lunedì 28 novembre 2011

La Yourcenar e certi titolacci di giornale...

Questo pomeriggio, una persona, con l'intento di divertirsi scrutando il mio volto mentre leggeva un certo articolo di giornale che mi aveva portato, si è divertita molto.



Sul “Corriere della Sera” di venerdì 25 novembre, a pagina 55 leggo il seguente titolo: “Il vero Adriano pubblico e privato”, sottotitolo: “Una biografia smentisce il romanzo della Yourcenar”.



L'articolo è di Luciano Canfora e col titolo, grazie al cielo, non ha niente a che spartire. L'unico appunto che posso fare a questo serio studioso è sul linguaggio che usa. Un po' contorto. Per lui sicuramente il modo ordinario di parlare, ma preferisco un linguaggio più sciolto, con parole il più quotidiane possibile. Porto un esempio che traggo dalla pagina 218 della raccolta di racconti di Guareschi intitolata “Corrierino familiare”. Un libro divertente e profondo. La mia è la seconda edizione, con disegni di messer Giovannino, della Rizzoli e datata 1954).



Cito dal testo: “Margherita, ieri ti ho sentito dire -illazione-, adesso hai detto -drastico-. Non ti bastano più le normali parole per esprimere i tuoi pensieri? Stai incamminandoti anche tu nell'ambiguo sentiero dell'intellettualismo?”



Per chi ormai mi conosce la questione si fa semplice e non nuova. Che senso ha un linguaggio specialistico, specifico, per chi oltre che studiare intende divulgare? E che intenda divulgare lo dimostra il fatto che l'articolo sia stato pubblicato! Per me non si tratta di una questione di rispetto nei confronti di menti più povere che intendo soccorrere. Si tratta di ben alto. Non mi va che si usi quel che di fatto è inutile. Un linguaggio specifico crea degli esclusi e mi è accaduto troppo spesso di scoprire che dietro la fatica di una decodifica si celasse il nulla o quasi. Penso che una mente ottima non intenda perdere tempo in fronzoli. Non sto parlando di arte, ma di intellettuali e il rimprovero che Guareschi rivolge alla moglie ci fa comprendere che qualcuno che era un discreto cervello già allora, nel 1954, aveva compreso che l'intellettual-ismo, come tutti gli -ismi, altro non è che un tunnel senza uscita nel quale ciechi accompagnano altri ciechi che pensano di seguire uno che ci vede benissimo ma che è sicuramente da un'altra parte proprio perché ci vede. L'idea, la qualità, son prodotti altamente individuali che vanno condivisi e l'-ismo, qualsiasi -ismo, anche il più celebre altro non è che un branco di menti povere che seguono uno o forse due grandi menti, imitandoli e appropriandosi di differenze minime che non avrebbero senso se non attaccate al carro della grande idea, della grande mente.



È poi di una banalità sconcertante una asserzione assegnata a Plechanov. La riporto: “si potrebbe dire che la narrazione storica incentrata su di una personalità significativa porta in primo piano , com'è giusto, la questione sempre viva del -ruolo della personalità nella storia-”.

A me sembra che si tratti di una definizione ovvia. Acquacaldismo1 puro che sommata a linguaggi tecnici non necessari fanno dell'intellettual-ismo un pagliaccio inconsapevole che pensa di essere elegantissimo.



É invece secondo me assai discutibile la seguente frase: “...intorno alla peculiarità del genere biografico di cui ravvisa la funzione per così dire complementare rispetto alla storiografia -alta-.....”

Si deduce che esiste una storiografia alta e le altre forme di studio della storia le son gregarie.....

mah..... secondo me han pari dignità e a volte è più importante partire da una biografia o da un romanzo, che da una serie di date ed eventi, e non dico che si debba agire così per accalappiare lettori. Non ha senso leggere un testo di storia delle superiori, per esempio la seconda guerra mondiale e basta. Io, se dovessi consigliare qualcuno lo farei partire da “Il rogo di Berlino” o/e “Lasciami andare madre” di Helga Schneider, oppure “Se questo è un uomo” e “”La tregua” di Levi. Per la prima guerra, ad un italiano consiglierei prima di tutto “Un anno sull'Altipiano” di Lussu. So che così comprenderebbero che è accaduto qualcosa di colossale e anche orrendo. Così si ricorda. Cosi si ha lo sprone per comprendere e proseguire nello studio. In un libro di storia “alta”, milioni di morti si riducono ad un bilancio che non ci fa tremare e questo è scandaloso, imperdonabile. Quella che “Canfora” definisce storia alta è poi troppo spesso una visione di parte. Ho testi sulla strage di Katyn, testi d'epoca, che furono storia alta per i russi con una verità che si rivelò manipolata..... ed è solo uno degli esempi possibili. Ricordo un cero Cardini, che di solito è “in gamba” aver asserito con convinzione che le crociate non son mai esistite.... Un uomo, per quanto si sforzi di essere oggettivo, sarà sempre guidato da una sua “visione del mondo” (si faccia caso che non lo scrivo in tetesko come fanno sempre gli intellettuali più per darsi un tono che per altro) una morale, e l'articolo medesimo di Canfora ce lo dimostra con la citazione da Gibbon che ora riporto: “ Adriano si mostrò volta a volta principe eccellente, sofista ridicolo e geloso tiranno”. A me sembra che a parlare sia un emissario di “Novella duemila” e non uno storico.... e poi, a quante personalità possiamo aggiustare quella definizione? Tante, troppe...... e poi ancora. Immaginate please un indocente che deve far giornata e agogna ad una briciola di fama. Se non trova nulla se lo inventa ed ecco le crociate di Cardini. Quanti personaggi più meno celebri son stati per qualche mese, di solito d'estate, tacciati di omosessualità, per esempio? Quindi la vera storia, quella che loro e non io pretendono con la s maiuscola, di inquinamenti ne passa talmente tanti....che è meglio filtrarla bene prima anche solo di annusarla!



Ma gli intellettuali, e la loro forma più feroce, gli “indocenti”, non son molto elastici. Vi racconto un fatterello che la dice lunga in proposito. Avevano invitato a Bologna in università un celebre specialista della rivoluzione francese a nome Vovelle. Teneva una conferenza e poiché temevano che nessuno si sarebbe presentato vennero a chiedere la presenza ad alcuni di noi studenti, in fondo per coprire le sedie. Avevo comperato da poco un suo libro e non lo avevo ancora letto. Per me si trattava quindi non solo di scaldare una sedia. Questo signore parlò, tradotto al volo da un collega e la cosa andò abbastanza bene. Verso la fine, gli indocenti, immaginate abiti scuri, cravatte regimental, (la medesima divisa dei politici....e che sa di corvo) si aggirarono fra le sedie chiedendoci di fare qualche domanda, che non si poteva mandar via un simile luminare che era arrivato da Parigi, senza dargli almeno questa soddisfazione. Io una domanda ce l'avevo, e la amavo molto. Chiesi se non riteneva importante la lettura de “Gli dei hanno sete” di Anatole France per la comprensione dell'atmosfera che si respirò al tempo della rivoluzione. Mi liquidò dicendo che quella roba l'aveva letta da ragazzino e poi era cresciuto. Me lo sono mangiato in salsa rosa. L'ho divorato e ho sputato gli ossicini con gusto. Lui, esattamente come un religioso un poco ottuso dava credito solo a quanto diceva la sua parrocchia-università. Venne per scusarsi dicendomi che forse non si era spiegato. Gli feci presente che lui passava, France no, e con quel libro ho respirato l'atmosfera tesa, la tensione della mente di rivoluzionari che uccisero sapendo che anche loro sarebbero stati sacrificati. Lo invitai a non essere un bigotto universitario e me ne andai indignato.



Ecco il punto. La storia alta è tutta la storia. Essa è una sensazione, non un testo. E questa sensazione nasce dall'intersezione di testi onesti che agiscono da angolature sempre diverse e concentrate nel nostro pensiero.



E ora veniamo al titolo dell'articolo. Io credo che Canfora quando lo ha letto si sia offeso. In nessun punto questo studioso dichiara che una biografia smentisce il romanzo della Yourcenar. Egli ci ricorda con belle parole che Yves Roman, nella prefazione al suo nuovo libro sull'Imperatore Adriano, dichiara che il libro della Yourcenar sul medesimo argomento, gli era “onnipresente alla mente durante la redazione”. Questa considerazione è un bel complimento all'opera della grande belga, non certo una smentita di qualcosa.



E come potrebbe essere altrimenti! Canfora e non meno Yves Roman sanno sicuramente che la Yourcenar scrisse “Le memorie di Adriano” perché aveva qualcosa da dire....



Si può anche ricordare anche il motivo che la portò alla scelta di quell'imperatore e non di un altro: si era in un'epoca nella quale gli dei erano alla fine e Cristo non era ancora entrato in gioco. Si poteva supporre quindi un uomo che agisse secondo una morale dettata dall'interno.

E' evidente che per creare questo “gioco” artistico unico, di un essere umano che per una casualità di date può essere padrone delle sue scelte, la scrittrice si sia potuta servire di dati di fatto storicamente certi. Evidente si, ma non era comunque necessario. Se avesse deciso di far passare l'imperatore da Bagnacavallo, sarebbe stata libera di farlo.



