Pensavo di procedere, dopo
aver detto qualcosa in proposito di “Volo di notte”, con “Terra
degli uomini”, che considero il testo più “legato”, come fonte
originaria, alla celebre favola, ma rileggendo quest'ultima mi son
reso conto che forse è il caso di svelare qualcosa proprio de “Il
piccolo principe”.
Partiamo da una domanda?
“E' facile scrivere favole?”
Provateci. È
difficilissimo! Forse la prova più difficile.
E infatti anche Saint
Exupery ha fallito. In fondo la sua è una favola per adulti ...
Io amo per esempio molto
le favole di Oscar Wilde ma … esiste un grande ma, a pochi noto.
All'inizio della sua carriera era più nota sua madre. Quando lo
presentavano dicevano “e' il figlio di Lady Jane” … Jane
Francesca Elgee, non fu una mammina ordinaria. Non si limitò a
nutrire, vestire e dare affetto al suo pargoletto. Lei gli consegnò
le antiche chiavi del simbolo nell'unico modo sensato nel quale
questo passaggio di consegne potesse realizzarsi. Mi spiego. Io posso
insegnare con la razionalità un simbolo, smontarlo minuziosamente
per far vedere ogni sua parte, ma quando vado a mettere di nuovo
insieme quei pezzi … nella mente che ho destinato a quel tipo di
insegnamento, oltre a un collage, rimane un metodo che, col simbolo
non ha nulla a che fare. Anzi, ne è la morte. Ho così creato quelle
basi che mettono in condizione l'allievo-figlio, di non essere mai
più in grado di accedere a quel linguaggio e al suo messaggio. Se
accade questo, e nel procedimento di educazione ed insegnamento
attuali è sistematico, se accade questo dicevo, solo un dolore
sconvolgente, enorme, o una gioia altrettanto destabilizzante,
possono rimettere in carreggiata la persona.
Vedete, non comprendere,
ma interiorizzare, il simbolo, è fondamentale per l'essere umano
particolarmente quando è cucciolo. Se sarà allevato alla sola
razionalità, sarà condannato ad angosce e nevrosi spaventose.
Impossibile per la razionalità spiegare la massima gioia, l'amore, e
il massimo dolore, la morte degli altri che rivela la nostra. Altre
gioie e dolori, che son di grado inferiore di solito come intensità,
non son certo vuote di valore simbolico e diventano comprensibili,
vivibili, solo in parte, nel loro essere oggetto concreto, ma
inspiegabili nella loro dimensione più grande. Ogni atto umano, ogni
movimento, cambiamento nella natura, non è indipendente, chiuso in
sé. Questo è evidente, ma la portata di questo semplice pensiero,
non appartiene alla sfera razionale, poiché ad essa non appartengono
i sentimenti. In un mondo nel quale si fa credere continuamente che
ricchezza e potenza siano il bene supremo perché permettono di
possedere tutto, la possibilità del “Possesso” con la P
maiuscola, inteso nel senso di comprensione profonda, non viene di
conseguenza offerta, ma ve ne è una grande richiesta. Un esito
pratico di questo vuoto di offerta lo si vede nei templi di qualsiasi
culto religioso, in occidente. Essi sono appannaggio di bambini
perché costretti, ma oltre loro, volontariamente, vi accedono gli
sconfitti e gli anziani e si sa che l'anzianità, per chi ha vissuto
solo potere e ricchezza, è la sconfitta suprema. Si cerca una
divinità o alla fine della vita o perché, appunto sconfitti, e ci
si riduce a chiederle una mano poiché da soli soldi e potere non
sono arrivati.
Non c'è voglia di
predicozzi in quel che ho scritto. La situazione è purtroppo questa.
Lady Jane Elgee sappia, ovunque attualmente abbia deciso di passare
la sua eternità, che in Italia la casa editrice Stampa Alternativa,
ha pubblicato le sue “Fiabe e leggende d'Irlanda” e spero che
qualcuno le legga come antipasto alle belle favole di Oscar. Veniva
presentato come figlio di Lady Jane e dopo qualche anno, la
situazione si invertì. Lady Jane veniva presentata come la “Madre
di Oscar Wilde”.
Veniamo ad una deduzione
facile: le fiabe d'Irlanda ... Quindi il nutrimento di Oscar fu nella
tradizione che era appena passata in quegli anni, dalla forma orale a
quella scritta. Il fenomeno fu notevole per tutto l'occidente. Non si
pensi solo ai fratelli Grimm. In Finlandia per esempio una persona
pellegrinò per tutta la sua terra e recuperò i canti tradizionali
lasciandoci i Kalevala e fondando, inconsapevolmente una letteratura.
