martedì 4 marzo 2014

Osservando una foto di Kafka (visione onirica)




Leggo l'opera di Kafka con assiduità. Penso, ormai lo so per esperienza, che negli anni, una goccia alla volta, ogni goccia, diventa un diamante.
Ho trovato per puro caso sulla bancarella di una fiera dell'antiquariato, questa domenica, il volume fotografico edito dal Centre Pompidou. Foto del Praghese, manoscritti leggibili,

prima pagina de "La metamorfosi"


e pezzi figurativi, alcuni validi, che ricordano l'opera di questo grande. Un disegno stupendo di Gacometti.



Una foto mi "guardava" con intensità. Mi ha commosso la sensazione di tarlo che come una lenta carie divora l'anima, la sua. Chiudo il libro e la mente va in corto circuito cadendo in un sonno brevissimo; veramente solo qualche attimo ... e lo vedo, lo vedo davanti a me che osserva se stesso allo specchio. Penombra vibrata, quella delle candele, e dal silenzio la sua voce scandisce parole che ricordo perfettamente:

"Puoi arrenderti solo davanti al nulla

ma pensa, pensa profondamente se quel che vivi è il nulla.

Se ti arrenderai e non è il nulla
ti spetta la condanna

Se prosegui ed è nel nulla
il nulla sarà la condanna".

Le parole mi si sono incise dentro, nella carne, nelle viscere. Lui, che osservava se stesso, si è girato verso me. Occhi negli occhi, tristi ma decisi. Una guida da sempre, e ora mi affida quelle parole. Le ripete. Le dice a me, esattamente come un attimo prima le scandiva a se stesso ... e poi silenzio e poi lo specchio, e poi nemmeno quello ... ecco il nulla? E mi sveglio in questa giornata di pioggia battente. Mi son ripreso da un piccolo incantesimo o è accaduto qualcosa di più importante? Non lo so. Il mondo, il solito mondo fuori dalla finestra, deformato dalle gocce rapprese, non è più lo stesso. Il mondo, carico di quell'enigma si fa enigma egli stesso? Strisciante, una sensazione satura di certezza mi guida verso un sorriso che non vorrei, che non comprendo, che mi sembra giungere nel momento sbagliato, ma sorge, alba sulle labbra, e lo sondo allo specchio. "Pensa, pensa profondamente se quel che vivi è il nulla..."
Solo la risposta esatta può condurre alla vita, solo una certa risposta, e si rivela da quel sorriso stampato sul mio volto, sorriso indecifrabile che tocco con le dita per vedere se esse comprendono. Lascio lo specchio alla sua solitudine e torno alla foto di Kafka e un profumo, un profumo d'infanzia, un profumo che non ho vissuto ma riconosco, scaturisce da un cassetto della mente che doveva diventare, ma mai fu aperto, e quel profumo trasforma il sorriso del mio volto, quel sorriso non mio ma su di me posatosi, in una canzoncina infantile che mi culla, e dallo specchio vedo qualcosa muoversi ... torno a lui,  all'io riflesso, osservo il me stesso che mi concede e nel frattempo qualcuno mi tocca la spalla. Non mi volto, è li, dietro di me ... non oso guardare .... é la risposta che ha preso un aspetto concreto per parlare agli occhi. Vibro, attendo senza respiro per vedere, ma una risata enorme, brillante e allegra, di ragazzo, la risata forte dei miei vent'anni, annulla tutto. Non c'è più specchio, stanza, pioggia e dubbio, solo il profumo d'infanzia ... lo sento, solo quello rimane di me e si spande nel nulla, per sempre.


lunedì 3 marzo 2014

Il film "La grande bellezza" di Sorrentino



Vengo invitato da giorni a dire cosa ne penso. Sembra che la mia interpretazione de “La grande bellezza” sia sorprendente, che nobiliti, e invece non consiste in altro che nel rendere evidente quel che una lettura impulsiva non concede. Quando anticamente si parlava di sette esoteriche spesso si spregiava un ristretto gruppo che si concedeva tempo per meditare e l'esito non era inaccessibile per regolamento, ma per tempo dedicato appunto. Era il tempo da dedicare alla meditazione che rendeva inarrivabile... e che nobilita l'esistenza.

Veniamo al film. Meglio essere rapidi. Questa è un'epoca rapida e quindi impulsiva, emotiva ....
Trama: un uomo vive a Roma in modo salottiero. Dei salotti è il re. Re del nulla, di una concatenazione di apparenze. Comprendiamo che non è appagato. In lui qualcosa è bloccato. Vive fra gente che nega la sua stessa realtà e un ricordo affiora, una ragazza alla fine della loro adolescenza, quando la vita si appresta a diventare realtà ed esce dall'ipotesi, dal sogno. Ed ecco l'ultimo atto del loro "rapporto". Lui e lei bellissimi, belli della loro età, un'isola, un sogno. È notte, uno di fronte all'altro, soli, candidamente felici, pieni di desiderio che può realizzarsi. Ma …. ma lei lo guarda, si apre la camicetta, mostra il seno, come anticipo del dono e poi sparisce. Scopriamo che la ragazza ha poi sposato un altro. Ha vissuto con lui e, una volta morta, un diario che il marito ha trovato per caso ci dice che lei ha continuato ad amare quel primo amore al quale non si è concessa. Il protagonista interpretato da Servillo non capisce. Ha in sé quell'enigma. e penso che il pubblico ... e non solo, no abbia risolto quell'enigmatico comportamento Il primattore incontra una ragazza che vive in un modo strano, ruolo ben interpretato dalla Ferilli.



