martedì 28 aprile 2015

Io non sono Charlie Hebdo

Questa mattina, 28 aprile, la lettura del titolo di un articolo del “Corriere della sera”, mi ha dato una scossa positiva. “Scrittori Usa contro Charlie Hebdo”, scritto da Giuseppe Sarcina, che ringrazio per avere dato spazio ad un argomento che secondo me è molto importante. Non mancherò di inviagli questo scritto come ringraziamento e lo invito a parlarne ancora.

Non ho letto subito l'articolo e i motivi erano due che si davano vicendevolmente forza. Primo, dovevo terminare la rilettura di un'opera alla quale sono molto affezionato e sentivo il dovere di mantenere la mente e il cuore liberi per quel solo compito. Secondo, ammetto di avere gustato con la mente a priori, dicendo “finalmente!”, come i veri golosi, il contenuto dell'articolo; ho così accettato di martoriare il palato della mente con la presenza tattile e visiva dell'oggetto agognato per divorarlo poi, una volta raggiunto l'acme del desiderio.
Verso l'ora del te, il testo di Canetti era riletto meditato e parzialmente digerito. Il resto della comprensione, forse, lo compirà la parte non consapevole di noi, quella in contatto con paradiso, inferno o, se si è degni, con le muse.
Ebbene. Ho così letto l'articolo e mi ha colto un disagio, certamente lieve, ma che mi ha fatto sentire come l'arciere di Eugen Herrigel, sicuro di sé, ma che scocca distante dal centro, anche se in una zona dignitosa del bersaglio.

Prima di parlare dell'articolo dico cosa penso del caso delle vignette satiriche contro Maometto: secondo me il problema non è partito dalla strage di Parigi, ma da una mancanza di consapevolezza storica sull'azione di chi, in precedenza ha iniziato a satireggiare pesantemente su
uno dei simboli più sacri dell'Islam.

Mi presento anche, poiché secondo me un testo che mira ad essere utile alla comunità, deve chiarire la posizione di chi scrive per poi poterla confrontare con l'elaborato prodotto.
Sono europeo. Non mi sento italiano anche se di madre lo sono, ma all'estero capita troppo spesso che preferisca parlare un'altra lingua.... dell'Italia, Come ebbe a dire la Hannah Arendt della Germania, mi rimane la lingua, nella quale penso e scrivo, anche se so che mi basta un poco di soggiorno in un'altra terra che non è necessario citare, per pesnare in un altro idioma. Attualmente so di sognare in due lingue quindi, per risolvere l'ambiguità, amo definirmi europeo, a nessuna realtà nazionale perfettamente somigliante, ma ad alcune vicina e mediamente appunto, europeo.
Dal punto di vista religioso dico, spero con umiltà, che nonostante non sia più un ragazzino da “qualche mese”, non mi sento pronto per dare una risposta. Ogni tanto ho una sensazione immensa che mi pervade e mi fa dire che non può non esistere, che è assurdo anche solo supporlo, ma poi, calato nella quotidianità, che è gretta per tutti, l'idea di Dio, svanisce e rimangono atti dei quali sento pesantemente la banalità. Non laico e nemmeno credente. E penso che non si tratti di decidere e di agire per categorie logiche. La religione ed il sentimento sfuggono a quelle sequenze, che chiamiamo razionalità.

Ebbene, questo essere che io sono, ancora in divenire su tante, troppe cose, un punto certo sulla religione ce l'ha, ed è il seguente. Questa epoca è piena di credenti, e chi ipocritamente ignora la loro esistenza è a dir poco ridicolo. Negare l'esistenza di Dio, e di conseguenza farsi beffe di chi crede come se fosse un inferiore, capita spesso in Francia e in Italia, aree culturali “sinistrate”, nel senso che sono state rovinate da una sinistra che ha dettato legge imponendo le proprie idee anche in campi che non le competono. In generale Dio, nelle sue varie forme, ha sofferto anche un discreto attacco da quando la scienza e la tecnica hanno proposto, direi quasi quotidianamente, delle novità in tutti i campi. Si vive meglio e più a lungo, e siamo calati in una consapevolezza, indotta da più di un secolo e mezzo di eventi continui ad un ritmo elevatissimo, che pensiamo si migliorerà ancora e infinitamente. La prospettiva di vita che si allunga sempre più è l'arma che più rende coraggioso un essere comunque mortale; talmente coraggioso, e in questo secondo me appunto ridicolo, da avere il coraggio di negare l'esistenza di Dio. Non si nega il dubbio. Il resto è vita!
Quel primo vignettista che sbeffeggiò Una figura sacra dell'Islam, secondo me ha mancato di rispetto verso milioni, anzi miliardi di persone, che hanno una visione della vita molto diversa da quella che impera in occidente, un occidente che troppo spesso si ricorda di Dio solo quando la morte bussa alla porta. Ritengo quindi che, indirettamente, abbiano offeso i credenti islamici, ma anche messo a disagio i fedeli di altre religioni poiché è evidente che nessuno di loro si salva da questo ostentato disprezzo.

