbazione mentale di una nullità. Del resto si sa che l'artista vive, soffre e scrive o dipinge o compone ecc, mentre il critico come l'avvoltoio si nutre del corpo esausto dell'opera grande che ha un tale potere, se letta da persone leali, da aiutare a definire la realtà, a renderla sopportabile ...)

Ebbene, mi son svegliato verso le sei di mattina. Lolita, il mio tredicenne beagle, mi ha dato il buongiorno come solo lei sa fare e ci siamo preparati per la consueta passeggiata nel bosco poiché causa l'ora, il clima è ancora paradisiaco.

Poi la vecchia cucciola, si è dimostrata più pimpante del solito e allora l'ho caricata in auto e ci siamo recati al mio bar preferito. Dai tavoli esterni si vedono le navi passare. Dopo aver visto da fanciullo i giganti del porto di Amburgo e Kiel diretti in Sudamerica e grandi come solo nelle favole è possibile, eccomi felice di barchette che ad Amburgo sarebbero forse scialuppe di salvataggio. 

Che emozione quando da Catania arriva la nave carica di container che sembrano tanti lego colorati e il paesino, che si chiama Porto Corsini per una ventina di secondi va quasi completamente in ombra. In quel frangente che raramente mi è capitato di gustare, il mio ritorno ad un momento dell'infanzia era completo e mi son ritrovato sempre ad indugiare sorpreso che pa' non fosse seduto di fianco a me sorridente della mia fatale meraviglia.

Dunque. Arrivo, parcheggio, Lolita scende ed entriamo nel locale che sul lato dell'ingresso è tutto vetri. Dentro, vicino alla cassa, c'è un barboncino grigio scuro che è una elegante bomba di vitalità. Lolita è un'anziana signora tranquilla. Ama relazionarsi ma con calma, quindi fa la ritrosa. Io accarezzo il barboncino che è così morbido che sembra sciacquato con un ammorbidente di alta qualità e la signora mi conferma che è stato lavato da poco. Mi chiede il nome della ritrosa Lolita, lo dico e spiego che l'ho chiamata così perché quando, all'età di tre anni l'ho salvata dalle grinfie di un cacciatore di cinghiali, sembrava una cucciola. I bambini del vicinato non credevano alla sua età e allora Lolita, come uno dei soprannomi della celebre Dolores Haze, mi sembrò il nome adatto, perché per me era irresistibile la sua dolcezza e stavamo andando in simbiosi. Mentre parlavo avevo notato, appoggiati i gomiti al bancone, una personcina con pantaloncini corti non aderenti a fiori sull'azzurro e un top, non troppo corto della medesima mussolina romantica e leggera. Nel sentire il nome Lolita si è girata e guardava un po' il cane e un po' me. Aveva occhiali particolari, colorati, abbastanza appuntiti sulle tempie e ho detto senza quasi pensarci. "e tu hai degli occhiali da Lolita" anche se, ho poi pensato, nel celebre film secondo me mal fatto, sono rossi e a cuore e nella realtà del romanzo sono neri. Lei ha risposto "peccato che non abbia più l'età per essere una lolita ..." ho sorriso sconcertato. lei è uscita con la sua colazione in mano e io ho atteso la mia al banco.  Ho sempre la risposta pronta. In questo caso mi aveva bloccato la sensazione che la ragazza, chiamiamola Laura in omaggio a Petrarca, avesse torto. Non essendo in grado con certezza assoluta di poterle fare il dono di riabilitarla al rango di Lolita, ho taciuto, ma il cervello, come il fastidio crescente attorno ad una nuova carie, si faceva sempre più pressante offrendomi la sensazione di certezza, ma appunto senza ricordare di porgermi la prova. Mi son seduto e la vedevo davanti a me. Si, lo era, ed essendo accaduto due giorni fa, lo è ... ancora; devo riuscire a dimostrarglielo, mi son detto. Mi alzo e svanisco verso sinistra in direzione del molo per dare a Lolita il piacere di un'altra breve passeggiata e a me l'occasione di ammirare ancora, il capolavoro delledera su un muro bianco.

Ora si mescolano nella mente due pensieri, quello che dominava fino alla risposta di Laura era la mia interpretazione de "la flagellazione" di Piero della Francesca sulla quale stavo studiando e meditando da giorni. Poiché spesso mi si mettono in ordine i fatti e i sensi mentre passeggio con Lolita nel bosco e penso ad altro, nell'occasione a questo caldo afoso che mi rende faticoso anche pensare ... poiché, stavo dicendo ... che la mattina spesso fa doni di pensieri nuovi e sorprendenti, ero preso da una leggerezza deliziosa che prelude di solito ad una comprensione profonda dell'argomento al quale ho dedicato le mie energie o all'illusione di questa. Ora invece la flagellazione di Piero svaniva di fronte al sottile dispiacere di Laura, dispiacere che sapevo di poter dimostrare che era sbagliato. Mentre torno dalla medesima strada, la scorgo in bicicletta, la saluto dicendo ciao Lolita! come per dimostrarle senza argomenti che ancora lo è, e lei ha risposto sorridendo e con un bel gesto della mano. Siamo arrivati a casa e ho preso l'edizione più vecchia che ho di "Lolita" (Mondadori, 1958 traduzione di Bruno Oddera) 



e ho iniziato a leggere, dimenticandomi di tutto, compresa la salutare ed abitudinaria esigenza del corpo che ogni mattina dopo il cappuccino si fa urgente. Ed ecco che a pagina 28 del libro, ma di fatto la dodicesima facciata, trovo la risposta che riabilita Laura: prima il protagonista ci dice che le ragazzine, alcune ragazzine, fra i nove e i quattordici anni, hanno "una natura non già umana, ma di ninfa (vale a dire demoniaca)" e quel termine, demoniaco, riappare a pagina 29 e in forma mascherata in un altro punto in cui le chiama figlie di Lilith, la prima moglie di Adamo che di fatto era un demone. Sempre a pagina 29 ecco la salvezza di Laura! Leggiamo : (citazione n.1)"ma tutte le ninfette sono comprese entro questo limite di età? No certo. Se così fosse, noi che sappiamo, noi solitari vagabondi, noi ninfolettici, saremmo impazziti da un pezzo." 

Aggiunge poi, udite udite! (citazione n.2) "La bellezza non è affatto un valido criterio di scelta; e la volgarità, o almeno ciò che determinate persone così definiscono, non compromette necessariamente certe caratteristiche misteriose, la grazia torbida, il fascino elusivo, mutevole, struggitore e insidioso che distingue le ninfette dalle loro coetanee, incomparabilmente più legate al mondo spaziale dei fenomeni sincroni che a quell'isola immateriale immersa in un tempo incantato in cui Lolita si trastulla con le sue simili"

... e a questo punto il corpo mi ha sgridato facendomi notare che se non avessi voluto compiere i miei doveri naturali nei suoi confronti, avrei dovuto rinunciare al lassativo cappuccino. Quindi, ho obbedito alle leggi della natura e poi ho preparato la Moka per un altro caffettino e, col profumo di caffè nel naso e il corpo tornato strumento silente, ho ripreso i ragionamenti e la lettura.

Ci serve per ora la citazione n.1 ... Perché l'età conta poco e nel frattempo Humbert ci dice che l'ètà giusta per essere lolita è fra i nove e i quattordici? perché, secondo me in quella fascia di età la bambina cambia nel corpo e scopre, spesso con vergogna e fastidio, altre volte con gioia, di essere soggetto di sguardi a causa di quei cambiamenti. Premetto, mi sembra doveroso, che non rientro nella categoria del personaggio del romanzo di Nabokov, a me non basta un corpo che cambia, cerco un pensiero che non può ancora sussistere in quelle fasi della crescita in cui si è prima di tutto, sia ninfe che fauni, delle sgangherate bombe emotive. Quante volte ti dirà una ragazzina che ha voglia di piangere ma non sa il perché .... esiste comunque qualcosa di magico in quel momento di metamorfosi ma lo è solo per noi adulti che osserviamo, vocabolo esatto in questo caso quello della metamorfosi, perché si passa da esserino brucoso che poi si imbozzola, per finire la sua parabola nella forma di una farfalla stupenda si badi, per i sensi, un momento magico che divenne per me esprimibile a parole da quel giorno in cui salii sul vagone di un treno e mi trovai davanti una forse dodicenne bellissima e pensai di getto "sembra un futuro angelo, peccato che diventerà solo una donna". Solo una donna ... non si pensi che io intenda sminuire il femminile. Nulla può la bellezza di un essere umano nei confronti di un angelo che, come la luna si colora dei riflessi del sole, brilla della luce riflessa della divinità con la quale passa il suo tempo. Lo stesso Luchino Visconti disse, durante un festival del Cinema a pellicola conclusa da poco, del bellissimo ragazzino che recitò in "La morte a Venezia", che ormai era già vecchio, ed intendeva dirci che era ormai troppo grande per essere angelicale e ormai sulla strada sbagliata ovvero quasi uomo. 