La Yourcenar, con “Alexis o il trattato della lotta vana” scritto a ventiquattro anni, inaugurò un'opera lunga una vita incentrata sulla liberazione dai vincoli della morale per accedere pienamente a sé. Essere ciò che si è, mentalmente, sessualmente. Discorsi enormi e delicati. Siamo in un epoca di Cristo, certamente un po' sgonfia, ma è facile constatare quanto ognuno sia altamente moralista con la vita degli altri e liberatorio con la propria. Quel che la Yorcenar ha tentato di insegnarci è grandioso e mi fa sorridere immaginare la reazione privata di certi parrucconi dell'alta cultura di quei tempi che videro pubblicate la “Recherche” e l'opera di questa scrittrice. Non si tratta di rompere i vetri con Proust e Yourcenar. Scrivono in modo eccezionalmente bello. Se decidiamo di sottolineare le parti memorabili, delle “Memorie di Adriano”, consumeremmo sicuramente più di una matita. È con questa consapevolezza che Yves Roman, non riesce a staccarsi da quel romanzo che è da considerare una delle perle del novecento mondiale. Purtroppo sta nascendo l'equazione Yourcenar-memorie di Adriano, che come le Saint Exupery-piccolo principe, Kafka-metamorfosi, e tante altre, annullano la visibilità di una serie di opere di questi autori che meritano non meno, la nostra attenzione.



Ma...e quel titolo? Com'è potuto accadere che un articolo in fondo onesto e interessante sia stato “coronato” da una simile stupidata? “Il vero Adriano pubblico e privato” per uno storico assennato è un'utopia consapevolmente irraggiungibile. Il suo sogno è di aggiungere una postilla, un chiarimento ad un tema che sa essere infinito e sfuggente lungo la linea del tempo. E il sottotitolo che parla di smentite! Ma come può un'opera d'arte come “le memorie di Adriano” essere smentita da uno storico! Si tratta di “oggetti talmente diversi! È come se mi chiedessero se preferisco la carbonara o il tiramisù. Io non sceglierei ma inizierei con una e terminerei gaudentemente con l'altro. E penso che in pochi agirebbero diversamente se la salute ce lo permette. Niente smentisce la grande arte. Essa apre la mente. Se la sua lezione è colta la vita si farà più accettabile, un ostacolo sarà superato, eliminato, per noi, per tutti.



E io immagino appunto i parruconi in camicia bianca, gilet, panciotto, catena d'oro con ninnoli che ondeggiano e giacca tipo guscio di Scarafaggio (vedere i disegni del Latrec a Tolosa per convincersi....), che leggono con piacere quasi estatico Sodoma e Gomorra I e poi, come per disincanto si rendono conto che han letto roba di “omosessuali”, ma non riescono ad inorridire. Non capiscono come mai ma non accade. Vorrebbero ma.... ed ecco che con la bellezza suprema della penna Proustiana un argomento tabù si fa strada anche nella mente di chi “li ammazzerebbe tutti”. E La Yourcenar, che nella sua opera sdogana una libertà completa fino al dramma che ci lascia sconvolti, ultima barriera difficilmente sormontabile senza inorridire, che è in “Anna, Soror...” e in quel dubbio immane e tragico ci lascia a noi stessi e a pensieri enormi.....questa è vita. Sì. Il pensiero che si fa strada, che ci fa umani e divini. Quel Melville che dal Moby Dick e da racconti perfetti come “Il venditore di parafulmini” e “Bartleby lo scrivano” ci mostra la sovranità della natura sull'uomo, perché l'uomo ne è parte e deve accettarlo, volente o nolente.....figlio di una madre alla quale non si sfugge. O Kafka e l'infinita sensazione del dio sfuggente che si annulla nell'amore di Dora, e Fitzgerald che ci ricorda il valore struggente e spesso mortale della nostalgia.... e Brancati che ci mostra l'uomo, il maschio, talmente vittima adorante della donna da desiderarla, e non desiderare altro, ma anche da annichilirsi così totalmente in quel desiderio, in quella meta, che quando l'ha raggiunta, poiché comunque è raggiungibile nella realtà non più sua, è ormai una larva, un impotente, consumato, distrutto, vinto e soddisfatto dal desiderio. La luce potente di eros che solo nel mostrarsi e non nel realizzarsi, incenerisce e realizza.



È grandioso nutrirsi di questi doni, e molti non li ho citati.



E quel titolo, non certo di Luciano Canfora, rende tutta questa possibilità, banale. Ci riesce in un attimo, con due parole buttate li in modo irresponsabile.



Propongo che l'autore di quel titolo venga punito con la lettura integrale delle opere di Faletti e Camilleri (Montalbano. Il resto lo rispetto), e se non ha compreso profondamente, nel suo intimo cos'è la lordura, che si passi a “Guerra e pace”, a “Il Castello” e “Delitto e castigo”, così brucerà sul rogo della sua banalità rivelata nell'atto della consapevolezza della non comprensione di quei testi.



Per un attimo, scrivendo di Tolstoj, mi è venuta in mente quell'eroina tragica che fu Anna Karenina. La sua vita finita in un vicolo cieco, rifiutata dalla mondanità, dalla norma e trionfante di sensualità di vita. Si gettò sotto un treno e si risolse nel nulla. In “Alexis” un essere umano, e per favore sforziamoci di vedere in Anna Karenina non solo la donna ma appunto l'umano puro, nessuno va sotto il treno, nessuno si arrende alla finzione. Vince la vita. È un filo sottile che lega quelle opere, se solo si volesse pensare appunto all'essere umano e non a problemi di uomini o di donne.



amen



1La pseudoscienza che ci fa scoprire che l'acqua calda è calda, che gli asini non volano eccetera eccetera eccetera.

giovedì 17 novembre 2011

Contro la politica attuale....e non solo

Questa mattina, Giovedì 17 novembre 2011 mi è accaduta una cosuccia che mi ha veramente stupito. Non sono a Roma in questo momento e comunque, mentre uscivo da un caffè affollato, una persona che anni fa si impegnò in dialoghi seri e che fa, udite udite, il politico, mi ha salutato calorosamente raccontandomi che proprio ieri mi aveva pensato. Ho risposto che ne ero sorpreso poiché sono anni che non ci si vede nemmeno per caso e lui mi ha raccontato che, mentre sentiva appunto ieri l'elenco dei ministri nominato da Monti per il suo nuovo governo, ha chiuso gli occhi e sperato di sentire, per la cultura, il mio nome. L'ho guardato sbalordito. Nel piccolo dialogo che è seguito a questa sua considerazione ho potuto appurare che non era uscito di senno e nemmeno che mi stesse prendendo in giro. Gli ho detto “ma io sono un signor nessuno!” e lui ha reagito negando con calore. Disorientato. Ecco come sono uscito da quel bar e infatti la macchina, nel parcheggio non l'ho trovata subito. Non sto scherzando.



Le mie riflessioni mentre guidavo, e una volta a casa, mentre scaldavo il minestrone, erano slegate, incapaci di farsi coerenti, e poi pian piano hanno iniziato a girare intorno ad un centro che si faceva sempre più chiaro e definito.



Non avevo dubbi sul mio narcisismo, che dorme sonni profondi da tempo immemorabile. La scoperta del dolore, della morte, della fatica del vivere, del modo stupido di condurre l'esistenza da parte di una maggioranza della quale a suo tempo facevo parte, che forse sa ma non ci vuol pensare oppure è talmente presa dai sensi da non comprendere che c'è qualcosa da sapere, da accettare più che comprendere, se non si vuole alla fine rimanere sconvolti, angosciati, dalla vecchiaia e quel che ne segue.....sì, svegliarsi quando è troppo tardi e voler dare un senso alla vita quando è già volata via. E nell'età del pensiero che è quella dell'anziano, ritrovarsi a sfogliare, nell'archivio dei ricordi, solo reazioni emotive. Rammento di Borges, l'inizio di “elogio dell'ombra”: -La vecchiaia, questo è il nome che gli altri gli danno- potrebbe essere un periodo stupendo, è morto l'animale, o quasi è morto / restano l'uomo e l'anima.....-

Vedere i doni della vita, saperli comprendere. È un caos invece; un caos completo quello che sento intorno a me. Un caos aggressivo, follemente individualista. Non ho quindi il tempo per essere fiero e vantarmi di qualcosa che ho fatto o non fatto e della considerazione di quella persona non so che farmene. Anzi, scoprire che qualcuno che è di quella “strana” parrocchia, abbia pensato a me per quell'incarico ha il potere di sconcertarmi.



Non sarei in grado di accettare un posto del genere prima di tutto perché, come ho avuto occasione di dire spesso, rifuggo da ogni ruolo che contenga anche solo una briciola infinitesima di potere. E non è un lavarsene le mani. Un ministero, come in fondo tutti i ruoli assegnati dalla politica, è prima di tutto una posizione privata di potere. Innesca particolarmente in Italia quella malattia che la sociologia ha definito “familismo amorale”. È stato triste veder coniare un nuovo vocabolo per un male antico. Si dice nepotismo e io per scherzare, amaramente, amo dire “nipotismo”. Cosa me ne faccio di un ruolo che comunque in generale non ha molta capacità di agire? Una democrazia si basa sul compromesso e la burocrazia; ambedue queste tenie richiedono tempo e intanto, per esempio, Pompei va in briciole.... e poi....



