In casa i libri che
preferisco sono in un angolino. Israel Joshua Singer è presente con
“Yoshe Kalb” e parlarne è facile e difficile nel contempo, come
è sempre facile e difficile
parlare di ciò che si ama.
Israel Joshua Singer |
Ci sono
persone che chiamano “amore” tutti i bambini coi quali si
relazionano anche solo per qualche secondo, che chiamano “amici”
i semplici conoscenti eccetera. Io cerco di dare un valore preciso
alle parole. Spero così che il mio dire ad una persona che è un
amico, ad una donna che la amo, di un libro o un quadro o un brano
musicale, insomma di un prodotto artistico, che lo amo, sia più
chiaro e sensato. Per ottenere un significato potente con quel verbo,
“amare”, è necessario essere precisi, avere le idee chiare,
condividerne i contenuti. Ci son donne che mi piacciono ... e quella
che amo, e se non c'è ora ci sarà, oppure, definitivamente, c'è
stata. Non esiste tragedia maggiore di non aver mai amato.
Fortunatamente non è il caso mio …
Ci son tanti, tantissimi
conoscenti, per esempio, ma di amici pochissimi.
E definire in cosa
consiste questo amare, o questa amicizia, spiegare quella condizione
che rende lecito e necessario dire “ti amo” o “sei un amico”,
è per me impossibile. Ci si deve rassegnare a questo. Se capita, in
amore, di dubitare che si tratti semplicemente di un'eccessiva
“spinta” dei sensi, è sufficiente osservare, dopo il coito,
colei che prima si credeva di amare. Se il sentimento resta identico
anche in quella spossatezza e la mano, senza chiederci il permesso,
vola verso una carezza … allora amiamo.
E spesso amare è una
doppia rassegnazione, poiché include una responsabilità che va per
la prima volta oltre noi stessi, ed è una rassegnazione anche perché
i sensi prendono una direzione, eleggono un soggetto e non riescono a
staccarsene. E … per queste due rassegnazioni l'unica cura è il
tempo che renderà consapevoli.
Il desiderio si modella
non sul pensiero del desiderio, ma sull'esperienza che di esso
facciamo.
La responsabilità, questa
dilatazione oltre l'io, diviene, sempre col tempo, con la pratica,
una soddisfazione, pane per l'ego, consapevolezza di un io che si
espande, e solo con linnesco dell'espansione consapevole dell'io si
può iniziare a percorrere quella via che porta ad un senso di
eternità … e anche più lontano.
Ebbene. Amo “Joshe Kalb”
di Israel Joshua Singer e considero quel libro un amico. E, coerente
con quel che ho appena scritto e non so spiegare di più. Posso
supporre, immaginare e dire tante cose, ma mai si tratterà di un
significato compiuto, totale.
Israel era il maggiore di
una famiglia ebrea, chassidica da parte di padre. Non proprio la
solita famigliola, perché il fratello Isaac (nato nel 1904), si
diede anche lui alla letteratura, ci vinse pure il Nobel, mi sembra
nel 1996 e anche un suo libro mi attende nell'angolo delle cose che
amo. Esiste poi una sorella, Hinde Ester (1891); anche lei scrisse,
ma per ora non ho letto nulla. Esistette poi il fratello Moyshe del
quale non so niente e due fratellini che se ne andarono in tenera età
per scarlattina.
Iniziamo per ordine: erano
ebrei …
Cos'è per me l'ebraismo.
Cerco di spiegarmi con qualche ricordo.
Sono a New York. La città
si spopola regolarmente nei fine settimana e io spesso, rimango per
visitare i musei che saranno senza folla. Arrivo al Museo di Scienze
Naturali e quando entro nella grande hall che al centro mostra due
enormi dinosauri, rimango incantato. Diceva Picasso che ci vogliono
anni per riuscire a tornare bambini. A me ci vuole poco, da sempre,
ma in quella situazione dopo aver ammirato con la logica di un
bambino quegli antichi giganti, mi son reso conto che intorno a me
c'erano solo persone in bianco e nero. Osservo meglio e vedo uomini
in camicia bianca, gilet e pantaloni neri, barbona, cappello sempre
nero a tesa discretamente larga e i cernecchi. Per chi questi ultimi,
i cernecchi appunto, li ha sentiti nominare e non li avesse mai
visti, osservi il bambino della foto qui sotto, alla cerimonia del
Bar Mitzvah.