Esiste quindi secondo me un momento in cui si sembra, agli occhi degli adulti, di alcuni adulti, un angelo. Ovviamente non capita a tutti, e per il fanciullo/a, oso pensare che si tratti di quella fase assurda in cui da te iniziano a pretendere cose da piccolo uomo o piccola donna, perché così ti vedono, e invece dentro, nella tempesta (ormonale) si è bambini che davanti ad una domanda troppo grande preferiscono prendere un peluche e stringerlo forte. Succede agli adulti di cogliere queste sfumature ... troppo tardi, quando li sfiora l'angelo della morte ... allora capiscono quante cose credevano di aver capito e si apre un mondo gentile ... e purtroppo sentono essere sull'orlo del baratro. Baratro si, ma non per tutti. I duri di cuore, solo dalla propria morte sono profondamente scossi, ma per pochissimi altri, anche quando la notturna ala sfiora qualcuno che conosciamo, si innesca un meccanismo di umiltà e di qualcosa che si situa ben oltre il pensiero e le capriole della logica, gabbia quest'ultima che non differisce dalla ruota del criceto ... 

Ebbene Laura, potresti essere ancora una Lolita, te lo confermo, ma ricorda che lo sei forse per qualcuno, che il lolitismo è nella mente di chi ti guarda con un eccesso di pensiero, non meno dannoso dell'esagerare coi bicchieri di vino, e per spiegartelo bene devo utilizzare la seconda citazione e misurarla su di te. 

Il tuo modo di vestire ... non è finto. Sei tu, ci stai bene dentro. Non è una maschera, un giocare ad essere quel che non sei o un seguire la moda che equivale ad un brillare falso di idee non tue. Certo è che ai sensi, quelli della carne, fai un certo effetto, se si è slegati dal pensiero. Per me, per esempio, sei ben oltre il tuo corpo, sei tutta in quella nostalgia di non poter più essere una lolita, che per te, immagino, sia una dimensione mista di stato mentale e fisico in cui ti sentivi accesa, come una stella, e ora percepisci in te una vitalità che ti sembra minore, ma che secondo  me è solo diversa. La vita sai, con gli anni si fa più faticosa non perché il corpo invecchia, quello per te avverrà più avanti. Tu per ora vivi in quello stato che sembra eternità e che inizia alla fine dello sviluppo del corpo e dura di solito una ventina d'anni. Ogni giorno il corpo ti sembra identico. Funziona e ti sembra normale che la sua capacità, la sua prestazione sia costante oggi come due anni fa, e sei talmente abituata al suo ottimo funzionamento che ti senti viva non quando muovi gli arti, come m'insegna Lolita (il cane) ogni giorno, ma quando i sensi o la sensualità ti scuotono come una nordica bandiera. Poi accadrà sai, che diventerai consapevole del suo rallentamento ma con calma, fra anni. Posso dire che da poco ne so qualcosa, ma non si vive male questo tempo successivo se nel frattempo si comprende che la vita osa ben oltre la corporeità. Ricorda, per me prima di essere una ventenne o una trentenne sensuale, sei quella frase. Se ti fa effetto il numero degli anni che cresce semplicemente per la corposità del dato ... non temere. Conobbi Boris Pahor che a cento anni aveva ancora la mente sveglia di un ragazzo e noi siamo la nostra mente prima di essere corpo o corpo più mente ... tu sei quella frase per me, te l'ho già detto, e medita ... quando pensi ad una poesia, il fatto che l'autore sia morto da secoli o abbia settant'anni o solo venti non influenza la ... bellezza che nasce da quella dimensione eterna dell'essere, l'unica vera, che si posiziona ben oltre il pensiero e il tempo che in fondo son sinonimi. 

Ora veniamo a quel che la seconda citazione chiama volgarità o grazia torbida. Non l'avevi nella posa sciolta, mentre sedevi sola davanti al canale del porto e alla tazza vuota e nemmeno nello sguardo, ma poi ti ho vista con una sigaretta in mano, non una di quelle confezionate, e in essa ho "sentito" quel torbido poiché strideva quell'oggetto fumante sulle tue labbra. Lolita che fuma, un'eterna bambina che fuma! ma fumare lo vedo da adulti anche se so che non è vero ... e qui le vie tortuose della fantasia individuale inquinata dalla morale esterna, inizia ad immaginare mondi anche se di poco, più contorti del proprio, per il quale la dose d'indulgenza per sé stessi è sempre superiore di quella che usiamo per gli altri ... perché osare il fumo per molti è una piccola perversione ma anche e soprattutto l'inizio di una scala di trasgressioni. Per me il fumo è semplicemente non volersi bene. Immagino la cassa toracica come una scatola di cielo e rondini, ma se si fuma ecco che diventa un grigio paesaggio industriale nel quale un cane randagio urla la sua fame ingiusta al vento. Eccola secondo me la tua grazia torbida, in quell'osare consapevole e noncurante il fumo che un poco ti spegne dentro o che rappresenta una debolezza che ci si concede, nonostante la sua negatività, per bilanciare un peso della vita.

Ora torno a Nabokov. La sua opera migliore é secondo me "Un mondo sinistro", titolo tradotto in modo assurdo. "Bend sinister" è l'originale e intende la banda a sinistra dell'araldica. Banalizzare non diventerà mai un'arte. "Cari" critici ... che peste vi colga! "Lolita è comunque un buon romanzo anzi, buonissimo. Certo che se lo legge un moralista nulla si salva. La mia edizione nell'interno di copertina pretende di giudicare e in effetti lo fa e chi giudica è morto anche se non lo sa ancora: "Lolita è un romanzo della decadenza del costume contemporaneo".... Ergastolo please ... e in galera in compagnia di Wanna Marchi ed Emilio Fede per espiare corposamente! Lolita è la descrizione di un'avventura individuale e tragica!! Ma quale collettività decadente! Un tredicenne vive il suo primo amore che si chiama Annebelle. I cuori sono appaiati, combaciano, e i corpi ci stanno provando. arrivano li ... sulla soglia del piacere condiviso ma dalla finestra della villa qualcuno chiama e Annebelle il giorno dopo partirà e morirà di febbri in Grecia. Il ragazzo vivrà nel ricordo di lei. La cercherà in ogni ragazza, ma cresce e si arriva al limite della morale in cui una tredicenne è un reato per una persona di venticinque anni più vecchia. Ed ecco che la trova; il suo vero nome si cela dietro a quello di Dolores Haze quindi mai lo sapremo. Alle pagine 62 e 63 della edizione citata possiamo leggere il primo incontro del lento Humbert con Dolores. "... e poi, senza alcun preavviso, un'onda turchina mi si gonfiò sotto il cuore e, dalla stuoia posta in un laghetto di sole, seminuda, inginocchiata, nell'atto di voltarsi su un ginocchio, mi sbirciò al di sopra di un paio di occhiali scuri, il mio amore della Riviera." Eccoci ... lui non vede Lolita, lui vede Annebelle reincarnata e un passo successivo ce lo conferma: "Riconobbi il piccolo neo marrone scuro sul suo fianco." Questa conferma la ritroviamo anche nell'eccellente "tetralogia del mare della fertilità" di Mishima. Quali illusioni prendono il via per alcuni nei che furono nel medesimo punto di qualcuno del passato... Mishima e Nabokov nell'aldilà che si son meritati, sono sorpresi ora e lo so che l'uno stasera leggerà il libro dell'altro ... Torniamo al primo incontro: "Un fazzoletto nero a pallini annodato al petto celava ai miei invecchiati occhi di scimpanzè, ma non allo sguardo dei ricordi di adolescente, i seni giovanili che avevo accarezzato QUEL GIORNO IMMORTALE." Ecco che di nuovo, per la terza volta, quel primo incontro rivela Annebelle reincarnata e non Lolita e appare l'immortalità alla quale basta purtroppo togliere una t per scadere nel banale.

