giovedì 14 marzo 2013

premio strega ...


Nei giorni scorsi, alcuni quotidiani hanno scritto sul premio strega (minuscolo meritato...).

Tutto sembra essere iniziato con la defezione di Trevi che risulta essere scrittore e giurato di quella istituzione. Raffaella de Santis, su “La Repubblica”, imposta un articolo interessante e valido, si pone in posizione quasi neutrale. Lei fa le domande e Trevi risponde. L'influenza della de Santis si riduce al minimo. Ha scelto (speriamo...) cosa chiedere, e questa è la giusta libertà che le spetta, il giusto raggio d'azione che si è concessa. Ma ...quel che dice Trevi è interessante? È nuovo? Concordo con Paolo Crepet quando dice che si tratta di un premio italiano e che quindi ne riflette la mentalità e con Inge Feltrinelli, che da Mosca dice che si tratta di un premio un po' mafioso. Niente di nuovo quindi … una cosuccia all'italiana che merita di essere ignorata. Un vero scrittore e un vero lettore, non “guardano” ai premi! Gli editori che monopolizzano il premio strega non hanno a che fare con la Letteratura con la elle maiuscola. È tutto così semplice che mi annoio a ri spiegarlo. Chi conosce il mio blog, ha chiara la mia posizione che è certamente estrema, ma ambisce ad essere pulita.

Torno all'intervista fatta a Trevi. Ecco una sua critica: “Non mi piace un premio in cui il candidato è stato stabilito dalle case editrici, che scelgono da sole i loro cavalli di battaglia, e in cui molti giurati sono stipendiati dagli stessi editori che poi gli chiedono il voto.”

Ma che belle parole! E se mi permettessi di dire che non rappresentano nemmeno la superficie del problema? Mi spiego con un esempio. In politica, secondo me, la posizione che una persona decide di prendere, è subordinata al seguente ragionamento: prima viene un “Problema”. Questo viene studiato e poi si decide come risolverlo. Esistono vari gruppi, che si chiamano partiti o movimenti, che hanno scelto una soluzione. L'elettore e il militante, agiranno in relazione al tipo di soluzione. Di solito l'attenzione alla accurata definizione del “Problema” è scarsa o parziale. Ora dimostro che la destra e la sinistra e i loro partiti, son da gettare nel medesimo bidone di indifferenziata tossica radioattiva pestilenziale … Qual è il “Problema” che la politica deve risolvere? La vivibilità dell'esistenza. Essa si definisce secondo parametri economici e sociali valutati in una visione d'insieme, locale, nazionale, europea e mondiale. Vi sembra che qualche politico italiano agisca così? Direi di no. È il punto di partenza, l'inizio del pensiero, la coerenza col “Problema” che manca. Come costruire la felicità che posso scomporre in dati economici e sociali? Questa domanda chi se la pone? Facciamo dei nomi. Monti si è posto solo delle domande economiche. Del sociale non suppone nemmeno l'esistenza e rappresenta una dimensione europea di parte che trascura quelle locali e nazionale. In più è interessante, e quindi utile, solo per la prima casta. Il centro destra valuta il beneficio economico nell'immediato e basta. Ignora l'importanza della dimensione sociale nell'equazione fondante che manipola solo a livello emotivo per mezzo di un uso massiccio dei media, e rappresenta la prima e la seconda casta ovvero ricchissimi e borghesi benestanti. Il resto, cioè borghesia piccola e popolo, sono un fastidio che non tollerano. Esempio triste fino al ridicolo e maleducatissimo, il comportamento di Brunetta, quando era ministro, con i precari, problema questo che non voleva risolvere, ma annullare ignorando. Il centro sinistra invece è un dinosauro che ha cambiato troppe volte nome e mai la pellaccia. É diretto da una signora democristiana (paradosso evidente ma negato) e si regge su un comitato che è attaccato alle poltrone col vinavil. Che Renzi sia il nuovo non ne sono troppo sicuro. Non basta mostrarsi con un look “all'ammerigana” come dicono a Roma. L'immagine che egli dà è per ora solo meno stantia di quella dei suoi colleghi, ma se egli pretende di rinnovare le facce ricollocandole in una struttura superata, non otterrà altro che una nuova generazione di affezionati al vinavil. E ora Grillo. Visioni globali anche minuziose. Lui e il suo guru che comandano, e se sollevi qualche obiezione è finita e vieni vomitato. Essere aperti a internet non basta per essere innovatori. Essere disposti a creare un movimento, non è detto che superi la stupida rigidità gerarchica di un partito … e, comandare in due senza accettare il dialogo porta ad una sensazione brutta. E poi ... problemi sono presenti ora. Ogni comportamento che rimanda crea fame, morti e disagi umilianti. Scendere a compromessi anche con chi non merita si fa necessario anche perché un cambiamento di troppe variabili in un colpo solo, risulta traumatico. Se i due partiti, di destra e sinistra, son rimasti troppo indietro, Grillo è troppo avanti e quindi equidistante dagli altri dal presente. Un esempio? Lui inneggia alla democrazia diretta. Ok, ma il suo supporto, la tecnologia del computer e di internet, non è ancora così diffusa da permetterne la realizzazione, e la diffusione dell'oggetto computer, non basta. Per “usarlo” con civile capacità serve un'esperienza che richiede tempo, e certe generazioni un po' avanti negli anni, come sempre resistono alle novità non perché ne son contrarie, ma perché non hanno ereditato gli strumenti anche mentali per adeguarsi. Comunque, anche se li si volesse forzare, non sarà nell'immediatezza che la democrazia diretta sarà realizzabile. E poi? Quanto vi è di utopia in questa tendenza? Un nucleo centrale che trasforma i dati della democrazia diretta è pur sempre necessario ...