Intervenne poi uno specialista, l'antropologo ed ecco che la
razionalità si impegnò a donarci i suoi cadaveri. Smontare,
scomporre, analizzare … insomma delle autopsie. Pochi hanno saputo
o voluto, andar oltre a questo livello. Ne cito uno stupendo: autore
de Angulo, titolo: “Racconti indiani” edito Adelphi. Ci troviamo
quindi una massa enorme di cadaveri di favole e fiabe e miti che
vanno ri-vivificati. E come si può fare? Narrando. Si deve leggere
il pezzo e narrarlo spesso. Accade così che, se non siamo troppo
contaminati dalla razionalità, che per me equivale a dire “duri di
testa” e senz'anima, il simbolo che stiamo masticando entra in
contatto con la materia celebrale più antica che, ridestata per
affinità, come le corde della viola d'amore, si metteranno a
cantare. E poi si va a nanna, e questo vale anche per gli adulti, e
potrebbe accadere che in qualche sogno riaffiori, finalmente, un
simbolo vero che è una guida per la vita.
Questo fece la madre di
Oscar Wilde. Allenò lo sgorgare spontaneo nella mente del figlio,
dei simboli veri, quelli che son talmente antichi da poter essere
considerati eterni e che, unici, ci rappresentano per intero. In essi
sta l'unica possibilità della sconfitta della morte, in essi sta
l'energia enorme che ci serve per identificare, prima in noi e poi,
fuori da noi, qualsiasi sentimento altrettanto inestinguibile, ma che
si fa minaccia, scoglio, fastidio, se non si hanno queste basi.
Ricordo una ragazza con lo
sguardo nel contempo triste e arrabbiato. Circa diciotto anni, quindi
in teoria non più una bambina. Riesce a spiegarmi che è combattuta.
Si rende conto di essere tranquilla solo quando un certo ragazzo è
presente, ma quando accade nel giro di poco lo odia perché vorrebbe
la sua indipendenza, uscire con le amiche. La sua vita attualmente è
una oscillazione fra questa esigenza che la infastidisce, e l'odio
che sempre da essa scaturisce. Quando le ho detto che forse si tratta
di amore, mi ha fatto notare che se il tanto decantato amore è
quello, allora è orribile. Non ho potuto non controbattere duramente
facendole notare che orribile era lei. Bella si, non c'erano dubbi,
ma orribile perché non sapeva andare oltre se stessa.
Immagino spesso un
racconto. Un ragazzo sui vent'anni che impazzisce letteralmente
perché scopre la morte. Non so se lo scriverò. Per ora lo penso, da
anni. Può essere il suo cane, o il nonno. Immagino comunque qualcosa
di naturale, a vent'anni. Sì, a quell'età e anche qualcosa di più,
perché attualmente è possibile che accada. Il cinema e tutto quel
che si vede nei mass media, potrebbero essere percepiti come “neo
realtà”, un'altra forma appunto di vita nella quale la vita è
ridotta nella quale ormai il limite fra gioco e verità si è perso.
Lo immagino benestante, con genitori che pensano che essere
protettivi consista nel salvare, e agiscono tenendo lontano il figlio
da tante esperienze e non rendendosi conto che dovrebbero invece
produrle ed eventualmente controllare tutte le esperienze il loro
decorso. Ne ho conosciuti di figli così. Di alcuni ho visto
l'esplosione. Son tanti i mali che possono scaturire dalla mancanza
di educazione a quell'eterno linguaggio dei simboli e pure
all'incontro di cosucce come amore e morte.
Cos'è un simbolo … un
contenitore che vuol dire qualcosa che linguaggio e immagini non son
addestrati a dire in modo diretto. Si chiama metafora se è espressa
in parole, simbolo se in immagini. Questa divisione è di una
stupidità esemplare. Ci basta ricordare che, se leggo, poi immagino.
Si tratta, in ambedue i casi, di produzione di immagini, ma
l'intellettuale ama complicare le cose. Posso aggiungere che non
siamo sempre stati così. Ci basta osservare il cane quando lo si
porta a passeggiare. Il suo mondo, a differenza del nostro, è una
intersezione equamente divisa percentualmente, di visivo, olfattivo e
uditivo. Noi ormai con naso e orecchi sentiamo solo puzze e rumori
forti, se ci confrontiamo a loro. Per noi la elaborazione è quasi
per un ottanta per cento, visiva e in un brano letterario come nel
cinema, pure l'odore viene immaginato. Provate a vedere la scena o
la foto di una discarica o di un letamaio e poi recatevi
personalmente su quei luoghi. La “botta” ricevuta dall'olfatto
quando li avrete concretamente davanti a voi, è una misura che
immagine e scrittura non possono descrivere. Si deve recuperare un
dato di memoria, un agire indiretto... insomma, siamo ormai quasi
esclusivamente visivi.
