martedì 18 ottobre 2016

Meditazione su Dario Fo e Bob Dylan che stimo ...

All'itaglia (non è un errore...) non vanno a genio gli artisti che non obbediscono. 
Questo è il problema. 
Nell'immediato secondo dopoguerra Togliatti vagava per la penisola nell'intento di accaparrarsi artisti e scrittori anche se di fama discussa per poter far vantare al partito comunista una scuderia di riguardo. In cambio pane e formaggio per tutti e se rigavi dritto pure carne e gloria. Clamoroso il caso di Curzio Malaparte, questo scrittore immenso che fu fascista della prima ora ma poi, deluso da quel che Mussolini divenne una volta al governo, non esitò a criticarlo nel volume “La tecnica del colpo di stato”. Quando poi toccò sul vivo il ministro dell'aviazione col volumetto “Barba di ferro”, il fascismo fece il possibile per far rincasare questa star internazionale che stava “sputtanando” il duce e collaboratori con cognizione di causa. Malaparte fu arrestato e chiuso al carcere di Regina Coeli e poi mandato al confino. Aiutò poi gli americani per la liberazione dell'Italia e i suoi libri sono forti, potenti, spesso oltre la realtà dei fatti per descrivere le verità storiche e anche quelle personali, ma questa è licenza che un artista può e deve spesso prendere per dare visione chiara di un'epoca. Kafka per descrivere i primi del novecento utilizzò l'irreale trasformazione (e non metamorfosi) di un uomo alienato in “un mostruoso insetto”, e ci riuscì benissimo. Fitzgerald con “Un diamante grosso come l'Hotel Ritz” utilizzò di nuovo una misura che va oltre il reale per … descrivere la realtà. Tutto normale, e in itaglia, Savinio e Manganelli sono stati genialmente al loro livello. Ebbene, Togliatti cercò di accaparrarsi Malaparte coccolandoselo fin sul letto di morte. Pulì il passato orrendo di Vittorini che oltre a scrivere da schifo fu ospite a Weimar di Goering al convegno degli artisti nazisti nel marzo del '42 (in compagnia di un certo Eugenio Montale), e dopo sei mesi? un anno? ...era già partigiano. Guttuso! Che vinse il fascistissimo premio Bergamo e fu fascista finché gli convenne scrostando poi le dediche al duce per inneggiare al comunismo.
Potrei proseguire, ma è musica ben nota all'ipocrita di turno. Preferisco e stimo un Vitaliano Brancati che da ragazzo si entusiasmò di Mussolini e gli dedicò pure un pezzo teatrale. Poi dalla sua Sicilia approdò a Roma e come Malaparte vide che si trattava di ben altra faccenda che di un ideale di onestà ed ordine e, dopo essersi aggiudicato il concorso per l'insegnamento, in silenzio, senza farsi notare, tornò nella isola patria a fare il professore, lui, geniale, quasi inosservato, che seminò l'amore per l'ideale e l'arte in Leonardo Sciascia che fu suo allievo. Quest'ultimo poi, di sinistra si, ma non obbediente, al punto da essere assai maltrattato proprio perché pretendeva di potersi permettere il lusso di pensare ad alta voce. Dario Fo stesso che quando si mise di traverso sulle posizioni della sinistra italiana fu accusato di essere un repubblichino e a ben poco è servito che dichiarasse che si trattò non di scelta ma di obbligo per la sopravvivenza. E L'ultimo caso che poi ricordo, Mario Luzi che, nominato senatore a vita venne assai maltrattato dall'agone politico poiché, di nuovo, voleva essere coerente con se stesso, misura assurda in un ambiente nel quale l'ipocrisia è stile di vita condiviso in modo religioso.
Ecco quel che accadde a Dario Fo. Messo da parte perché non addomesticabile, e una volta morto al funerale arrivano a lisciarlo, ora che starà sicuramente e definitivamente zitto, anche coloro che gli hanno augurato spesso una paralisi alla lingua!