Torniamo ai premi letterari. Qual'è l'equazione fondante? Il “Problema”? La definizione di artista, che contiene anche quella di scrittore e poeta che in questo contesto ci interessano. Una volta che abbiamo definito l'artista, il sistema che gli potrebbe “girare intorno” ne discende come conseguenza. Chi legge le mie cose sa che parto dalla distinzione fra Artista e intellettuale. Il primo usa la sensibilità e l'intelligenza, l'altro solo l'intelligenza. Non ci riguarda quindi minimamente cosa farà l'editore con un libro sulla pesca sportiva alla trota e nemmeno con un testo di un “indocente” universitario. Lo Scrittore e il Poeta poi, quelli veri, non esercitano questa attività come un mestiere. È l'editore che li deforma e annulla in questo modo. Scrivere a livello artistico non deve essere condizionato quindi ad una produzione costante nel tempo. L'artista scrive quando c'è l'idea e potrebbe accadere una volta nella vita o due o tre o sempre. Chi agisce condizionando questa spontaneità deve essere evitato come un nemico.

Chiarita la definizione, io artista come mi posso comportare verso gli editori? Con malcelata sufficienza. Li evito. Scrivo a livello artistico, ma lo tengo per me e per pochi amici. Qualcosa l'ho pubblicato, ma ho sempre evitato chi ha una mentalità troppo diversa da quella mia che considero garante della condizione minima di libertà che mi permette di creare l'opera. Nel blog, di mio a livello letterario, non c'è nulla. È una scelta che riguarda l'ambizione che voglio annullare. Il blog l'ho progettato con l'intenzione di far amare la letteratura e le arti e di invogliare anche con consigli, verso certi autori. Qual'è il mio metro di valutazione? Il sentimento. Io certe opere le amo. Se le amo lo dico. Non si riesce a tacere su ciò che si ama. Tutti voi che leggete averte certamente amato almeno una volta nella vita e quindi sapete di quale sensazione sto parlando.