Questa cerimonia, che
rappresenta il passaggio nell'età adulta, della responsabilità
personale (dodici anni e un giorno per le femmine, tredici e un
giorno per i maschi), la si può vedere nel film “A serious man“
(2009) dei fratelli Cohen.
I cernecchi, per
intenderci, sono i peli delle basette che vengono lasciati crescere a
volte di pochi centimetri, spesso molto di più. Se ad una prima
occhiata della foto vi è sembrato che dal cappello di pelo del
ragazzo partissero due specie di lacci per legarlo sotto il mendo …
ebbene, si osservi meglio ...
Torniamo al Museo. Vedo
dei bambini vestiti con l'attenzione che la loro religione richiede e
che non sembra proprio metterli a disagio. Sorridono coi padri,
dialogano. Spesso il più piccolo è in braccio. Le effusioni non
mancano e si notano più che altrove perché negli USA in generale,
non piace mostrarsi teneri mai.
La mia attenzione va al
museo. Mi incanto per esempio nella sala dei tronchi pietrificati, ma
con la coda dell'occhio osservo sempre, questi padri coi figli. E non
penso che sono ebrei anche se “salta all'occhio”. Penso che sono
sereni e che quei bambini, una volta grandi, saranno più capaci di
me, di molti di voi che leggete, perché la loro partenza è stata
buona. Vedete, nei sentimenti si può anche fingere ma .... Gli
adulti che desiderano crederci a tutti i costi, troppo spesso “ci
cascano” e si illudono, anche perché chi elargisce finzione può
essere stato allevato in modo così subdolo da non essere in grado di
comprendere nemmeno lui, che sta recitando. Offrono un'immagine di se
stessi codificata da un'educazione esteriore e devono ancora sbattere
sontuosamente il naso per cogliere in se stessi la finzione. Provate
un poco a pensare a cosa vale il giudizio di una persona che non sa
di fingere, che non sa di essere sleale coi principi che ha dentro
che che deve imparare a fare suoi con l'esperienza! E, ricordatelo
che è sempre chi non conosce se stesso che giudica. Non c'entra la
tolleranza, che è pura finzione. Non giudica più chi scoprendo il
proprio mondo interiore, arriva a comprendere la vastità di
sfumature di un vero sentire. In Italia per esempio, terra di
educazione cristiana, e anche i laici, inconsapevoli, sono educati
all'ipocrisia del cristianesimo, se lo ricordino!, in Italia dicevo,
l'apparenza dell'educazione non tiene mai conto della chiamiamola
“naturalità”, bestialità positiva e soggettività del sentire,
dell'uomo. Ecco quindi molti esseri diurni e notturni che selezionano
solo in base alla diurnità …
E poi i Bambini!
particolarmente quando non sono ancora sessualmente sviluppati! E gli
adolescenti, nei quali tutte le sensazioni sono eccesso e necessità
impellente! Nei quali il bambino detta ancora le regole negli
affetti, mentre la sensualità adulta offusca … Loro non li freghi.
Se il tuo affetto non è vero, lo sentono. Il bambino cerca di
sedurti per innescarti ad un sentimento vero, perché ha bisogno,
profondamente di quello che non gli stai dando ... poi si fa
adolescente, ama e odia con furore e alla fine, ti caccia, tenendo di
te solo il succo del portafoglio.
Ecco cosa pensavo mentre
guardavo quei bambini e quei padri. Io che mi ritrovo bambino con una
facilità che mi sconcerta ma anche mi diverte, comprendo che li è
tutto vero. Ed ecco uno dei motivi che rendono gli ebrei migliori di
molti di noi.