Lei ha segreti col padre. Sentiamo lo scarto generazionale. Una generazione ormai canuta che ha massacrato, per egoismo e superficialità, la precedente. Medesima risposta ci viene dalla artista che fa quella performance buttandosi contro il muro e la bambina che colora non con le mani ma con i nervi esplosi.Nulla si consumerà anche questa volta per il protagonista. Lei è un fiore reciso dal destino, dal padre egoista inconsapevole (la razza peggiore), e dalla malattia in fondo liberatoria.

Il film non si srotola quindi in una trama lineare, ma gira intorno ad un enigma. Il comportamento di quella ragazza alla soglia dell'età adulta, che rifiuta l'amore e però continua ad amare è il perno e il mistero di senso.
Ci piace il film? Probabilmente per le scene, per idee valide come l'incrocio fra turisti giapponesi e il coro femminile dell'inizio, oppure la veggente anziana della quale non avrei mostrato il volto e le citazioni felliniane secondo me un poco consumate e ritrite, quando ognuno sa che si può passeggiare per Roma attualmente un'intera giornata senza vedere una suora..... Perle di scene che si alternano alla volgarità descritta purtroppo in modo troppo diretto, ovvero con la volgarità per esempio nelle scene salottiere e in discoteca, scene non romane ma purtroppo, parlo non per luoghi comuni ma per esperienza diretta, internazionali.

Veniamo all'enigma della ragazza..... preferisco far parlare un “amico”. Un genio. L'Italia del novecento è stata la terra che ha avuto più talenti in assoluto …. ma raramente se n'è accorta.
Alberto Savinio. Brano tratto da “Ascolto il tuo cuore città”. La mia edizione è la seconda del 1944 di Bompiani e il brano si trova a pagina 90. (nell'immagine la reperibile versione di Adelphi)



Savinio ci parla di un amore da uomo in fiore, ancora imberbe ma sensibilissimo alle leggi del cuore. Riesce a portare la ragazza in una camera d'albergo e per la prima volta sono soli: “.... Quanto sprecona la gioventù. Quanto poco sa approfittare dell'attimo che fugge. Tante fatiche da superare, tanti ostacoli da vincere, tanti pericoli da affrontare; e quando alfine ci troviamo in camera, soli, al sicuro, chiusi nel cerchio del lume galeotto, ; anziché cogliere il premio sospirato, consumavamo la notte a guardarci negli occhi, a divorarci con gli occhi, ad amarci con gli occhi, soltanto con gli occhi. Ma è generosità forse, spreco, o non saggezza piuttosto e arte di capitalizzare la felicità? IL DESIDERIO INSODDISFATTO VENT'ANNI FA, OGGI è ANCOR VIVO IN ME, CHE ALTRIMENTI SAREBBE MORTO. E UNA MORTA FELICITA' COSA CONTA, IN CONFRONTO A UN DESIDERIO VIVO?

Ho messo in grande la parte fondamentale e sottolineato la frase chiave. Una geniale raffinatezza quel pensiero, non trovate? Se ti amo consumo e non rimane più nulla. Se non accade il desiderio rimarrà in eterno in te... e questo accade al protagonista del film, eternamente legato a quella ragazza. Questo lei desiderava. Averlo per sé per sempre, e la via non era nella carne.
Il protagonista non comprende, ma è legato appunto, come stragato, e per sempre. … e io mi domando che senso ha per lui se alla fine non comprende. In questo sento il film inconcluso. Il cerchio non si chiude. Lui che capisce dovrebbe sorridere finalmente, e invece la pellicola si chiude con quel ricordo enigma puntato secondo me, con caduta di gusto, su gustose ghiandole mammarie.

Savinio ci fa sapere, da umile qual'è, che l'idea è di un certo Francesco Petrarca (sonetti XXI e XXII). Ma quel che il sommo ci racconta della sua Laura è calato in un'epoca nella quale si tendeva ad idealizzare la fanciulla una volta spirata. Così fa Dante e non solo appunto.
Savinio non sa, glielo comunico ora in sogno, che da queste righe da lui genialmente coniate poco prima della fine della seconda grande guerra, Savinio non sa dicevo, che ne è nata una sequenza di opere capolavoro poiché è impensabile che i suoi grandi contemporanei non lo leggessero visto che loro almeno sapevano che la sua sensibilità era oro puro. Inizia Pavese nel 1949, appena cinque anni dopo, con “Tra donne sole”,



 da questo Antonioni trae un bel film, "Le amiche" del 1955.



 Da Antonioni l'idea colpisce Tonino Guerra e in un libretto prodotto col disegnatore Mattotti intitolato “Cenere”, la ritroviamo.