Un esempio illuminante … conobbi Umberto Eco poiché frequentai delle sue lezioni e anche perché me lo presentò il filosofo Paolo Rossi. Una mattina lo incontro in via Zamboni. Era appena uscito il suo “Baudolino” e mi complimentai con lui sotto i portici. Lui ironizzò in un modo che deve farci pensare. “Noooo! Non puoi averlo letto! Umberto Eco non lo si legge. Lo si compera e lo si tiene bene in vista in salotto per un mesetto e poi lo si butta nei piani bassi della libreria!” Insistette col dire che forse con “Il nome della Rosa” qualche lettore lo aveva avuto, ma poi non ce ne sono stati più”. Poi buffonescamente, con una bella risata, mi disse: “dici di averlo letto!?! ora ti sbugiardo perché ti interrogo! Come si chiama il cavallo del protagonista!”
risposi correttamente e lui mimò una sorpresa quasi irreale dichiarandosi debitore di un caffè che poi consumammo al caffè del Museo qualche giorno dopo, luogo dove lui spesso si rifugiava, ad un tavolino, solo, nell'ultima sala in fondo. Si sedeva, la schiena si curvava e diventava in un attimo vecchissimo. La recita di se stesso era sospesa per qualche momento, poteva essere se stesso, poteva finalmente, liberamente, soffrire, e io sapevo che soffriva ancora per amore. Nessuno osava disturbare quella metamorfosi, nemmeno quei tafani noti col nome di lecchini. C'era qualcosa di enorme in quel silenzio del corpo, in quel viso che, tolta la maschera, urlava ancora il sangue di un sentimento. Mi vide lui e mi disse “ti devo un caffè … ma ti è piaciuto veramente?”; “si, mi è piaciuto, finalmente ne stai uscendo” “si, ma non sono più io ...” eccetera.
Ebbene, lui che era prima di tutto un intellettuale che si dichiarava di sinistra, dovette lottare per negare di essere appartenuto a quella finzione tutta universitaria nota col nome del gruppo '63, di fatto mai esistito, poi iniziò a strappare la tessera che il partito gli inviava, ma non riuscì mai a dire chiaramente che lui in quel partito diventato un ufficio di collocamento per amici degli amici, non si sentiva più a suo agio.
Tonino Guerra mi diceva “sono si un comunista, ma un comunista zen!” e voleva dire e lo diceva, che con quella gente li lui non voleva avere a che fare; lui che ebbe ospite nella sua casa di Mosca spesso quel Napolitano che poi ha svenduto la dignità italiana. E non si capacitava Tonino della metamorfosi che io spiegavo essere dovuta all'aggiunta di un terzo occhio sul suo viso … frase che qui non spiego ma che a Tonino rivelai in tutto il suo senso.
Avete dubbi sulla coerenza della sinistra itagliana in rapporto con la cultura alta? Leggetevi i primi due romanzi della Ortese … un genio che ha toccato secondo me la perfezione col suo ultimo “Alonso e i visionari”. Leggetevi “Poveri e semplici” e la seconda puntata che si intitola “Il cappello piumato” e scoprirete che già nel 1952, la sinistra non esisteva più in senso ideale. E infatti la Ortese fu rispettata individualmente da personaggi come la Maraini o Visconti (che spesso la aiutava economicamente), ma ufficialmente ignorata, perché ammettere la sua esistenza corrispondeva dover prendere atto dei messaggi della sua opera e decidersi a fare autocritica ... ma la sinistra, non voleva, non poteva, perché come vi ho detto, già nel '52 la sinistra non esisteva più. Ricordate per cortesia che ignorare, nell'attuale sistema mass mediatico, equivale ad uccidere, e lei fu uccisa. Ora, e ora è un'altra epoca, si grida al genio anche da parte di chi l'ha ignorata per ordine di partito.

Si passi poi alla letture de “I tre amici” di Mario Tobino, tenendo conto che con nomi finti si descrivono fatti veri ed enormi. Sempre guarda caso, nel 1952 …. leggere e meditare … per scoprire di conseguenza che attualmente la sinistra che non c'è ha ancora e sempre i suoi “nuovi” artisti ufficiali, questi obbedienti che faranno e fanno carriere con un bicchiere di talento in un mare di presunzione. Il regista Paolo Sorrentino e il tuttofare Roberto Benigni sono a cena col presidente Obama... Sarebbero quindi il meglio dell'Italia! Sugli scienziato presenti a quella tavola, taccio.
