lunedì 13 febbraio 2012

Daverio e un quadro di Balthus......

Qualche giorno fa, per caso, sono inciampato in una ventina di secondi di un programma di Philippe Daverio. Vivo senza televisione ma si sa che ce ne sono di accese ovunque. Nei caffè come ormai anche per strada.

In quel frammento ho visto sfilare qualche opera accompagnata appena da un paio di parole. Ma bastano per tentare di spiegare? Non credo.

Mi sono comunque imbizzarrito quando ho visto per un attimo una tela di Balthus e Daverio si è lamentato che quell’opera, che “è l’utopia erotica di Balthus” non fosse presente in quella esposizione.

UN’UTOPIA EROTIKA!!!!  Tu Philippe, afere krossi problemen se fetere utopia erotika in Kuatro intitolaten “Alice dans le miroir”!

Esiste un libro edito da Marsilio nel quale un suo scritto e uno mio si fanno compagnia. Ci siamo conosciuti e ci stimiamo, ma …. Qualcosina non va se, nel quadro che potete ammirare più sotto Daverio ci vede l’utopia erotica di qualcuno. Osservare per credere.

E il peggio è ipotizzare che Balthus potesse pensare quella femmina terribile come u t o p i a  e r o t i c a!

Vidi l’originale alla mostra che Venezia dedicò al pittore pochi mesi dopo la sua inaspettata dipartita. Si sperava che avrebbe potuto presenziare di persona, ma il destino ha voluto diversamente.

Ebbene, quest’opera fu di proprietà del poeta Pierre Jean Jouve. La teneva in camera da letto.

Dalla sua raccolta “Proses” trascrivo quanto segue:

“Il Quadro. In quel periodo della mia vita, si trovava accanto al mio letto, in fondo a una camera rivestita di legno, il grande quadro di un giovane maestro che spaventava i miei visitatori. Immaginate una giovane donna dagli occhi bianchi, che indossa una corta camicia e si pettina le chiome con mano ferma, mentre alzando una gamba su una sedia volgare esibisce sfacciatamente il sesso. La strana compagna era naturalmente quella delle mie notti, intendo dire che assisteva al mio sonno e poteva così insinuar visi. No, il suo seno sinistro, troppo pesante e le cosce quasi maschili non facevano nascere gli oscuri desideri, figli del passato, che forse avrebbe destato se si fosse intonata meglio tutta alle scarpe azzurre portate senza calze.”

Spaventava gli ospiti ….. e infatti io, a Venezia, davanti a quegli occhi glauchi, a quella immagine a grandezza naturale mi sentii fortemente a disagio. Si trattava con ogni evidenza di un essere dotato di una immensa carica ferina. Impossibile avvicinarla con la gentilezza. Potevi solo sfidarla e nella lotta chi soccombe, lo senti, è annientato.

….. Utopia erotica di Balthus …… " Alice dans le miroir" del 1933? axurdo....

È importante rendersi conto dell’effetto che fa il quadro nel formato grande che Balthus gli diede.

Com’è stato possibile che Daverio abbia potuto dire una simile ……Biiiiiiiiiip…… di questo quadro?

Sommo ora un ricordo di qualche tempo fa. A casa di un’amica, ora di pranzo, la tivù mostra una passeggiata di Daverio in Biennale. La distrugge. Dice più o meno, vado a memoria, che si tratta di una via di mezzo fra una fiera di paese e una mostra. Passa poi a mostrarci una carrellata di opere che ritiene degne di attenzione. Liquida il loro valore col semplice denominatore comune che “hanno un silenzio….”. E i quadri sfilano. Li vediamo per tre? Quattro secondi? Nulla ha il tempo di sedimentarsi in noi, di diventare una massa concreta di pensiero. Sfioriamo solo le immagini e il loro senso.

Penso che il primo problema sia della televisione. Essa non è fatta per pensare. Per farlo ci vuole tempo fra uno stimolo e il successivo e lì invece, con una continuità aberrante, si susseguono calpestandosi le sollecitazioni.

E come spiegare che Daverio possa aver detto una simile ……Biiiiiiiip? Non ha più tempo per pensare. Vive di rendita di se stesso. È vero che dispone di un immenso capitale di cultura e anche di sensibilità, ma la sua mente ha smesso di vivere e si limita a “pescare” nella memoria. Troppi impegni. Quando la notorietà ti sfiora ne diventi schiavo. Ricordo quando leggeva personalmente le e mail. Ora ha chi gliele legge. Tutto è filtrato, selezionato, ma non da lui. Da orologio eccellente è diventato sveglia da Far West, per la quale è sufficiente non confondere l’alba col tramonto….