E poi per agire bene è necessario conoscere la storia degli uomini che quasi sempre non è veritiera. Qualche accenno: La battaglia di Waterloo non è stata vinta per abilità tattiche dell'uno o dell'altro. Il motivo è tecnologico; il generale Henry Shrapnel aveva a disposizione dei nuovi obici che poi da lui presero il nome e son noti a noi solo dalla prima guerra mondiale. Sempre Napoleone; perse la campagna di Russia non per merito del “generale inverno”, ma per un attacco di emorroidi, male di cui andava soggetto, e così dovette star coricato col sedere per aria nella sua tenda. Non ne voleva sapere di far avanzare le truppe senza il suo personale comando quindi partirono in ritardo e l'inverno fece il resto. L'esito della prima guerra mondiale è stato deciso da una sola persona. J.P. Morgan. Questi era più potente degli Stati Uniti. All'epoca anche Rockfeller era a quei livelli e in Europa Krupp e Rotschild. Come nel rinascimento un regnante poteva chiedere in prestito ad un privato cifre colossali, così accadde durante il primo conflitto. Si pensava che sarebbe durato sei mesi o poco più e divenne presto chiaro che avrebbe perso l'economia che per prima avesse ceduto. Morgan aveva crediti con ambedue i fronti, ma quelli con gli imperi centrali riguardavano cifre minime mentre gli altri, dovevano cifre enormi. Quest'uomo fece due conti e comprese che Francia Italia and company dovevano assolutamente vincere perché si sa che chi perde o non paga o ci mette un sacco di tempo. Costrinse gli Stati Uniti a scendere in campo con la parte che gli conveniva e lo scontro fra due economie, che era favorevole ai due imperi, foraggiato di armi e tutto quel che poteva servire, prese la direzione che questo singolo uomo aveva voluto. La storia si è incaricata poi, di far “vestire” l'abito della morale a quel che era accaduto. Statunitensi come liberatori. Imperi, quindi istituzioni vecchie, contro democrazia, che son il nuovo che avanza.

Altro falso storico. Gli Stati Uniti non sono una democrazia. Si travestono così ma si tratta di una situazione peggio che ateniese. Governa una casta ristretta e anche le elezioni del presidente sono una farsa. Ci son le prove che la seconda elezione di Bush figlio son state pilotate e il trucchetto sta nel gestire lo spoglio elettronico delle schede. Questo avviene in uno stato che era in mano a qualcuno che faceva parte della cosca Bush. Le elezioni negli Usa sono un bel gioco che serve per appagare la massa con l'illusione della democrazia. E il gioco funziona.

Italia. Il fascismo fu un'esigenza degli industriali che temettero gli scioperi rossi e i tumulti popolari. La popolazione viveva e vive in una mentalità tribale che cerco di spiegare facendo un parallelo con il Marocco. Questo stato ha un re e vari gruppi che fanno capo a persone che parlando col re cercano di fare gli interessi dei loro accoliti. Se ti serve qualcosa, che si tratti di una commessa da milioni o un piccolo incarico, devi seguire la gerarchia e arrivare al punto che può sbloccare. Spartizioni quindi, e interessi di gruppo che si sgranano poi in individuali. In Italia i gruppi politici e qualche “setta” ad essi trasversale, hanno in mano il sistema delle raccomandazioni e si spartiscono” gli incarichi. E non si pensi solo a docenze, presidenze onorevolati, senatorati e consiglierati di vario lignaggio (che si valuta in base all'appannaggio). Ho saputo da diretti interessati di posti per le “pulizie” assegnati in cooperative bianche o rosse..... e qui entra in gioco quello che io chiamo il “nipotismo” e i sociologi, familismo amorale. Qualcuno ha il coraggio di chiedere a Romano Prodi quanti parenti ha “infilato” in università e in altri incarichi nei quali prima dell'esser suoi parenti conterebbe la capacità? E l'attuale sindaco di Roma? Ho fatto solo due nomi e comunque son cose che tutti sanno e che sui libri di storia non troverete. Il punto sta nel fatto che io personalmente Prodi lo penalizzerei pesantemente e nell'unico modo che può veramente far male ad un italiano. Gli si tolgono i diritti civili e la cittadinanza, che ha dimostrato di non meritare e poi lo si spedisce in esilio. Dante e Craxi insegnano quanto un italiano si senta punito solo in questo modo e nel frattempo de Andrè ci ricorda con una canzone molto nota ma mai meditata abbastanza (quant'è bell 'o caffè, pure in carcere lo sanno fa.....) che pure in galera son capaci di creare regni e sudditi e di trovarcisi come a casa. E tutte quelle aziende che si son date la ragione sociale di cooperative non certo per fare l'interesse dei soci ma per pagare meno tasse e innescare quindi una concorrenza sleale ai privati? E il corporativismo di architetti, avvocati eccetera? E mi raccomando, ho fatto il nome di Prodi e di Alemanno solo per esempio. Ci sarebbe sufficiente prendere la lista delle persone che incassano come consulenti o dipendenti dall'azienda trasporti romana o dalla Rai per poter leggere nero su bianco una lunghissima lista di nomi che sporcano l'Italia e meritano l'esilio....ma, se veramente si potesse applicare quella condanna.....in Italia rimarrebbe qualcuno? Ho idea che si tratterrebbe di una manciata di persone che a fatica riempirebbe uno stadio dell'ultima categoria. Verità risapute che mai si faranno storia. Verità che si sanno da tempo immemorabile, ma nulla cambia poiché tutti (ammetto il quasi tutti ma appunto per una minoranza trascurabile) ne approfittano e nulla cambia poiché si è imparato ad agire così e in fondo diversamente, non si saprebbe fare. E questo malanno lo si scopre e fa male quando si va all'estero, quando ridono del nostro mi manda il tale o il tal altro. Ricordo di aver letto poco tempo fa sul quotidiano Herald un annuncio che comunicava che a Leeds cercavano un docente di storia dell'arte. Ho telefonato ed era vero. In Italia gli annunci per il lavoro sui giornali son per la maggioranza di prostitute....



Torniamo al Fascismo. Lo spettro del comunismo russo spaventava. Mussolini con manganello e fucile impose l'ordine e il re gli diede l'incarico di Presidente del consiglio e gli permise di sacrificare libertà importanti, in nome di una forzata, finta pace sociale. E come mai l'italiano non ha reagito? Perchè è suo costume non contestare più di tanto l'ordine costituito ma cercare di comprendere come mungerlo. In fondo si sa, ma non si dice, che la goccia che ha fatto traboccare il vaso delle rivoluzioni francese e russa, fu la mancanza di pane nelle città di Parigi e San Pietroburgo. Solo col pane il popolo smette di accettare la sofferenza? Sembra di si. L'italiano, più allenato di altri nell'arte di arrangiarsi, rinuncerebbe ad essa solo per la fame? Penso proprio di si. Ricordo che quando Mussolini andò a trovare a Milano il cardinale Schuster, la folla lo inneggiava. Molte di quelle medesime persone martoriavano il suo corpo pochi giorni dopo in piazzale Loreto.



Un disastro. E scoprite più cose nella letteratura che non nei libri di storia. É da Paul Valery che si viene a sapere degli obici di Waterloo. È da Victor Hugo che si scopre quel che dopo qualche anno dei resti di Waterloo si fece. Le ossa di uomini sia nemici che dei loro e dei cavalli, furono raccolte dagli inglesi e macinate. Vennero poi impastate con altra roba e vendute, anche ai francesi, come concime. Si tratta di in cannibalismo molto indiretto, ma pur sempre cannibalismo è.....



e come mi si convince che se accettassi un incarico che contiene anche solo una briciola di potere, io non venga poi considerato dei “loro?”. No. Consigliare penso che potrei farlo, ma a cosa serve visto che sappiamo benissimo cosa non va e quindi come fare perché tutto vada un po' meglio? Chi non sa che serve per esempio un'operazione mondiale di moralizzazione dell'economia? E se poi va a finire che il mio desiderio di salvare Pompei, tanto per fare un esempio, mi debba portare a impegnarmi nell'assegnazione di appalti che, si sa, non è mai “roba” pulita?



Sì. come ho detto a quell'amico al caffè, penso che mi sparerebbero dopo due giorni. Se penso a Luca Cordero di Montezemolo che approda dal suo Yacht a Ischia con la sua barchetta in compagnia di Sergio Romano e Paolo Mieli, entra alle terme e non paga con la scusa che ha lasciato il portafoglio su? Come faccio se lo vedo a non dirgli che deve andare a saldare il conto e deve smetterla di elargire sorrisi e comportarsi da duca? E Fini che va a pescare in oasi protette oltre il resto accompagnato dai pompieri? Mi rifiuterei di parlare con persone così. Troppo squallore. Chi fa queste cose e non si cura nemmeno di nasconderle, di fatto mira ad ostentare e godere della sensazione di potere che si esprime anche in forme così piccole.



No. io scrivo. Sarò escluso, lo sono già, perché dico quello che penso. E dire quello che si pensa ha il suo peso se chi parla crede in un sistema morale. Non tutti possono condividere la moralità che io desidero, ma su certi fatti, come la mania pescatoriale in paradiso di Fini e lo stile portoghese di Montezemolo, penso che tutti siano d'accordo. Il punto che però devo chiarire è che io non lo sono per invidia. Io quei pesci e quelle piante acquatiche li rispetterei e anche il lavoro degli altri....

Principii sui quali credo che la stragrande maggioranza possa considerarsi d'accordo con me. Per quel che riguarda il “nipotismo” cosa dire? Per me l'italiano non lo si cambia. È così e basta. Si è al punto che un camorrista che aveva assegnato alcuni posti importanti nell'ospedale della sua “zona”, quando si è trattato di farsi operare, si è ben guardato di andare da quelli che aveva “sistemato” lui, ma ha cercato quelli veramente bravi. Questo insegna che l'italiano, perfino il camorrista, sa che così non va bene, ma nulla cambia.



Esco di casa per fare due passi. C'è un po' di sole. La nebbia si è alzata. Noto come al solito, e con tristezza che solo la “fetta” di marciapiedi che dà sul mio giardino, è pulita. Gli altri non l'hanno fatto e non lo faranno. Non è il loro. La “cosa pubblica” non è percepita come nostra, ma come una quantità da depredare, e se davanti casa è sporco, si preferisce inveire contro i servizi che indubbiamente non vanno, ma prendere “la ramazza” e spendere l'energia di quelle parole in un gesto risolutore? no. In Italia appunto, ognuno è per sé, poi per la sua famiglia, poi per la cosca che si è scelto e lo stato è la grande vacca. Come non spiegare così l'enorme debito pubblico accumulato?