Cos'è un intellettuale
oggi? Quasi sempre una persona che conosce minuziosamente un
linguaggio tecnico. Possiede quindi un mezzo. Il fatto che quel mezzo
contenga pure un significato sembra non essere strettamente
necessario. Ho comunque detto quasi, poiché qualcuno che va oltre
esiste. Rari quanto gli artisti, quei pochi veri intellettuali, ci
mettono in contatto con i simboli per poter poi “amare” nel senso
più profondo del termine. E il vero amare non passa per la
comprensione, ma per una sintonia interna che potrebbe essere
chiamata “empatia”, ma rifuggo i paroloni, cerco di essere
semplice, quindi preferisco esprimermi in modo più comune.
Ed ora un altro esempio di
scomposizione intellettuale. La favola è una storia che ha fra i
protagonisti anche animali che parlano. La fiaba è una storia senza
animali parlanti. Il mito è … la medesima cosa. E … mi domando,
se parlassero dei fiori? E se parlasse una roccia? Insomma una
scemenza istituzionalizzata. Se fate un esame universitario vi
chiederanno la differenza fra favola, fiaba e mito, ma non il
significato Favola, con la F maiuscola, che tutte le contiene.
Deliziosamente stupido … almeno secondo me … proprio scemo.
Dimenticare quei vocaboli
e le loro “sottili” differenze. Questo è uno dei compiti che
deve fare chi cerca di avvicinarsi seriamente e umilmente
all'essenza. Via il ciarpame! Se è vero che si pensa solo su quel
che si ricorda, cosa può nascere dalla meditazione su
classificazioni sterili se non altra sterilità? Se a noi esseri
umani, per capire la vita, l'amore e non solo, servono immagini che
parlino il linguaggio dei simboli, di questo dobbiamo prenderne atto
e agire di conseguenza. Che le immagini provengano da una storia
fatta di parole o da un disegno, poco importa. Si approda alla fin
fine sempre all'immagine interiore ed essa ha alla sua origine una
nebbia di sensazioni che lega l'antichità estrema in noi sedimentata
e l'io dell'ultim'ora, dell'ultimo attimo.
Esistono due tipi di
simboli: quello spontaneo e quello intellettuale.
Posso decidere che una
colonna spezzata rappresenti una vita spezzata. Questo simbolo
intellettuale funzionerà in una data epoca per una determinata
comunità, solo se sarà condiviso.
Il simbolo spontaneo
invece è qualcosa di presente in tutti noi e che ci permette di
capire non in modo razionale. Leggete o guardate qualcosa e accade
che sentiate una grande sintonia che non sapete spiegare. Questo
potrebbe essere un sintomo. Altre volte il suo esito si produce in
modo meno diretto ma in fondo più potente. Qualcosa nella vostra
vita vi turba, ma quel racconto, quell'immagine vi ha dato una chiave
che pian piano vi guida.
Veniamo ad un esempio.
Robina celebre; “il
sogno di Scipione di Raffaello”accoppiato alle sue “Tre grazie”.
Metterle insieme non è una mia scelta per complicarvi la vita.
Insieme erano e insieme le ri- metto ...
Se osservate il quadro
senza esser stati edotti sul suo significato, vi troverete spaesati.
Il motivo è quello che ho dichiarato prima. Ci son simboli
intellettuali, che sono caratteristici di un'epoca ben definita e di
una cultura che siamo in grado di localizzare. Senza la guida di un
intellettuale serio, siam tagliati fuori, prenderemo atto che è un
capolavoro sulla fiducia perché Raffaello non si discute, ma ci
arrenderemo facilmente. È come se fossimo a tavola con persone che
parlano varie lingue. Noi giustamente ci rapporteremo solo con coloro
che per noi sono comprensibili.
Fermiamoci ora ad
osservare il quadro. Un soldato dorme utilizzando lo scudo come
cuscino. E' appoggiato ad un albero. Ha di fianco due donne. Quella
di sinistra ha un libro e una spada, quella di destra ha un fiore.
Gli oggetti vengono porti al dormiente. Ci vien ovvio pensare che
essendo spada e libro dalla medesima parte, qualcosa di affine devono
averlo, ma cosa?