Antonioni, Flaiano e Guerra, nel film “La notte” avevano dato forma a questo aspetto assurdo fatto di morte e assenza di fede. Nelle prime scene vediamo un'auto che gira in città. Si sentono tutti i suoi rumori di vita. La vettura passa un cancello e si entra in un parco con un silenzio assordante che ci conduce ad un edificio che, anche se non sembra, è una clinica. Il malato è in una stanza tutta di design d'avanguardia. Sembra un hotel. L'ospedale come lo immaginiamo noi ad un certo livello sociale non esiste … il malato sta bene in apparenza. Brinda con in due amici in visita. Calici, Champagne, infermiere top model ... sa che è l'ultima volta che li vedrà. Sa che sta morendo, ma nulla, tranne le sue parole, preparano lo spettatore alla morte.
Ecco la nostra epoca, ben delineata da un capolavoro degli anni sessanta. Ricordo quella scena iniziale, con Marcello Mastroianni e la Vitti, perché il suo messaggio è tremendo e, più passa il tempo, sempre più vero. Chiesi a Mastroianni come aveva recepito quella parte. Sapevo che lui amava discutere a fondo prima di recitare e mi disse che quei due maestri di sensibilità, Tonino e Flaiano, lo sconvolsero, nonostante il dialogo fosse stato spesso al ristorante, apparentemente leggero e umoristico. Ma quando la sera chiudeva la porta della camera e pensava alla scena da girare l'indomani, allora, sentiva un'enorme responsabilità, perché quel significato immenso non doveva sfuggire a nessuno.
Ecco una delle povertà dell'occidente! In un sistema di vita senza morale, morire diventa spaventoso. Ma anche vivere, e la religione, per quanto possa sembrare a molti un qualcosa di opprimente e arcaico, offre una definizione chiara di ciò che è bene e ciò che è male e permette, ai suoi adepti, di saper cosa fare nella vita. Se qualcuno ha dei dubbi valuti le statistiche dei suicidi di ogni stato occidentale e li confronti con i medesimi dati di stati o comunità islamiche; quasi zero il dato in queste ultime ... Intorno ad un ente che offre una morale, si struttura immediatamente una comunità. L'occidente comunità non è, il corollario è evidente. Conta solo il profitto e le leggi, per chi è un poco addentro alle “cose”, oltre un certo livello, sono solo apparenze.
Una cultura così amorale, poiché credere solo nell'incremento del proprio capitale, morale non è, una cultura del genere, che oltre il resto sbeffeggia sistemi che una morale ce l'hanno!
Volete vivere così? Viveteci pure, ma lasciate vivere anche chi diversamente crede! Ecco quello che penso! e diventa quindi un comportamento sgradevole, maleducato, condannabile, produrre vignette che offendono il senso del sacro di tantissime persone e di comunità intere.
Questo non vuol dire che io abbia approvato quel che degli estremisti hanno fatto a Parigi con dei mitra. Sono contrario alla violenza. Concepisco e controvoglia, solo la legittima difesa, quindi condanno quel gesto come condanno tutti gli estremismi.
Però penso anche che la satira debba avere dei limiti. Se per esempio faccio leva continuamente sull'omosessualità di un politico, agisco secondo me scorrettamente. Se prendo in giro un ebreo per i suoi cernecchi sono banale. L'umorismo deve sapersi affrancare dalla cattiveria gratuita. Le riviste satiriche sono poche secondo me, e dovrebbero scatenarsi per mettere in risalto situazioni sulle quali, in fondo, c'è ben poco da ridere. Ma sembra che non sia così. Troppo spesso, le due celebri riviste francesi, non mi hanno fatto e non mi fanno ridere e nemmeno sorridere, e trovo volgarità o attacchi che non comprendo, in fondo perché non c'è niente da comprendere.
Sai che un miliardo e passa di persone credono nell'Islam e sbeffeggi il loro profeta? Allora secondo me meriti di essere punito. Ma prima di tutto con un dialogo costruttivo. E mi immagino come condanna concreta, un po' di vita vera, per esempio a fare l'operaio in fabbrica o roba simile.

Due categorie sono un mondo a sé che purtroppo non ha nulla a che fare con la vita. I potenti (i ricchi ne sono una sottocategoria, illusa di contare qualcosa ma sono altrettanto fuori dalla realtà. Il ricco potrebbe non essere potente e il potente se vuole può essere ricco, ma il suo intento è ben altro …) e quegli intellettuali che, con un buono stipendio si sono tirati fuori dai problemi della quotidianità spesso a vita. Questi intellettuali sono in grado di fare pettegolezzi sul loro ambiente, ma dal mondo esterno si sono esclusi. Il prezzo di una ignava sicurezza è l'uscita dalla propria epoca. Triste. Assai triste.