E c’è anche da dire che quel mondo è fatto così. O dentro, e ci sei dentro fino al collo, o fuori e stai fuori del tutto.

Mai arrestare il pensiero. Meglio fermare il tempo, scendere, accomiatarsi da chi spinge e in un giardino di pensiero tentare di fiorire ……




domenica 12 febbraio 2012

Gitta Sereny: "In quelle tenebre"






Ci sono dei libri che sono un tarlo nella mente. Se quel tarlo lavora troppo senza essere combattuto, la mente crolla. Uno di questi libri è “In quella tenebre” di Gitta Sereny. La copia che ho io è un Adelphi del novembre del 1973. I libri non invecchiano, se sono profondamente validi. E ovviamente questo accade solo in letteratura. Si produrranno fior di interessantissimi volumi per interpretare, per esempio, la Divina Commedia, perché la sua epoca si fa sempre più distante, e così pure il linguaggio, ma tutta la forza di quell’epoca la sentiamo.

Nel Libro della Sereny invece, qualcosa non funziona, ma già si tratta di un livello più basso, una via di mezzo fra saggio e reportage. Se lo definisco di livello più basso è solo perché per me, personalmente, la letteratura è al primo posto, come valore, come importanza.

In più dico che è una via di mezzo fra il reportage e il saggio poiché questa nativa di Wienna, ma di origine ungherese e attualmente cittadina britannica, quindi a tutti gli effetti una europea, ha fatto sì un reportage enorme ed importante, ma impostandolo in un modo che non ammiro anche se posso  tentare di comprendere.

Per intendersi basti pensare al “Ramo d’Oro” di James G. Frazer che si legge con entusiasmo e poi si torna alla realtà, ai limiti del libro, che da soli non riusciamo a cogliere, spolpando in mezz’ora le “note sul Ramo d’Oro” di Wittgenstein.

Premetto che in questo scritto mi rivolgo a chi ha letto il libro, diversamente saltatelo. Mi rivolgo anche a Gitta Sereny che ho scoperto essere nata nel ’21 e ancora vivente. Ho fede che accada poiché per esempio Helga Schneider ha letto quel che ho scritto su di lei, apprezzandolo, quindi deduco che la possibilità che passi sotto gli occhi della signora Sereny, sia concreta.

Ho letto il libro due volte. La prima, qualche anno fa, mi lasciò uno strano amaro in bocca. Quel che poche righe più sopra ho definito come un tarlo, nacque allora.

Io non sono politicamente schierato. Non sono simpatizzante di nulla e i campi di sterminio mi hanno angosciato per anni per il semplice fatto che sono nato a Karlsruhe. Mi sono sentito come macchiato dentro da una colpa che un po’ mi riguardava. Può sembrare sciocco ma per me è così. Ho letto un sacco di cose sull’argomento, ho sofferto molto, ma leggendo il libro della Sereny, non capivo perché, Franz Stangl, per me ne usciva come una vittima, con un destino pazzesco. Mi facevano pena non solo le vittime dei campi, ma anche lui, sua moglie e le sue tre figlie.

Qualcosa non andava ma non capivo, e ho messo via il libro. Passato qualche anno, l’ho riletto. Ho terminato oggi nel pomeriggio. Avevo da proseguire un racconto al quale sto lavorando ragionando con Tonino Guerra (che oltre il resto scampò a un campo tedesco), e un altro libro da proseguire, ma non riuscivo più a fare nulla.

Stavo comprendendo cosa accadeva in me. Dovevo lasciar decantare la sensazione. Dovevo darmi tempo, fermarmi, ascoltarmi.

E ora ho le parole.

Penso che essere nati come Stangl in quell’epoca, nel caso specifico nel 1908, sia stato un iniziare malissimo. Noi ora sappiamo che alle persone nate all’inizio del novecento si prospettava un futuro assurdo. Una prima grande guerra, un intermezzo che di pace sociale ne ebbe ben poca, e una seconda grande guerra. Nascere proprio alle soglie del ‘900 fu ancora peggio. Voleva dire fare il soldato già nel primo conflitto. Stangl questo lo schivò, ma lo visse. A sette anni vide disintegrarsi un mondo che stava iniziando a comprendere. E poi si aggiunga una famiglia mediocre, sofferenze che non si fecero mancare e poi arrivò la “carriera”.