"... quell'ultima, folle, IMMORTALE, giornata dietro "Roches Roses". I venticinque anni che avevo vissuto dopo di allora si ridussero a un punto palpitante e svanirono." Ecco ... il tempo si contrae. L'incontro di venticinque anni fa ora è appena accaduto e quel che accadrà da ora in poi è la continuazione della storia con Annebelle. 

Una illusione infinita per un cuore spezzatosi a tredici anni. Ecco cos'è Lolita. Il libro risulta essere un dattiloscritto che Humbert Humbert ha lasciato al suo avvocato il quale può decidere cosa farsene. Verrà pubblicato e noi leggeremo. Il moralista condannerà e qualcun altro coglierà il dramma senza via di scampo. Perché Humbert ha deciso di scrivere? Non per il perdono, ma per far sapere che il dramma nell'esistenza può assumere forme veramente dilanianti alle quali non si riesce e non si può, porre rimedio. Essere uccisi? se qualcuno avesse compreso, effettivamente questo gesto avrebbe reso refrigerio al povero Humbert, ma suicidarsi no, non avrebbe avuto senso perché anche Annebelle sarebbe morta (si muore completamente quando più nessuno ci ricorda) ... perché tu sei lo scrigno del ricordo ... unico al mondo in cui lei brilla ancora ... in cui la gemma inestimabile che fu Annebelle, continua a sopravvivere, ad esistere. 

Cos'è questo libro? il ricordo eternato, nonostante la crosta purulenta della morale esterna, di un amore grande, spezzato sul nascere.

Ora una considerazione personale. La storia di Annebelle è troppo fine, troppo sensibile ... per non essere realmente accaduta. Annebelle è quindi veramente esistita. In modo irrazionale ne ho avuta la certezza quando ho passeggiato per Abazia, luogo che vide Wladimir Nabokov bambino. Li accadde, ne sono inspiegabilmente certo. Le loro orme, il loro eterno passeggiare mano nella mano lo vedo ogni volta che raggiungo quel lido. Spesso siedo al Caffè Wagner. L'albero che brilla fra i tavoli che guardano il mare in direzione di Fiume e delle due isole, quell'albero, che con lo scricchiolare dei rami al vento, mi ha raccontato che lo vide bambino. Mi alzo la mattina presto anche ad Abazia, ma con un motivo in più. Passeggio da solo con carta e penna, Nabokov mi raggiunge, non dice nulla e sorride. Guarda spesso l'orologio perché la sinuosa Annebelle ama dormire, poi ... ecco che appare sulla Promenade, stupenda come solo nei sogni... Wladimir mi fa l'occhiolino, mi tocca una spalla poi la raggiunge e gioioso anche nel passo e ogni giorno, per sempre qui, si fonde con lei, in lei, nell'alba.



venerdì 4 febbraio 2022

ABENDGLOCKEN

Ho pubblicato questo brano senza offrire al lettore una guida. È accaduto perché dopo la scrittura, che è avvenuta di getto, di solito sono esausto. Come ho avuto occasione di spiegare altrove, quel che scrivo (in ambito letterario) non è pensato. Sgorga e basta. É come se per me esistessero ancora le Muse oppure, per chi non mi stima, si potrebbe pensare che mi capiti quel che accadeva agli antichi (fino all'Iliade che risulta essere l'ultima) e che è così ben descritto ne "Il crollo della mente bicamerale" di Jaynes. 

Nel caso di questo scritto, che secondo me non può essere definito diversamente poiché è un po' poesia ma non lo è,  un po' è prosa ma sa di poesia ... , nel caso di questo scritto dunque, è accaduto che la solitudine cercata e prolungata, in una stanza disadorna (un letto per via dei miei problemi alla schiena, Lolita che è il cane e alcuni libri) mi ha portato ad una sensazione di rallentamento del tempo non mio (quello dell'orologio) fino ad una immobilità totale di esso ... e dal tempo immobile così raggiunto nel quale ero immerso mi sentii alleggerito ... ed ecco che le pulsazioni del cuore che per via dell'annullamento del tempo esterno, divennero udibili ... le ascoltai commosso ... ecco il mio orologio pensai, che accelera o rallenta a seconda di quanta emozione spendo. E m'ingegnai di rallentarlo, fino a spegnerlo che non è morire, ma fermare, fermarsi veramente. L'ho fatto altre volte e non ho più timore... ed ecco che una voce si fece sentire, non localizzabile, incorporea per un attimo. Nel frattempo nella mia anima ora veramente ricettiva e immobile poiché le emozioni si erano non pulsavano più, nella mia anima che mia non è ma è un frammento di un tutto positivo, la mia anima dunque,  sentii "Hotel Supramonte" di de André e il tempo divenne "... un signore distratto, un bambino che dorme ... poi come una preghiera sorse il canto Abendglocken nella versione di Rebroff che è la mia preferita (youtube: Ivan Rebroff 3:37 minuti)Abendglocken). Ad esso seguì dopo un silenzio meraviglioso, Casta Diva cantata dalla Callas (youtube: Maria Callas sings "Casta Diva"(Bellini: Norma act 1. Recorded live at the Palace Garnier on the 18th of December 1958. Minuti 7:13). Se il brano di Rebroff mi estraniò dal mondo (il greco, l'orfico entusiasmo = uscire da sé stessi perché possa il dio entrarvi), quello della Callas, esattamente quello del 18 dicembre del '58, mi purificò per la sofferenza che vi colgo. Guardatela. Era all'apice della carriera esteriore, la dea, una delle dee, la più raffinata senz'altro della sua epoca, ma... aveva lasciato il marito per quell'Onassis che di elevato aveva solo il conto in banca e il nome ... sapeva di aver perso nell'unica battaglia terrena in cui vincere, o almeno non perdere, aveva un senso. Guardatela, elegantissima (di Dior forse l'abito),  diamanti grossi come noci che sfavillano, lo sguardo del teatro, lo sguardo del mondo per mezzo della neonata televisione  ... eppure sconfitta ... sola ... e canta Casta Diva col cuore in mano. Io ci vedo questo e mi strugge sempre poiché di solito soffro più della sconfitta degli altri che non delle mie ... le altrettanto irrimediabili mie ... 

La inconsapevole sacerdotessa Maria Callas, una volta che Ivan Rebroff spazzò via le emozioni del presente, la Callas dicevo, sbriciolò i sedimenti del passato. Ora ... arrivarono Roberto Murolo e Mia Martini che cantano insieme (Roberto Murolo & Mia Martini CU'MME' (remastering) wra videomovie minuti 4:25). Roberto Murolo, anziano, sereno, che trasmette la tranquillità di una vita spesa bene e dice parole che invitano ad andare oltre e poi lei Mia, che si sapeva che stava male dentro ... e urla quasi "come si fa a dar tormento all'anima che vuol volare" e lo dice in napoletano, in dialetto, in una lingua popolare che sa di cugini, parenti, vicini di casa, di odor di basilico ... e questa canzone portò via quel che Maria Callas aveva scalfito. Ora Tarkovskij apparve, seduto sull'ultimo letto a Parigi, col passerotto in mano che spontaneamente lo aveva cercato, quel Tarkovskij per me espressione di perfezione col suo Cinema/Poesia. Mi bastò il suo sguardo mentre dalla mano il passerotto/anima, vola via ... ed ecco che delle emozioni, anche delle passate, non rimase più nulla. In quel vuoto completo dell'io apparve un uomo magro, una visione in bianco e nero ... ed era Kafka alla Galleria Golz che legge invitato, "Ne la colonia penale" che considero uno dei suoi irraggiungibili capolavori. E poi lui, Kafka, svanì e apparve quella voce che mi parlò. Quando ebbe terminato, quasi gridando, provai una sensazione fisica, come di farfalla posata, la medesima che forse un paio di lettori ricorderanno, del primo bacio, della prima infatuazione descritta in un racconto. Quella sensazione provata vuol dire che stavo tornando, regredendo, alla fisicità. Gradualmente stavo tornando al mio tempo interiore gestito dal cuore, e in quel frangente non ancora carnale,  per quanto ormai imperfetto, chiesi "chi sei", prima che mi dissolvessi, frantumassi, nelle asperità monotone del tempo estetiore. Pensavo fosse Kafka a parlarmi e per un attimo lui apparve, ma poi si trasformò in Rebroff, in de André, nella Callas in Murolo poi in Mia poi in Tarkovskij e infine colsi un viso multiplo che tutti li contienva in un unica visione inesplicabile. Eccomi qui pensai, ecco il volto di Dio, influenzato da Swedenborg, che conobbi ragazzino da una poesia di Borges. Per questo mistico svedese non esistono l'inferno o il Cielo (Paradiso) ma la contemplazione del volto di Dio che è sofferenza per i reprobi e serenità per i salvati ... ed in quella immagine, somma di umani eccezionali, ognuno un frammento consapevole del Tutto,  in quella somma .... ho intuito per un attimo,  il volto premiante di Dio. 