 Ma Antonioni non è sazio dell'idea e la ricalcola, la ri misura nel film “Al di là delle nuvole”. Film a scene. In una di queste, una ragazza bellissima (Ines Sastre)



arriva alla fine nel letto con l'uomo che ama, ma non consuma e scappa, e la fuga è spiegata dalle parole di Savinio, ma non dal film purtroppo, poiché spesso Antonioni amava sottindendere rendendo la sua opera adatta ad una setta di sensibili legati al tempo della comprensione e dello studio, come ho accennato all'inizio. Il genio è una lunga pazienza, diceva Savinio. Il genio è tale perché non ha fretta e si prende tutto il tempo che gli necessita per tentare di comprendere non con l'intelletto, ma con l'anima che si trova in un punto invisibile a metà strada fra cervello e cuore. Non aveva fretta Antonioni, e nemmeno ne aveva Pavese. ne ha quest'epoca che così perde l'occasione di comprendere e ... comprendere è elevarsi. setta quindi, ma con la regola sola della calma, del tempo centellinato non a far soldi. regola che pochi hanno il coraggio di rispettare.



Il caso di Tonino Guerra con Mattotti è interessante. Una torre. Qualcuno che ambisce a raggiungere la cima, è la meta della sua vita. Arriva fino alla porticina ma non la apre e torna indietro. L'idea di Savinio quindi, legata all'amore, si fa qui regola generale di vita, e Tonino aveva ragone a pensarla così. Consumare è una forma di morte, di fine. Io da piccolo, da adolescente, scrissi una favoletta nella quale lo sceriffo della contea di Sherwood ha catturato finalmente Robin hood. Ma lo sceriffo, dopo una prima gioia non è soddisfatto, anzi, si rattrista e beve fino all'angoscia. Comprende che se Robin è preso la sua vita, basata su quella sfida, perde di senso e splendore. Libererà il rivale, in fondo per non morire lui stesso.

Ecco spiegato il film che ha vinto l'oscar. Avrei preferito un finale che rendesse più chiaro il contenuto. L'eccessiva sottigliezza potrebbe diventare invisibilità e penso che sia il caso del senso profondo di questa pellicola. Ora una domanda non sibillina ma onesta. Penso che il regista abbia letto Pavese e sicuramente visto i due film su quell'argomento girati da Antonioni. Potrebbe esser rimasto quindi bloccato da un senso non compreso, cosa che accade in chi vede quella scena de “Al di là delle nuvole”. Potrebbe aver omesso un finale più chiaro perché anche lui non sapeva e non sa spiegarsi quel comportamento della ragazza del film, comunque avvallato da mostri sacri come Pavese, Guerra e Antonioni. Questo penso sia accaduto, perché il libretto “Ascolto il tuo cuore città”, di Alberto Savinio è un capolavoro asssssssoluto, ma trascurato, oserei dire dimenticato....
Posso dire che di questo regista preferisco “Le conseguenze dell'amore”, titolo in fondo perfetto anche per questa sua ultima creatura che ha vinto l'oscar. In esso, l'amore e la fatalità, mescolati, hanno un esito grande e commovente. Tutti i conti tornano, il cerchio si chiude a livello di senso e ci sento una grande bellezza.... Ma poteva vincere l'oscar un film che non accondiscende nemmeno un po' al kitsch e alla volgarità? Ai significati sempliciotti accessibili anche ad emilio fede? se non fosse così l'Italia e non solo non esiterebbero a considerare "Nuovo mondo" di Crialese il capolavoro degli ultimi anni, ma capolavoro senza effetti, senza volgarità che parla di volgarità .... che bello il linguaggio indiretto ....

Solo un dubbio ho e lo ripeto: che il regista abbia letto e visto le opere col medesimo tema di Antonioni Pavese e Guerra e nulla sappia delle parole perfette di Savinio e quindi del senso profondo della scelta di quella ragazza, e dal film traggo la sensazione che anche lui Sorrentino, come il protagonista si domandi ... perché l'ha fatto, domanda che si è posto, immagino nella mia eccessiva fantasia, dopo aver visto la scena di "al di là delle nuvole".

post scriptum. Nella notte altri pensiero hanno condito l'argomento. Penso a "Lolita" di Mabokov. medesima situazione. due adolescenti. primo amore. sta per consumarsi ma dalla finestra della villa la chiamano. Lei partirà dal sud della Francia per proseguire le vacanze in Grecia e qui fatalmente morirà. Si crea in lui, nel ragazzo rimasto solo col suo desiderio inappagato, la condizione descritta magistralmente da Savinio.
Ebbene ... La situazione descritta da Savinio viene da un fatto vero a lui accaduto. Quella raccontata da Nabokov si suppone inventata ma sicuramente possibile. Il problema che "sento" nell'idea utilizzata da Antonioni prima in "Al di là delle nuvole" e in Sorrentino di recente, ha per me la colpa dell'impossibilità. Cerco di spiegarmi. A Savinio accade un fatto e l'esperienza di questo gli fa dedurre quel che dice.  ....Ma la ragazza del film, come la Sastre di Antonioni ... sono persone senza esperienza regressa, sono frutti fino a ieri acerbi e in fondo con un piede ancora nell'acerbità dell'adolescenza. Immaginare che la ragazzina di Sorrentino, neonata come donna, sappia quel che solo l'esperienza insegna!!! a quell'età gli ormoni sono grossi come conigli e la simbiosi fra spiritualità e carnalità fa dell'amore un tutt'uno irripetibile per intensità. Rinunciare è possibile, in grazia di quel ragionamento di Savinio, solo a chi sa, ha chi già ha vissuto quella situazione. Fare nell'arte cose prettamente mentali, non realizzabili nella vita, non possibili, secondo me ci sta, ma fino a un certo punto. Porto un esempio. Scena di Antonioni e Guerra: lei stesa sulla spiaggia. Dorme al sole. Un uomo la vede e si avvicina cauto per guardarla. Quando l'ombra di lui sfiora i suoi piedi lei si sveglia. Questa scena, di una delicatezza stupenda, va servita come corollario di una grande idea. E' un tassello di una sensibilità irreale che rappresenta per traslato qualcos'altro, ovvero la sensibilità della solitudine e forse anche dell'amore. Ma quando il nucleo fondante di un'idea artistica è irreale, impossibile ... come la facciamo riverberare nella nostra interiorità? come si trasforma in succo nutriente per l'anima? per la vita futura? La scena di "al di là delle nuvole" so per certo che lasciò di sasso il pubblico. Savinio dice, se proseguiamo la lettura di quel brano, che solo le persone grezze hanno bisogno di consumare e che una grande raffinatezza nel sentire porta alla sospensione dell'agire per mantenere il desiderio.  ... penso, come ho già detto, che possa accadere in una persona dotata di esperienza ed eventualmente sconfitta dalla vita. Non agire è anche evitare la vita per paura di farsi male....