Il primo dato che salta agli occhi è per me il confronto col destino di Rudy Masarek (pag 245 a seguire). Questo praghese faceva parte della gioventù dorata e non si immagini, per cortesia, quella odierna. AVEVA DENARO, UNA FAMIGLIA VALIDA E UN’ISTRUZIONE! È così che si crea la POSSIBILITA’ di avere un essere umano che fa le cose meravigliose che Masarek fece. Lui nella mia anima ha un monumento perfetto.

E insisto su un punto, con una buona famiglia, dei soldi e del tempo per studiare e pensare, è più facile diventare buoni, aver tempo per comprendere cos’è giusto e cos’è è sbagliato. Quando capirà certa gente che i princìpi sono lussi che pochi si possono permettere! Rubare quando sei ricco è osceno, ma necessario se sei alla fame. I princìpi si fanno fondamentali se li abbiamo vissuti o visti vivere intorno a noi. Come fa per esempio un italiano a non essere corrotto! Per riuscirci o si chiude in casa, o scappa all’estero (e dipende da dove capita) o ha una forte struttura morale che raramente, quasi mai, è innata. Si nasce con le ossa e i capelli, ma non con i principi morali. Quelli si imparano per imitazione. Dopo questa bella scoperta dell’acqua calda, torniamo a Stangl.

Se sei quasi solo e fragile, come è la maggioranza della gente, accettare un piccolo compromesso accade e dici che è la vita, e poi ne accetti un altro e poi un altro ancora e poi ancora e via così per anni e poi, quando ti giri, per guardare cos’hai fatto di te stesso, non inorridisci nemmeno, perché pensi solo all’ultimo gradino, riesci a vedere solo quello.

È chi ti vede da fuori che della tua vita ne fa un gradino unico, un unico grande salto.

È vero che il caso di Stangl è al limite. Il mostro di Treblinka, come lo chiamavano, aveva sulla coscienza (includendo anche Sobibor) più di un milione di morti?

E’ questo che mi domando, che ci si deve domandare, e io penso che le paure, quella di morire se rifiutava l’incarico, e paure per la sua famiglia che fu il suo unico gioiello positivo,  erano tali da rendere drammatico fino alla follia il problema della rottura fra lui e il sistema nel quale si era trovato invischiato. Egli si pose un limite comunque, avrebbe reagito se avesse dovuto agire concretamente in modo violento. Ovviamente non siamo certi che ci sarebbe riuscito ma non è impossibile.

Leggere “I volenterosi carnefici di Hitler”, meditare, sommare nel calderone della mente e poi…

Gitta Sereny aveva un’idea di giustizia, beata lei, e forse ce l’ha ancora. Un’ideale anzi.

Beata lei, lo ripeto. Anch’io ce l’ho, e ne sto pagando le conseguenze. Non mi sono piegato ad un sacco di soprusi, non ho fatto mai nemmeno il primo gradino. È un primo gradino accettare un incarico universitario solo se ci si abbassa a prendere una tessera? E dopo quel primo gradino, se lo avessi superato, cos’avrei trovato? Un altro gradino e poi un vicolo cieco che essendo noi senza guerra da qualche decennio, non avrebbe certo avuto l’apice tragico che toccò a Stangl, ma la nebbia della banalità e la disistima di me stesso salvabile solo perdendo l’autosincerità? Se avessi avuto qualche ideale in meno avrei avuto la vita più facile. Non lo rimpiango, ma l’ho pagata cara, disoccupazione, altre disgrazie, e quei porci sono ancora lì.

In un’altra occasione, lavoravo in un’azienda, mi dissero “attacca lì quel tubo e l’altro capo buttalo in canale e a fine turno apri la valvola”. Voleva dire gettare inquinanti. Lo sapevo, mi rifiutai. Fui licenziato. Ero giovanissimo e incazzatissimo. Consegnai i miei documenti alla curia e dissi che se non mi si riconosceva una dignità come uomo me la si desse come bestia, era meglio che niente. Mi convocò un celebre cardinale, mi offrì un maglione se avevo freddo. Era inverno, ma io avevo freddo dentro e uscii con i documenti in mano e senza un lavoro. Se avessi fatto quel primo gradino, avrei perso un pezzetto di me stesso, ma avrei mangiato….. minacciarono anche di ammazzarmi se avessi detto di quel tubo. Bella la vita, non trova signora Sereny? Ma non lo feci. Avevo dei princìpi.