Il nostro canone visivo
attuale per mostrarci un sogno utilizza un cambiamento di colore (per
esempio bianco e nero su scene a colori della quotidianità) o di
musica (suono in generale) o di tonalità di voce (questo accade di
più nel teatro). Nel fumetto per esempio si creerebbe una nuvoletta
che partendo dalla testa del soldato mostrerebbe le due donne che
porgono i loro oggetti. Nel canone rappresentativo dell'epoca, per
una ristretta cerchia, quel che ha fatto Raffaello era inteso come
sogno. Anche all'epoca sua comunque, non si era certo in grado di
comprendere che si trattava di Scipione. Si capiva che l'armatura era
romana, ma era necessario il titolo per definire l'individualità del
personaggio. Sappiamo così che si tratta di un eroe che ancor
giovane, quindi prima delle sue gesta, sta sognando. Non sta sognando
certo il suo futuro. Egli, che è strumento degli dei, riceve un
messaggio che è fondamentale per realizzare quel destino per il
quale è stato creato.
Ora andiamo per tentativi.
La spada= deve essere forte. Il libro= deve essere preparato. E il
fiore? Questo ci rimane inesplicabile. Deve essere gentile? Guardiamo
le due donne. Una ha abiti scuri e una chiari. Quella in abiti scuri
ha i capelli coperti, tipo lavandaia, e le maniche tirate su.
L'altra, quella chiara, è indubbiamente più elegante, le maniche
sono srotolate e i capelli non coperti e belli. Potrei dedurre che
quella scura, parla di doveri e l'altra di un piacere.
Esaminiamo lo sfondo. La
donna in abiti scuri, quella del dovere, ha dietro un castello che è
scuretto. Più o meno a metà del tronco dell'albero, sulla sinistra,
c'è qualche casa. Ci sono anche nell'immediata destra, e queste
ultime sono più chiare. Guardiamo ora a destra dell'albero. Una
valle, un paesaggio più luminoso dell'altro che si perde in
profondità. Se ci venisse la tentazione di collegare le donne al
loro sfondo ecco che il castello sembra ottenibile con il libro e la
spada, mentre col fiore … mah, due case, una vallata illuminata.
Che si tratti della serenità?
È evidente che ci si può
avvicinare a un senso, ma si hanno dei dubbi e con le cose poco
chiare la mente razionale non va d'accordo.
Premetto che invece
qualcosa a livello simbolico non intellettuale accade e lo spiegherò
fra poco.
Passiamo alle “Tre
Grazie”. Paesaggio sereno e collinare, tre tipe, nude, una di
schiena che ha un pendaglio e i capelli raccolti, quella di destra
pure nuda e con una collana che sembra di corallo. Quella di
sinistra, velata ai fianchi, ma in un modo talmente leggero che nulla
è lasciato alla fantasia. Questo quadretto ci sembra solo una danza
o una chiacchierata fra tre donne che forse sono serene. Lo sfondo
sembra quello della ragazza col fiore dell'altro quadro. Una
relazione con l'altro quadretto risulta quasi impossibile. Possiamo
dedurre che ci son tre figure per quadro, che ben cinque son donne e
l'uomo è uno solo. Le donne son tutte sveglie, anche gli oggetti che
vengono porti a Scipione sono pure tre, ma oltre questo la vedo dura
…
Offro ora un dato
puramente intellettuale dell'epoca riferendomi al “Sogno di
Scipione”: l'alberino è un alloro. L'argomento è quindi la
gloria. Smascheriamo il significato dei tre oggetti. Spada = forza,
libro = intelligenza, e fin qui possiamo dire che ci ci siamo
orientati decentemente, e il fiore = sensibilità.
Se interpelliamo Platone,
cosa che Raffaello fece, abbiamo libro = mente, spada=coraggio e
diciamo che anche questa volta possiamo considerare di “averci
preso”, e il fiore diventa la sensualità.
Siamo davanti ai tre
attributi che, se sommati, determinano una vita valida. Le “Tre
Grazie” rappresentano quei tre attributi in armonia …
Penso sia chiaro ora, cosa
sia un simbolo intellettuale. Noi di un'altra epoca, ne siam tagliati
fuori. Poco conta l'appartenere alla medesima “zona”. Possiamo
ben dire che noi, la nostra cultura, nella sua evoluzione (o
involuzione …) da quella via, da quei simboli intellettuali è
passata, ma il tempo è sufficiente per renderlo duro da digerire. In
un quadro attuale cosa mettereste per rappresentare quella triadi di
significato? Forza-coraggio probabilmente sarebbe affidata ad una
pistola, e mente-intelligenza … io personalmente per l'oggi non so;
il libro penso che sembri a tutti in via di superamento e comunque
non più adatto.