É facile contestare che
la regola non è generale, ma da loro, son solo le eccezioni quelle
che assomigliano a noi. Si perdoni alla Nemirovsky, grande scrittrice
ucraina, di origini ebraiche la durezza del suo ricordo personale che
si fa letteratura per esempio in “David Golder” e in “Jezabel”.
Le elite si assomigliano, ovunque e sempre, poiché hanno una
religione comune che non nomino per pudore, e la la loro
caratteristica consiste nell'aver smarrito il senso della realtà …
Ma se in una New York
dialoghi con uno di quegli uomini barbuti in bianco e nero, quasi mai
riceverai banalità. Anche a Venezia, nel ghetto, dialogai con
stupore come quasi mai mi riesce con un gentile, e con questo
vocabolo, che ritroverete anche nel libro, si intendono i cristiani.
In senso generale invece, i non ebrei son chiamati, sempre nel libro,
pagani.
Veniamo all'altra
immagine, questa volta mentale che spero vi trasmetta la sensazione
quasi tattile di una differenza enorme. Se la scena del Museo di
Scienze Naturali aveva a che fare con il rapporto fra padri e figli
(madri assenti e figlie anche, questo non mi piace molto, ma per
quegli ebrei ortodossi sembra la norma) e quindi esaltava una
dimensione affettiva della quale in occidente c'è una carenza che
rasenta la fame, si coglieva anche una tendenza alla cultura. Erano
in un museo … non da Mc Donald …
Ora prendiamo in mano il
primo volume della trilogia autobiografica di Elias Canetti, altro
Nobel, altro ebreo. Nacque a Ruse, in Bulgaria. Questa cittadina è
vicina alla foce del Danubio, al Mar Nero e al confine con la
Romania. Elias era un sefardita, ovvero di provenienza spagnola. Data
della migrazione, 1492. In casa parlavano lo spagnolo antico, nella
vita, il bulgaro, essendo in Bulgaria ..., e il romeno, poiché,
essendo terra di confine, veniva comodo. L'ebraico si studiava per
motivi religiosi e il tedesco perché si era sotto l'Impero
Austro-Ungarico. Non si dimentichi che nel regno di Francesco
Giuseppe, non esisteva periferia. Ruse, distava solo alcuni giorni di
navigazione da Vienna. Si noterà anche nel libro di Israel, che
alcuni personaggi pensano a Vienna come se fosse dietro l'angolo. Era
normale, per esempio ai primi del secolo, cercare un buon medico
nella capitale. Vienna non conteneva poi tutto; essa aveva anche una
controparte, un subcosciente, consapevole e ammesso, e si chiamava
Praga. Ecco come lo si spiega. Mozart, preparò il suo “Don
Giovanni”; l'imperatore disse che non si poteva rappresentare né a
corte e nemmeno nella sua capitale, un'opera nella quale un nobile
risultava così irrimediabilmente immorale! … la prima fu tenuta a
Praga … (potere degli esempi! Spesso valgono più di mille parole
…).
Torniamo a Canetti e
facciamo due conti: spagnolo antico, bulgaro, romeno, ebraico,
tedesco! … e jiddish. Sei lingue per vivere. Lo spagnolo in casa,
il bulgaro e il romeno, coi vicini, lo jiddish in generale con gli
ebrei orientali, il tedesco, con lo stato. Elias andò poi in Gran
Bretagna col padre … e via con l'inglese!
Guardiamoci intorno e
pensiamo a noi cristianucci o ex cristianucci … spesso sappiamo
l'italiano un po' alla buona, l'inglese giusto per usare un computer
e in riviera un po' di tedesco, sbagliato, per rimorchiare. Ricordo
una scena del film, “I Vitelloni”, nella quale un personaggio,
ancora nel locale da ballo, invita una tedesca ad andare in spiaggia.