 Ed ora lo scritto...

Ebbro di silenzio, da giorni rinchiuso da me stesso in una stanza, sapevo di dover attendere e resistevo e poi, quando il tempo per me non era più nulla e la fame e la sete si erano spente nutrendosi di sé stesse ... ecco che nella penombra un'ombra si muove.

Anche il respiro ho lasciato e nulla mi sfugge, sensibile ormai come gli dei.
L'enigma che ho dentro ecco ...
si scioglie in parole non dette che partono da quel punto inesistente posto fra cuore e mente che è il sofferto premio di pochissimi. Ecco cosa disse:
"Tu ricordi lo so, con stupore, quel che accadde quella sera d'inverno alla galleria Goltz a Monaco. Fu l'ultima volta che degli umani insieme, quel piccolo gruppo d'inconsapevoli eletti, uscirono da da sé stessi e si colmarono di stupore immenso. Accadde che un uomo magro che fra gli antenati, da parte di madre, aveva per guida un santo chassid, accadde che quell'uomo magro vestito di scuro, nascosto nell'ombra, con un filo di voce lesse parole che aveva scritto, parole indicibili ... come le note sensibili di Chopin appena udibili, perché dalle dita non note ma l'anima era uscita. Così l'uomo nella penombra, lui stesso li sconvolse ... fu l'ultimo ricordalo! Come Orfeo col gruppo d'inconsapevoli iniziati ... resi sacri da quella che pensavano fosse solo una pubblica lettura letteraria"... 

Io ascoltavo la non voce che da nessun luogo riempiva la stanza chiusa da me stesso dall'interno. Capivo ... e capivo anche che quella mente, fattasi voce inesistente ... era in me, e fino in fondo mi conosceva.

"Ascolta e non pensarmi!" disse,
"tu hai provato qualcosa di simile ma in estrema solitudine, e così gli altri non potranno mai capire. Prima con de André poi con Rebroff e Callas, ... e un'ultima volta in canto prima di chiuderti qui dentro, con una inno alla vita cantato da un vecchio felice e da una donna sofferente che la vita se la tolse per uccidere quel che la offendeva nella mente ... poi infine ... al culmine, ecco immagini di Tarkovskij e il passerò ultimo. Eri commosso e ti sei chiuso qui per capire. A Monaco invece svennero, lasciarono la sala, pochi resistettero. Le parole sussurrate dall'uomo in penombra furon sconvolgenti ...  parole che al massimo oggi sarebbero considerate sconvenienti. Ora ascolta ... tu solo che hai saputo creare il grande silenzio che permette di sentire tutto e di sentirmi ... ebbene ascolta!

Senza arte, senza poesia
la vita è un dono da buttare via ...
Senza il dubbio di Dio
non può esistere un briciolo di io
... e con la perfetta razionalità
si resta sempre senza umanità.

Cantalo ti prego, che il tuo tempo ha fame e sete e ha dimenticato il sentimento.
Cantalo tu a chi pensa di guarire accumulando!!!"

Le ultime parole le disse quasi urlando ... poi più nulla. E nemmeno il nulla ormai c'era. Qualcosa mi sfiorò la guancia come farfalla posata. Un attimo e se n'era andata. In quell'attimo di un tempo senza tempo, dopo il tocco leggero ... ecco che tornai alla carne e sangue che son io e chiesi timoroso ... "sei tu?" Fuori dalla stanza sentii cantare ... "comme se fa' a da' turmento all'anema che vo' vulà..." , ma quella voce non piangeva più quelle parole. Le cantava ora e sorrideva.
Ora, che il presente sempre mi raggiunge ... dicevo ora ... apro la porta ... è sera sul mondo ... sono tentato di richiuderla e dire che mi arrendo ... ma ora so e non devo essere egoista.
"Ma" ... ripeto ... "sei tu?" ...
La voce risponde un sì di marmo.
Il Virgilio che fu di Dante guida, il mio Virgilio ... Kafka ... in un lampo di buio mi si mostra, arcangelo infinito ... ma si trasforma ed è Andrej e poi Maria e Ivan e Fabrizio e poi Roberto e infine Mia. Tutto è accaduto in quell'ombroso batter d'ala di quella inesplicabile falena.
Questo attimo eterno che ho vissuto ora lo scrivo qui in questo quaderno e mentre esco volontariamente dal mio eremo per me per noi... Rebroff canta.

(Scritto oggi fra le 12 e le 13)

venerdì 8 gennaio 2021

NICOLA SAMORi': L'ULTIMA CENA

 


Il mio personale rapporto con le opere di Nicola Samorì è sempre stato controverso. Stima assoluta, ma … lo vedevo deragliare costantemente, come Damien Hirst, (che per me è solo un fenomeno commerciale), in direzione dell'annientamento del corpo .., e percepivo il nulla successivo, l'annientamento dell'io come angoscia. Non potevo accettare una mostra nella quale si ripetesse come un ossessione questa visione angosciante.


(un esempio per me parallelo è Giorgio Morandi. Le sue opere … ne vedi due o tre e sei a posto. Se ne vedi una fila, ovvero un'intera mostra, ti trasmettono un disagio notevole nella loro ripetitività e questa diviene l'argomento, l'enigma che lo riguarda. Quando lo feci notare ad un critico questi mi rispose che le bottiglie non erano mai nella medesima posizione … risposta appunto da critico la cui moglie di solito è sempre incinta. Per me era invece evidente che in Giorgio Morandi, nel suo io profondo, ci fosse qualcosa di irrimediabilmente bloccato. Opere di indubbio valore … ma quella ripetitività per me è un sintomo … immaginatevi a fare sempre lo stesso gesto. Se compiuto di rado chi lo vede lo collegherà ad un senso, se accade spesso diviene un tic, qualcosa che sfugge all'io consapevole e che rappresenta un disagio secondo me enorme. L'unico vero cambiamento che mi sembra di aver colto nell'opera di Morandi è la seguente. Sfogliate velocemente un catalogo con le sue opere disposte in ordine cronologico e noterete che da una visione nitida si giunge a qualcosa di ancora definito, ma sempre più direi … annebbiato).


Avrete compreso che questo testo è indubbiamente eretico per i benpensanti (= versione ufficiale dell'interpretazione dell'arte che di fatto è per un 99,98 % marketting ... e vi invito a soppesare attentamente l'aggiunta della t che, anche se sembra, non è casuale), ma posso permettermi anzi devo … ignorare come verrà considerato questo scritto perché mi considero (e ormai non è solo un fattore soggettivo) un artista.


Artista = umano che percepisce qualcosa che non va e sente sgorgare immagini che rappresentano il suo disagio. Successivamente le elabora tecnicamente. Più le elabora … più si allontana dall'idea pura, originaria. Arte totale è quell'idea pura resa nella materia (in forma di parole, note o colore poco importa, basta che sia percepibile ai sensi) che può di conseguenza essere trasmessa ad altri. Suo linguaggio, il simbolo (della razionalità non v'è traccia, fra un attimo spiego). Se un'opera parte dalla negatività colta nell'esistenza, può comunque conquistare una visione positiva che inconsciamente viene elaborata dall'io interiore. L'io interiore se ne frega (è volgare ma ci sta …) dell'io conscio. Io per esempio mi son posto per anni la domanda del significato del racconto “Il cacciatore Gracco” e poi un giorno di giugno, di mattina presto, mentre passeggiavo col cane in un bosco, improvvisamente ecco la soluzione … questo vuol dire che il mio io interiore ha una sua esistenza e delle sue esigenze e solo ogni tanto e di rado, l'io conscio e quello interiore (inconscio è brutto … lo lego a incosciente!) agiscono in consapevole armonia che … l'io interiore può rivelarsi … ed è un momento sublime.