E pensare che di queste cose ne avevo parlato già anni fa con quel politico amichevole che ho incontrato questa mattina al caffè....... Mi criticava per non essere sceso in politica. Peccato che proprio il suo capo corrente in quell'epoca mi aveva messo gli occhi addosso. La sapevano tutti e tutti facevano finta di non sapere quando nel nostro ultimo dialogo lo misi davanti al fatto compiuto. “Mi vuole non perché stima le mie idee o qualche mia capacità. Vuole i miei vent'anni e se li vuole portare a letto”.... avevo così tolto la maschera ad un dialogo nel quale io facevo i conti con la realtà e lui, come tutti i politici, con ideali che nelle parole stanno bene ma nei fatti sono ingombranti, sgradevoli. Rifiutai di entrare nel letto di quel signorotto della politica ed egli si trasformò in un nemico. Cercò di farmi capire che non potevo scegliere. Non l'ho assecondato e per un certo periodo, finché non gli sbollì la foja, mi fu impossibile trovare lavori decenti e dialogare con tutta una serie di persone che mi aveva messo contro. Quel che ricordo con comica amarezza, è che tutti sapevano quel che era accaduto, ma lui era il potere, era l'elargitore di possibilità e le mie passavano in quel specifico caso per il mio sederino.



no. mai accetterei un incarico di natura politica e tanto meno se dotato di qualche briciola di potere. Mi ammazzerebbero, come ho già detto, dopo due giorni. In politica, la morale è di facciata, è il vestito. Per me dopo anni di esperienze e anche di errori, non è più così e preferisco stare nel mio piccolo spazio, e presente nel mondo solo con un minimo di parole nel mare infinito di internet.



Dopo aver parlato di queste cose ho come la sensazione di essermi sporcato le mani.

Non voglio che accada. La letteratura, le arti, sono l'ambiente che mi fa sentire a mio agio. E non si tratta di un “mondo” scollegato, di una fuga della realtà. Mi viene in mente ora un racconto che scrissi a Oxford nel 2003 e pubblicato nel mio volumetto intitolato “otto racconti”. In esso parlo del presente, di una reazione estrema ad una situazione generale che a me già allora sembrava insostenibile. Mi hanno appena detto che gli studenti della Bocconi si son ribellati ai nomi scelti dal nuovo presidente del consiglio e loro se ne intendono perché mi risulta che il loro capo cosca ovvero rettore, abbia incassato una poltroncina..... è bello vedere che son scesi in piazza arrabbiati in tutta Italia. Penso anche con ironia, poiché solo uno scemo può dire certe cose, alle parole di Gramellini, firma de “La Stampa” contro le violenze accadute di recente a Roma. Rimango dell'idea che siano stati infiltrati dello stato per poter mettere in cattiva luce una manifestazione sacrosanta e comunque, non ci si deve meravigliare della violenza poiché essa appare quando il dialogo si fa inutile. Quei ragazzi si giocano il futuro. Per ora non hanno niente e quindi non perdono niente, ma son spaventati dall'enormità che la generazione precedente intende mettere sulle loro spalle. Io mi sento dei loro. Non ho vissuto perché non mi è stata data la possibilità di farlo. E tutta la mia generazione, che non è vecchia ma non è neppur più giovanissima, è stata “saltata” a piedi pari. Ricordo anni fa lo studio di un'università degli States. Dimostrava, dati alla mano, che in Italia mancava una generazione nei posti che contano. Lo dimostra ampiamente l'età media del nuovo governo. La mia generazione, che a questo punto devo definire intermedia, sta sparendo inosservata. O è stata troppo debole o ignava, ma non certo io, oppure il “nemico” era troppo spietato. Non lo so. So che se questi che sento un po' miei, faranno rumore li capisco. Deploro la violenza ma è fisiologico che accada quando che dovrebbe meditare non ascolta nemmeno e oltre il resto, che senso ha che ascolti, visto che conosce bene il proprio gretto male! La mia vita quotidiana è stata ed è un continuo sopravvivere e constatare che la morale è un lusso per pochi. Un lusso che comunque mi son concesso pagandolo carissimo e continuerò a pulire la mia fetta di marciapiedi davanti a casa ricordando a me stesso che faccio parte di una comunità e ….credo che ormai qualcun altro stia iniziando, a sua volta, a scoprirlo....

domenica 6 novembre 2011

Una domenica mattina

Questa mattina mi sono avviato di buon'ora a fare due passi. Il cielo prometteva acqua e infatti dopo pochi minuti sgocciolava. Non ho desistito e ho cercato un po' di verde e della terra da sentire sotto i piedi, sensazioni che sono come una messa, come un ricordare che la natura mi è madre e questa madre per quanto agisca secondo leggi che non amo, è talmente onnipresente che non la si può evitare. Anche nel centro di Manhattan, verrai sorpreso dall'alba, questo spettacolo troppo barocco, sempre diverso ma in fondo sempre uguale, e rimani sorpreso di te stesso quando, come il pigmeo che Schweitzer descrive, senti uscire un “Oh!” di meraviglia. Non lo emaniamo noi. È il corpo, che della natura è completamente figlio e sente spesso questo legame in un odore, anche in una forma di violenza che razionalmente aborriamo ma che dal basso, da un profondo terribile eppure nostro ci affascina ovviamente con sgomento. Io della natura accetto il legame ormai quasi come una sudditanza. Non accetto la sua lezione sui sentimenti che li vuole transitori. Anche l'esperienza mi dà torto, ma non posso vivere nessuna relazione, se in essa mi è tolta la possibilità di ipotizzare, sì, almeno ipotizzare, una forma di eternità. La natura dice che colui o colei che amerai, anche solo per abitudine o amicizia a qualcosa soccomberà, forse a se stesso, ma accadrà e se vuoi dimostrare al mondo o a te stesso ma in fondo solo alla Grande Madre che hai compreso, dovresti non dimenticare che chi non è più distinguibile per affetto, diventa preda, cibo, qualcosa di semplicemente usabile.

No. non lo accetterò mai, anche se è una realtà che anche solo passeggiando in un bosco, ci si rivela. Quando dico che ci vuole una morale, che questo decidere che non esiste, che è decisa arbitrariamente dall'uomo, è orribile; quando lo dico è perché una morale, che ovviamente limita il nostro agire, ci permette di comprendere che la natura e la sua filosofia feroce, altro non è che un punto di partenza. Ad essa ritorna solo il corpo e sarà cibo, nutriente per fiori piccoli e oscuri, sgradevoli animaletti. Ma se lasciamo quell'abito e non possiamo fare diversamente, perché nella vita sociale, l'unica che ci rende percepibili a noi stessi, si deve arrivare al punto che nessuno è affidabile? Che nessun volto è volto, ma tutti maschere talmente ben portate che spesso ci si è dimenticati di averle indossate? Sì, metterle non è un atto volontario bensì indotto da un tirocinio della vita, da una somma di esperienze che ci fanno capire quanto sia necessario ripararsi dietro la maschera appunto. Anticamente, molto anticamente, la maschera permetteva di essere un altro. Spesso un dio. Nel teatro, successivamente permise di essere a discrezione del ruolo assegnato e non scelto, o un dio o un uomo. Oggi la materia si fa subdola. La maschera copriva il volto, ora solo gli occhi. Sì, gli occhiali. Se negli Stati Uniti ci si sofferma troppo ad osservare una persona, si rischia la querela. Non scherzo. Possono raccontarci che gli occhiali a specchio son più protettivi, ma lo sappiamo benissimo che permettono agli occhi una mobilità, un'impunità che diversamente sarebbe considerata invadenza e anche di più. E pensateci. Quando comperate i sunglasses, forse involontariamente, selezionate lenti che occultano lo sguardo. E non si agisce così con piacere. Si vorrebbe poter guardare liberamente, ma per farlo ci vorrebbe un minimo di educazione. Sguardi che sembrano toccare, spogliare, infilarsi in anfratti detti anche scollature, son fastidiosi e lo sappiamo. Bisogna imparare a guardare. Saper guardare. E ormai anche per agli uomini può accadere di dover sostenere uno sguardo invadente e anche dal punto di vista sensuale. Ma non solo lo sguardo deve essere addomesticato. Anche il viso. Nelle culture neolatine, di solito, lo sguardo deve parlare e parla eccome! In Francia, questa Francia imbastardita fra Inghilterra e Mediterraneo, troppo vicina al nord per poterlo ignorare e con i piedi nel sud per non poter fare a meno di una relazionalità sensuale, non fa testo. La Francia è la Francia e basta. Ma l'Italia, la Spagna, l'America latina, san fare complimenti con gli occhi. Complimenti che spesso appagano anche se si deve far finta di non gradire e questa recita fa sorridere.... e poi vai in Gran Bretagna e....ricordo il mio primo viaggio. Scrivevo appunti brevi su un quadernetto con un Gauguin come copertina. Dopo una settimana, vedo due Punk (si scrive cosi?) che si baciano. Son seduti in un parco. La panchina, viene usata in modo molto personale. Il sedere appoggia dove dovrebbe stare la schiena e i piedi dove dovrebbe stare il sedere. In Italia, questo è un atteggiamento adolescenziale. Da loro ho capito che è un tentativo di protesta. Per loro l'abito, come se proseguissero un discorso iniziato nell'antichità, parla, definisce, protesta. Ed ecco cos'è un Punk: colui che osa e va contro le convenzioni. Non si guardino creste multicolori o giubbotti borchiati, facce truci e passo tipico di chi deve dare inizio ad una rissa. no. È tutt'altro. E in quella pagina del quaderno che battezza il settimo giorno in Gran Bretagna, scrivo che mi son reso conto che, per la prima volta ho visto due persone che si baciavano, ed erano quei due punk sulla panchina..... sì. Per i britannici l'abito è ancora distinzione sociale. Un minimo cambiamento è un grido dell'io e negli anni sessanta quell'io ha gridato molto. Non può essere diversamente per un popolo che vive ancora in una società strutturata in classi sociali. E così capita che sei in tram e “senti” degli sguardi, alzi gli occhi e immediatamente, come l'ombra delle rondini sul muro, volano via. E nervosamente, perché sanno di essere stati colti nell'atto illecito di osservare. Loro guardano a terra o fuori dal finestrino in modo fintamente distratto e io sorrido, ma amaramente. Questa è mancanza di libertà, alla quale soggiacciono inconsapevoli che di prigionia si tratta. Il pensiero, come ci raccontava Orwell, deve rimanere chiuso nel cervello e non va rivelato. Quel pensiero siamo noi e se lo riveliamo non abbiamo più un io e senza io si è nulla. Orwell insegna che si dovrebbe resistere all'insulto finale che in 1984 è descritto con una gabbia che contiene topi e che viene immersa nella testa. Si potrebbe aprire una finestrella e fra noi e quella bestia che è percepita come immonda, non ci saranno più difese.... sì, Orwell dice che si deve resistere anche a quello. La società vuole tutto, per soggiogarti. La Gran Bretagna è bella. Ricordo a Oxford, le papere che raggiungevo con un pane appena comprato. Mi sedevo per terra e lo spartivo. Mi rideva il cuore. E il cavallo che passò per William Street, dove stavo, e “assaggiò” la posta che non si rivelò di suo gusto, e l'immenso rispetto per i cani, e i gatti e perfino e giustamente anche per i criceti. Nei mondi che ci rendono soli, individui troppo individuali, ci si lega agli animali, che sempre senza maschera ci dicono se ci amano o se ci temono. Nella cultura di quel nord, si faceva il baciamano solo alle donne sposate. Farlo alle nubili era considerato lascivo, licenzioso. Ma come potevi saperlo? Nulla nell'abito lo rivelava. E qui si scopre il punto critico. Devi conoscere l'altro. Pretendere di aver a che fare con chi non conosci non è tollerato. Se ti interessa parlare con qualcuno, devi farti presentare. Ecco contro cosa lottavano quei ragazzi punk seduti nel parco. Ecco la liberà che invidiano al sud dell'Europa, che trovano volgare, sporco e disordinato, non perché lo sia, ma perché son attributi che si danno senza ragionare alla volgarità. Che sordide leggi! Ed esistono ancora. Smorzate ma le ho toccate. L'elite finge noncuranza, ma ci sta accuratamente attenta alle sue leggi. Un tempo era giusto, razionale quel che rispettava la procedura, nei riti come nella società. Quella è ancora la radice di troppi comportamenti che ci faranno sorridere solo quando nell'educazione impartita, sarà ridotto al minimo quell'intento che l'ha resa feroce, ingiusta, maschera, ovvero il dominare l'altro. L'unica regola deve essere il rispetto. Uno sguardo per esempio non ferisce, ma deve farsi spazio piano piano.