É notte e le dice “Spazieren”? Quel che intendeva il galletto
romagnolo gli italiani lo comprendono ... tutti, peccato che il
vocabolo volesse dire qualcos'altro e ho verificato che realmente,
direttamente da ex vitelloni e donnaioli riminesi, non sapevano che
volesse dire “passeggiare”. Fellini stesso, non lo sapeva....
E' forse il caso di
domandarci cos'è una lingua? Si, perché attualmente è intesa quasi
solo come strumento. Siamo in un'epoca commercial-consumistica e
sembra che solo le sue logiche, che invece impoveriscono anche i
ricchi, abbiano un senso.
Una lingua è un mondo, un
pensiero, una logica. Una lingua è anche sapori e paesaggi. E ogni
ebreo ne è immensamente più ricco di noi. E poi le sensazioni per
la fantasia? Domandiamoci anche quale effetto profondo deve essere
per un ebreo, per un musulmano, sapere di riuscire ad utilizzare la
medesima lingua con la quale dio si degnò di comunicare con loro! La
sensazione che, se si parla a Dio con la sua lingua, la comunicazione
sia più certa … loro ce l'hanno ...
Queste son le prime due
ricchezze.
La terza è la più grande
e forse la più difficile da comprendere, ma comunque ci provo:
pronti? Vado:
Ogni religione prepara
l'uomo ad una visione del mondo. Tolomeo fu il culmine della logica
dedotta da una intersezione fra filosofia greca e cristianesimo.
Newton fece coppia con cristianesimo e alchimia. Einstein, punto di
arrivo di una filosofia di matrice ebraica iniziata nel cinquecento,
non poteva non approdare alla relatività, ed essa è inconcepibile
senza il Dio della Bibbia.
L'esempio è semplice,
talmente semplice che … se volete potete darmi del matto:
Il dio cristiano, che sia
di Tolomeo o di Newton, è in un punto fisso, ben definito e
localizzabile dello spazio. Se cercate sulle mappe celesti dove abita
troverete anche la via e il numero civico. Se ne deduce che aldiquà
e aldilà siano in luoghi definibili, e calcolabili e infatti il loro
mondo scientifico definisce il punto esatto di ogni particella con
una tale mania che si potrebbe pensare che ne sia l'unico scopo. Il
Dio degli ebrei invece, è ovunque e irraggiungibile. Provate a
leggere “Un messaggio per l'Imperatore” di Kafka, passate ora a
quelle parti de “Il castello” nelle quali il protagonista vede il
maniero ma non riesce a raggiungerlo e alla parabola “Davanti alla
legge” … Kafka e Einstein si conobbero, ma non discussero di
relatività. Erano ancora troppo giovani e ambedue tendenzialmente
socialisti, in modo molto ideale e insofferente. Ma … cos'è in
fondo il socialismo se non una visione del potere più “diffusa”
di quella amata dal cristianesimo che immaginava un fulcro, il papa,
e un dittatore (chiamatelo re o imperatore, sempre di dittatore si
tratta)? Quindi un potere definibile e localizzabile che faceva di
queste due caratteristiche la sua forza? La relatività nella
politica! Non più un essere definito e rintracciabile al quale
rivolgersi, ma una struttura vasta, che in ogni sua parte ha una
briciola di potere. Un potere che essendo ovunque si fa indefinibile,
non rintracciabile. Marx di che religione era …?
Noi possiamo girare solo
intorno a noi stessi, poi viene la nostra comunità e la scienza
riflette una visione del mondo che abbiamo già dentro. Di solito
accade che l'unica dimensione metafisica che ci appartiene, e che è
presente ormai in brandelli irriconoscibili nel cristianesimo,
diventi l'abito mentale della scienza. Un popolo senza metafisica è
un popolo senza scienza. Diviene eminentemente pratico, e
territorio della pratica è la tecnica … questo sta accadendo in
occidente.