Ragioniamo: l'intelligenza
trent'anni fa era rappresentata da due categorie d'uomini: lo
scienziato (e sempre lo stesso, Einstein), e il giocatore di scacchi;
ma come rappresentarli? Non so cosa abbiate pensato voi, ma trovo che
rappresentare i doni della mente oggi non sia facile. Metterci un
tablet che da accesso a tutte le informazioni? Forse, ma credo che a
nessuno basti un oggetto che può offrire anche la via alla banalità.
Il libro rappresentato da Raffaello era, all'epoca e fino al secondo
dopoguerra, sensato poiché era con maggiore probabilità, fonte di
cultura. E ora veniamo a sensibilità-desiderio.
Io tutt'ora metterei un
fiore …
Pensateci. È grandioso.
Stiamo scoprendo qualcosa …
Il fiore …
E ora mi incammino
nell'inconscio.
Partiamo da Edoardo Weiss,
forse il miglior allievo italiano di Freud (Trieste se non erro, sto
andando a memoria). Nel suo libro (“Psicanalisi”) trascrive il
sogno di una paziente, esattamente un doppio sogno, ma a noi
interessa solo una briciola della prima parte. Un uomo suona alla
porta. La donna apre, lui le offre tre fiori rossi, lei li accetta.
Weiss ci dirà poi che accettare quei fiori equivale ad accettare il
rapporto con colui che li ha offerti. Sembra che anche il fatto che
siano tre e rossi, sia ricorrente non nella medesima persona, ma
nella mente degli esseri umani. Prendo la lente e osservo nel quadro.
Un rametto con cinque fiorellini bianchi.
Rimane comunque l'atto
fondante del dare il fiore. Io ho fatto caso che di solito, nelle
rare volte che è la donna a sognare di offrirsi, si tratta o di un
fiore o di un mazzo; comunque di qualcosa che ha valore di unità.
Quel che comunque nel
quadro accade è che un simbolo è ancora attuale dopo circa
cinquecento anni, mentre uno, la spada, necessita di un corso di
aggiornamento e l'altro, il libro, non sappiamo più bene come
rimpiazzarlo.
Veniamo ora al motivo che
ha fatto mettere a Raffaello spada e libro dalla medesima parte. Essi
rappresentano doti dello spirito che richiedono studio ed esercizio.
Il fiore rappresenta qualcosa che appartiene al corpo. La
sensualità-desiderio non richiede istruzione, ma controllo. Ecco
perché son separate. Due entrano nell'uomo e sono l'istruzione e la
destrezza. Una dall'uomo esce … ed è la più temuta. Ma quel fiore
rappresenta un arco immenso di possibilità, che va dal sesso puro
all'amore! Ricordiamoci che questa considerazione è attuale. Un
tempo l'amore era una specie di malattia che rendeva l'uomo ridicolo.
In “Sopra lo amore” di Ficino, si legge che le donne dovevano
camminare per strada a capo chino perché si riteneva che dai loro
occhi uscisse un qualcosa che poteva provocare la malattia d'amore in
un uomo (il cosiddetto ancor oggi “malocchio”), in un altro passo
del medesimo libro ci racconta che se una donna osservasse lungamente
un pezzo di vetro, su di esso si depositerebbero delle goccioline
(sangue se non ricordo male). Questo dimostrerebbe che dallo sguardo
della donna qualcosa parte. Ci basti pensare a come era considerata
la capacità di vedere in quei tempi. Si pensava che un raggio
partisse dall'occhio, si depositasse sull'oggetto e poi tornasse
portando con sé l'immagine. L'occhio insomma era un qualcosa di un
po' diverso da quel che è per noi oggi.
Attualmente, la nostra
concezione del sesso e dell'amore è decisamente cambiata.
Diciamo che è cambiato il
modo di maturare una morale in essi. Si nasce in una cultura che
offre valori di tutti i tipi che oscillano da un estremo all'altro.
Le due vie per avere dei principi entro i quali autogestirci
consistono nell'accettare senza discuterle le regole di un gruppo,
(cosa che giudico orribile perché equivale a rinunciare a pensare),
oppure lasciarsi andare alle esperienze e trarre da queste le debite
conclusioni. La seconda si tratta insomma di una possibilità di
vivere sessualità e amore ammettendo che dobbiamo scoprire prima di
tutto noi stessi, i nostri gusti, le nostre esigenze e come essi
siano appagabili nel contesto nel quale ci è toccato in sorte
vivere.