E camminando con le scarpe che si appesantiscono di terra e la pioggia sottile che mi costringe ad un cappuccio che mi fa pensare, con un sorriso, ai frati, raggiungo il caffè. Bastan due volte ad un essere umano tendente alla socievolezza per fare abitudine e se alla terza quel dato signore manca ci domandiamo come sta. Questa è la poesia originaria del vivere civile, come quella della natura, in cui ancora presente è quella del pigmeo di Schweitzer e del suo verso di fronte ad uno spettacolo naturale, che ancora sento sgorgare in me e incontrollatamente uscire. Se poi riuscirò ad unire l'istanza del mio essere sociale con la natura, ecco che sboccerà qualcosa, di positivo, che non ha bisogno che di una regola, la tensione verso la felicità del corpo e della mente, insieme.



Mi impossesso di un quotidiano e già alla prima pagina sorrido. È il sei novembre. In prima pagina de “La “Stampa”, brilla quello che è considerato un errore grammaticale. Un sottotitolo di un articolo dice “una coppia di alpinisti da mercoledì sono bloccati sulle Grandes Jorasses”.

Sento discutere da quei volti ai quali sono abituato da pochi giorni. Quel “sono” plurale su un soggetto singolare, brucia. I giornalisti, per l'ennesima volta si beccano vari improperi che son giusti quasi sempre, ma questa volta mi oppongo. Faccio presente che un paio di anni fa il cardinale di Genova disse, in un'intervista, “la gente fanno” e in un libro di narrativa di Pavese che è piemontese come quel giornale, in una prima pagina c'è qualcosa di simile. Invito a non indossare la rigidità dei benpensanti. Dico che la lingua non è immobile, che cresce e si spera che si semplifichi e che riesca a supportare o sopportare meglio i significati. Tante volte, se ci si fa caso, non troviamo frasi che sappiano contenere quel che vogliamo dire. I nostri pensieri son creature della lingua e la lingua è una nostra creatura. Un cerchio che si fa virtuoso se non si perde di vista il fine.



Una pacca sulla spalla, mi offrono il caffè e mi dicono che effettivamente, visto che tutti sanno l'inglese, il people dagli inglesi, vuole il “sanno” e non il “sa”.... rispondo che si tratta di una chimica più complessa. Il soggetto singolare che contiene un molti è fastidioso. Troverei più bello (che è qualcosa che va oltre la correttezza) veder scritto e sentir dire che le “genti sono”. In fondo people si regge su un articolo (mentalmente intendo, di fatto the people non si dice) che include tutto, il maschile, il femminile, il neutro e anche il plurale e il singolare. Penso quindi che gli inglesi dicano “le genti sanno” e non “la gente sanno” che comunque almeno per me suona stonato. Per un dittatore la moltitudine è un'unità, ma per me e per il mio cane, e rispetto le sue lezioni, essa è un insieme di singoli piacevolmente diversi.



Mi sono anche messo in tasca un tovagliolino. Ho riportato un frase letta sulla gazzetta dello sport. Fabio Cannavaro avrebbe detto in un'intervista “La Juve è l'Avversario, il potere. Ne so qualcosa anch'io quando tornavo”. Mi domando. Si tratta della trascrizione esatta di quel che il calciatore ha detto o di una trascrizione del giornalista? È solo questione di decidere chi è “messo da ridere....”.

Il giornalista che comunque trascrive una frase del genere o è messo male o intende sottolineare la “messomalanza” di un calciatore e per esteso di uno sportivo. Son mosche bianche quelli che san fare qualcosa di più che gestire il corpo nella loro attività. Ricordo per esempio Pessotto. E nel frattempo non dimentico le interviste ad Alberto Tomba, e penso di non essere l'unico. La prima volta che lo sentii, il giornalista gli chiese se nel tempo libero andava in discoteca e si coglieva che la ben poco sottile sottigliezza intendeva indagare se viveva come un asceta per accedere a grandi risultati oppure era un talento naturale che era in grado di rinunciare a ben poco della vita quotidiana. Ebbene lo sciatore rispose: “No, io in discoteca non ci vado mai però ogni tanto ci vado”. E mi domando se in un mondo come quello dello sport che attualmente si fa visibile nei media solo se supera un certo livello di resa economica, per intervistare menti così terra terra, serva una cima.... e così mi spiego gli strafalcioni che si leggono o sentono nel giornalismo sportivo. Devono parlare di poco, e quel quasi nulla deve riempire una marea di pagine. Non è semplice. E l'elementarità spesso al limite del ridicolo di certi sportivi, che vengono sorretti solo finché rendono soldi, fa il paio con giornalisti del medesimo livello. Qualcuno si domanda ancora se Alberto Tomba vada in discoteca? No. È pulsione di un attimo. Il solito inesistente presente che nell'essere stato definito come qualcosa di diverso da passato e futuro, si fa invadente e quasi unico protagonista. Ora altri idoli “tartagliano”. Brilla un Gattuso che dice di non dimenticare mai che se non “se la fosse cavata” col pallone sarebbe finito in una fabbrica e la sua sincerità semplice piace anche a me. Brilla neramente sull'Italia il comportamento ai mondiali di Materazzi che insulta Zidane. Questi reagisce con una testata che è più simbolo che danno. L'italiano cade a terra, si rotola nel suo finto dolore e ottiene l'espulsione dell'eccezionale rivale. Ci sta che il francese venga mandato fuori. Mai reagire, ma considerare positivamente il comportamento di quell'altro giocatore è sintomo di qualcosa di molto brutto. Il messaggio che passa è che tutto è lecito per vincere non solo nel calcio, ma per esteso anche nella vita. Ricordo un calciatore tedesco che ai mondiali dopo aver segnato fece un gestaccio rivolgendosi ai tifosi avversari. L'allenatore lo “mise giù” e a fine partita lo spedì a casa. Motivi? In quella situazione lui rappresentava la Germania e aveva agito in un modo che la sua nazione non considera proprio. Non voglio certo dire con questo che i tedeschi siano migliori. Difetti ce ne son ovunque e si fan pregi a seconda delle situazioni, ma almeno lassù hanno compreso che uno sport amato da un popolo viene percepito anche come palestra morale..... mah. Fortunatamente mi sono emancipato dallo sport. Se diventassi direttore di testata, penso che lo eliminerei completamente. Non serve scriverne sui quotidiani. Le notizie di quell'argomento son invadenti, potenti. Tanti anni fa la domenica pomeriggio la radio la sentivi ovunque. Poteva venirti il sospetto che ormai anche il vento parlasse di calcio. Ora è presente tutti i giorni. Un oppio a poco prezzo. Un bel giornale che se ne dimentica anche di lunedì..... sì, mi piacerebbe. Perché per come vanno le “cose” ora, sembra che conti più lo sport, della cultura, dell'arte, della storia, dell'ecologia, della pace (degli altri), della fame (sempre degli altri), eccetera.





