mercoledì 12 febbraio 2020

I GABBIANI DELLE 17 (racconto)

Il mio primo datore di lavoro fu Remigio. Meglio dire compagno ... di lavoro, poiché era grosso, gentile e talmente accomodante e sereno che stavo meglio con lui che a casa. Me l'ero trovato da solo quell'impegno estivo. Facevo la prima superiore, non amavo ancora in modo così totalizzante la letteratura e desideravo fare qualcosa che mi portasse qualche soldino in tasca. Remigio gestiva un bar vicino al molo, non ricordo più quale nome avesse allora e non so se quello attuale sia il medesimo. Mi ricordo che entrai, molto intimidito. Erano presenti vari signori, alcuni assai distinti, e aspettai con la scusa di un caffè, che all'età di quindici anni proprio non mi piaceva ma faceva adulto quindi dovevo resistere ... e dunque aspettai, e quando capitò il momento in cui rimanemmo soli, azzardai la richiesta. Un leggero sorriso e poi mi disse "vieni qui, vieni dietro al banco. Io non sono così alto. Grosso si ma alto no!" Vidi così che la parte dietro al bancone era rialzata e mi fece sorridere. Non ero Pinocchio con Barbablu ora, ma un ragazzetto di fronte ad un gigante buono e che ci teneva a farlo capire. Stetti dietro al bancone un'oretta. Mi spiegò alcune cose poi mi disse "vai a casa, dì che hai trovato lavoro e vieni domattina. Io apro alle cinque, ma tu vieni alle otto ... anche alle nove se non riesci ad alzarti presto!" Il giorno dopo ero li alle cinque e fu un gioco, quel lavoro, che durò una stagione. Mi ricordo che Remigio amava una certa birra, la Monchshof, e che se c'era la moglie non la toccava perché lo sgridava per via della pancia che era effettivamente grandiosa. Appena lei spariva, prendeva una di quelle birre. Erano 33 cc, poca roba per due bicchieri, ma mai beveva da solo. In un pomeriggio il rito poteva ripetersi anche cinque o sei volte. La birra non mi piaceva, quella parte laterale della lingua che apprezza l'amaro in me non era ancora attivata ma ci tenevo a sembrare uomo ...  arrivavo a casa brillo e divertito e riuscivo sempre ad non fare capire niente alla Grande Madre Terribile. 
Ma con Remigio il ricordo più bello è quello dei gabbiani. C'era un tipo molto elegante che aveva un tre alberi che sembrava un vascello d'altri tempi che si chiamava Bampuschka. Ricordo il nome perché per me quella barca era un oggetto che dal mito si era stabilito nella realtà. Mi ricordava Colombo e Drake che alla mia età non eran storia ma favole d'avventura. Avevo già conosciuto gente ricca, ma lui, il tipo elegante, fu il primo che conobbi, che non si curava di nasconderlo, ed era simpatico. Trattava me ragazzino da piccolo uomo. L'umorismo che aveva con gli altri, che erano adulti, non cambiava con me e mi invitò anche su quella barca per me magica.
Remigio e Gianni, che si faceva chiamare Jo solo da Remigio e me e in segreto, come a dire che solo con noi sarebbe stato se stesso, quasi ogni pomeriggio mi chiedevano "ci riesci da solo al banco per un attimo?" e senza attendere risposta, perché erano certi che ero in grado, si infilavano nella porticina di fianco alla Faema e attraversando il piccolo magazzino raggiungevano, attraverso una seconda porta assai sgangherata, uno spazio aperto nel quale troneggiavano una lavatrice scassata nella quale spesso dormiva un gatto, poi cassette piene di bottiglie vuote e delle reti da pesca. Portavano con loro le brioches rimaste dalla mattina e si sedevano su due cassette, sbriciolavano e lanciavano, e dal nulla, dal vasto cielo azzurro apparivano i gabbiani che docili come galline, mangiavano a sazietà. Avevo capito già da un pezzo che Remigio ordinava più brioches proprio per rendere legittimo quel momento che capivo e non capivo. Un uomo ricco e adulato quindi potente e un gigante buono che conosceva tutti ed era appagato, passando da due porte attraverso il mondo intermedio dello scalcinatissimo magazzino, entravano per una mezz'oretta, in una dimensione senza tempo. L'unica cosa mobile era il verso dei gabbiani che non sapevano tacere. Spesso li osservavo, se il lavoro me lo permetteva e li vedevo immobili, come allucinati, seduti sulle loro cassette anche quando le briciole erano terminate, e i gabbiani ora silenziosi e immobili, uno spesso sulla spalla di Remigio, fermavano il tempo. Un luogo irreale, più vero della vita. tutto immobile ... e tutto diventava eterno. Io furtivo tornavo al banco e appunto capivo e non capivo. 

Son passati quarant'anni. Il bar lo gestisce il figlio di Remigio che almeno nell'aspetto somiglia a suo padre ma ha meno pancia. Non entro mai quando ci passo davanti, perché ho timore di trovare tutto troppo diverso dal ricordo. 
Curiosamente oggi non ho il cane. Devo andare in banca, è troppo caldo e quindi non posso lasciarlo in macchina e, quando ho finito con gli impegni decido di passare da dietro, da quella stradina che stradina non è e da tutti è considerata una scorciatoia o un posto in cui si potrebbe parcheggiare la macchina. Lo spiazzo è ancora uguale. Erbacce, vecchie casse ... la lavatrice scassata non c'è più ma è il "luogo", lo sento. Mi sento pronto per essere trasportato in quel tempo ... ma non ho la brioche, mi dico. Vado in un bar li vicino, da Ivana, ne prendo tre e torno. Quel retro, da appunto su una stradina sgangherata nella quale non passa più nessuno, perché il ristorante di Filippo che sta di fronte, roba da fighetti, in cui mangiò anche il principe di Monaco, è tristemente chiuso e l'alternativa da percorre per pedoni e macchine, è più ridente, perché mostra le pescherie, i pescherecci e l'acqua del canale marino. Siedo su una cassa, il muro bianco e screpolato di fronte, il silenzio ... mi sento bene, tolgo una brioche dal sacchetto e la sbriciolo. Lancio ... e non accade nulla. Quasi mi assopisco e un'ala mi sfiora il viso ... davvero ... eccone uno, e poi un altro e commosso vedo tutto, tutta la vita, la mia, la tua, nell'eterno ritorno dei momenti belli, rarissimi ma inscalfibili, e finalmente comprendo Jo e Remigio, divintà bonarie della mia prima adolescenza ... li comprendo ora e li eterno, li premio della loro gentilezza verso il ragazzino che conobbero e rispettarono, con questa manciata di parole. Ora, come loro, calmati gli ardori, la fretta dell'esistere per avere, che non m'interessa più da un pezzo, sono uno di loro ... accolto dai gabbiani.

(Scritto di getto dalle 8:30 alle 9:30 del 12 febbrajo.
Forse è il caso di dire che è tutto vero? In un'epoca in cui le coincidenze sono considerate solo ... coincidenze, oppure come nel caso di Paul Auster, L'unica traccia, per lui sufficiente, del divino, meglio ricordare all'incredulo che esistono segni che toccano il cuore, esistono momenti in cui si può sospendere il tempo e andare oltre a tutto, oltre alla banalità del quotidiano ... )