lunedì 20 gennaio 2014

Le bugie della storia: La prima grande guerra e Waterloo


Quanto espongo è reperibile nel volume “Il secolo americano” edito Adelphi 1996 in Italia, e Grasset e Frasquelle, Francia, 1996.



Alvi fu segretario, presso la BRI (Banca Regolamenti Internazionali) di Ginevra, di Paolo Baffi quando questi era Governatore della Banca d’Italia. Questo istituto di consultazione internazionale, disponeva di una biblioteca notevole e accessibile, rigorosamente, solo agli addetti ai lavori. In essa la storia economica era oggettiva senza ombra di dubbio e quotidiani e enti simili, assolutamente non vi avevano accesso. Ebbene, Alvi ci racconta che, con il consenso burbero, ma solo in apparenza, che sempre si stemperava in un sorriso furbamente accondiscendente, Paolo Baffi, lasciava che facesse ricerche libere, e di esse poi dialogavano. Il libro rappresenta un ricordo dei fatti “scovati”.

Veniamo al dato storico. Lo spiegherò in modo breve per evidenziare la crudezza del contenuto. La Prima Guerra Mondiale è l’argomento che si analizza. Porterò alcuni brani direttamente dal testo (Alvi – Il secolo americano – ed. Adelphi -):

“Dal tesoro di Sua Maestà dipendeva la sorte economica dell’Intesa.” (p.19)

Ammissione del segretario al Tesori di Washington: “Per mantenere la nostra prosperità dobbiamo finanziarla, se no terminerà, e sarebbe un disastro.” (p.21)

“Una Inghilterra estenuata e senile, che dipendeva ormai tutta dalle energie venali d’oltreoceano.” (P.23)

“Entro il marzo del ’17 i titoli e l’oro per pagare le importazioni dagli Stati Uniti, sarebbero, questa volta, davvero finiti.” (p.24) (soldi, aggiungiamo noi, che servivano per sovvenzionare la costosissima guerra)

“Da una breve lettera del governatore della Federal Reserve di Washington; = Non posso sfuggire alla conclusione che gli Stati Uniti hanno in loro potere di abbreviare la guerra a seconda dell’attitudine che assumono in quanto banchieri =. Vi si aggiungeva poi che gli acquisti alleati e i prestiti che li finanziavano generavano inflazione; e dunque non si poteva ancora per molto assecondare l’Intesa.” (p.25)

“La banca Morgan era dal 15 gennaio 1915 l’agente degli acquisti di guerra inglesi negli Stati Uniti. Sommandosi all’incarico di agente finanziario del Tesoro inglese, quest’ultima esclusiva aveva mutato la Morgan and co. di New York in un ministero de facto del governo di Sua Maestà. … E coordinava di fatto tutte le operazioni inglesi a Wall Street.” (P.27)

John Pierpont Morgan Junior, era più ricco dello stato, gli USA, del quale era cittadino.



Non era l’Unico, Rockfeller, Vanderbildt sono altre due “Casate” altrettanto capaci. L’intesa non poteva chiedere prestiti allo stato americano poiché esso si era dichiarato neutrale e si asteneva da ugni investimento che incentivava la battaglia in corso. Il presidente Wilson, quando si rese conto che L’intesa si rivolse al più potente e spregiudicato banchiere americano, fece notare che quell’azione era in contrasto con la linea intrapresa dallo stato, ma lui era il meno potente …

“… dei molti libri dedicati, fra le due guerre, dagli storici americani, alla fine della neutralità del ’17. Sbrigativi, essi attribuivano ai banchieri di Wall Street e al tornaconto degli Stati Uniti, la prima causa della dichiarazione di guerra. Le ricerche minutissime negli archivi non hanno aggiunto da allora novità eclatanti; eppure adesso questa spiegazione è dimenticata, talora citata per essere troppo ingenua.” (p.33)

Scrittura privata del consigliere Robert Lansing indirizzata al presidente Wilson databile alla metà del ’15: “Alla Germania non deve essere concesso di vincere la guerra … questa necessità basilare dobbiamo sempre tenerla a mente … La pubblica opinione americana deve venir preparata, per il momento, che potrebbe venire, in cui dovremo disfarci della neutralità …”

Lettera di Wilson al colonnello House: “ A guerra finita possiamo costringerli al nostro modo di pensare.” (P.40) (soggetto, la Gran Bretagna, e per esteso, l’Intesa)

Questo frammento estrapolato dalla missiva rivela il ruolo di completa subalternità economica che giocheranno vari stati europei al termine della prima grande guerra, diventando di fatto mercati della merce americana e senza la possibilità di deciderne il prezzo che veniva gonfiato.

