mercoledì 27 marzo 2013

Joseph Conrad: "Titanic"



Per la prima volta consiglio un testo che non è letteratura. Ho qualche attenuante. Chi l'ha scritto si chiama Joseph Conrad. Può sembrarlo, ma non è uno sconosciuto. Quasi tutti conoscono almeno una sua opera che si chiama “Cuore di tenebra”, ma più nota sotto falso nome, ovvero “Apocalipse now”. Questo film, per quanto sia non completamente fedele, è un gioiello, e Francis Ford Coppola, per quel che ci ha messo di suo, ha dimostrato di aver compreso il libro e di non averlo umiliato.

Di Conrad, fra tante opere degne di attenzione, scelgo un libretto, edito dalla Passigli che si intitola “Titanic” poiché ci mostra l'abisso fra quel che sappiamo di quel fatto e quel che veramente è accaduto. La meditazione su questa differenza, che si rivelerà enorme, potrebbe venire utile per meditare su quel che pensiamo di sapere sulle vicende del nostro tempo. Siamo in un'epoca esasperatamente visiva e su questa vi offro qualche ragguaglio, ovviamente visivo ... Studiando delle foto di Atget:




per esempio, riguardanti la Parigi dei primi del novecento, ho avuto occasione di vedere delle vie, degli edifici, completamente coperti di cartelli pubblicitari. Era carta stampata e incollata, al massimo cartone o legno dipinto. Ce n'era una invasione esasperante; anche i vicoli più sgangherati erano assaltati da queste immagini che rimanevano attaccate per tanto tempo, e spesso erano solo le intemperie ad eliminarle. Pensateci. I cartelloni, che siano luminosi, di carta o altro, attualmente hanno scadenza breve e raramente li vediamo malmessi come mostra un certo Rotella (vedi immagini)



che piace più agli arredatori che agli appassionati di arte .... Io tuttora rimango sorpreso quando, in un certo punto di una strada, nella quale passo appunto per sincerarmene, ritrovo ancora l'avviso funebre di ringraziamento di Carlo, un amico che quasi tre anni fa se n'è andato. La sua fortuna, la fortuna del suo foglio bianco listato a lutto, è che si trova in alto in una tabella metallica in grado di contenere sei annunci. Ho osservato la metodica dell'attacchino. Preferisce, causa la sua altezza, riempire sempre i quattro spazi più in basso. Il quinto e il sesto sono gli ultimi e predilige, non ho ancora capito il perché, riempire prima la casella destra e Carlo è a sinistra. Carlo, per essere coperto da un altro annuncio, deve attendere quindi sei morti che devono decidersi a defungere nel giro di qualche giorno. Per ora si è arrivati, una volta sola, a cinque e vedo il tempo, il vento di mare, la pioggia, che pezzo per pezzo si portano via l'ultima sua traccia nella vita, fra le strade che lo videro bambino e poi uomo e infine anziano. Niente foto. Rimane un pezzo del nome e io passo da quella strada ogni volta che posso, per salutarlo e osservare il lavoro lento del tempo, quel lavorio, quel rosicchiare, che è temuto, e chirurgie plastiche di corpi, restauri di edifici e oggetti, e altri mascheramenti, ci rendono ormai inusuale. Tutto deve essere nuovo, giovane, perfettibile e immediato ... e questa esigenza, è diventata anche la vera identità dell'informazione. Che la notizia sia vera o falsa, in buona o cattiva fede, che importa? Essa deve essere giovane, scusate, nuova, sempre nuova, e non importa se coerente, come quelle ottantenni che ho visto a Cannes, in maglia aderente leopardata, leggings e sguardo rapace … perché sotto l'abito, sotto il ritocco e la finzione, spesso, da millenni è la medesima notizia che pulsa...

Quel che mi accade con Carlo, è una rarità. Di solito la pubblicità cambia spessissimo, e siam talmente assuefatti al cambiamento che quando, per esempio in televisione, lo sketch pubblicitario di un comico, viene ripetuto troppo spesso, quindi ha eroso completamente il suo aspetto di novità, l'unico che ci distrae, siamo irritati e non esitiamo a lamentarcene.

La pubblicità, al tempo del Titanic era come ce la mostra Atget. Un po' di colla, un cartello e li presente per mesi e mesi. I giornali, che fossero quotidiani o settimanali, non erano “utilizzati” come oggi. Spesso il settimanale veniva acquistato solo in abbonamento da persone abbienti o circoli, quindi gli “altri”, potevano nutrirsene solo quando il popolo di “prima scelta” non ne era più interessato. I quotidiani costavano, poco ma costavano, e di solito chi non voleva scialare, attendava il giorno dopo o si recava a certi chioschetti davanti ai quali si faceva gruppo e oltre a leggere si discuteva. Accade ancora che davanti a qualche sede del vecchio partito comunista che ha cambiato pelo ma non il vizio, ovvero non ha cambiato sede, facce e nemmeno idee, ma solo appunto la sigla, accade ancora che li davanti, il loro quotidiano, sia esposto pagina per pagina in alcune teche.
...e poi i caffè. Anche oggi si fanno due conti. Una tazzina costa più o meno quanto una testata, quindi tanto vale bere e sfogliarne una certa quantità quasi gratis!
Ora c'è anche internet e il giornale si è infilato anche li dentro, ma così diventa un atto individuale e per ora la vince il bar, termine italianissimo, da barra, sulla quale l'avventore appoggiava il piede mentre sorseggiava al bancone.

Ricordo a Salzburg il piacere, quasi il rito, di recarsi al caffè della piazza del Nuovo Mercato e prendere le stecche col quotidiano arrotolato. Provateci e vivrete una sensazione antica. 