Per aver fatto quel ragionamento su “people”, mi costringono bonariamente a bere un altro caffè , offerto anche quello. Solo vent'anni fa, questi piccoli premi per una discussione da Caffè, sarebbero, sarebbero stati grappe o Campari. Due dosi di caffeina le reggo, ma poi scappo e torno coi piedi nella terra e volo con la mente alla sensualità di Granada, sarà un luogo comune finché volete, ma ricordo che anche la curvatura di una caraffa era femminile, e il fiume, e il passo delle donne e il mordere di una pesca di una donna ormai negli anni, ma che in lei si fa ancora un gesto felino che scalda il sangue.....



dimenticavo... quel che ho meditato sullo sport in quel porto di mare che è un bar, non l'ho detto. Lo dico qui e lo getto nell'immensità, nell'infinito del web. Mi spetta l'oblio come premio finale, e così spero anche per le mie parole, e torno alla Yourcenar che rileggo con un piacere tale da farmi sentire questa giornata solitaria, viva come una festa.

giovedì 3 novembre 2011

Pistoletto e "Il Terzo Paradiso"

Mi accingo a leggere “Il Terzo Paradiso” di Michelangelo Pistoletto. Ammetto di partire prevenuto. Dopo aver letto la premessa, la prima pagina del primo capitolo e viste le immagini allegate, ero tentato di lasciar perdere. Il libro non è mio. Me l'ha prestato un amico col quale dialogo spesso di arte e roba confinante. Si chiama Gianluigi Miccoli, ha degli animali, gatti, quindi ha imparato a ragionare non solo con la mente. Legge molto e medita anche. Si litiga spesso bonariamente ed è capitato di recente che mi ero talmente accalorato nel difendere le mie posizioni che non condivideva, che ha sospeso il dialogo perché mi credeva adirato. Nell'immediato silenzio della discussione troncata, son riuscito a percepire il volume della mia voce, la mia gestualità eccessiva. Spesso quindi mi aiuta a regolare una passionalità che può essere fraintesa. Io non odio nessuno. Prima, un minuto fa, una cimice aveva deciso di passeggiare sul tavolo. L'ho presa e l'ho adagiata fuori su una pianta. Odiare è una perdita di tempo. Non mi riguarda. Ma quando si dialoga si deve stare attenti. La gente vive in una mistura che contiene anche l'odio, l'aggressività, la rivalità. Gianluigi spesso mi fa comprendere, e chissà se ne è consapevole, che forse ultimamente ho deciso di vivere un po' troppo ritirato. I motivi son svariati. Uno lo si può desumere anche da quel che scriverò ora in queste pagine. Il succo è questo. Ho motivi che potrebbero essere anche sbagliati, che mi fan credere che un mondo dell'arte non attualmente esista. Coloro che lo gestiscono e coloro che si definiscono artisti, per me non lo sono. È questo il punto. E per me che mi considero tale è un bel casino. Penso si sia capito che frequento Tonino Guerra. Ci rintaniamo, a casa sua, per pomeriggi interi e a volte per intere giornate e dialoghiamo. Mi rendo conto che su questo argomento “la vede” come me. In pubblico quando gli fan certe domande preferisce cambiare argomento e poi cerca con attenzione, di selezionare le frequentazioni. Di più non si può fare, mi dice, e io che son di un ottimismo nero, agisco nella relazionalità, meno, anzi, menissimo di lui senza rendermene conto.. è che si fa sera che non me ne accorgo.... e amo varcare il confine fra vivi e morti stando più spesso con quest'ultimi. Fregiarsi della frequentazione di Kafka, Melville, Fitzgerald, questa sera della Lispector, non è fantasia. Muore chi non ha saputo eternarsi. Loro son vivi, punto e basta, e mi danno molto. Non rifuggo certo le occasioni d'incontro, ma in un “mondo” dell'arte desertico ecc come quello attuale, mi vien più facile stare in casa e frequentare coloro che si son dileguati dalla tangibilità. Ho parlato di ottimismo nero e con esso intendo il credere in qualcosa di positivo, ma che costa quasi, se non completamente, la vita. Gianluigi è quindi un martire più che un privilegiato, poiché sono un po' (un po?) a senso unico. Mi aggrappo alle idee che ho maturato come ad una scialuppa di salvataggio e procedo in quasi solitudine. E ora mi ritrovo da leggere questo libro di Pistoletto perché, per correttezza non ha senso dir bene o male se non si conosce. Conoscendo comunque un poco il suo agire, penso che tenderò ad “usare” non tanto le sue idee ma il modo di porsi considerandosi un artista, per mostrare il vuoto che secondo me anche lui rappresenta e, penso, inconsapevolmente. Mi spiego. Nascere in ambienti carenti di artisti veri e pullulanti di artigiani sopraffini e intellettuali che spaccano il capello in quattro e ormai anche in otto e sedici..... come è possibile diventare qualcosa di diverso? Si è figli del proprio tempo, quasi totalmente, e raramente da esso si riescono a prendere le distanze. Si rotola nella valanga del tempo e non ci si accorge nemmeno che di una valanga, oltre il resto irreale, si tratta. Si deve provare a volare in alto a staccarsene, spesso. Farsi travolgere si ma poi osservare da lontano la valanga ed è ovvio che sarà un poco come osservare se stessi. Mettiamola così. L'intellettuale ha a che fare con una collana di perle. Le vede cadere dal filo del tempo e le fa sue, ma esse son passato.... e il presente, non lo domina poiché ne fa parte completamente e solo col pensiero. L'artista ha solo un particolare in più; sa distaccarsi anche da quella perla sospesa fra passato e futuro. Chiamarla presente è riduttivo. Provate a pensarla come qualcosa di sospeso, che sta cadendo nel mucchio delle altre e basta. L'artista vede la perla nella caduta e la osserva. Se ne è interiormente distaccato, sa farlo, poiché grazie ad un dono incontrollabile o una maledizione, si ritrova impigliato anche nella perla che fu futuro, la prossima, e la guarda con sgomento, comprendendola in una visione d'insieme che la rivela. Ne esce spaventato e si rifugia nell'opera producendo un riflesso imparagonabile di quella visione. E non usa l'intelligenza se non in seconda istanza. In lui il simbolo nasce da dentro. Lo ritrova che galleggia nell'io che nello spavento si è sciolto in un noi immenso. Lo raccoglie, cerca di comprenderlo il più possibile e più ci riesce più è grande, e poi lo trasforma in un linguaggio, di solito quello col quale ha più dimestichezza.

Il simbolo potrebbe stare nella parola, nella frase, nell'opera nella sua completezza. È imprendibile ma percepibile. Se qualcuno lo strappa dal suo mondo, si comporta come i fiori; resiste qualche giorno e poi il suo fascino si fa putrefazione. Volerlo “bere”, cercare di farlo nostro non può essere quindi un atto intellettuale. Si deve accettare di lasciarsi andare a Dioniso, e disgraziata quell'epoca recente che lo ha confuso con droghe e assenzio!

E l'uomo illuminista del quale quello odierno mi sembra un eccesso, una diversa caricatura, l'uomo illuminista dicevo, che fa di tutto un oggetto smontabile e comprensibile? Eh si, lui si arrabbia e non sapete quanto, se non capisce. Già gli sfuggì dio e decise di negarlo... e come non negare quell'essere che si percepisce come artista se non si riesce ad esserlo se non per un dono? E poi, si può effettivamente parlare di dono? Non credo. Forse la regola non è dimostrabile, ma non essendo io un fanatico dimostratore di tutto, non ne faccio una malattia, e ho comunque constatato che artista spesso, troppo spesso diviene colui che nell'infanzia ha scoperto la morte....e non la dimentica mai.

E cos'è l'artista, chi è se non necessariamente un mezzo matto per gli intellettuali? Ma lo sappiamo bene, e anche loro lo sanno, che è l'Albatro di Baudelaire e come lui è bello solo quando vola e quando è a terra vien dileggiato e gli si mette la pipa in bocca....

Come combatterlo? Rendendo pertinente all'intelligenza, con falsificazioni ben pronunciate, il ruolo di artista. Ecco quel che è accaduto. Se si riesce a rendere credibile l'indimostrabile, utilizzando una dialettica funambolica, ecco che la definizione di artista potrà contere l'intellettuale. Questi ci ha provato a sostituirlo, ma ha fatto cilecca. Se scorro le immagini di Pistoletto vedo solo e sempre un qualcosa, un segno, che lui definisce simbolo e che rifà con tutto quello che gli capita sottomano.

Ma.....si può costruire a tavolino un simbolo? Non vi sembra evidente che si tratta di una falsificazione? Ma a loro, a lui, è necessaria. Devono elaborarlo con l'intelletto perché non hanno imparato a “lasciarsi andare” a farlo emergere da dentro, da quell'io che non è mio ma nostro e che fa dell'arte vera un dono condivisibile.