Torniamo al “Sogno di
Scipione”. Si può comprendere ora perché i simboli della forza e
dell'intelligenza siano meno profondi? Certo. Essi son legati
all'evoluzione della tecnica (spada o pistola?) e del concetto
soggettivo di intelligenza. Guardate che l'intelligenza attualmente è
subdola e ridicola. Si fanno dei test e ti danno un numerino che più
è alto più sei un fenomeno. Ma chi va meglio è veramente più
intelligente o è semplicemente una scimmia da test? Ovvero un essere
più addestrato per farli? Intelligenza e forza son poi valori civili
e che la civiltà plasma a suo uso e consumo. L'erotismo, poiché,
diciamocelo liberamente, a questo si riduce il fiore, nello ieri più
antico e anche nell'oggi, l'erotismo dicevo, la società tenta di
addomesticarlo ma sistematicamente non ci riesce. Si pensi a Roma e
Venezia che nel cinquecento avevano una popolazione composta dal
dieci per cento da prostitute! Erano gli uomini a viaggiare e le
mogli stavano a casa e in quelle due città la concentrazione
maschile era oltre il resto sempre elevatissima e con un continuo
ricambio perché soldati e mercanti, solo per citare le due categorie
più folte, non stavano mai molto nel medesimo posto.
Ne “Il sogno di
Scipione”, la ragazza che offre il Fiore è bella e con le chiome
scoperte. E' desiderabile. Oggi si rappresenterebbe forse un tipo di
donna diverso, poiché il gusto carnale è anche frutto di una
abitudine civile, ma sempre col fiore.
Qualcosa quindi davanti a
quel quadro ci ha comunque coinvolti perché è nostro. Visivamente
se la figura femminile ci pare desiderabile, siamo distolti dal
fiore. Se lei è sobria, non troppo urlante per i sensi, prevale il
gesto e questa sobrietà era valida anche allora. Era così nel '500
ed è così oggi.
Un altro aspetto del
quadro ci colpisce, sempre inconsciamente. Le tre figure compongono i
tre lati di un quadrato. Questa figura statica, robusta, basata
sull'uguaglianza dei lati, prende forma in una sensazione di
equilibrio che ha come esito il rendere gradevole l'osservazione del
quadro anche se enigmatico. Anche le Tre Grazie tendono al quadrato,
un quadrato che, mi si permetta la fantasia, è stato lievemente
gonfiato e ci fa “sentire” che se continuo a gonfiarlo diventa
una sfera. Torniamo al “Sogno di Scipione” e constatiamo che
anche qui i la ti in effetti sono, per così dire, morbidi. Questa
tendenza pone esattamente la struttura delle due opere fra quadrato e
sfera, rimarcando così la sensazione di equilibrio. Il capolavoro in
questo senso è “La Trinità” di Andrej Rublev. Si noti come le
tre figure, che son Padre Figlio e Spirito Santo e insieme sono Dio,
creano una massa unica sferica. Sfera ed equilibrio, totalità, si
appartengono e non si tratta di un valore indotto dalla cultura. È
in noi e non accetta discussioni.
Ora che abbiamo scovato
simboli intellettuali e spontanei utilizzando Raffaello come cavia,
veniamo alla favola di Saint Exupery.
Una favola può essere
disegnata, recitata, cantata. Tutto è possibile, ma per essere
considerata tale ha bisogno che in essa siano presenti un certo tipo
di simboli, quelli spontanei. Hanno un bel dividere le categorie e
inventarne di nuove. Che sia fiaba, favola o mito, il principio è
sempre il medesimo.
Il Piccolo Principe,
giunge sulla terra. Gli ha detto il Geografo che li c'è tanta gente,
ma lui non ha trovato nessuno. Pensa di avere sbagliato pianeta
quando “Un anello colore della luna si mosse nella sabbia” e con
lui ha un dialogo. L'animale, un serpente, domanda: “Ma cosa sei
venuto a fare qui?” e il Piccolo Principe risponde: “ho avuto
delle difficoltà con un fiore”. …
Eccolo, il medesimo fiore
di Raffaello ...
Nel capitolo precedente il
geografo gli chiede di descrivere il suo pianeta. Fra le cose
enumerate il Piccolo Principe dice: “ Ho anche un fiore”.
“Noi non annotiamo i
fiori”, disse il geografo.
“perché? Sono la cosa
più bella.”
“I fiori sono effimeri.”