Il critico = Savinio disse … “nessuno ha mai fatto un monumento a un critico” … e mi sembra che la sua massima sia ancora valida. Il critico è un essere razionale, quindi non ha nulla a che spartire con l'artista. Cerca di capire, ma utilizzando il metodo sbagliato che è appunto la razionalità. Potrei usare un'immagine un po' forte … si, oso … il critico è l'avvoltoio che si nutre della carne eterna dell'io interiore dell'artista. Ho già spiegato la situazione nel mio scritto su Harold Bloom. Potrei essere ancora più eretico e preciso … non avvoltoio ma antropofago, cannibale quindi, che si nutre dell'io interiore di un artista poiché non trova il suo … amen.

Meditazione non trascendentale. Un critico parla bene di te … se lo paghi. Un artista fa l'opera perché non può, non è proprio in grado di farne a meno. É sufficiente questa considerazione per farmi rifiutare completamente il ruolo del critico. Già Diderot qualche annetto fa, fece notare che ci sono due visioni dell'arte, quella degli artisti e quella degli altri … per me, secondo me, deve esistere l'organizzatore, l'intervistatore (ovvero colui che fa domande all'artista se questo a voglia di parlare) e nient'altro. Quanto sarebbero più graditi al pubblico cataloghi nei quali il critico tace coi suoi paroloni autoreferenziali e invece si fosse un dialogo e Samorì per esempio esprime assai chiaramente i suoi contenuti, caso raro in un artista del suo livello …

Serve invece lo storico dell'arte o della letteratura ecc. Se il tempo e lo spazio dell'artista son diversi dalla realtà del fruitore, (per esempio un artista fiorentino del cinquecento, osservato da uno statunitense attuale) allora serve raccontare qualcosa. Anche il sociologo potrebbe dire la sua, ma sempre per descrivere il contesto e … basta. Se si agisse così di Duchamp Wahrol ecc non rimarrebbe nemmeno la polvere e l'Arte con la A mjuscola tornerebbe a far capolino nella miseria quotidiana di questa epoca.


Perché ho dato queste definizioni prima di procedere nello scritto … perché ci son sempre due soggettività che si confrontano quando si ragiona. Se io non rivelassi qualcosa di me stesso, sarebbe sleale. Le variabili sono due, io che scrivo e tu che mi leggi, e come tali devono esser messe in gioco. Il mio pensiero può non piacere … liberissimi di pensarlo … e già a questo punto dello scritto, o anche già molto prima … potreste aver deciso che non è il caso di proseguire nella lettura. Il critico si pone invece come divinità che impone perle di saggezza indiscutibile. Un ritorno dell'antico e odiato concetto di autorità … “Lui lo ha detto!”

Aggiungo di me un particolare che può essere utile per quel che intendo dire sull'opera di Samorì … Ho l'impressione che lui viva nella dimensione di un animismo antropologico mentre io vivo in un animismo assoluto.


Animismo antropologico: ogni essere umano ha un'anima … anzi potrebbe averla, Sicuramente ce l'ha Gesù per Samorì e per milioni di persone.


Animismo assoluto: la natura è polvere. Essa prende delle forme perché un'anima da dentro tirne stretta quella polvere-materia. Cnseguenza … ogni oggetto e ancor di più ogni essere vivente, non essendo polvere e avendo una forma … Ha un'anima.


Io sono animista assoluto e la mia vita si presta spesso a situazioni comiche. Per esempio quando è ora di cambiare la macchina per me è una tragedia e con l'ultima vari amici mi hanno fatto le condoglianze. Altro aspetto non secondario. Se ho un oggetto che non mi serve sento la sua sofferenza perché non sta vivendo. Penso allora alle mie conoscenze e se a qualcuno serve glielo dono. Non lo faccio per quelle persone, ma per l'oggetto e la gente fatica a comprenderlo e si sente in debito, cosa che mi imbarazza assai. Vedete … di nuovo non pontifico come fanno i critici, ma offro la mia soggettività che entrerà in collisione (positiva) con l”ultima Cena” di Nicola Samorì e un'opera è una particella, in questo caso consistente, di un io.


Veniamo all'opera. Il personaggi (gli Apostoli) sono sgranati. 




Si sente che son umanissimi esseri fatti di materia (polvere eri e polvere tornerai). La loro friabilità, il loro esistere, è fragile, sembra che basti un colpo di vento per ridurli in quella polvere-materia che diviene tale perché l'anima se n'è andata. Poi osservate Gesù. 




Il corpo è lo straccio in fondo, un residuo che appunto, in quanto materia, diverrà polvere … 



Ma quel che rimane quando il corpo si deteriora è luce! Quindi l'anima in questo solo caso si rende visibile e ciò che visibile è conferma sensoriale per noi umanissimi umani.

Vedete … se studiate Hume dai testi di filosofia, scoprite un ateo. Se invece leggete le sue opere vi rendete conto che lui ci dice che i sensi e la ragione non servono con la Divinità. Con essa serve solo la fede.

Ora … l'opera di Samorì che mi era sembrata per anni bloccata in una ossessione della decomposizione e del nulla che ne consegue, rivela una soluzione. La fede va oltre all'angoscia della morte, la risolve. Non so dire se sia giunto col tempo a questa concezione oppure se ci è arrivato a suon di sana e robusta sofferenza.


Mi è stata offerta varie volte la possibilità di conoscerlo o almeno incontrarlo ma … è in fondo necessario. So che è un solitario e lo sono abbastanza anch'io? Ci tengo invece a vedere, a “vivere” le sue opere, particolarmente ora che ho colto una soluzione “luminosa”. Da sempre l'anima è luce e il fatto che lui abbia ottenuto il suo effetto con una lastra di metallo non mi tange. L'artista può usare qualsiasi cosa. Nemmeno m'interesso di questo. Lui ha le sue tecniche, le sue strategie. A me, a noi, deve interessare il messaggio e in questo caso siamo secondo me, davanti ad una delle opere più valide degli ultimi anni. Il resto della mostra alla fondazione Stelline l'ho trovato men che penoso (ricordare la frase di Savinio ...) … ma basta un'opera per illuminare un viaggio in questo caso a Milano, come basta una pagina di valore per trasformare una giornata uggiosa e “sentire” che forse vale la pena di esistere ...

domenica 27 dicembre 2020

A proposito di una raccolta di poesie di Massimiliano Pradarelli

 

Lo chiamo Pradarello, non Pradarelli, chissà se se ne è mai accorto. In italiano la tendenza dominante dei cognomi è in -ini, -ni, -i; ovvia l'origine toscana. In Piemonte domina la o, ad esempio Ferrero, ed è Ferrari, con la i in Emilia Romagna ecc.

Pradarello è il cognome giusto, è anche l'dentificativo giusto. Si chiama Massimiliano. Nome non diffusissimo ma, immaginiamo un giorno di festa e la piazza di una cittadina … se grido Massimilianoooooo! Ho la certezza che non si girerà una sola persona. Ricordo quando a Napoli gridai fra la folla Gennaroooo! Si girarono un centinaio di persone. La presero sul ridere ed iniziarono a chiamare altri nomi. Rocco risultò essere il secondo, un santo che a Napoli ebbe un destino strano come in fondo si può dire di quel popolo, sicuramente geniale (basti pensare ad Eduardo e Totò e … alla pizza) ma anche irriverente in modo quasi comico anche col sacro. Tanti anni fa, poiché il Vesuvio non sembrava più un pericolo mentre la peste anzi, le pesti, imperversavano e il buon Gennaro era ideale contro le eruzioni, lo destituirono e ne gettarono la statua in mare. Non sto scherzando … è la storia che ogni tanto sa avere umorismo. Misero al suo posto san Rocco, protettore degli appestati e in effetti, per quell'aspetto le cose andarono meglio, che san Gennaro pensava solo a o' Vesuvio. Ma poi il vulcano si svegliò, girarono con san Rocco ma lui alla montagna assassina non dedicò mai attenzioni e così … finì in mare pure san Rocco, cercarono di recuperare la statua dell'altro santo che non si fece trovare, ne prepararono una nuova che fecero girare nei luoghi in cui la lava minacciava da vicino le case e … miracolo, la pietra incandescente si fermò. Quindi … secondo me, una religiosità un tanto al chilo. Quel che ho raccontato sembra una digressione, si potrebbe pensare che intendessi farvi sorridere, ma ricordate … e proseguiamo nelle meditazioni.