Dopo aver esplicitato quella che io chiamo l'equazione fondante della Letteratura con la elle maiuscola, provate un poco ad interessarvi alle obiezioni di Trevi che aprono questo post …!. Esse risultano non interessanti. Rivelano un mondo che è già stato bocciato alla radice. Nulla hanno a che fare, quelle questioni con la definizione di artista. Ora, immagino un vero Scrittore che scopre, da un amico, di aver vinto un premio come lo strega. Per essere coerente con la mia definizione come dovrebbe agire? Con indifferenza. Che vada l'editore a ritirarlo. A lui non riguarda. Se l'editore gli dice con la voce grossa “devi venire alla premiazione!” perché ovviamente fa audience e può incrementare le vendite, sarebbe saggio non rispondere nemmeno. All'artista le vendite possono anche venire utili e far piacere, ma non devono assolutamente condizionare quella situazione fondamentale che permette all'opera di nascere. Un viaggio per mostrare la faccia e dire due ovvietà a un ricevimento valgono la pace mia di un bosco, del mio cane, del pettirosso che aspetta le briciole tutte le mattine? Vale la pena di romper il filo della meditazione per qualche copia in più? Assssssolutamente no. L'editore ha come mira le vendite. L'autore, l'opera. Sono inconciliabili. Possono sopportarsi, ma attualmente son diventati talmente invadenti che chi scrive sul serio è scappato ….parlo per esperienza vissuta. Un premio letterario l'ho vinto ed è stata un'esperienza nel complesso offensiva.

Ora: quelle persone che son giurate allo strega.... quattrocento persone che vengono chiamate se non ricordo male, “amici della domenica”, secondo la definizione fondante, non fanno parte della Letteratura con la elle maiuscola poiché dimostrano che le loro intenzioni non sono l'opera ma …. qualcos'altro.

È per questo che ho fatto il blog. Non mi interessa solo il presente letterario e nemmeno se chi scrive è giovane o vecchio o uomo o donna o “indeciso”. Mi interessa la qualità, e infatti spesso propongo testi difficili da reperire oppure considerati “vecchi”. La qualità è fuori dal tempo e nell'arte la si misura con il sentimento e non con l'intelletto.

A questo punto si potrebbe dedurre che per un autore, sia un premio vero apparire sul blog. Qualcuno, ovviamente vivente, me lo ha detto. Mi ha fatto piacere, ma non è per questo “premio” che agisco. Non riesco ad immaginare la mia vita senza un cane, senza un bosco, senza tanti animaletti liberi, senza qualche rara vera amicizia e senza il dono dell'arte nelle sue varie forme e queste sensazioni non valgono il viaggio verso un luogo che si muove secondo logiche che non mi appartengono.

Un esempio: Marquez arriva a Roma. È ospite da Francesco Rosi in centro, e riceve una telefonata. Quando torna ai presenti dice che ha ricevuto un invito ma preferisce restare lì. Si farà una spaghettata e sarà una cenetta fra “veri” artisti. Ebbene. Aveva telefonato la Loren. Stava per avere inizio un grande ricevimento in onore di Marquez … e lui ha detto no. (fatto realmente accaduto!)

Tutti questi ingredienti che rendono la mia quotidianità sopportabile, li consiglio. Entrare in confidenza con un merlo e vederlo entrare in casa e senza paura avvicinarsi, guardarlo poi dritto negli occhi, è una soddisfazione enorme, della medesima qualità che traggo dalla lettura del capolavoro. In essi “sento” una sintonia conquistata e duramente, con la natura, la vita, e quel che oltre la vita del corpo esiste e che va ben oltre a un dio barbuto …
E cosa posso farmene di un editore? Potrei dire che mi ispira indifferenza se non per una questione. Un artista può arrivare ad una consapevolezza che lo costringe ad un patto, se questo non si fa troppo oneroso, quando scopre che quel che scrive aiuta altri a trovare la via. Niente di mistico e religioso per quanto nulla sia escluso, ma quando ti dicono o ti fanno capire che di quel che hai scritto hanno bisogno, allora tu artista, che di altre opere hai fatto la base della tua esistenza, non puoi tirarti indietro.

Questo è l'unico punto di contatto fra un editore e un artista o un poeta.