Bene. Anzi, male. Prendiamo un libro qualsiasi di storia della scuola secondaria in Italia, oppure del medesimo ciclo di studi in un qualsiasi stato europeo e di queste notizie, di questi dati oggettivi, non troveremo traccia. E si può uscire da un corso di laurea in storia contemporanea alla Sorbona, come ad Halle o a Bologna, rimanendo vergini completamente, di questa verità storica. Questa visione distorta, deviata, mondata che viene offerta, delle responsabilità di quell’epoca, ci porta a percepire il ruolo negativo dell’alta finanza, nella crisi in atto, come un evento nuovo. La percezione di una continuità nelle speculazioni negli ultimi due secoli e mezzo, che oserei definire selvaticamente amorali, dell’alta finanza, sarebbe assai utile al cittadino-utente attuale per porsi poi un quesito che consideriamo irrinunciabile e per il quale umilmente ammettiamo di non avere risposta: “La democrazia dal primo dopoguerra in poi è stata suddita dell’alta finanza. Attualmente la situazione non sembra cambiata e in quel scivoloso diaframma che vediamo fra le leggi transnazionali e quelle statali, sentiamo passare opzioni che rappresentano interessi che non si curano del benessere del cittadino. Come pensa la democrazia di riuscire a fare i conti, ad imbrigliare questo Leviatano invisibile?

Ebbene … ultimamente cito spesso Fitzgerald. Il suo volume autobiografico che l’editore rifiutò e che in Italia ha visto le stampe solo circa un mesetto fa, in un passo breve ma altamente sarcastico, che strappa almeno a me un riso amaro, tratta l’argomento Morgan e prima guerra (minuscolo sempre, perché un evento così tragico merita raccoglimento…). È la seconda conferma che incontro. Una di uno studioso, Alvi, che sento essere libero e quindi eretico, e un artista fra i più puliti del novecento.

E’ solo sulla consapevolezza della verità storica che si può tentare di organizzare un futuro almeno passabile. Quel che Morgan fece, e prima di lui altri, e dopo di lui ancora altri è presente anche oggi.

Non ci devono incantare telegiornali propaganda.

Penso anche che la verità non sia venuta a galla non per mancanza di volontà o per paura. Siamo abituati ad olocausti vari, alla strage dei kulaki (circa quarantacinque milioni di morti) attuata da Stalin, alle “depurazioni” di Mao eccetera. Non ci spaventerebbe questa verità se non per la constatazione per nulla difficile che quella ingerenza amorale non è certo terminata.

Ricordo un altro fatto storico che non è mai stato spiegato chiaramente, e in questo caso penso che il dubbio, la mancanza di certezza, sia servito agli studiosi per produrre migliaia di pagine utili. Si ricordi che il docente deve pur campare, e se non sforna novità …. Ebbene. Battaglia di Waterloo. Perché Napoleone perse? Trovate di tutto. Fortuna, calcoli sbagliati, distrazioni, il generale Ney che doveva disobbedire ad un ordine di Napoleone, ma aveva il difetto, che negava la sua genialità, e lo faceva ordinario, di obbedire ciecamente e sempre, questo per esempio ci narra Stefan Zweig in “Momenti fatali” …

Ma leggiamo quel che si scopre da uno scrittore acuto di nome Leonardo Sciascia:



“Ieri ho ricevuto da lui (Vitaliano Brancati) la fotocopia di una sua conversazione con Paul Valery pubblicata in cento esemplari nel 1957. Una conversazione sulla storia che comincia con questa battuta di Valery: Tutta la storia è un falso, e per conseguenza è inutile. Non ho mai subito la seduzione della storia.” E nel corso della conversazione fa poi un esempio. “Ho visto recentemente” dice Valery, una lettera autografa del generale sir Henry Shrapnel,



scritta quattro o cinque giorni dopo la battaglia di Waterloo, in cui dice: “Sono stati i miei nuovi obici a vincere la battaglia”. “Dunque”, commenta Valery, tutto quello che ci hanno raccontato finora su Waterloo è falso. Sono stati i proiettili di Srapnel – e cioè gli shrapnel di cui si è tanto parlato cent’anni dopo, nella prima guerra mondiale – a vincere la battaglia”.



Questa suggestiva rivelazione di Valery ha stimolato Lo Duca a cercare una prova; e l’ha trovata nella descrizione che Stendhal fa della battaglia ne “La Certosa di Parma”. Il lettore non ha che da controllare: quegli schizzi di terra fangosa che volano a tre o quattro piedi di altezza, non possono essere effetti della fucileria; si spiegano come effetti degli shrapnel. Ed ecco dunque che ancora una volta, un romanzo dice una verità che il libri di storia non dicono.” (da “L’adorabile Stendhal” ed Adelphi, pag 176/77).