. Quindi da anni lo chiamo Pradarello, e ora che l'ho reso unico (solo lui si girerà a quel richiamo e non membri della sua famiglia o omonimi o parenti), vi dico che mi ha donato un libretto.

Titolo, “Ecco, improvvisamente le lacrime”. Valutiamo il titolo ...

Analisi non razionale (assurdo in termini per gli intellettuali, ma sensato per chi mastica e vive nei simboli): Ecco. Ecco qui … per esteso. Il qui e ora reso anche nel linguaggio popolare. “Ecco fatto!” = fatto ora.

Poi segue la parola “Improvvisamente” … Di nuovo il fattore tempo. Deduco che qualcosa accade, con una certa dose d'imprevisto per chi osserva la scena (immagino il Pradarello che quelle parole le pensa mentre qualcosa gli sta accadendo). Dunque, il qui e ora concreto, seguito da una precisazione che ci informa che il qui e ora è saturato da un evento imprevedibile … e l'evento consiste in “piccole lacrime”. Piccole, per lacrime, è raro per non dire rarissimo, mi da l'idea di un dolore che la dignità vuol contenere … ma non ce la fa, oppure? Non so ... tengo presente che ho scritto queste righe, compresa la descrizione che segue della copertina, prima di aver aperto il libretto.

La copertina mostra una foto in bianco e nero, un paesaggio innevato con alberi. Ma … e l'inverno rappresentato non è un rafforzativo di un certo modo inconscio, ma collettivo di percepire il tempo? Certo. Quando nevica il tempo rallenta. Quando ha nevicato il tempo si ferma, il paesaggio si fa immobile. L'inverno se rappresentato con paesaggi senza umani e oltre il resto con alberi scheletriti che hanno perso le foglie, rappresenta il tempo immobile … e il tempo immobile è l'assenza di tempo.

E ora il collegamento cruciale … sotto il titolo in neretto, schivo ma ovviamente leggibile, il sottotitolo: “Lectio divina tra quotidianità e poesia”. Appare il divino … e questo, già lo so, allontanerà il lettore superficiale. Il senso del sacro, l'essere credenti, non è di moda. La filosofia per esempio, si è fatta laica contro la volontà generale che non lo è. Del novecento per esempio, certi filosofi non appaiono nei libri di testo … o sei laico, o fuori … non esisti. E sfido i prof di storia dell'arte a comprendere Kandinskij, che non stimo, senza conoscere Rudolf Steiner. Sfido Il surrealismo (quello finto di Breton e non quello vero di Savinio) a muoversi nella sua irrealtà intellettuale dimenticando Gurdjeff , Ouspenskij ecc, e le sedute spiritiche e le fattucchiere. Si son nutriti di sacro! Sacro spesso un tanto al chilo, è vero, come quelle persone che buttarono san Gennaro a mare perché l'utilitarismo selezionava nella loro mente anche … i santi. Ma che ci sia una spinta verso il laicismo da parte di pochi laici, negando l'evidenza del sacro che le gente vive, spesso suo malgrado, ecco … questo non si può, non si deve dire. Ricordo Tonino Guerra che dalla cimetta di Pennabilli diceva di sentire in certe giornate solitarie d'inverno dal suo giardino, Dio che tossiva … ed era un comunista, che per vergogna del comunismo militante si definì comunista zen, Un paradosso in fondo, perché il comunista è un materialista (Dio non esiste), e la filosofia zen, gira intorno a un non detto che è il senso del sacro che è una sensazione che capita di provare anche a chi non si è mai posto, sulla divinità, domande chiare. Io stesso, travolto dalla vita, per anni mi rivolsi a Dio solo come all'ultima possibilità prima della sconfitta ma … un giorno, dopo aver letto passi eccezionali da libri che amo, passeggiando col cane, mi sedetti in riva ad una palude e … improvvisamente mi resi conto, fu un attimo, che tutto aveva un senso, che tutto era sintonia e che a noi sfugge perché camminiamo nei secondi, in un succedersi scabro di attimi. Cos'era quella sensazione? Era la divinità che si annuncia? Era il suo preludio? Quel che so è che quella sintonia col tutto, col vento, col fenicottero stupendo (anche se vestito di un inelegante abito rosa), col battito del mio cuore e di quello del mio cane e del pianeta e di tutto … in quell'attimo, quella sintonia mi ha tranquillizzato. Non si pensa la divinità, la si intuisce … e poi vi è il miracolo. Mi diverto a chiederne una definizione. Sospendete un attimo la lettura e provateci per favore. Fatto? Ecco la mia versione: un fatto al quale la scienza non sa dare risposta … ma non mi fermo qui. Spesso in un futuro prossimo o distante, la scienza ha poi spiegato. Il miracolo ha una caratteristica in più … non è comunicabile. Ti accade qualcosa di strabiliante? Ecco … è solo tuo. Se lo racconti non verrai creduto. Tutto qui … e negare che accade è banale come gettare san Gennaro.


Dunque. Apro il libro, lo leggo tutto di sera, con calma e con una matita in mano.


La prima, forse la più bella, ci spiega qualcosa del titolo.


Ecco, improvvisamente

piccole lacrime

nel tuo volto bianco e delicato

Mia dolcezza

perché piangi?

Non sai che il Signore

nostro l'Altissimo

ne chiederà conto?


Torniamo a noi. Ho rispettato tutto, le maiuscole e la forma grafica.

Se ci fermiamo qui abbiamo un dubbio: o un bambino o una donna. Le righe successive, semplici e chiare, ci dicono che è una bambina.

Consiglio di rileggere togliendo la penultima riga, Quel “nostro l'Altissimo”. Si “sente” così qualcosa di immediato, di semplice, che profuma di casa, di vita quotidiana. Quel “non sai che il Signore ne chiederà conto?” lo si ricorda nelle nonne e non solo, spesso appariva nelle risposte per far comprendere che la responsabilità di una frase o di un gesto non era solo nei confronti dei presenti o di chi subiva l'azione, ma sopratutto … nei confronti del Signore. Questo è un dato di archeologia recente che si ritrova nel linguaggio. Mio padre in Tirolo, nel primo dopoguerra (aveva cinque anni nel '45) si svegliava tutti i giorni alle cinque. Alle cinque e mezza con la famiglia era in chiesa; breve funzione, poi a casa, colazione e poi nella vita. Le Case Sante ne erano il fulcro. Costruite dai paesani (piccolo era il borgo che se andavi un po' veloce in auto nemmeno lo notavi), consistevano nella chiesa, la scuola, la casa del prete e il cimitero. Non erano del comune, ma dei paesani che dedicarono delle domeniche pomeriggio per costruirle. E la vita quotidiana iniziava col sacro. Il mezzodì lo decideva il prete con le campane e non con l'orologio … il tempo era di Dio e non del mercante. Se il parroco si era fermato a far due chiacchiere in osteria (di un mio parente … solo tre cognomi si intrecciavano nel borgo), ecco che il mezzodì era alle dodici e dieci. Tutti a casa, preghiera paterna sul pane con un pensiero, ancora nel '45 anche per il buon padre Franz Josef) e via a nutrirsi. E poi chi al lavoro e chi ai giochi e quando il prete suonava per il vespro ecco che la comunità tutta si riuniva nella Casa Santa nota a noi come chiesa. Si pregava, ed era un atto collettivo. Si passava poi insieme a salutare i morti che, sistemati in terra sul retro, ben separati dal resto da un muro di pietre ben costruito, sembravano di fatto in una barca di pietra che contenesse chiesa e cimitero e che in un giorno del giudizio imprecisato, si sarebbe staccata per volare in cielo.