Pretendere che Stangl ammetta la sua colpa. Ma quale colpa? Vaso di terra cotta in un carico di vasi di ferro, pensi a non andare in frantumi e lui sentiva di essere il contenitore, che teneva unita una famiglia. Se osservo la sua vita a Damasco e in Brasile, comprendo che, se avesse avuto in sorte un’altra epoca, sarebbe stato un’ottima persona qualunque.

Penso anche che se mi fossi trovato nei suoi panni ….. ma no, non posso farlo. Mi sarei già fatto ammazzare al tempo del programma eutanasia. La vita non va vissuta in base ad una teoria, ma nella vita, e chiunque, qualunque cosa che vegeta o vive, la rispetto e l’aiuto a vivere. La religione stessa vive di questo errore. Non mi puoi insegnare il senso della divinità, devo sentirlo, scoprirlo con l’esperienza. La chiesa dovrebbe guidare in questo e invece si contorce nei dogmi.

Ma, e se mi avessero dato durante un conflitto di quella portata epocale, improvvisamente, un incarico come quello di Treblinka? Non come capo ovviamente, un incarico qualsiasi? Sarei impazzito. Non riesco a pensare altro.

Mi fa più impressione di Stangl, che secondo me oltre a non avere avuto gli strumenti interiori per reagire, e si trovava veramente fra l’incudine e il martello, mi fa più impressione pensare a chi abitava intorno ai campi. Come continuare la propria vita davanti a quella tragedia! In questo caso si trattava di un unico grande gradino che entrava nella loro vita, grande come un muro. Questo lo trovo più inconcepibile, più sconvolgente dell’agire di una persona che ha una fottuta paura di veder soccombere la sua famiglia, come Stangl.

E se penso a quei prigionieri che riuscirono a fuggire dal campo e stettero nascosti per un anno nel bosco…. Avevano dei soldi, tutti tranne due e glielo rinfacciarono. Ma dopo aver visto la morte e la follia umana a Treblinka, com’era possibile vedere un problema nel fatto che due di loro erano senza soldi! Nel bosco erano in sei e Berek Rojzman, quello che in un certo senso era il loro capo, racconta: ”spesso discutevamo per i soldi. Compravamo cibo e indumenti per mezzo di Staszek. Due del gruppo non avevano soldi. A me non importava, ma gli altri dicevano che non avevano nessuna intenzione di mantenerli se non potevano dare il loro contributo e gli dissero di andarsene”. (pag 327). A pag 328 sempre Rojzman racconta che un giorno erano usciti dal rifugio nel bosco lasciando uno di loro di guardia. Quando tornarono lo trovarono che stava cercando il denaro. “Non li aveva trovati. Lo caricai di legnate.”

Dunque. Mi salvo da Treblinka e sono nel bosco con altri cinque. L’esperienza mostruosa che ho vissuto non mi insegna ancora e ne voglio cacciare due perché non hanno soldi e uno si fa bastonare perché cerca di rubare!!!! Chissà perché mi vien da pensare che dopo una lezione così tragica come un campo di sterminio, sia finalmente ora di dire “questi sono i soldi, facciamo una cassa unica e uniti cerchiamo di salvarci! Questa è la follia, perché in quella situazione la possibilità del bene c’era! Come c’era per chi abitava intorno ai campi e trattava e smerciava con tedeschi e ucraini.

Ho reso l’idea? Ma com’è possibile! E questo Gitta Sereny non me lo spiega, o meglio, non se lo domanda. Se chi può fare il bene senza rimetterci non lo fa, ci vedo una tragedia più grande che se uno che non può far del bene cerca almeno di non far del male. Non mi interessa che siano piccole o grandi cose…

Lei, Gitta Sereny, è sicura di sapere cos’è la verità. La vuole da Stangl e da sua moglie. Questo è l’errore, mi permetto di dirlo, del libro.

Io non so cosa sia la verità. Penso che ogni epoca abbia la sua.