E come non ricordare quell’azienda inglese, citata da Hugo, che anni dopo quella immane battaglia, rastrellò ossa di cavalli e soldati, li macinò e li vendette un po’ in tutta Europa come mangimi per animali? Qualcuno quindi, come non pensarlo, ha mangiato carne che si è nutrita delle ossa dei figli. Ma benedetta o stramaledetta economia senza morale!!!

E altre cose fanno sorridere … Sempre Napoleone. Campagna di Russia. Sembra che abbia ritardato l’avanzata per un attacco di emorroidi (fonte Luciano Sterpellone “Pazienti illustrissimi”).



Stava nella tenda a pancia in basso ad attendere che l’infiammazione passasse. Voleva guidare personalmente l’avanzata, e così partì con un mese di ritardo. Morale, Napoleone non fu sconfitto dal Generale Inverno … ma in questo caso gli storici li comprendiamo … ce la vedete su un libro di storia questa pur veritiera versione? Sorrido e comprendo, ma è roba di poco conto in confronto a quel che fece quel Morgan con la tacita approvazione di tutti i suoi colleghi finanzieri.


amen




sabato 11 gennaio 2014

"Il grande Gatsby": significato del romanzo





Dopo aver descritto alcuni aspetti de “Il grande Gatsby” in un post lettissimo anche oltreoceano, ora mi inoltro nella spietata verità che si cela nell'opera.

Si ricordi la frase eccezionale proprio di Francis Scott Fitzgerald e che ho scritta sui muri della stanza dell'insonnia: “Non si scrive per dire qualcosa. Lo si fa solo se si ha qualcosa da dire”. (taccuini). Aggiungiamo che la grande, la vera letteratura è un canto dell'anima, dell'io più profondo che abbatte, nello slancio della sofferenza tutti gli atteggiamenti letterari e intellettuali. Anima sincera. In questo caso anima morente. Anima morta.

La situazione di Fitzgerald che rivelerò con l'aiuto dei testi, rappresenta secondo me la constatazione di una morte dell'anima. Cosa rimane? Un io disorientato, senza la sua guida, e un corpo che non può non tendere all'annientamento.

Inizio dalla cronologia della vita dello scrittore che si trova nella edizione dei Romanzi edita da Meridiani Mondadori: “Congedato nel febbraio del 1919, va a New York, ma intanto , nel marzo del 1918, aveva portato a compimento il suo primo romanzo, “Il romantico egoista”, che dopo essere stato corretto, respinto una prima volta dalla casa editrice Scribner's, riscritto, viene finalmente accettato dallo stesso editore (16 settembre 1919) e pubblicato col titolo “Di qua dal Paradiso” (26 marzo 1920). Quasi contemporaneamente all'uscita del suo primo libro, sposa Zelda Sayre (3 aprile 1920), appena ventenne, figlia di un magistrato, di cui si era innamorato all'epoca del soggiorno in Alabama per il servizio militare (1918). Respinto da lei quando, al primo invio il romanzo era stato rifiutato e gli venivano rifiutati pure un centinaio di racconti inviati a giornali e riviste) ora egli può farne la compagna di anni che saranno memorabili … “

L'estensore di questa cronologia ha la sensibilità di una lima da ferro passata su una pupilla! Mi spiego. Lui la ottiene la ragazza, ma come credere che non ci sia una macchia, un' “incrinatura” che renderà quella conquista, per sempre in fondo, un fallimento? La situazione ideale sarebbe stata ottenere un si per amore, e non perché il reddito e divenuto adeguato! Se a questo ero arrivato da solo, (sono un maschio, ci son passato anche da ragazzo da quella sconfitta e so di tanti, troppi casi simili, che definirei col termine umiliazione), se a questo ero arrivato da solo dicevo, la recentissima pubblicazione in Italia (Donzelli editore, “Good Luck and good Bye”)



di un testo autobiografico che l'editore Perkins rifiutò nel 1936, giudicandolo poco interessante, ci offre, direttamente dalle parole dell'autore, il significato che ho sottolineato. Il capitolo si chiama “Incollare i pezzi” ed è un capolavoro di sincerità ed immediatezza. Eccone alcuni passaggi: “In un precedente articolo, l'autore di questo testo parlò di quando si accorse che la pietanza che aveva dinnanzi non era quella che aveva ordinato per i suoi quarant'anni. In realtà, siccome lui e la pietanza erano tutt'uno, egli si era descritto come un piatto crepato, di quelli che ti mettono il dubbio se tenerli o buttarli via”.

Sta parlando di se stesso. L'incrinatura … sente di essere un oggetto, un piatto, ormai secondario e che si potrebbe gettare. Ma cosa lo ha reso un piatto incrinato? E ci descrive due accadimenti. Il primo fu una breve malattia a vent'anni che risultò poi essere una leggera forma di tubercolosi. Dovette assentarsi dall'Università e, oltre a rimanere indietro di un anno con gli studi, perse il ruolo di presidente del Triangle club, e la possibilità di realizzare una commedia musicale. Il successo sociale insomma verso il quale sembrava ben avviato, fu annullato da quel problema di salute.

E … genialmente, Fitzgerald ci dice una cosa di una profondità tale che non posso non commuovermi anche quando la rileggo per la centesima volta: “In un solo pomeriggio di marzo mi parve di aver perduto tutto ciò che desideravo, e quella notte, per la prima volta, diedi la caccia allo spettro della femminilità che, per un breve momento, fa sembrare senza importanza tutto il resto.”