Quando nacque l'arte concettuale, e fu in due luoghi quasi contemporaneamente, l'usurpazione del ruolo divenne definitiva. Dire che l'idea, o il concetto è l'aspetto più importante dell'opera è stato l'inizio del delirio. Facciamo un esempio. Idea. Abbasso la guerra. ok. L'idea c'è. Come la rappresento non è importante e esporrò, coerentemente con un pensiero ridicolo un secchio di bambole. Se vale l'idea e basta, l'opera deve essere accettata.....ma i fruitori, quelli semplici, che spesso parlano coi sogni, dei sogni, con un dio o anche più d'uno e che han maturato l'idea che l'artista sia il portatore di una follia positiva, chiarificatrice, non ci stanno. Stupiscono e tacciono, poiché immense associazioni di persone solo intelligenti non esitanoa trattarli con una superiorità impressionante. Lo fanno per difesa. Perchè sanno che hanno usurpato un ruolo che non viene assegnato dall'uomo, che non si può distribuire o far crescere con un ciclo anche calibratissimo di studi e frequentazioni stratosferiche.

Ti sfiora la morte. È questo. E non se ne può parlare, perché questo dono orrendo che rovina la vita a chi lo possiede ma fa brillare quel che involontariamente emana ma non produce, come di un'ostrica la perla, perché di questo dono, come se fosse possibile patteggiare alla Faust si cerca di trovare la formula che ne dà il possesso. E invece il segno arriva, mentre sei distratto dalla vita, mentre stai crescendo e ti sforzi di comprendere come si cammina in senso concerto e pure metaforico..... e non è detto che davanti al suo tocco ci si svegli. La morte sceglie, e scaglia il suo dono che ti rende morto in vita. Le rose nere di un regno immenso, incalcolabilmente più vasto del presente nel quale l'intelletto sguazza per soddisfare il corpo, sfugge a quelle opere che non hanno un pubblico vero, ma un'accolita furibonda che mira solo a difendere la possibilità di essere e calcolare quel che deve venire da un volo impalpabile, distante, non nostro.

Quando ho detto con Gianluigi detto che il libro di Pistoletto non mi attirava mi ha fatto, mi son comunque sentito a disagio. Lui almeno l'aveva letto. Ma quel che non m'ha detto!

“Secondo me da giovane è partito bene e poi si è riciclato con queste cose qui perché la vena è finita”.

Mi ha poi detto che l'idea del terzo paradiso è bella e ti prende, ma che è evidente che con l'arte non ha nulla a che fare. Si tratta di un pensiero, e quel simbolo ricorrente non ha senso se non si legge il libro. Io aggiungo che è evidente che l'opera deve avere un'idea. Quel che recrimino, e insisto su questo punto,è che non deve essere pensata, ma sgorgare da dentro.

Fitzgerald disse: “non si scrive per dire qualcosa. Lo si fa solo se si ha qualcosa da dire”.

Parole perfette. E si può aggiungere che quel qualcosa da dire non lo decidi a tavolino. Essere artisti è ormai un atteggiamento. A volte pretende di avere qualcosa del messianico, a volte agisce in modo così sgangherato che vai a una mostra e se chiedi “cosa vorresti dire?” ti rispondono che ognuno ci vede quello che vuole. Anarchia. Banalità.

Ci vuol coraggio a leggere il libro di una persona che inventa e non “sente” un simbolo, che lo riproduce con mille materiali diversi. Non è nemmeno un giocare, perché nel gioco non è prevista la noia.

E l'esito in me è solitudine. La solitudine dell'artista, che non deve temere solo chi lo sa monetizzare e che male che vada non è inutile. È solitudine, perché un secolo che ha deciso di valorizzare i linguaggi artistici e gode nel mimarli, mi fa una pena infinita.

Facciamo un esempio: l'ermetismo.

Si insegna una tecnica e la si imita. Andava così e oggi la si pensa in quel modo. Sembra riproducibile eliminando punteggiature, aggettivi, introducendo vocaboli stridenti che sembrano così più sonori, come “schiocco” e “stride” (che sia il pino o il gorgo è secondario), ma sempre di atteggiamento si tratta....

Ma come abbiamo colto l'ermetismo? Dal dolore. Esattamente da quel dolore talmente immenso che si rimane ammutoliti, e quando si riesce, e a fatica, a dire qualcosa, son poche parole, solide, intense.

Quando mai nella sofferenza, ci si perde in aggettivi e barocchismi?

E' da sempre il linguaggio del dolore. Altro che tecnica. Ridurla a questo è non comprenderla a fondo.....è giocare col dolore, e chi lo fa sarà punito con l'oblio.

L'ermetismo esiste anche in pittura. Lo vediamo quando la tavolozza si semplifica, quando un colore e le sue sfumature la fa da padrone. Il periodo blu di Picasso. Si soffre. Si intinge poco nel colore, che son le parole dell'immagine.....

Non leggo e vado a letto. Ma chi me lo fa fare!!!! la coerenza non è roba mia e particolarmente di giovedì. Ci vuol pazienza con gli artisti....

e non riesco a non pensare a quel genietto di Manganelli che scoprii solo e forse, per caso, mentre artisti come questi, come la gramigna, son dappertutto.

Sulla Mostra "Denaro e Bellezza" di Palazzo Strozzi

Per l'organizzazione di Palazzo Strozzi



Premetto che non è per nulla carino che io sia costretto ad inviare una lettera ad un Palazzo e non ad una persona. Sul depliant Fucsia al nome: “Palazzo Strozzi e la città” vi sono due e mail: Palazzo Strozzi.org e prenotazioni@ eccetera.



È principio elementare che, nel rapporto con i mass media e con gli utenti, “mettere una faccia”, un referente ben definito e che risulti anche se ovviamente in modo indiretto, il ricevente di informazioni di varia natura, sia necessario. Lo fa Giovanni Rana e voi lo capirete alle calende greche?



Esempio elementarissimo: la visibilità massmediatica di quelle religioni che fanno riferimento ad un capo ben preciso (ad esempio il papa....) sono le più gestibili dai media. Si noti la presenza evanescente, discontinua ecc di Ortodossi, ebrei e anche musulmani e questo accade proprio per una mancanza di un punto focale.



Ebbene. Io mi devo rivolgere borgesianamente alle pietre di un palazzo? E sia....





Veniamo ora alla mostra DENARO E BELLEZZA.



Non mi è difficile immaginare che nessun dirigente abbia schiodato il sedere dal velluto della poltrona per fare un giretto nella mostra, per verificarne la effettiva fruibilità.



Alcuni difettucci verranno ora elencati....:



1) Le luci son messe male. Per vedere alcune opere si fa troppa fatica.

  1. I vetri posti dinnanzi ad alcune opere riflettono.
  2. La medaglia che riguarda la “Congiura dei Pazzi” è completamente “invisibile”. Se mi avvicino con la testa essa proietta la mia misera ombra sull'oggetto che vorrei vedere.....
  3. In un certo quadro di autore non italiano, la persona che conta i soldi ha un curioso copricapo che lo identifica come ebreo. Erano d'obbligo in certe zone cappelli “cornuti” per rendere identificabile e con abominio, i giudei al diavolo. Provate un poco a cercarli nel “giudizio” di Michelangelo e vedrete che, come accade spesso, non è il volto giudaico ad essere segnale, ma la caratteristica d'abito.
  4. In un altro quadro il mercante consegna una lettera alla morte. Molta gente friggeva dalla voglia di sapere cosa c'era scritto. Si vedeva che si trattava di parole leggibili ma l'ostacolo della distanza e, forse dell'idioma, rendeva l'operazione impossibile.
  5. I cartelli che danno qualche spiegazione sono messi in modo infelicissimo. Quando si va a fare un “collaudo” ad una mostra non bisogna porsi come il capo con una corte al seguito, ma si deve creare rigorosamente la situazione alla quale dovrà sottostare giocoforza il visitatore. Ebbene, queste scritte, che sono spesso anche decenti ma non sempre, vanno a finire troppo spesso in ombra causa l'ovvia presenza di altri utenti, oppure occultati direttamente dai corpi. La fruizione si fa quindi lenta e frammentaria. La soluzione da voi adottata è quindi completamente sbagliata. Se poi tenete conto che quello “sveglio” che ha messo le luci ha certamente pensato a rendere ben illuminati “secondo lui” gli oggetti e le opere, allora vi renderete conto che esiste anche un problema di illuminazione indiretta. Si tenga poi conto che non sempre l'utente gode di una vista perfetta e metterlo in imbarazzo costringendolo (l'ho constatato varie volte in un'unica visita) a “lasciar perdere” la lettura.
  6. Siete ben sicuri che chi visita la mostra diventi consapevole di quale problema fosse per quell'epoca, l'usura?
  7. E la differenza fra usura e mercatura? Se volevate rivolgervi a chi già sa allora avete fatto centro.
  8. Domandina: perché è nato il purgatorio? Non è che Pietro il Mangiatore da Parigi ne avesse teorizzato l'esistenza per dare un'ancora di salvezza a chi praticava l'Usura e la mercatura (ma non è che queste due parole dal punto di vista del problema morale nel mondo cristiano si equivalessero? Ora. La nascita del purgatorio portò ad altra mercatura. Si comperavano indulgenze per scontare anni di pene a scadenza. Questo argomento non si somma al dono di opere alle strutture religiose? Come mai voi elargite l'equazione arte/remissione di peccati e “dimenticate” un argomento così importante? Bastavano due opere, due Aldilà, una con e una senza purgatorio.......
  9. l'idea che il ricco commissionasse opere per redimersi è vera, ma non è quindi l'unica. Ci sarebbe, oltre alla già citata questione delle indulgenze, anche la fede che per chi oggi non crede, non viene mai considerata seriamente. È ben possibile che certi personaggi si sentissero a posto con la coscienza e donavano ugualmente. Non è quindi un'equazione esatta, ma una delle tante quella che voi proponete e che sembra decidere nel rinascimento il rapporto fra il denaro e la redenzione attraverso le opere (cosa falsa).
  10. E poi, quali opere? Chi esce dalla mostra deduce che il ricco commissionasse polittici, trittici, cappelle, affreschi, statue eccetera. E invece sapete quali erano gli “oggetti” più costosi e quindi più rappresentativi e vistosi? I paramenti degli officianti, d'altare (di solito in filo d'oro eccetera) e quelle cosine che “apparecchiavano” la mensa sacra.
    È scorretto quindi e l'esito si fa fuorviante se se ne dimentica l'importanza.
  11. A Bruges c'è una scultura di un certo Buonarroti. Se non ricordo male la committenza coinvolse il banco Medici. Parlarne pareva brutto? Immagino che non l'avrebbero prestata, ma citare e mettere una copia?
  12. Il fondo Datini di Prato è visitabile anche dalle scolaresche. Dirlo è importante, e dare riferimenti è d'obbligo. Così si coinvolgono gli utenti. Consigliare la visita del Monastero di san Marco se si desidera approfondire la vicenda del Savonarola ecc. Quel che ne nasce è una catena che lega le varie fonti turistico culturali di una città. Se ognuno fa per sé si perde una fettina di clienti........ (scusate se lo ripeto, ma è roba elementare....come si fa a non capirlo ed è evidente perché chiunque comprende che il “gioco” dei rimandi rende)
  13. Le visite guidate. Sono una pestilenza per chi vuol vedere la mostra in pace. Non è il caso di studiare il problema? Il fatto che a voi rendano non vuol dire che così organizzate esse siano il massimo dell'efficienza. Il visitatore singolo ne esce notevolmente penalizzato. (Ci sono varie ipotesi sperimentabili).
  14. Esistono testi storico divulgativi che meritano di essere esposti al book shop in queste situazioni. Ad esempio, la Mondadori ha pubblicato un volumetto nella collana Storia intitolato “La congiura dei Pazzi”. Sarebbe carino proporre un tour notturno, dopocena per esempio mostrando alcuni luoghi che in quell'occasione furono teatro di fughe, rifugio eccetera. Anche in questo caso si tratta di un problema di rimandi....
  15. Cartelli esplicativi fissi anche in altre lingue straniere! Metterli con la bandiera dello stato a colori ben visibile così l'utente ci si indirizza con facilità...... Anche se si mettono solo in inglese e italiano, non si deve costringere sempre a scoprire quale è il nostro.
  16. Non è eccessivo dichiarare che il significato delle opere di Botticelli sia da imputare proprio a lui? Mi risulta che gli artisti venissero guidati da esperti e spesso da committenti. La composizione anche spesso non era di loro mano......



