Per la prima volta
consiglio un testo che non è letteratura. Ho qualche attenuante. Chi
l'ha scritto si chiama Joseph Conrad. Può sembrarlo, ma non è uno
sconosciuto. Quasi tutti conoscono almeno una sua opera che si chiama
“Cuore di tenebra”, ma più nota sotto falso nome, ovvero
“Apocalipse now”. Questo film, per quanto sia non completamente
fedele, è un gioiello, e Francis Ford Coppola, per quel che ci ha
messo di suo, ha dimostrato di aver compreso il libro e di non averlo
umiliato.
Di Conrad, fra tante opere
degne di attenzione, scelgo un libretto, edito dalla Passigli che si
intitola “Titanic” poiché ci mostra l'abisso fra quel che
sappiamo di quel fatto e quel che veramente è accaduto. La
meditazione su questa differenza, che si rivelerà enorme, potrebbe
venire utile per meditare su quel che pensiamo di sapere sulle
vicende del nostro tempo. Siamo in un'epoca esasperatamente visiva e
su questa vi offro qualche ragguaglio, ovviamente visivo ...
Studiando delle foto di Atget:
per esempio, riguardanti la Parigi dei
primi del novecento, ho avuto occasione di vedere delle vie, degli
edifici, completamente coperti di cartelli pubblicitari. Era carta
stampata e incollata, al massimo cartone o legno dipinto. Ce n'era
una invasione esasperante; anche i vicoli più sgangherati erano
assaltati da queste immagini che rimanevano attaccate per tanto
tempo, e spesso erano solo le intemperie ad eliminarle. Pensateci. I
cartelloni, che siano luminosi, di carta o altro, attualmente hanno
scadenza breve e raramente li vediamo malmessi come mostra un certo
Rotella (vedi immagini)
che piace più agli arredatori che agli appassionati di arte
.... Io tuttora rimango sorpreso quando, in un certo punto di una
strada, nella quale passo appunto per sincerarmene, ritrovo ancora
l'avviso funebre di ringraziamento di Carlo, un amico che quasi tre
anni fa se n'è andato. La sua fortuna, la fortuna del suo foglio
bianco listato a lutto, è che si trova in alto in una tabella
metallica in grado di contenere sei annunci. Ho osservato la metodica
dell'attacchino. Preferisce, causa la sua altezza, riempire sempre i
quattro spazi più in basso. Il quinto e il sesto sono gli ultimi e
predilige, non ho ancora capito il perché, riempire prima la casella
destra e Carlo è a sinistra. Carlo, per essere coperto da un altro
annuncio, deve attendere quindi sei morti che devono decidersi a
defungere nel giro di qualche giorno. Per ora si è arrivati, una
volta sola, a cinque e vedo il tempo, il vento di mare, la pioggia,
che pezzo per pezzo si portano via l'ultima sua traccia nella vita,
fra le strade che lo videro bambino e poi uomo e infine anziano.
Niente foto. Rimane un pezzo del nome e io passo da quella strada
ogni volta che posso, per salutarlo e osservare il lavoro lento del
tempo, quel lavorio, quel rosicchiare, che è temuto, e chirurgie
plastiche di corpi, restauri di edifici e oggetti, e altri
mascheramenti, ci rendono ormai inusuale. Tutto deve essere nuovo,
giovane, perfettibile e immediato ... e questa esigenza, è
diventata anche la vera identità dell'informazione. Che la notizia
sia vera o falsa, in buona o cattiva fede, che importa? Essa deve
essere giovane, scusate, nuova, sempre nuova, e non importa se
coerente, come quelle ottantenni che ho visto a Cannes, in maglia
aderente leopardata, leggings e sguardo rapace … perché sotto
l'abito, sotto il ritocco e la finzione, spesso, da millenni è la
medesima notizia che pulsa...
Quel che mi accade con
Carlo, è una rarità. Di solito la pubblicità cambia spessissimo, e
siam talmente assuefatti al cambiamento che quando, per esempio in
televisione, lo sketch pubblicitario di un comico, viene ripetuto
troppo spesso, quindi ha eroso completamente il suo aspetto di
novità, l'unico che ci distrae, siamo irritati e non esitiamo a
lamentarcene.
La pubblicità, al tempo
del Titanic era come ce la mostra Atget. Un po' di colla, un cartello
e li presente per mesi e mesi. I giornali, che fossero quotidiani o
settimanali, non erano “utilizzati” come oggi. Spesso il
settimanale veniva acquistato solo in abbonamento da persone abbienti
o circoli, quindi gli “altri”, potevano nutrirsene solo quando il
popolo di “prima scelta” non ne era più interessato. I
quotidiani costavano, poco ma costavano, e di solito chi non voleva
scialare, attendava il giorno dopo o si recava a certi chioschetti
davanti ai quali si faceva gruppo e oltre a leggere si discuteva.
Accade ancora che davanti a qualche sede del vecchio partito
comunista che ha cambiato pelo ma non il vizio, ovvero non ha
cambiato sede, facce e nemmeno idee, ma solo appunto la sigla, accade
ancora che li davanti, il loro quotidiano, sia esposto pagina per
pagina in alcune teche.
...e poi i caffè. Anche
oggi si fanno due conti. Una tazzina costa più o meno quanto una
testata, quindi tanto vale bere e sfogliarne una certa quantità
quasi gratis!
Ora c'è anche internet e
il giornale si è infilato anche li dentro, ma così diventa un atto
individuale e per ora la vince il bar, termine italianissimo, da
barra, sulla quale l'avventore appoggiava il piede mentre sorseggiava
al bancone.
Ricordo a Salzburg il
piacere, quasi il rito, di recarsi al caffè della piazza del Nuovo
Mercato e prendere le stecche col quotidiano arrotolato. Provateci e
vivrete una sensazione antica.