Veniamo ora all'articolo di Giuseppe Sarcina che, insisto, ha il merito di averci fatto sapere che non tutti sono Charlie Hebdo, come andava di moda scrivere e dire subito dopo l'attentato. Io per esempio “non sono e non mi sentirò mai Charlie Hebdo”, poiché avrei condannato quelle vignette causa mancanza di rispetto di un valore molto profondo per più di un miliardo di persone!!!
Ma non ho avuto il coraggio di dirlo e non me ne vergogno. “A botta calda” sarei sembrato troppo controcorrente. La reazione è stata emotiva e i media così l'hanno gestita.
Ogni evento, se visto e vissuto troppo da vicino e in più, se ci si lascia guidare appunto dai media, perde di lucidità. Sono i nervi a gestire la situazione. Ma ora siamo distanti dall'accaduto. A livello di tempo esso è ancora assai vicino, ma la quantità di informazione giornaliera è talmente esagerata che è come se quel sanguinoso e triste attentato fosse distante ormai vent'anni.

E ora, un gruppetto di scrittori, sei per l'esattezza, negli Usa, dagli Usa, “si mette di traverso” per l'assegnazione del premio “Freedon of expression courage” edizione 2015. In data ventisette marzo è stata decisa l'assegnazione. Fra poco ci sarà il ricevimento e il giornalista ci mostra le cifre per la manifestazione e per il pranzo che “sanno” solo di evento mondano (e questa sottolineatura non è superficialità da parte sua, ma critica spietata ...) e la danarosa premiazione, ma sembra che tutto sia stato sospeso perché Michael Ondaatje, Peter Carey, Teju Cole, Francine Prose, Rachel Kushmer e Taiye Selasi hanno rifiutato di aderire. Dei motivi, poco sappiamo dall'articolo. Immagino che ognuno di questi scrittori abbia una sua idea precisa e vorrei conoscerla. Sappiamo qualcosa solo di uno di essi che avrebbe motivato la ripulsa verso quella premiazione perché ci vede la segregazione sociale attuata da una Francia, definita culturalmente arrogante, verso una parte della sua medesima popolazione. Carina come versione. A me sembra talmente diluita! … immaginate di ricevere una torta di ottimo sterco, bella fumante, e voi vi lamentate perché le ciliegine sono troppo dure. Una cosina simile per intenderci. Io lo dico chiaro e tondo. Nel 2015, ci sono miliardi di credenti, e trovo volgare negarne l'esistenza perché si è laici e permettersi di conseguenza di dissacrare. Il sacro esiste ancora per tantissima gente. Allo stesso modo ho visto vignette irriverenti verso la figura di Cristo. Il problema è quindi di un gruppo di persone che ritiene di avere la verità in tasca e irride chi non la pensa allo stesso modo.

E', come ho accennato, anche una questione morale e porto un esempio per spiegarmi in modo un po' deciso. Penso a quella finale dei Mondiali di Calcio fra Francia e Italia e ad un calciatore italiano, Materazzi, che insulta ripetutamente in campo Zidane. Il francese ha reagito e ci sta l'espulsione, ma un italiano secondo me dovrebbe avere il coraggio di dire che non si riconosce nel modo di agire di Materazzi. Vincere deve avvenire secondo delle regole e l'educazione, anche se non è scritta, non può essere trascurata! Avrei immaginato, in un paese civile, che una volta rientrato in Italia, quel giocatore si vedesse escluso per sempre dalla nazionale. E invece non è accaduto niente. L'importante è vincere, non importa con quali mezzi. Ecco una grave carenza di principi morali. Questo gesto che non ebbe conseguenze alcune, è per me esemplare. Ma si sa che ormai l'occidente industrializzato non ha più individui, ma solo consumatori. La cultura viene allontanata sempre più dalle esigenze strutturali di questi stati, ma solo un essere colto, preparato, è in grado di pensare e forse anche dedurre il rispetto e agire democraticamente!
Un'ultima parola per Rushdie. Ha deplorato questa mini ribellione. È arrivato a dire che allora il Pen Club non ha più senso. Ma chi è Rushdie? Per me che l'ho letto è un emerita nullità. Libri banali. È estremamente soggettivo, lo ammetto, ma il valore per me è un po' diverso dalla moda ...

E poi, non sopporto che menti che devono essere totalmente libere per creare, siano tesserate in qualsiasi modo. Che sia la Coop o un partito o il Pen Club non mi interessa. Ammiro personaggi come Kafka e la Ortese che hanno parlato chiaro al mondo, lo hanno vissuto e frequentato la loro epoca e i suoi individui, ma poi in solitudine hanno creato le condizioni per far esprimere l'io interiore! La vita mondana fa perdere tempo. Ad una conferenza ricordo che provai un forte senso di fastidio per i continui applausi; ad un certo punto dissi “per favore. Un applauso trasforma un evento come questo incontro in uno spettacolo. L'arte vera non è spettacolo. Cerchiamo di usare tutti i momenti di questo incontro per darci qualcosa di vero. Non mi interessa l'apparente senso di sazietà che da l'applauso!” Ero a Pennabilli, ospite di Tonino Guerra. E terminato l'incontro, nel giardino della sua casa si fece notte dialogando un po con tutti, con tutti ... con tutti.