Facciamo prima due conti col calendario in mano. L'autore aveva vent'anni? Allora siamo nel 1916! Si tratta di Zelda? Ci sta parlando di lei? No, perché la conoscerà in Alabama nel 1917/18. Nella fredda e troppo intellettuale cronologia che ho usato prima, al 1916 trovo quanto segue: “dopo la chiusura dell'anno accademico vive mesi di cupa tristezza, aggravati dal fallimento della sua prima relazione amorosa con una bella, brillante e facoltosa ragazza, Ginevra King di Chicago.” Poco prima la cronologia ci parla anche della convalescenza avvenuta nel medesimo anno poco prima di questo triste fallimento.

Tiriamo le somme … Due tentativi frustrati per il medesimo motivo. Il fatto di essere precario economicamente. Ci dice anche, E QUESTO E' GENIALE!, che dopo la prima incrinatura, quella causata dalla malattia che portò al fallimento delle sue ambizioni sociali così ben avviate, in quel momento di fragilità, l'importanza della femminilità si amplificò diventando un'ancora di salvezza … ma la definisce spettro, quindi qualcosa di irreale se visto da fuori, o dopo la depressione. Se lo stato della mente è alterato, alterata sarà anche la soluzione che si escogita...

Ma questo meccanismo … fu solo suo o è di tutti? Chiudendo un triste occhio sul fatto che il gentil sesso ha un senso pratico a volte troppo invadente e che travolge istanze morali … se immagino una donna nella situazione della prima incrinatura, ovvero malattia che blocca ambizioni ben avviate, vedo la possibilità nel medesimo rifugio sentimentale nello spettro della mascolinità... La sento insomma come una regola generale che riguarda quelle donne che non fan calcoli coi sentimenti e hanno momenti fragili. Le altre, quelle col pallottoliere in mano, donne non sono.

A questo punto la seconda incrinatura. Fitzgerald si innamora di Zelda che attende il responso dell'editore per concedere la sua mano. L'editore dice no e Fitzgerald viene, come possiamo dire? Licenziato? Buttato via? Mah. … Ma lui combatte! Le riviste rifiutano un centinaio di racconti e lui non si arrende! Corregge anche il romanzo rifiutato e riesce ad ottenere la pubblicazione. Torna da Zelda (e questo per me fu l'errore della sua vita...) e ottiene il si per sposarla.

Perché penso che tornare da lei fu l'errore della vita? Era lui che amava l'amore, lei prima di tutto la sicurezza, l'agio, le comodità. Secondo me Fitzgerald, carico di entusiasmo per la pubblicazione e immerso in un'azione frenetica di correzione e contatti con le riviste, calato nell'azione in modo troppo forte, non ha meditato. Quando si è sposato e, nella calma successiva ha osservato la moglie nel sonno, mentre lui insonne faceva calcoli per il bilancio famigliare (non sto inventando, nel libro appena uscito da Donzelli, lo cogliamo), si è reso conto che lui aveva agito per amore, ma lui solo e se avesse dato tempo al pensiero, cosa che fanno in pochi, avrebbe evitato quel matrimonio tomba.

Parole di Fitzgerald: “l'altro episodio (l'altra incrinatura) … si era verificato dopo la guerra, quando avevo di nuovo esposto troppo il fianco (sottinteso al femminile). Era uno di quegli amori tragici segnati dalla mancanza di denaro, e un giorno la ragazza (non nomina la futura moglie...) vi pose fine in nome del buon senso. Durante una lunga estate di disperazione, anziché scrivere lettere (a lei), scrissi un romanzo, e andò a finire bene, ma andò a finire bene per un'altra persona. (andò bene per la futura moglie. Si noti comunque che questa frase fa comprendere anche che non andò bene per lui...). L'uomo con in tasca la moneta sonante, che un anno dopo sposò quella ragazza, avrebbe sempre nutrito un'inveterata sfiducia, un risentimento, verso i benestanti.”

Questo risentimento si trasformò in adulazione sconcertante e Hemingay criticò queste situazioni trovandole meschine senza cercare di comprenderle.

Ma proseguiamo la lettura delle dirette parole dell'autore! “Negli anni che seguirono, non ho mai smesso di chiedermi da dove arrivassero i soldi dei miei amici, ne di pensare che, in un qualche momento, poteva essere esercitato una sorta di droit de seigneur e avrei dovuto cedere la mia ragazza ad uno di loro”.

Non lo trovate spaventoso? L'angoscia del guadagno continuo. Se non hai soldi non meriti la donna e chi ne ha, chi non è in affitto e ha la casa, chi ha il lavoro sicuro, per entrare col paragone nei nostri tempi, e chi ne ha dicevo, di soldi, potrebbe esercitare un “diritto del signore”, del ricco, e portarti via la donna.

Accade. E lo sappiamo. La cogliamo la situazione dolorosa e continua di Fitzgerald?

Si prenda ora in mano “Il grande Gatsby” e si legga quella che di solito è l'ultima riga della prima pagina: “Il senso della dignità fondamentale è distribuito con parzialità alla nascita.”