Per questo il novecento fu
di marca ebraica. Perché la sua metafisica fu applicata alla
scienza. Non mi si dica che son chiacchiere perché quel che un
esperimento dimostra è indiscutibilmente vero … si pensi per
esempio a quegli esperimenti che cercano di trovare quel punto nel
quale la materia inerte, considerata non viva, diventa viva …
ebbene, per un indù che pensa che tutto ciò che esiste è vivo,
quell'esperimento si fa insensato, poiché la sua metafisica contiene
già quella risposta! Ecco quindi che una scienza indù cercherà
altre risposte o conferme della sua visione del mondo.
Provate ora ad immaginare
quel secolo, il ventesimo, senza la mentalità ebraica, che plasmò
scienza letteratura e politica, ...se ci riuscite! L'Italia stessa
se ne è resa conto con la dipartita di Rita Levi Montalcini e con
sorpresa ha scoperto, che altri due Nobel nacquero alla “scuola”
della quale fu allieva. Il “Maestro” si chiamava Giuseppe Levi,
gli altri due Nobel, Dulbecco e Luria. Si pensi poi che Giuseppe Levi
fu padre di Natalia Ginzburg ed ecco che una fetta non trascurabile
della storia d'Italia si perderebbe ...se fossimo antisemiti. E poi
penso a Carlo Levi, a Primo Levi, a Bassani e mi fermo per non
scadere nell'elenchismo, arte amata da chi non ha nulla da dire. E
Primo Levi era pure un chimico talmente stimato che tuttora
tantissimi professori di chimica godono della lettura di un certo suo
libro e lo utilizzano per insegnare. Scienza e letteratura a
braccetto. Magnifico.
Se avete deciso che sono
matto fermatevi qui, se invece vi ho incuriosito “sorbitevi”
anche le previsioni: la visione relativistica dell'ebraismo si è
concretizzata nel socialismo e nella teoria della relatività. Il
prossimo passo sarà legato alla teoria Indù. Già ne abbiamo avuto
un assaggio con Bose, quello studioso di origine indiana e
profondamente religioso che ha dato il suo nome ai bosoni e com'è
giusto che sia per chi è troppo in anticipo sui tempi, il Nobel non
lo ha vinto. Vedete, l'induismo è una religione così particolare da
potersi fare personale per ogni individuo, e il dio assume un numero
indefinito di forme. Un elenco di aggettivi non può far altro che
rendere appena comprensibile, alcune delle sue qualità e la sua
infinità è non rappresentabile alla mente umana ma percepibile. Per
dare un'idea delle basi completamente differenti che possono portare
di conseguenza a nuovi risultati nella scienza, si pensi a cosa
intendiamo noi col termine “infinito”. Io penso che nella mente
di un qualsiasi occidentale di renda visibile un piano con i lati che
si allontanano, oppure una figura tridimensionale, per esempio la
sfera che si dilata. L'infinito per noi è una dimensione non
misurabile di spazio. L'infinito nel tempo lo chiamiamo anche
eternità. Per loro, per gli Indù, rappresenta la perfezione,
rappresenta la percezione completa e intuitiva della divinità. Ma il
concetto di infinito della matematica, stampella d'oro della scienza
… può bastare al concetto indù? Direi di no.
In occidente la scienza si
è fatta troppo laica, ma chi la pratica è sempre più umano di lei,
e spesso, anzi, quasi sempre, è con un piede nella religione. Newton
poi aveva un piede nella religione, uno nell'alchimia e … e in
fondo nessuna scienza, e voleva spiegare evidenze ai sensi.