Stecche al café Tomaselli di Salzburg |
Il cafe, la stecca, che se vi
riconoscono, e a me accade, ve la portano con un sorriso che vi fa
sentire a casa anche se non è vero, un certo stile quindi, e
l'atmosfera di un'epoca. Mi è capitato a Nancy, nei suoi stupendi
caffè liberty, di legno specchi, ferri a fettuccia e argento …
capita insomma ancora.
Nancy: il Flore oggi |
Il Flore ieri..... |
Il quotidiano come
collante sociale e che invita alla chiacchiera, e in esso la notizia
che si accompagna sempre più a interpretazioni emotive,
scandalistiche, smentibili sempre e non necessariamente il giorno
dopo. Un carnevale insomma nel quale siamo coinvolti al punto da
diventare guitti a nostra insaputa.
Ecco cosa ci rivela il
libretto di Conrad.
Egli, da una sferzata alla chiacchiera. Ci mette
sull'attenti. Stiamo parlando di circa 1520 persone morte! Non è uno
scherzo nemmeno se ne muore una, ma 1520, moltiplica indubbiamente
l'obbligo, la necessità di attenzione.
Veniamo al fatto. Sapete
dirmi quando è affondato il Titanic? Immagino di no e non sentitevi
sotto esame. Anch'io mi son posto la domanda e ammetto di aver
sbagliato anticipando di una ventina d'anni. Quel che sappiamo tutti
è che la nave più grande del mondo, si schiantò contro un iceberg
e poi affondò. Ce ne mantiene fresca la memoria un film che con
effetti colossali ha fatto cassa per benino, rivelandoci comunque un
talento come Di Caprio.
La data è 15 aprile 1912.
Cerco di essere preciso. Il 14, alle 23:40, l'iceberg viene toccato;
alle due e venti del giorno dopo, quindi due ore e quaranta di tempo,
affonda.
La realtà è quella che
ci mostra Atget. Carta ovunque, sui muri e nei caffè. Altro non
c'era per comunicare. Le notizie duravano un poco di più nel senso
che quel che si veniva a sapere alle otto del mattino non cambiava
fino a sera. Un lasso di tempo per meditare su parole immobili.
Attualmente la notizia si modifica continuamente. Se ne esaminiamo
una dotata di una vita minima di una settimana, vedremo quante
contraddizioni vengono prodotte e annullate e spesso riappaiono.
In quell'epoca, dall'
“English Review”, numero di maggio, quindi appena sedici giorni
dopo il disastro, una grande mente, e in questo caso un esperto di
mare, “striglia” un'epoca. Apparirà poi un secondo scritto,
tempo un mese, che rincara la dose e il quadro che ne esce è
doppiamente sconcertante.
Il Titanic … perché è affondato
...l'agire umano, che affonda. L' English Review” era un mensile,
razza che si potrebbe considerare estinta. Affrontava argomenti di
politica, attualità, aveva velleità artistiche e si rivolgeva alla
elite. Ora “fa fatica” a campare anche un settimanale. Troppo
tempo una settimana con un'informazione che fa ormai tutto in
diretta! E ci si mette pure che un giorno, una settimana un mese, con
una notizia che non cambia, ci costringe a pensare. L'immediatezza è
emotiva, ma il tempo calma i nervi e rimane qualche possibilità
almeno per il pensiero. Ci sarebbe un gradino in più, ma non ne
parliamo ora.
Non intendo rivelare nulla
di quel che il libretto narra. Avrete di che stupirvi.
Quel che vi invito a fare,
è un accurato ragionamento sul vostro rapporto con la notizia, oggi.
Penso non esista testo migliore di questo di Conrad per meditare un
po' su quest'argomento. Egli, in quanto artista, dice, e senza
preoccuparsi di dar fastidio a qualcuno, a qualche corrente politica,
al commercio, agli Stati Uniti. Lui ci mostra il fatto, analizza
alcune risposte date dai “tecnici”, e poi affonda il colpo.
Vi invito poi ad ascoltare
“Titanic” di de Gregori.
“La prima classe costa mille lire, la
seconda cento, la terza sudore spavento puzza di sudore dal
boccaporto e odore di mare morto...” vado a memoria, potrebbe non
essere esatto.
E da un'altra canzone di
quell'album eccellente:
“.....questa nave fa
duemila nodi, in mezzo ai ghiacci tropicali, ed ha un motore di un
milione di cavalli che invece degli zoccoli hanno le ali. Questa nave
fulmine, torpedine miccia scintillante bellezza fosforo e fantasia
molecole d'acciaio, pistone rabbia, guerra lampo e poesia.
In questa notte elettrica
e veloce, in questa croce di novecento, il futuro è una palla di
cannone accesa e noi la stiamo quasi raggiungendo.
E il capitano disse al
mozzo di bordo
io non vedo niente
c'è un po' di nebbia che
annuncia il giorno...
...andiamo aventi
tranquillamente...”
Quelle ultime parole mi
mettono i brividi. Non è una nave che avanza, è un'epoca, che come
quella di quegli uomini che hanno costruito il Titanic, e lo guidano,
ha perso il senso della realtà.
De Gregori rende benissimo
questo significato. È il 1912 e noi, col senno di poi, sappiamo che
nel giro di due anni, scoppierà il finimondo. E non credete a chi
dice che furono due guerre mondiali! Fu una unica, iniziata con la
follia che affondò il Titanic e che Conrad ben descrive, sfociò in
dittature e crisi economiche che non son guerre solo per i cretini, e
terminò, dicono, nel quarantacinque.
Da un libro e da un disco,
se si vuole, se si ha tempo, una lezione grande che ci deve far
riflettere sulla nostra epoca...
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