Questa frase, che è un macigno, contiene il destino dello scrittore, che ricevette all'origine della vita, una dotazione di dignità insufficiente per potersi permettere … un amore. E si tratta dunque di dignità ferita che potremmo definire anche col vocabolo umiliazione.

ma.. se questa frase la si legge in apertura del romanzo... quanto troveremo di autobiografico, di legato ai due fallimenti femminili per carenza di soldi, nella trama?

Prima però tiriamo le somme su quel che gli accadde nella vita reale: La prima lo rifiuta e lui crolla. La seconda lo rifiuta e poi dice di si quando arriva coi soldini. Dignità ferita due volte.

Osserviamo cosa accade a Jay Gatsby nel romanzo. Era soldato come Fitzgerald quando conobbe Daisy. (Prendo ora frammenti dalla traduzione Mondadori della Pivano): “Daisy Fay aveva diciott'anni … ed era senza discussione la ragazza più nota di tutte le fanciulle di Louisville … quel mattino arrivai davanti a casa sua, lo spider bianco era fermo vicino al marciapiede. Daisy vi stava seduta con un tenente che non avevo mai visto prima. Erano così assorti l'uno nell'altra … L'ufficiale, mentre Daisy parlava, la fissava come tutte le ragazzine desiderano essere fissate una volta o l'altra … ciò accadde nel 1917. (Fitzgerald conobbe Zelda e visse situazioni simili, nel 1917/18) ( e poi Gatsby partì per la guerra in Europa e Fitzgerald per caserme negli USA). Strane voci circolavano sul suo conto (di Daisy): come la madre l'avesse trovata durante una notte d'inverno mentre faceva le valigie per andare a New York a salutare un ragazzo diretto oltremare; le venne impedito di farlo, ma per parecchie settimane non parlò più con la famiglia.”

Conosciamo anche la versione di Gatsby, che parte per la guerra con l'intenzione di morirci perché sa che la famiglia di lei rifiuta il loro rapporto. Ecco un tassello differente fra la vicenda dell'autore e quella del romanzo. Daisy, ne esce salva. E' stata la famiglia a impedire. Nella vita fu Zelda …la fidanzata medesima. Purificando il ruolo femminile, eliminando la colpa diretta, Fitzgerald ottiene una maggior purezza anche del dramma di Gatsby. Se la ragazza è innocente si può parlare di fato, di destino … E Fitzgerald, secondo me, non per calcolo intellettuale, ma poiché era giunto alla radice prima della sofferenza e della consapevolezza della di questa, agì nella creazione della trama, semplificando in un modo che non può non ricordarmi la tragedia greca. Siamo all'ultimo momento di un fatto lungo cinque anni. Dell'amore nato con Daisy sentiamo raccontare dal “coro” delle voci del romanzo e ci troviamo in quel presente scenico di carta che tira le fila della conclusione che è tragica e con morti, come un buon greco antico pretendeva … per catarsi.

Amo pensare che una trama così perfetta, semplificata, sia un'operazione non calcolata ma che si tratti di colpi di scalpello della sofferenza che semplifica per mostrare le poche facce potenti, abbaglianti del dolore puro che si è vissuto. Fitzgerald ricrea e rivive la sua incrinatura e il suo alter ego, Gatsby, muore. Rimane puro fino alle fine e la sua morte, che sa di sacrificio, è la descrizione della morte dell'anima dell'autore. Egli ora, è consapevole di essere un piatto incrinato, che si usa ma si potrebbe anche gettare. Un corpo quindi e un io senza la guida dell'anima che si annichiliscono per il bilancio economico perché altrimenti scatta il terribile “diritto dei signori”, e l'alcol, che ti da sul momento la forza di mantenere il ritmo e di non pensare, ma l'artista pensa anche quando non deve e non vuole … 

Ecco delle parole stupende e sue che lo rivelano: “Dunque, la cura abituale per uno che è affondato (incrinato...), sta nel pensare a chi vive una condizione di vera indigenza o di sofferenza fisica; è un toccasana contro la depressione in generale che va bene per tutte le stagioni, oltre che un consiglio quotidiano alquanto salutare per tutti. (/)
Ma alle tre di notte, un pacchetto dimenticato assume la stessa tragica importanza di una condanna a morte, e la cura non giova - nella notte fonda dell'anima sono sempre le tre di notte, giorno dopo giorno -”.

Stupendo. Ho messo un a capo (/) per dividere la frase in due nuclei di senso. Il primo nucleo, sa di essere meschino. Sa che rinfrancarsi pensando a chi sta peggio è un rimedio superficiale, da popolino, e infatti nella seconda parte, ci mostra la depressione, l'insonnia, abissi che conosco personalmente, e ci dice che in quei momenti eterni, un nonnulla diventa morte dell'anima. Lui dice buio, ma il buio è nella tomba, non nella casa viva.

Eccovi consegnata l'anima di un capolavoro. Alcuni oltre che apprezzarlo minuziosamente come opera artistica indiscussa, alcuni, dicevo, soffriranno, poiché di donne come Zelda è pieno il mondo e l'incrinatura che si ha, se letta, non fa star meglio, ma potrebbe farci sentire puri, migliori di chi ha ferito, come puro sentiamo essere Gatsby. Ecco la letteratura che definisco utile come una medicina! E che non si legga il romanzo una volta sola! Bisogna entrare non solo nella trama, ma nelle sfumature di una scrittura che nulla lascia al caso e che è una vetta profonda dell'umanità

amen