Direi che basti. Vi invito a meditare con onestà su questi punti. Alcuni sono di secondaria importanza ma altri, ad esempio, luci, cartelli descrittivi assenza della storia del purgatorio, sono gravi.




Ora l'esposizione “DECLINING DEMOCRACY”



lo spazio espositivo “troppo caldo”. Ci deve essere un problema di regolazione della temperatura o dell'umidità.....l'ho riscontrato in varie persone.



Al fruitore viene offerto un foglio da compilare. È facoltativo ma è fatto malissimo.



Si legge che ..”la compilazione è anonima e sarà utilizzata per acquisire spunti di miglioramento delle mostre e dei servizi offerti”.

Sbagliato. Abbiate il coraggio di chiederlo nominale e di ringraziare ed eventualmente dichiarare che i consigli più preziosi verranno premiati con ingressi gratis o libri donati.



In generale nessuno crede che l'anonimato sia tutelato. Si pensa che siano chiacchiere. È vero che in questo caso lo è con ogni evidenza ma si tenga conto della percezione generale e si valuti se cercare l'individualità di chi consiglia e poi premiarla non sia più appagante e non invogli di più. In un certo senso si sentirebbero collaboratori anche se in infinitesimo (ma non è sempre detto) nell'ottimizzazione di un'operazione che viene percepita prima come culturale che come commerciale, e quindi diventa un onore e un vanto l'esser stati segnalati.



Altro problemino. Quel foglio da compilare puzza lontano un miglio di operazione di marketing. Si sa che è così, ma mascherare un pochettino? Non fare sentire chi compila come una persona che opera anche contro se stessa nel senso che una ottimizzazione organizzativa si sa benissimo che è concepita prima di tutto per aumentare il divario fra spesa e guadagno. Rispettare rigorosamente una statistica o un progetto del vostro tipo mostra un'evidente tendenza alla proiezione sulle esigenze attuali del vostro cliente tipo e invece, per essere migliori della concorrenza si dovrebbero intuire, anche tramite quei dati, le esigenze future.



Di fianco ad ogni domanda, se è possibile, mettere il perché ci interessa proporla. Questa è chiarezza. La domanda n.4: “Come è venuto a conoscenza della CCC Strozzina” è validissima ma anche se è chiaro l'intento è meglio dirlo! E poi, chiedere di mettere tre risposte! Ma vogliamo dare un po' di indipendenza al fruitore che già ci offre un servizio gratis compilando? È anche evidente che avete strutturato il testo per una lettura computerizzata. Questo limita troppo la possibilità di risposte personali. In più, i commenti messi in fondo e con sole quattro righe a disposizione sono stato messi nella posizione più triste che si potesse immaginare! STIMOLARE L'EGO E LA SODDISFAZIONE DEL COMPILATORE!!!!!! i commenti vanno in prima fila e devono avere molto spazio.



Veniamo alle domande strutturate da schifo: “Sono soddisfatto del tema affrontato nella mostra CCC Strozzina”. Ma come si fa a non essere soddisfatti di un “argomento” del genere! Ci vorrebbe un mostro, un guerrafondaio folle o un potenziale dittatore che non intende nemmeno salvare le apparenze per rispondere che “L'ARGOMENTO” non soddisfa! È eventualmente la mostra a non soddisfare, in questo caso. La strutturazione del test o sondaggio che in fondo è la medesima cosa mira per caso a forzare la positività dell'esito? È evidente. Poiché Bin Laden non verrà alla mostra, Gheddafi è morto e gli altri dittatorucoli di fatto o potenziali difficilmente verranno o ammetteranno le loro mire, diventa evidente che il voto sarà fra il 5 e il sette con una tendenza notevole verso quest'ultimo! L'equazione finale che valuterà nell'insieme le risposte, parte dunque da un vantaggio verso la positività che risulta scorretto. Cosa ve ne fate di un dato complessivo che promette di essere irreale?



Altra domanda. “L'educatore/educatrice ha soddisfatto le mie aspettative”.

Tragica formulazione. È risaputo che nessuno, e in particolar modo gli ignoranti, amano essere “educati”. Vocabolo pericoloso. I benpensanti son la feccia, ma son tanti e pagano anche loro il biglietto. Se poi per caso con quella domanda era vostra intenzione rivolgervi a comitive, insegnati con classi eccetera, allora forse era il caso di specificarlo.....



La domanda “ho apprezzato la mostra della CCC Strozzina”, a me sembra inutile. Non era meglio chiedere “se avete gradito la mostra, cosa in particolare avete apprezzato?”



E avere il coraggio di fare domande per l'esito negativo. Vale forse spesso di più chiedere a chi è rimasto scontento e per due motivi. Rispettando una lamentela (e lo si fa già con l'accoglierla), si rispetta e si attira il deluso. Se poi eventualmente si instaurasse un dialogo, anche solo con una risposta di ammissione o comunque di ringraziamento, ecco che si recupererà facilmente l'utente! Si sa che quello soddisfatto ritorna!



Ultima: “Ha mai partecipato alla -lecture- organizzate al CCC Strozzina?”

Primo. Non si tratta di partecipare, ma di ascoltare. L'unica istanza a attiva che l'utente (purtroppo) può offrire, sta nel muoversi da casa e venire....



Termine quindi sbagliato e disonesto. Si deve comunque pensare a renderlo valido. Su un numero di lecture già progettate perché non chiedere consiglio a chi partecipa, su due serate che sarà il pubblico a scegliere? Questo rende un minimo di senso al termine “partecipare” che è bellissimo.

Esempio. Avete presente quando un bottegaio che vende dei Rolex dice che “si tratta di un acquisto importante?” ebbene, quell'essere ci vuol dire che è costoso. Nulla di più. Il bello è che il ricevente di quella frase, lo sa benissimo e quindi l'uso non riesce a salvare le apparenze, ma ottiene l'effetto opposto, sottolinea che tu potresti essere nella ristretta cerchia di chi può, cosa che a me non interessa. E un orologio, anche un Rolex nella fattispecie non può essere ridotto a puro e semplice status symbol. Si da il caso che segni anche l'ora.......

Domandina.... l'uso improprio del termine “partecipare” è dovuto a incompetenza o a calcolata manipolazione alla scopo di blandire?



Il vostro uso del termine “Partecipare” sa quindi di borghesia con la erre (leggere evve) moscia, eccetera eccetere ed.....eccetera.



Direi che basti.

No.



Cosa penso della mostra della Strozzina (nome orribile....).



Un atto solamente intellettuale non è arte.



Quella di conseguenza rappresenta semplicemente un pensiero che ha il dono dell'elementarità e della condivisione. Anche gli spettatori della de Filippi pensano che la democracy is un po' declining. Anche io posso dire che è una disgrazia che tanta gente muoia di fame, che ci sia la guerra, che Babbo Natale non esiste e che Totti è un mito. Sarebbe il caso di andare oltre l'ovvio, il banale, quindi selezionare con meno intelligenza e più sensibilità gli artisti, se l'arte è il vostro scopo, e si ricordi che un mito è per esempio Prometeo e Totti gioca semplicemente bene al pallone.



Firmato.... il nipotino di Savonarola.