Accadeva settant'anni fa … accadeva ieri. Lo ricordo anch'io negli anni ottanta del novecento questo modo di vivere, che sopravviveva ancora e non solo nei vecchi. La mattina in chiesa ci si contava, ci si rinfrancava nello scoprire che si era tutti presenti, vivi. Ricordo anche la vecchia misteriosa alla quale i paesani si rivolgevano per i loro malanni, e solo se lei non riusciva, si andava diffidenti dal medico … correvano gli anni ottanta … quarant'anni fa, un ieri che anche le parole di quella poesia ancora portano in sé …


non sai che il Signore ne chiederà conto?”


ma … c'è qualcosa che interrompe questo reperto e intende completarlo …


Non sai che il Signore

nostro l'Altissimo

ne chiederà conto?


Quell'aggiunta, quel “nostro, l'Altissimo” ci pone davanti ad una certezza assoluta. Per l'autore, non esiste il dubbio di Dio. Tutto si basa su questa certezza.

Curiosa è l'ambiguità che ne segue. Dio ne chiederà conto per punire o per lenire? Ne chiederà conto al padre o alla bambina?

Questa calcolata ambiguità ci mostra la divinità come misteriosa, spesso incompresa nel suo agire. Nelle poesie che seguono, ci son descrizioni della vita che è divisa in due luoghi netti: la famiglia come un rifugio esente dal male perché il padre terreno, il poeta, consigliato dal Padre celeste, veglia, e il mondo esterno luogo in cui si scatena la battaglia e … per i fatti sgradevoli che vi accadono, rende incomprensibili i piani della divinità. Tracce del dio ebraico, intransigente, che si mescolano col cristianesimo fatto di perdono.

Il finale di una poesia a pagina 49, ce lo conferma …


Chiunque il male

avrà fatto

gettato nel fuoco

divorato (almeno per un minuto...)


E tutti

sicuramente

salvati


Nel fuoco almeno per un minuto mi fa sorridere. Una divinità non risponderà mai al male con il male. Se qualcuno, dal nulla ha creato sofferenza, punire come fanno gli uomini (e celano questo loro assurdo dicendo che agiscono secondo giustizia), genera altro male, altra sofferenza. Ma il Pradarello è umano, dimostra di sapere che non è in grado di reggere a certe malefatte semplicemente col perdono. Una passatina sul fuoco, rosolarli un attimo … qualcosa di romagnolo, di simpatico come questo popolo e questa lingua, che brilla d'ignoranza ma ha un discreto cuore … e infatti, dopo aver messo i cattivelli nell'angolo dietro alla lavagna con le ginocchia sul mais … ma per un solo minuto, ecco che tutti torneranno al loro posto, perché appunto un Dio grande, un Dio vero, è perdono.


Il bello di queste poesie è che spesso l'inizio è laico e talmente semplice … da stupire, ma si ricordi quel che disse Jorge Luis Borges … “la poesia semplice, di una semplicità che cela una segreta complessità …

e infatti …


Vorrei cercare

sempre

di non farmi influenzare dalla massa

spegnere la tv e …”


e poi un'azione, una meditazione, un tentativo di mantenersi integri nonostante i fatti e le bugie evidenti del mondo esterno.


Un altra osservazione e poi il silenzio, perché mai si deve rivelare troppo di un'opera …


I bambini ... si coglie che per l'autore essere diventato padre è stato un evento travolgente.


Vita

che torna alla vita

senza tempo

nell'universo.

Forza nella debolezza.”


Invertendo il “polvere sei e polvere tornerai”, sconfiggendo la morte ...ecco spiegato quel che si riceve con la paternità … in due parole. La debolezza dell'essere umano, e la sua forza di durare non in paese, o sulla terra, ma nell'universo, termine che ha la capacità di farci sentire infinitesimi, assurdi, insensati, fragili.


Vedete … attualmente una coppia raramente pensa a procreare. L'amore è visto come una compensazione, un donare reciproco fra due persone. Una volta, e per alcuni ancora oggi, nella cultura occidentale, così avanzata, così estrema, spesso così semplicemente e irrimediabilmente consumista ed economista (bilanci bilanci e bilanci, al punto che ti cureranno solo se …) nella cultura occidentale dicevo, se ci si amava, l'apice era il figlio. Ora è l'orgasmo … non commento, ma ci si pensi....


E per il resto la parola al lettore …


mercoledì 6 maggio 2020

LEONARD COHEN : "Happens to the Heart"


Vidi il video, e quindi ascoltai la canzone casualmente, appena uscì su youtube, circa sei mesi fa. Non è certo l'unico lavoro di Cohen a commuovermi ... anzi, per essere precisi, questo lavoro, lavoro di gruppo come poi spiegherò, va oltre. 
Ricordo Quando dal vivo alza gli occhi verso la videocamera e dice, con decisione e timore, con un soffio di voce "i'm your man...", un attimo indimenticabile.
Ricordo "Dance me to the end of love" nel video collegato forse arbitrariamente, ma comunque per me con fascino, con il magistrale tango danzato da Al Pacino nel film "Profumo di donna", un brano che sembra superato, già vecchio appena nato e invece tocca il cuore. Insomma, Leonard Cohen ha lasciato e lascia il segno. 
Il video dal titolo, "Happens to the Heart", l'insieme che esso è ... quindi testo, musica e immagini, è un mix capolavoro che mi sento in dovere di spiegare.

Vedete, noi usciamo da un'epoca assurda nella quale per esempio nel cinema, sembra su una moda lanciata dalla Francia, si dice che il film è sempre e solo del regista. Ma ... per esempio "La notte" di Antonioni, sarebbe comunque un capolavoro così potente senza Ennio Flajano e Tonino Guerra? Non credo. E film come "I vitelloni", "La dolce vita" ... cosa rimarrebbe senza Flajano? Si pensi solo al primo titolo. I Vitelloni. Essendo Fellini di Rimini, tutti, pensano che il termine sia riminese, e invece lo troviamo tuttora nel dialetto pescarese. Sta per vudellone, budellone, ovvero colui che passa la vita al bar a far niente (la parte di Sordi nel film). 
Altre opere sono collettive, ma ce le fanno passare come atto creativo di un singolo. Altro esempio, il video "Correre" che sembra essere di Anastasio, e invece è firmato con uno pseudonimo; William 9, e non so altro.
Con Cohen, ed esattamente con quel prodotto formato da testo musica e video che conosciamo col titolo di "Happens to the Hearth", la firma del poeta copre tutto e invece la musica dovrebbe essere di Adam, il figlio, e il video ideato e realizzato da Daniel Askill. Se l'insieme è un capolavoro (io la penso così...) nato dopo la dipartita del poeta, le sue parti non lo sono meno. Ottimo il testo, ottima la musica e il significato del video che va forte, va da solo, anche per chi non comprende le parole comunque semplici. Daniel Askill ha detto: "Volevo realizzare qualcosa che parlasse della vita di Leonard"... "poi aggiunge "Cohen come monaco zen" ... 

Iniziamo l'analisi tenendo conto di un aspetto del lavoro artistico che di solito viene trascurato. L'opera, quasi sempre, è almeno in parte, misteriosa anche per colui che l'ha creata. E' nata partendo da un'idea più o meno chiara? ok, ma poi è accaduto qualcosa che ci sorprende. Spesso l'artista si domanda, al termine dell'atto creativo ... ma cos'ho fatto! Lo accetta. E' uscito dalle sue mani, è parte di lui, ma quell'opera contiene anche parti di lui che non conosce. Noi siamo solo parzialmente consci. Essere artisti è prima di tutto scoprire se stessi con l'opera. Rido gajamente di chi non la pensa così. La definizione di artista cambia ad ogni epoca ed attualmente secondo me è questa. L'artista osserva la sua creazione, che è una parte di lui, e comprende sempre qualcosa in più di quel grande mistero che è l'io per noi stessi. Si arriva ad un limite, per esempio con Kafka, nel quale la visione diviene chiara, completa (dall'incontro con Dora Dymant) e la sua letteratura non ha più senso per lui perché tutto è stato compreso e non c'è più sofferenza. Ora è tutto chiaro, ora son giochi intellettuali ... ormai Kafka, verso la fine, era come il Buddha, immobile nella malattia, sulla panchina di un parco a Berlino intento ad inventare una favola per una bimba che aveva perso la bambola, ora poteva anche morire ... perché morire ... non era più morire.