Nel mio blog smontai il film di Sorrentino che dimostra delle incongruenze che lo distruggono come senso e ritengo che colpisca allo stomaco ma mai al cuore. Benigni … letturina in parlamento, Dante in tivù … nella patria di Alberto lupo e di quel genio di Carmelo Bene inneggiare ad una mediocrità simile può accadere solo se viene imposta! Ma quando saranno i migliori e non gli yes men a brillare! E quale sarebbe il vantaggio! E' presto detto. Se un grande, uno veramente grande ti dice bravo! Continua così! Ti senti rinfrancato, ti fai coraggio, in un sistema mondo nel quale solo l'economia è religiosamente assecondata e campi per anni con quella perla nel cuore. Ma se uno yes man ti dice qualcosa ... Uno yes man può solo raccomandare, per l'intuizione della qualità artistica non ha le capacità. E non mi interessano gli Oscar vinti che di solito sono parte programmata, calcolata, del lancio di una pellicola.
L'italia ha Crialese e Tornatore, la Capriolo e Vecchioni e Mogol e de Gregori! Gente vera! Opere vere!
E ripenso a Sebastiano Vassalli che dava fastidio, poco ma lo dava, e fu candidato al Nobel dalla Norvegia …. una bella umiliazione che gli altri rispettino i talenti che l'Itaglia non vede anzi … non vuole vedere!
Pensare poi che i due grandi del secondo dopoguerra … Flajano e Savinio, la stragrande maggioranza degli italiani nemmeno sa che sono esistititi …. accadde e continua ad accadere perché non erano allineati, erano liberi liberi liberi e la loro opera fa crescere …
Altro esempio. Io scrivo, ho frequentato l'università e alla seconda laurea il mio relatore, non faccio nomi ma sulla pergamena lo si può leggere, mi chiese se mi sarebbe piaciuto insegnare. L'ambiente di filosofia a Bologna era una gabbia di belve scatenate per pochi pezzi di carne, per pochi posti. Ero un po' titubante e dissi “si, si può provare, anche se l'ambiente mi sembra troppo nervoso”, “hai la tessera??” chiedo quale, mi viene detto e dico no, facendo presente che è indubbiamente un onore essere considerato degno di una carriera universitaria e che se veramente mi si stima, quel pezzo di carta non sarà necessario. Il giorno dopo, già il giorno dopo, mi resi conto che tutti i docenti affiliati alla cosca di quel barone, mi avevano tolto il saluto. Non esistevo più per loro. Bruciato, finito. Non mi era svenduto, ero pulito, ma ero uno zero. Ero solo.
Questa è l'Italia che ha messo in un cantuccio un grande come Dario Fo che però non ha potuto ignorare completamente perché Stoccolma lo ha premiato e reso noto, trattato da stupido Mario Luzi, tentato di screditare le verità di Sciascia (si legga “Nero su nero ...”), scordato Vassalli, e ora mette in croce Erri de Luca, che ha dovuto subire un brutto processo, una vera gogna mediatica in fondo per coerenza etica che disturbava grandi interessi e ora, di recente, sta difendendo degli alberi … amato dalla gente, e sarà osannato da morto, quando si sarà sicuri che non darà più fastidio, anche da chi ora lo vorrebbe morto.

E Ora Bob Dylan …
In itaglia, primo fra tutti Baricco, è indignato. Lui, la voce occulta dei discorsi di Renzi, che ha rifiutato l'incarico di ministro della cultura perché da dietro le quinte ci si destreggia meglio … e non solo lui.
Sono cantanti! Non c'entrano con la letteratura!
E invece c'entrano e ve lo dimostro.