Mi han chiesto spesso
della Cina. Questa enormità geografica esplosa anche dal punto di
vista industriale da qualche annetto. Ebbene. Devono ritrovarsi. Sono
in pieno cambiamento. Troppo ricchi i ricchi, troppo poveri i
poveri. Così non va. Devono implodere e rifondarsi. Se accadesse su
presupposti precedenti a Mao, avrebbero delle possibilità e il
perché ve lo spiego brevemente: un carattere della calligrafia
cinese vuol dire contemporaneamente Sole, Luce e Verità. Abbiamo
presenti in un'unica lettura la dimensione sensibile, il sole, la
dimensione razionale, la luce, e la dimensione metafisica. Questa
capacità della lingua scritta cinese, è un capolavoro. Il problema
è se la si studia superficialmente. Se sole luce e verità son solo
vocaboli come telefono cane e supposta, che vi sfido a collegare
seriamente fra di loro, e che rappresentano solo se stessi e
tendenzialmente, considerando utilizzabile solo l'aspetto più
concreto che da essi si può spremere, beh, se quei vocaboli sono
solo concretezza, allora la cultura cinese è finita. Se invece
recupererà e rispetterà questa antica ma sempre attuale, visione
d'insieme, potrà dare molto alla … vita. Sole luce e verità.
Pensateci. Già così ordinate, senza aggiungere altro, avete
compreso che la luce che ne consegue non è solo quella del sole, o
di una torcia … che la verità non è solo quella dimensione
conforme alle leggi …
Bene... anzi male! Il
dottor divago, in questo post merito questo nome di romantico sapore
letterario! torna a Israel Joshua Singer.
Per analizzarlo son
partito da cosa vuol dire per me essere ebreo e son finito col
parlare di induismo e ideogrammi cinesi!
Penso di aver reso
comunque un'idea della vastità dell'azione del pensare ebraico
sull'umanità del ventesimo secolo.
Veniamo ad un altro
termine che definisce la figura e il mondo dal quale Israel proviene:
cosa vuol dire Chassidismo.
Non mi interessa darvi la
definizione. Troppo facile. E poi ormai è sufficiente digitarlo su
un qualsiasi motore di ricerca per sapere tutto e di più. Trovo
importantissimo ricordare solo un particolare: il fondatore, Ba'al
Shem Tov, nato verso la fine del seicento, in un territorio che
allora era polacco e ora è dell'Ukraina, amava dire che si doveva
amare Dio nella gioia …. noterete questa gioia diffusa nel film
“Train de vie” e anche nel libro “Le nove porte” di Langer.
Eccone comunque alcuni in
carne e ossa:
Rabbini della comunità di
Belz.
Sotto, festa del capodanno
ebraico.
anche il ragazzino
dell'altra foto è dei loro.... Esistono quindi ancora; sono pochi e
come potete verificare, se vi capitasse di incontrarne uno, non
sarebbe difficile riconoscerlo.
Quel che vi dico di loro è
più irrazionale delle informazioni di un wikipedia. Uno dei motivi
per i quali hitler mi risulta veramente intollerabile, è per il suo
tentativo quasi riuscito di estinguerli. Lui mirava agli ebrei in
generale, ma si scatenò particolarmente in Galizia (Ukraina e
Polonia), e proprio questi chassidim, devoti ai rabbini magici, così
allegri e gioiosi, hanno veramente rischiato la fine. Ripeto che
potete vederli nel film “Train de vie”, che potrebbe esservi
utile per “Immaginare” anche il mondo di “Joshe Kalb”.
A questo punto una
considerazione per me importantissima. Quando qualcuno mi chiede cosa
ne penso de “Il processo “ di Kafka, sempre rispondo con la
seguente domanda: “Ma hai letto Joshe Kalb?”. Ovviamente la
risposta è sempre negativa, poiché quegli asini degli “indocenti”
universitari ti propongono sempre libri troppo intellettuali. Io
consiglio invece questo, poi invito alla lettura del saggio di
Canetti sempre su “Il processo”. Ci sta anche la lettura del
libro di Giuliano Baioni, che fu un critico profondissimo e poi, di
Urzidill, “Trittico praghese” e “Le nove porte” di Jiri
Langer e, della Nemchovà, “La nonna”. Come potete constatare non
ho un odio cieco verso i critici, ma ragionato. Baioni e Canetti son
due di loro, ed eccellentissimi. A chi mi dicesse che Canetti fu
scrittore, rispondo che potrebbero dirlo anche Gramellini e Faletti,
ma come per il vocabolo amore, per il quale esprimo una certa
taccagneria nel donarlo, così sono spilorcio col termine scrittore.