Stecche al café Tomaselli di Salzburg
Il cafe, la stecca, che se vi riconoscono, e a me accade, ve la portano con un sorriso che vi fa sentire a casa anche se non è vero, un certo stile quindi, e l'atmosfera di un'epoca. Mi è capitato a Nancy, nei suoi stupendi caffè liberty, di legno specchi, ferri a fettuccia e argento … capita insomma ancora.

Nancy: il Flore oggi

Il Flore ieri.....

Il quotidiano come collante sociale e che invita alla chiacchiera, e in esso la notizia che si accompagna sempre più a interpretazioni emotive, scandalistiche, smentibili sempre e non necessariamente il giorno dopo. Un carnevale insomma nel quale siamo coinvolti al punto da diventare guitti a nostra insaputa.

Ecco cosa ci rivela il libretto di Conrad. 


Egli, da una sferzata alla chiacchiera. Ci mette sull'attenti. Stiamo parlando di circa 1520 persone morte! Non è uno scherzo nemmeno se ne muore una, ma 1520, moltiplica indubbiamente l'obbligo, la necessità di attenzione.

Veniamo al fatto. Sapete dirmi quando è affondato il Titanic? Immagino di no e non sentitevi sotto esame. Anch'io mi son posto la domanda e ammetto di aver sbagliato anticipando di una ventina d'anni. Quel che sappiamo tutti è che la nave più grande del mondo, si schiantò contro un iceberg e poi affondò. Ce ne mantiene fresca la memoria un film che con effetti colossali ha fatto cassa per benino, rivelandoci comunque un talento come Di Caprio.

La data è 15 aprile 1912. Cerco di essere preciso. Il 14, alle 23:40, l'iceberg viene toccato; alle due e venti del giorno dopo, quindi due ore e quaranta di tempo, affonda.
La realtà è quella che ci mostra Atget. Carta ovunque, sui muri e nei caffè. Altro non c'era per comunicare. Le notizie duravano un poco di più nel senso che quel che si veniva a sapere alle otto del mattino non cambiava fino a sera. Un lasso di tempo per meditare su parole immobili. Attualmente la notizia si modifica continuamente. Se ne esaminiamo una dotata di una vita minima di una settimana, vedremo quante contraddizioni vengono prodotte e annullate e spesso riappaiono.

In quell'epoca, dall' “English Review”, numero di maggio, quindi appena sedici giorni dopo il disastro, una grande mente, e in questo caso un esperto di mare, “striglia” un'epoca. Apparirà poi un secondo scritto, tempo un mese, che rincara la dose e il quadro che ne esce è doppiamente sconcertante.


Il Titanic … perché è affondato ...l'agire umano, che affonda. L' English Review” era un mensile, razza che si potrebbe considerare estinta. Affrontava argomenti di politica, attualità, aveva velleità artistiche e si rivolgeva alla elite. Ora “fa fatica” a campare anche un settimanale. Troppo tempo una settimana con un'informazione che fa ormai tutto in diretta! E ci si mette pure che un giorno, una settimana un mese, con una notizia che non cambia, ci costringe a pensare. L'immediatezza è emotiva, ma il tempo calma i nervi e rimane qualche possibilità almeno per il pensiero. Ci sarebbe un gradino in più, ma non ne parliamo ora.

Non intendo rivelare nulla di quel che il libretto narra. Avrete di che stupirvi.
Quel che vi invito a fare, è un accurato ragionamento sul vostro rapporto con la notizia, oggi. Penso non esista testo migliore di questo di Conrad per meditare un po' su quest'argomento. Egli, in quanto artista, dice, e senza preoccuparsi di dar fastidio a qualcuno, a qualche corrente politica, al commercio, agli Stati Uniti. Lui ci mostra il fatto, analizza alcune risposte date dai “tecnici”, e poi affonda il colpo.

Vi invito poi ad ascoltare “Titanic” di de Gregori. 


“La prima classe costa mille lire, la seconda cento, la terza sudore spavento puzza di sudore dal boccaporto e odore di mare morto...” vado a memoria, potrebbe non essere esatto.

E da un'altra canzone di quell'album eccellente:
.....questa nave fa duemila nodi, in mezzo ai ghiacci tropicali, ed ha un motore di un milione di cavalli che invece degli zoccoli hanno le ali. Questa nave fulmine, torpedine miccia scintillante bellezza fosforo e fantasia molecole d'acciaio, pistone rabbia, guerra lampo e poesia.
In questa notte elettrica e veloce, in questa croce di novecento, il futuro è una palla di cannone accesa e noi la stiamo quasi raggiungendo.
E il capitano disse al mozzo di bordo
io non vedo niente
c'è un po' di nebbia che annuncia il giorno...
...andiamo aventi tranquillamente...”

Quelle ultime parole mi mettono i brividi. Non è una nave che avanza, è un'epoca, che come quella di quegli uomini che hanno costruito il Titanic, e lo guidano, ha perso il senso della realtà.

De Gregori rende benissimo questo significato. È il 1912 e noi, col senno di poi, sappiamo che nel giro di due anni, scoppierà il finimondo. E non credete a chi dice che furono due guerre mondiali! Fu una unica, iniziata con la follia che affondò il Titanic e che Conrad ben descrive, sfociò in dittature e crisi economiche che non son guerre solo per i cretini, e terminò, dicono, nel quarantacinque.

Da un libro e da un disco, se si vuole, se si ha tempo, una lezione grande che ci deve far riflettere sulla nostra epoca...

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