Avevo circa vent'anni e mi ritrovai ad essere finalista ad un premio letterario di poesia in Toscana. La giuria tecnica aveva scelto i quattro finalisti. Il vincitore doveva essere decretato dai cento voti della giuria detta popolare, composta da studenti delle superiori. Insieme al premio c'era anche un miniconvegno sulla poesia. I quattro docenti si lamentarono dicendo in forme diverse che in Italia la poesia non va perché la gente non legge. Chiesero poi che parlasse qualcuno dei finalisti. Nessuno si mosse e decisi di dire la mia. Feci presente all'uditorio che secondo me in Italia la gente non leggeva i poeti contemporanei perché erano troppo intellettuali. Non c'era un Neruda, un Lorca e in più l'ambiente dei poeti era assai chiuso. I quattro docenti tentarono di togliermi la parola letteralmente indignati. Mi insultarono, non scherzo, e io per reazione rincarai la dose. Dissi che è un ambiente chiuso nel senso che oggi io premio te domani tu premi me e così siamo tutti contenti … dimenticandosi del pubblico che ovviamente in questi giochetti non è invitato. Ma si sa che la gente legge con lo stomaco e anche col cuore e lo fa solo se l'opera è di valore quando l'anima di quel popolo h fame di ideali come nel secondo dopoguerra ... e non se l'autore ha vinto dei premi. Cinzia Tani Tempo fa pubblicò un libro intitolato Premiopoli … l'Italia ne ha a centinaia, piccoli, grandi, poveri, ricchi, di tutte le consorterie ecc e la gente lo sa che un premio tende più a confermare l'appartenenza ad un certo “giro” che non un valore. Ricordai un fatto accaduto ad Umberto Saba. Ad un premio fu totalmente ignorato e mentre usciva dalla sala, due ragazze gli si avvicinarono con una copia di un suo libro chiedendo un autografo e facendogli qualche domanda. Si allontanò dicendo ai presenti che il premio lo aveva vinto lui … glielo aveva appena dato la vita, la vita di tutti i giorni, quella che palpita.
Quella sera in Toscana ci fu una serata di gala dalla quale fui cacciato mentre gli altri tre finalisti si sedettero. Il silenzio di fatto non dice nulla ma è accomodante. Il giorno dopo, purtroppo per i quattro indocenti, vinsi io. Settantatrè voti su cento …. e il più feroce del quattro insultatori mi consegnò un oggetto che doveva essere un piacere ricevere e che invece mi fece capire definitivamente in che mondo vivevo … a vent'anni. E non finì … il più agguerrito, professore a Urbino, si trasformò in amicone e mi invitò nella bella cittadina delle Marche. Stupefatto ci andai e ricordo a pranzo due momenti del dialogo. Nel primo mi consigliò di diventare docente. “Vedi quanto sono brutto io! E comunque almeno una per sessione me la porto a letto!” ed era ben fiero di quel che diceva. Comunque verso la fine del pranzo, davanti al caffè pianse perché la sua famiglia era a pezzi e non capiva perché sua moglie non volesse nemmeno più parlargli. Ed effettivamente quella signora si comportò in modo “assurdo” non trovate? Lo rividi solo in un'altra occasione, per caso a Bologna, era con una presunta segretaria lui che segretarie non ne aveva, e cercai di defilarmi anche se non fu semplice. Anni dopo, sfogliando con accurato disinteresse (il piacere delle abitudini …) il quotidiano “La Stampa”, nella pagina di apertura dell'inserto dedicato al festival della letteratura di Mantova, vidi a tutta pagina la sua foto. C'era scritto che era poeta e che era ospite d'onore … una tristezza.
Questo fatto spiega la mia tendenza alla solitudine. Studio e me la vivo col cane. Non rifiuto il dialogo ma non ne voglio sapere di incontri troppo folti perché o finiscono in niente o fanno parte di una vita sociale che ho imparato a considerare tempo perso.