Ed ora il video, che appunto secondo me non è del tutto chiaro al suo autore ... ma anche a tanta gente. Ho verificato quel che dico anche pubblicamente, su varie centinaia di persone.




Un uomo col cappello visto da lontano che cammina in un bosco.
Prima associazione ... Leonard Cohen portava sempre il cappello, non so se portava anche il cappotto o l'impermeabile.




La macchina da presa lo raggiunge. Un volto serio, un ragazzo, carnagione chiarissima. cappello, impermeabile e camicia bianca.
Mio pensiero ... Leonard era scuretto ... l'opposto ... questo è sicuramente biondo ...




Toglie l'impermeabile e lo getta ... è un gesto apparentemente senza senso. Perché gettarlo.




Toglie il cappello ...



... e lo getta. 
Ora non ho più dubbi. Mi sto inoltrando in una dimensione simbolica. Già gettare l'impermeabile nella realtà quotidiana avrebbe avuto senso se inteso come gesto di stizza, di rifiuto ... ma sommato al gettare il cappello....! Ho avuto un periodo breve della mia esistenza nel quale mi ero affezionato ad un berretto da baseball, quando dovevo andare a teatro, vestito elegante, mi sentivo nudo senza. Quindi quel gesto, gettare il cappello, per una persona (Leonard) che era abituata a portarlo sempre ... no ... non è più realtà, razionalità ... è simbolo. 
E già intuisco chi è quel ragazzo bianchissimo e biondo ... è un'anima ... si ... 



Via la giacca, e si capisce che è una donna. Non dal viso, ma dal seno che si intuisce. Ora ... la mente razionale rettifica la sensazione iniziale e dice ... ragazza. 
Sul piano simbolico no, non basta.

Mi spiego: All'inizio si ha un'idea maschile, quando vista di schiena, nella distanza, viene colta la prima sagoma. Penso che in quel frangente nessuno abbia dubitato del fatto che si trattasse di un maschio. L'inquadratura frontale non fa cambiare idea ... fino alla camicia ...che rivela il seno, ma per un attimo.
Il livello simbolico mi fa dire che non è né uomo ne donna, è un essere umano. Toglie pure la giacca e la getta ... si intuisce che toglierà tutto. Perché lo fa ?



Lo sguardo da serio si fa triste ... sbottona la camicia ... e la getterà.



Poi la canottiera, e nel frattempo i razionali hanno avuto altre conferme del fatto che è una donna.



Non vediamo volare via pantaloni, calzini, indumenti intimi e scarpe, ma comprendiamo che è nudo/a, nel bosco. Ora, non è più un bosco, ma la natura, il cosmo, ... e comprendo che i vestiti erano il corpo e l'anima se li è tolti rimanendo nuda. 




Ora lo stato d'animo evolve: dalla serietà è passata alla tristezza. Ora arrivano lacrime e disperazione. L'anima disperata.
E sul piano simbolico è tutto chiaro. L'anima, fin quando è stata nel corpo ... ha vissuto per il corpo e immaginato il dopo, ma del dopo non sa nulla. Ora, persa nel cosmo inspiegabile, nel quale ogni direzione sembra identica e il paesaggio invariabile, qualcosa deve accadere ...



disperazione ...



vede qualcosa ...



una persona vestita di scuro, sembra un religioso



Lo ricopre con un mantello 



e gli indica una direzione. L'anima è ricoperta, quindi protetta ...



Si nota sul viso una lacrima, rimasta dalla disperazione vissuta qualche attimo prima. Ora inizia un altro tipo di mistero. Quel che sembra un caos cosmico, non lo è. Esiste una via anche nel caos, e una via equivale ad un senso. 



il paesaggio si dirada



si apre in un panorama che corrisponde all'infinito e non si può più proseguire. Ma ora non esiste più la disperazione ... e chi non può proseguire ... 




si siede ... il paesaggio alla fine è sempre il medesimo ... quindi ...



dopo averlo osservato a sazietà ...



l'anima, ormai sicura della protezione divina, di un divino che intuisce ma ancora non conosce, chiude gli occhi.

Questa azione è importantissima. Anticamente i ciechi avevano il compito divino di guardare nell'interiorità, di ascoltare le muse, che dalla divinità ricevevano l'ordine di comunicare certi messaggi agli uomini. E' riduttivo pensare solo ad Omero, l'artista cieco per eccellenza. Abbiamo tracce anche più recenti, quasi fino ai giorni nostri. Nel volumetto "Costantinopoli", Arsenij Tarkovskij racconta di un cantore cieco visto al mercato in un paese della costa nord del mar Nero, siamo ai primi del novecento. La gente si avvicinava, lo ascoltava e lasciava dei soldi ... si badi bene, non un'elemosina. Ne "La tregua", lo narra Primo Levi. Indro Montanelli, in esilio in Albania decide di andare a conoscere "il cieco", il grande poeta. Dopo un pajo di giorni faticosi in groppa ad un asino, lo incontra: "ma non sei cieco!", "Qui si chiama cieco il poeta ..." e siamo se non erro, negli anni trenta del novecento.
Chiudere gli occhi per noi, in una quotidianità fatta di orologi impegni lavoro e lavoro e ancora lavoro ... è dormire, è sonno, riposare, staccare un attimo.
Per chi ha tempo, per chi ha deciso di avere tempo, per chi ha deciso di non correre come questa epoca ti chiede, e si ferma a ... pensare, per chi osa questo, chiudere gli occhi è pensare, concentrarsi ... e così il pensiero diventa meditazione che pian piano va da sola e ... 



qualcosa accade ... chi dal pensiero passa alla meditazione e si
lascia andare, si stacca dalla corporeità ... e simbolicamente lievita in una dimensione che ha qualcosa di divino.



Perché la scelta della levitazione come simbolo della spiritualità raggiunta ... 
Chiedetelo ad Inarritu che la "usa" in "Birdman", o a Paul Auster che ne fa una chiave fondamentale in "Mr Vertigo", o a Sorrentino che ne "La grande bellezza"  ... ecc

La nostra epoca ha scelto questo simbolo per rappresentare la spiritualità raggiunta. 

FINE DELLA DESCRIZIONE

Fate caso ora come la musica si leghi magistralmente alle immagini amplificandone il significato, e il testo, che cita Gesù, Marx, quindi religione e ideali sociali, e la vita quotidiana, tutto si lega e si ha ... il capolavoro.

Perché ho scritto questo pezzo. 
Perché mi son reso conto che questa opera non è stata compresa. Eccesso di raziocinio? (ho mostrato dove le vie della ratio e della sensibilità si separano ...). Penso di si ...
Nella nostra vita quotidiana la sensibilità è un ostacolo. Chi fa più facilmente strada nella vita? ... immaginiamo una parità di possibilità e raccomandazioni, talento e ricchezza fra due concorrenti ... colui che è freddo, amorale ( = senza una morale) va più lontano. La vita quotidiana è così, e seleziona i più freddi, quelli che una persona non la amano ma credono di poterla comperare ... per esempio. Ricordo negli USA le pubblicità della persona socialmente arrivata ... col bicchiere di superalcolico in mano, il sigaro e la biondona di fianco ... e il macchinone e la casona e ... la solitudine che troviamo nei quadri di Hopper (per esempio il tuffo in piscina). Tutto, tranne la solitudine, la trovate nelle loro pubblicità ... e la solitudine la vedete in riva ai bar, sui metro ...

E invece qualcuno che resiste c'è, e non lo fa ipocritamente. Vedete ... a lungo andare la maschera diventa il volto e chi la indossa ... essendosi dimenticato di togliersela tanti anni fa, non sa più nemmeno di averla.
Ci sono artisti che giocano coi simboli ... per esempio Sorrentino ...
Altri, come Leonard Cohen e Paul Auster ... non sanno fingere e pagano con la vita, soffrendo anche nelle opere, sbagliando, ma lasciando una scia luminosa di sensibilità che, se colta ... si fa contagiosa.

Amen