Ci si dimentica troppo facilmente che gli israeliani avevano progettato il primo monumento all’Olocausto nel ’42… quando molti ebrei erano ancora salvabili. E che per molti sionisti e israeliani chi era morto nei campi se l’era cercata perché si era rifiutato di venire nella terra promessa. (dimenticando che ti prendevano solo se sapevi fare il pioniere, il contadino e che se eri un colletto bianco ti dicevano no anche se sapevano, e lo sapevano, che così ci rimettevi la pelle ….). Qui c’è una grande fetta di responsabilità per l’Olocausto. E si può citare la Gran Bretagna, non certo solo per l’affondamento della “Struma”, ma per il contingentamento delle persone che potevano entrare in Israele che allora era un suo protettorato. Eccetera eccetera eccetera.

Cara Sereny, ma è verità quella che si osserva troppo da vicino? Si rischia di domandare ad ogni cellula la responsabilità di qualcosa di più vasto. Una cellula di Stangl è colpevole?

La tragedia dei campi di sterminio è colossale, ma penso che sia da imputare ad alcuni esaltati, folli. Quando Stangl diceva che chi comandava era Wirth, non sbagliava e si sa che era uno di quelli terribili. Lui agiva, massacrava. La colpa di Stangl è stata di non aver avuto la forza di andarsene.

Ma è la grande colpa che cercavate?

E per quel che riguarda l’inizio della sua tragica “carriera”, ovvero il coinvolgimento nel progetto eutanasia… Premetto che l’eutanasia la ritengo giusta solo se una persona è irrimediabilmente malata e consapevolmente la richiede e, proseguo dicendo che questo argomento ora non è visto come allora. Dal darwinismo e da questa idea della selezione della specie è germinata la sensazione che fosse possibile aiutare la natura a “selezionare”. Allora questo pensare era tollerato. Ora si tollera l’aborto e tanti soggetti che sarebbero finiti nel programma eutanasia vengono eliminati, consapevolmente, prima che escano dalla pancia. Cambia la struttura del ragionamento, la scusa, ma non l’esito. E non si può definire scientifica quella considerazione che considera il feto un essere umano solo dopo il terzo mese. È evidente che si tratta di una decisione arbitraria, ma ormai quasi comunemente accettata. E, mi raccomando, non sto parlando da cattolico. Cerco semplicemente di cogliere il pensiero che sta dietro, e di smascherarlo, se necessario.

Penso che quello che può sembrare a noi il primo gradino dell’abiezione di Stangl, ovvero il suo ruolo al progetto eutanasia, di fatto non lo fu perché nella sua epoca appunto sull’argomento, esisteva una pressione sociale e scientifica diversa da quella attuale. Non è improbabile che in futuro la nostra attuale selezione dei feti venga esecrata. Il fatto che la pressione della chiesa potesse fermare il tutto riguarda una parte anche consistente della popolazione, ma se si sa che ….. molti sono i credenti che non “credono” alla creazione come la racconta la Bibbia, ma ad altre teorie non meno inverosimili, ma più abbigliate da scienza… come non pensare, almeno pensare, che il progetto eutanasia fosse accettabile nella testa di molti? E se a me risultasse che negli USA e non solo, più o meno nel medesimo periodo qualcuno ci avesse pensato? Non certo in tutti gli States. Si sa che ogni stato ha le sue leggi e …. Infatti tuttora in alcuni di essi si insegna il creazionismo…….

Il punto cruciale per Stangl, la sua tragedia, è dover vedere morire per una differenza sancita, come la razza, ma non sentita. Stangl dimostrò chiaramente di non avere nulla contro gli ebrei. Per lui erano esseri umani come gli altri.

Ma è inaccettabile, insopportabile vederli morire, sapere che accanto a te, nella struttura che tu organizzi, li uccidono. E infatti Stangl, come “I volenterosi carnefici di Hitler”, tutte le sere beveva per non pensare, e spesso era ebbro anche di giorno. Non era vita e lo sapeva. Stava male. E poi, se avesse approvato quel che stava facendo, con qualcuno, anche dopo, ne avrebbe parlato, invece voleva scacciare quegli anni bui. Come disse Stangl, la sua colpa fu di non morire. La vita gli diede altri vent’anni e fece il padre, il marito, l’uomo normale.

Vittime gli ebrei nei campi, vittima Stangl. Drammi diversi, ma ugualmente terribili.