Questo ricordo del premio letterario, che insieme ad altri fatterelli altrettanto pregni di significato, mi hanno fatto preferire un sano isolamento, devono farci pensare. Non sono esperienze solo mie. Ci si sbatte il naso. Sei dall'editore? Arriva l'Editor che è l'imbecille incaricato di farti cambiare parti del testo che non vanno bene. Non vanno Bene a chi? Non lo saprai facilmente. Se ti impunti niente libro oppure forse arrivi ad un nome, gli parli e scopri che è un intellettuale e non un artista, che è un po' come andare dall'idraulico quando hai mal di denti, uno zero assoluto di senso. L'intellettuale deve arrivare quando tutti gli artisti sono defunti e già ben secchi da anni per intendere un dieci per cento e fraintendere il resto. Finiti i bei tempi che la selezione della qualità avveniva dalla lettura di brani in terza pagina, ora affidata ai critici, oppure per esempio … alla Einaudi c'era un fenomeno geniale come Pavese del quale giudizio mi sarei fidato con stima. Morto lui la generazione dopo ha fatto sfaceli. Uno per tutti Vittorini che ha scartato “Il Gattopardo”!!!!!!

Immaginiamo ora l'anima di un popolo che canta, comunque canta, non può fare a meno di cantare. Non c'è più spazio per i poeti poiché l'ambiente è diventato autoreferenziale e chiuso, una cosca ridicola … si può dire quindi che la poesia è morta? Si, è morta all'interno della cosca, ma non in un popolo e, come i pittori scacciati dalle gallerie che pensano solo alla speculazione hanno iniziato ad imbrattare i muri delle città, così il poeta è tornato per strada a cantare.
Francia e Italia, le nazioni nelle quali l'ipocrisia di sinistra si è istituzionalizzata divenendo rigidissima (o dentro e obbedisci o fuori … e dimenticato) ha prodotto le scuole migliori in Europa. Negli Usa, la sfida fu invece generazionale. Ci basti leggere il diario di Sylvia Plath, aggiungendo il teatro di Miller (per esempio “Erano tutti miei figli”) per “sentire” la crisi. La generazione dei padri, perbenista, finta, coi soli ideali dell'apparenza da salvare e dell'arricchimento a tutti i costi, si ritrovò la generazione dei figli che reagì maluccio. Si chiama beat generation; idealizzò nel sessantotto e solo ora che la generazione dei padri è quasi tutta sepolta, ha potuto premiare col Nobel un suo simbolo, quel Bob Dylan che ha cantato dei principi morali, credendo veramente in essi. Mi piace far fare una ricerca per comprendere questo personaggio. Si inizi con Voltaire e il caso Calas, Poi Zola con Dreyfus, e infine Bob Dylan con Hurricane. Il settecento, l'ottocento e il novecento che ci mostrano un artista ciascuno che per mezzo dei mass media, utilizzano e rischiando la loro personale e redditizia notorietà per far riaprire dei processi che avevano portato a condanne ingiuste, e nel caso Calas purtroppo solo alla riabilitazione postuma. Collaborare, fare comunità, credere che il bene è bene se fatto bene e non per interesse personale. Vi pare poco dare un Nobel ad un personaggio simile? Io glielo darei anche per la pace!
E ora l'Itaglia. Anni fa, proposi alla principessa Esperia Caracciolo in un salotto piacentino, a lei che collaborava col Club Tenco, di fare una lettera per candidare De Andrè. Qualcuno rise. Insistetti. Risero quasi tutti. Ora rido io, ma con amarezza.
Come artista De André era ed è più importante e più completo di Bob Dylan di Neil Young, e di chiunque altro. Voce stupenda, capacità musicale unica e testi che son poesie eccellenti. Della poesia italiana , che per sopravvivere si è fatta accompagnare della musica, ora Vecchioni e Mogol, giustamente sono candidati e io aggiungerei anche de Gregori. Se poi penso a Baranduardi, Eugenio ed Edoardo Bennato, Jannacci, Fossati …. l'elenco diventerebbe smisurato. La poesia italiana c'è, è viva e lo dobbiamo a loro. La cosca di poeti che si autopremiano escludendo il pubblico col disprezzo riservato all'inferiore, all'incompetente, ha perso ed è fuori definitivamente dalla storia.

amen