“Che cosa vuol dire
effimero?”
disse il geografo, “
Quelli di geografia sono i libri più preziosi fra tutti i libri, non
passano mai di moda. È molto raro che una montagna cambi di posto, è
molto raro che un oceano si prosciughi. Noi descriviamo delle cose
eterne.”
“Ma i vulcani eterni si
possono risvegliare”, interruppe il Piccolo Principe. “Che cosa
vuol dire effimero?”.
“Che i vulcani siano
spenti o in azione è lo stesso per noi”, disse il geografo,
“Quello che importa per noi è il monte, lui non cambia”.
“Ma che cosa vuol dire
effimero?” ripetè il Piccolo Principe che in vita sua non aveva
mai rinunciato a una domanda una volta che l'aveva fatta.
“Vuol dire che è
minacciato di scomparire in un tempo breve”.
“Il mio fiore è
destinato a scomparire presto?”
“Certamente”.
Il mio fiore è effimero,
si disse il Piccolo Principe, e non ha che quattro spine per
difendersi dal mondo! E io l'ho lasciato solo!”
Nel capitolo XX,
passeggiando, si trova in un giardino pieno di fiori. Scopre che sono
identici al suo e dialoga con loro, (e chissà come chiamerebbe un
intellettuale una favola dove parlano i fiori …). Sono rose e qui
scopre la delusione di non possedere in quel fiore qualcosa di unico.
Ora, è evidente che il
fiore rappresenta qualcos'altro. Per esprimerlo ci vuole un simbolo.
E a Saint Exupery, il fiore, lo sento, è sgorgato da dentro, da quel
luogo sacro che immagino posto fra la mente e il cuore.
Il geografo con la sua
mentalità, dimostra di voler possedere non la totalità di un
oggetto, ma solo alcuni aspetti.
L'effimero è potente. È
su tutto quel che vive e che quindi morirà, ovviamente secondo la
cultura occidentale. Con quella parola la morte entra in gioco. E
quali parole mettereste per spiegare la rosa rossa? (il colore è
rivelato dai disegni dell'autore). Io metterei: ragazza amata e
anima. Ragazza amata perché c'è quell'aspetto protettivo che il
Piccolo Principe scopre essere essenziale verso qualcosa di effimero.
E anche per il successivo incontro del capitolo XXI con la volpe.
Essa gli fa comprendere come si esce dalla delusione della non
unicità del suo fiore. L'unicità è nella relazione. Bellissimo.
Deduco la presenza di un
amore perché quando scopriamo che tutti hanno un'anima, decidere di
amare la propria poiché è l'unica con la quale si ha abitudine, mi
pare forzato. Il procedimento che, lo ripeto, considero nella sua
semplicità bellissimo, riassume, simbolizza, una relazione della
quale si sta diventando consapevoli.
Perché l'anima. Perché
essa è la dimensione parallela e individuale di quell'amore.
Teniamo conto che al
capitolo XVII noi deduciamo il finale della favola. Il Piccolo
Principe morirà. È evidente e quella consapevolezza ce la portiamo
dietro fino alla fine. Non indago il simbolo del serpente, troppo
facile, ma porto un passo magistrale del suo dialogo:
Il Piccolo Principe lo
guardò a lungo.
“sei un buffo animale”,
gli disse alla fine.
“Sottile come un
dito!...”
“Ma sono più potente
del dito di un re”,
disse il serpente.
Il Piccolo Principe
sorrise:
“Non mi sembri molto
potente... non hai neppure le zampe... e non puoi neppure
camminare...”
“Posso trasportarti più
lontano che un bastimento”, disse il serpente.
Si arrotolò attorno alla
caviglia del Piccolo Principe come un braccialetto d'oro:
“Colui che tocco, lo
restituisco alla terra da dove è venuto. Ma tu sei puro e vieni da
una stella...”
Il Piccolo Principe non
rispose.
“Mi fai pena, tu così
debole, su questa terra di granito. Potrò aiutarti un giorno se
rimpiangerai troppo il tuo pianeta. Posso...”
“Oh! Ho capito
benissimo” disse il Piccolo Principe, “Ma perché parli sempre
per enigmi?”
“Li risolvo tutti”,
disse il serpente.
E rimasero in silenzio.
Questo è un dialogo con
un oracolo per poter tornare a se stessi. Il pianeta al quale tornare
è un modo indiretto per riferirsi al fiore. Questa per me è la
pagina capolavoro. In essa c'è tutto. La seduzione antica del
serpente, il suo ripetere per la seconda volta la forma circolare
sommata al colore dell'oro, alla solarità. Non è il caso che mi
dilunghi troppo a parlare dell'Uroboros, questo noto simbolo del
serpente che si “mangia” la coda.