La Sereny parla del Papa, Pio XII, e ci offre quattro motivi in grazia dei quali non agì (anche se nel libro se ne può trovare un quinto e un sesto, ovvero temeva per le persone rifugiate nei conventi a Roma come prima ritorsione e anche di essere rapito). Dirò quello che penso. Un destino da martire fu un’occasione persa per quel papa e se non te la senti tanto vale che cambi mestiere. Ve lo immaginate un pompiere che soffre di vertigini o che ha paura del fuoco? Nella mia fantasia lo vedo che va in Germania, che sfida con le ali bianche del suo mantello i confini e che non si limita ad alzare le braccia come dopo il bombardamento in san Lorenzo, troppo facile….. che costringe, forza con la sua fragile figura e cerca di andare sul luogo del delitto. Non mi interessano i motivi in base ai quali forse, non ha agito. Mi interessa che sapeva e che lui, non con le parole, ma col corpo, coi passi, andando là, avrebbe dovuto agire. Lui si, e non Stangl avrebbe potuto fermare tutto. Morto uno Stangl, ne avrebbero trovato un altro da spaventare e da tirare avanti col paraocchi della paura.

Insomma, la sensazione che ho tratto da quel libro è che ci si sia accaniti con una vittima. Era giusto interrogarlo per sapere, per tentare di comprendere e probabilmente anche incarcerarlo, ma penso che sia un po’ come quando Musil ci descrive nel suo grande romanzo, il caso di Moosbrugger. Leggi quel che fece e ne hai orrore, leggi quel che gli accadde e come, come visse, cosa fu e non fu, e ne hai pena.

Moosbrugger era un assassino, ma alla fine della lettura sentivi che assassina fu la sua epoca che poco o nulla gli diede……

Penso e spero che qualcuno, nella la nostra epoca, il 2012, desideri capire. Quell’altra epoca, chi con le mani sporche di sangue, chi con gli occhi, spesso cercò i colpevoli e in certi libri, non riuscì ad andare oltre.


martedì 7 febbraio 2012

Banalopoli: Lucian Freud e Mathew Mc adam Freud

Lucian Freud  se n’è andato lo scorso anno all’età di 88 anni. Aveva come antenato recente il grande psicanalista viennese. Abitava in Gran Bretagna. Il successo arrise alle teorie psicoanalitiche dopo la fine della prima guerra mondiale. Fu talmente grandioso che ancora se ne sentono gli strascichi. Teorie, quelle di Sigmund Freud, che furono molto amate particolarmente dagli artisti. Una scienza umana come la psicanalisi che voleva elevarsi a scienza pura ma …… divenne moda.

Questo non vuol dire che penso che fosse tutto da buttare. Tutt’altro. È il destino della psicanalisi che si fece ridicolo nella banalizzazione che spesso subì, a contatto con pseudo persone serie.

Chiamarsi Freud di cognome aprì a Lucian  i salotti giusti e la mondanità.

… E capita spesso che un ambiente non si sforzi troppo nel cercare l’artista che eleggerà a fenomeno. Se uno di loro, della stretta cerchia del jet set, decide di essere artista, lo sarà, ma nel senso dell’immagine, non dell’opera. Ne abbiamo un esempio aberrante, decisamente insopportabile in Yoko Ono che ha tutte le porte aperte e fa della robaccia insostenibile. Fate una prova, prendete il cd dove c’è la canzone “Woman”. In esso si alternano brani di Lennon e della moglie. Nel giro di qualche ascolto vi verrà spontaneo di saltare i brani di lei e di immergervi in quelli del grande di Liverpool … e non è un caso. Lei può strapagare il suo presenzialismo e le conoscenze le ha. Si sa che un riccone non gira altro che con i suoi simili e con loro ha molta pazienza.

Vi invito ad osservare le opere di Lucian Freud, senza leggere nessuna recensione. La recensione troppo spesso altro non è che un condizionamento calcolato. Arrivi in galleria, sei disorientato perché ti sembra tutto futile, senza spina dorsale, ma una scarica di paroloni autorevoli, autorevolezza troppo spesso decisa in modo assai arbitrario, ci dice cosa è il caso di pensare. O ci si allinea oppure….

In questo caso come parlar male di uno che frequenta il tuo ambiente! E poi l’elite britannica ha ultimamente manifestato una passione smodata per artisti che si comportano da schifo. Io vidi lo studio di Francesco Pancetta (per il mondo Francis Bacon) e rimasi impressionato più da questo che da lui o dalle opere. I “cardinali” valgono qualcosa poiché esprimono un’aggressività incontrollata in figure che dovrebbero rappresentare la gestione di questa pulsione. Questo ci sta, ma finisce lì, e velocemente.