Avevo poco più di vent'anni. Ero in treno e di fronte a me sedeva una ragazza. Nel prendere il diario dalla borsa, dei ritagli giallo chiaro son caduti per terra. Mi resi conto che erano le mie “cose” che settimanalmente pubblicavo in quel periodo. Le parlai. Amava quegli scritti. Li aveva tutti e me li ha mostrati. Queste cose ti cambiano e ti rendono responsabile di quel che fai. Ti rendono consapevole. Pubblicavo con pseudonimo e le dissi che ero io l'autore e che finalmente “sentivo” che stavo facendo qualcosa di sensato, grazie a lei. Non fu l'unica situazione che mi capitò, ma in questa il livello di casualità e di spontaneità era al massimo e le mie cose, che non son mai state una passeggiata, le sentivo sole. Scoprire che ero letto, e capire perché, poterlo chiedere, fu un mondo nuovo.

Cosa dire ora per esempio di uno Scurati che vuol vincere premi e quando per un solo punto lo ha perso ci dice di avere sofferto? Nulla. Non ne vale la pena.

Umberto Saba un giorno, uscendo da un premio letterario che non lo aveva visto vincitore, fu fermato da due ragazze. Non si limitarono a chiedere l'autografo. Fecero domande sulla sua opera! Umberto Saba alla fine del dialogo disse soddisfatto che era lui ad aver vinto, non quella persona che ora ritirava una medaglietta. E aveva ragione. Ma vi rendete conto di quale fastidio è, per chi scrive sul serio, scoprire di avere migliaia e forse milioni di lettori e non aver modo di comprendere cosa hanno “trattenuto”, cosa hanno apprezzato o meno? A me capita, quando incontro un mio lettore, di tagliar corto con i complimenti che spesso son accessori salottieri d'obbligo, e di chiedere e chiedere. Chi ti legge è un mistero che vuoi comprendere. Fermarsi alla soddisfazione della quantità di anonimi che hanno comperato l'oggetto libro, non mi dice niente.

E poi, quando Scurati usa il verbo “vincere” mi innervosisco. È un vocabolo preso, rubato allo sport! E una sensazione di rubato di illegittimo la provavo per esempio a Santarcangelo di Romagna, quando passavo davanti a quell'ex lavatoio che tuttora mostra fiero la scritta “laboratorio di ricerca teatrale” … , ma la parola “laboratorio” ha sapore di chimica!, di analisi! E “ricerca” è un altro termine che scimmiotta la scienza! E infatti c'è nel teatro come in qualsiasi arte troppa gente che fa ricerca, guarda in avanti, “sperimenta”, senza avere cognizione se non leggerissima, del passato!!!!

Se proprio devo immaginare un premio letterario, mi verrebbe più facile premiare cinque autori! Come faccio a dire che questo deve essere secondo e quell'altro primo! Chi mi dà questa forza se non l'ambizione!, poiché c'è una insana ambizione sia nel voler vincere un premio che nel voler giudicare, che equivale a voler affermare che si è più che profondi, perfetti conoscitori del proprio tempo!!... son forme di potere entrambe e il potere non mi interessa. In tutte le sue forme, anche la più banale, semina sofferenza.

Quando Trevi dice che la giuria deve essere riqualificata, che devono essere i giurati a scegliere i libri, liberamente, penso che ora sia completamente comprensibile la mia indifferenza. Che un giurato scelga, spinto, condizionato da un editore, o liberamente, non può riguardarmi, poiché le due soluzioni avvengono fuori dagli spazi della mia equazione fondante.

Quando Inge Feltrinelli richiede una giuria più fresca e indipendente, come posso non sorridere! Più fresca penso si intenda nel senso di più giovane ma, la qualità artistica, che è anche, spesso ma non sempre, capacità di scelta delle opere di valore, non va a braccetto con l'età! Se alla giuria telefonassero Marquez e Coetzee, si squaglierebbero dall'emozione ... eppure non ci tratta di “carne fresca”. Vedete come la non validità di certe affermazioni è evidente?

Come disse un altro poeta, è un'allegria di naufragi. Morti che parlano.

Amen

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