Il serpente prendendo
quella forma dichiara di essere il padrone del tempo e di conseguenza
di essere in grado di creare un ricongiungimento. Questo simbolo è
bivalente, sia intellettuale che profondo. Ciò accade perché somma
la circolarità e la solarità, che appartengono all'io più antico,
col dato intellettuale temporale che corrisponde al dare la forma
tonda col serpente. La cultura orientale usa per esempio, invece, il
TAO. In questo sento l'anima. Qui, in questo dialogo, Saint Exupery,
parla a se stesso. Il fiore, che rappresentava fino a quel momento un
amore vero in crescendo, esplode in anima, diventa la massima
espansione della vita.
E ora lo sdoppiamento.
L'aviatore che incontra il Piccolo Principe è l'autore che incontra
la sua anima assetata d'infinito. Dice il serpente: “tu sei puro”,
e questo non si dice di un essere umano, ma della sua anima si.
Ma occorre una
precisazione. Per noi sono puri solo i bambini …
E ora veniamo alla vita
dell'autore. Nacque alla fine di giugno del 1900. Visse un periodo di
purezza? Si. L'infanzia e anche l'adolescenza. Fu la prima grande
guerra a “rompere tutto”. La madre andò a fare l'infermiera in
un ospedale e lui fu mandato in collegio. Si aggiunga la morte del
fratello nel 1917 che rende quell'idillio definitivamente
irreversibile …
Osserviamo ora i disegni
dell'autore. In alcuni di essi sembra che il Piccolo Principe sia un
bambino, in altri, un adolescente. È evidente che è presente, nella
sua vita, una nostalgia di quell'idillio che fu l'età con la
famiglia. Quell'atmosfera è creata nella favola. Essa è lo scopo
che spinge a scriverla. Ma quell'idillio finì con la partenza della
madre, il collegio e la morte del fratello. Quindi anche nella
favola, l'atmosfera ricreata, rivissuta con nostalgia e angoscia,
deve terminare. Ma quel terminare della favola, a differenza della
realtà dell'esistenza che toccò a Saint Exupery, è di fatto un
ritorno e la rosa si fa madre, la prima donna amata da ogni uomo.
Penso anche che, come
accade nel primo capitolo di “Lolita” di Nabokov, la visione
femminile che ha guidato nella mente lo sviluppo della favola, fosse
un'adolescente. Quel primo amore che gli eventi non gli permisero di
vivere fino in fondo e che ogni tanto ritrovava sul volto, nelle
movenze, nel dialogo di qualcuna. Lui, ormai adulto nel corpo e poi
maturo, rimase fermo, bloccato a quella prima fanciulla.
E volare … volare era
uno staccarsi dalla terra in tutti i sensi. Il meraviglioso del
cielo, era un attimo di tregua da quella vita nella quale era stato
gettato con troppa violenza psichica, dalla prima grande guerra.
L'immagine che mi viene è di un ragazzino al primo amore, che si
accinge a recidere il cordone ombelicale, ma la mano dei tempi,
possente, lo tira e il cordone si strappa, lasciando una ferita che
sanguinerà anima per sempre. Il passaggio dalla madre alla ragazza
amata non si attua. Si rimane in bilico fra due mondi, disorientati,
e solo sull'aereo, mentre si vola, solo in quel momento, con i
parametri sotto controllo e isolati da terra, ci si può lasciare
andare.
E poi l'aereo è anche una
macchina dello spazio. Non può certo ricondurre a quel passato, ma
accedere a mondi distanti, rasenti l'irrealtà e forse irreali,
questo può farlo e lo vedremo nel capitolo “Oasi” del volume
“Terra degli Uomini”, nel quale la figura femminile originaria,
quella per la quale si stava autorecidendo il cordone ombelicale, si
mostra in tutta la sua purezza.
Veniamo poi ad un altro
punto di collegamento fra “Terra degli Uomini” e “Il Piccolo
Principe”. Si tratta di una immagine, che troverete nel prossimo
post dedicato a quel libro.
Nella mia interpretazione
della favola, ho cercato di far “toccare” con l'anima, dei
simboli spontanei autentici. Nel prossimo post, vedremo di nuovo il
simbolo della forza, ma in forma di progresso collettivo che “usa”
il singolo, cosa peraltro già presente in “Volo di notte”, e
l'esatta situazione che ha dato origine alla sua celebre favola.
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