Ricchi sfondati, irriverenti verso tutto non per un motivo di fondo, per dei principi che si sentono traditi. Maugham fu un apripista verso questo “stile” ……

Di recente ho letto un articolo che narrava delle fortune critiche che stanno “avvolgendo” il nipote di Lucian Freud, David Mc Adam Freud. Rivide il padre poco prima che questi se ne andasse. Ci comunicano che Lucian ebbe 14 figli con varie donne, che era infedele ma non lo nascondeva eccetera.

Ma qualcuno si degnerà di dire che Mathew Freud, nipotino di Lucian è sposato con la figlia di Murdoch?

Mathew ed Elizabeth, la moglie, hanno potuto e possono manovrare all’interno dell’impero del padre e decidere di lanciare chi vogliono. Possono decidere il valore di un quadro quando non è ancora venduto e nemmeno terminato, e questo accadde ad una colossale donna grassa stesa nuda su un divano che apparve qualche tempo fa, ad artista ancora vivo, sui mass media di tutto il mondo ad un prezzo che se non ricordo male superava comodamente gli ottanta milioni di dollari.

Ora si confeziona il lancio altrettanto finto di David Mc Adam Freud?

Come fare per comprendere che si tratta di un’operazione a freddo, basata su un calcolo che non mi sembra cretino definire famigliare?

Si provi, com’è capitato a me, di vedere le opere che Matthew avrebbe fatto del padre sul letto di morte. Se non sapete di chi sono, se non vi costruiscono intorno all’opera delle “spinte” interpretative o situazionali, vi accorgerete di non “sentire” niente, non si smuove nulla in voi, nemmeno la superficie.

Non sto agendo da imperatore della verità. Ho provato anche  con alcune persone. Estrazione variabile, ma giudizio unanime che rasenta l’indifferenza.

Ho poi mostrato i quadri di Lucian, senza che sapessero chi era l’autore e il brodino si è rivelato di nuovo insipido. Qualche considerazione del tipo, “ma conosceva solo gente allucinata?” possono dare l’idea di quel che effettivamente si coglie quando, senza condizionamenti si osservano queste cose.

In occasione della dipartita di Lucian Freud, su un giornale italiano apparve un articolo elogiativo e ben scritto di Alain Elkann. Ho apprezzato lo stile sobrio ma non potevo non ricordare che l’elogiatore funebre e il “funebrato” provenivano dal medesimo ristretto “giro”.

Questo l’articolo non lo diceva. O lo sai o non lo sai e se non lo sai ti sfugge qualcosa, ovvero che si trattava di un elogio fatto ad una persona che ti sei trovata intorno non per stima artistica ma per salottismo e vernisaggismo.

Non è difficile insinuarsi in una qualche piega della stoffa tessuta troppo “alla buona” di questo “mondo dell’arte” nel quale conta più la pubblica relazione dell’opera.

Ricordo un critico purtroppo molto noto ai media che privatamente disse con un artista: “Non me ne frega niente delle opere. Me ne fai trovare un migliaio pronte, si fa l’operazione commerciale e via. Devi solo spiegarmi perché dovrei farla proprio con te …” . Non faccio nomi per evitare la noia di una querela. Si tenga conto comunque di un significato non troppo occulto che possiamo cogliere in quella frase. Scegliere chi? E la risposta è semplice. Chi è disposto ad essere completamente manipolabile dall’operazione mediatico commerciale, oppure chi ha qualche aderenza in quel livello che conta più del denaro e che si chiama potere. Non si dimentichi che i soldi aiutano a fare soldi ed esistono persone ricchissime ma con nessuna influenza. Il potere è una bestia strana, oserei dire una malattia, che si nutre d’altro e spesso la scelta va nella direzione di chi riesce a tessere le trame giuste. Accade anche comunque che se il denaro non necessariamente dona l’accesso al potere, sicuramente al potente i soldi non fanno proprio schifo e non gli importa certo come li racimola. Quindi non ci si meravigli se qualche potentissimo agisce, e con ben poco sforzo, per far sì che la sua covata, ovvero il parentado, non abbia a che fare nemmeno lontanamente col problema economico. Far soldi è un’inezia per il potente e poiché è facile se ne disinteressa abbastanza. Il potere vero chiede a chi lo vuol praticare, di sfidare sempre un limite, di forzarlo almeno di un pochino …. Altrimenti che senso ha averlo, e potrebbe venire pure il dubbio che lo si abbia solo a parole.
Amen