Canetti sapeva raccontare e questo fu il suo dono, ma raccontare è
una cosina un po' diversa dall'essere scrittore, dimensione che non
può essere staccata dall'invenzione.
Non ci si meravigli se per
leggere Kafka ci si deve inoltrare prima in altri testi anche
letterari. Il problema nasce dal fatto che l'ebraismo dei primi del
novecento è quasi completamente sconosciuto.
Che la sua ricchezza sia
affascinante ve lo dimostra, come ho già accennato nel post dedicato
a Keith Jarrett, anche la musica Klezmer. Ne trovate di valida su
internet e un buon assaggio nella sfida fra ebrei e zingari nel già
citato “Train de vie”.
Il processo presente nel
libro di Israel Joshua Singer ha molte delle caratteristiche che
Kafka riutilizzerà nel suo celebre romanzo, celebre purtroppo perché
la sua apparente incomprensibilità che permette di fraintendere a
man bassa e costruirci sopra carriere memorabili … e il
collegamento non è da trovarsi nel fatto che uno ha letto il testo
dell'altro. Israel descriveva un mondo che conosceva bene, Kafka
incrocia un mondo che ha scoperto, con il presente occidentalizzato
che sta vivendo.
“Joshe Kalb” è tutto
un mondo rivelato. Un mondo quasi fiabesco ormai, nel quale, il
malocchio, il diavolo, una festa quasi medievale nella sua orgiastica
somma di eccessi, la minuziosa descrizione di un mondo non pulito e
chiuso in se stesso, con gioia e paure radicali e potenti, ci
affascina.
Sappiamo che il libro fu
pubblicato a puntate su una rivista ebraica e poi tradotto in
inglese. Sappiamo che fu, insieme a “Dybbuk” il più grande
successo del teatro jiddish, questo dialetto tedescheggiante che
spero, almeno a Belz, sia ancora vivo.
Veniamo ora alla scomparsa
di questo grande scrittore. Come ho già ricordato altrove, due son
le disgrazie che potevano colpire un artista nel novecento: la prima,
essere allineati con un'ideologia non vincente, e di questa faceva
parte per esempio Pavolini che era fascista. Merita anche di essere
ricordato il caso di Meyrink che, troppo amato dalla massoneria,
visione del mondo ancora presente ma minoritaria, si sommò con il
suo esclusivismo alla sua morte … avvenuta durante la seconda
guerra mondiale. Israel, morì purtroppo nel '44. abbiamo un altro
caso che è stato resuscitato di recente, Irene Nemirovskij, di
origine Ukraina, trasferitasi a Parigi per sfuggire alla rivoluzione
russa. Come Meyrink, fu un caso letterario notevole fra le due
guerre. A lei la ricomparsa di un manoscritto, “Suite francese”
ha donato una seconda vita con tutte le sue opere giustamente tornate
in luce. Meyrink, è fra gli autori più famosi della sua epoca ma,
essendo ancora ben viva la “corrente” che lo ama, e che credo
preferisca tenerlo nella penombra ed elargirlo solo agli eletti,
penso che la rinascita sia per ora impossibil. ...Io lo ebbi in
dono, come pregiato consiglio, dallo sceneggiatore, Pier Carpi. Ero
un ragazzo e non capii tante cose, ma mi stette vicino in un modo che
aveva molto del paterno. Di lui ho un buon ricordo e la nostra
amicizia non si avvelenò quando rifiutai la sua offerta di farmi
accedere alla … confraternita. Sono dell'idea che l'artista debba
essere completamente libero. Glielo dissi, e lo comprese.
E come arrivai a Israel
Joshua Singer? Assolutamente per caso. Nessuno ve lo consiglierà
mai, purtroppo. Ricordo una bancarella in un giorno di pioggia.
Prezzo cento lire, attualmente cinque centesimi. Mi colpirono nomi e
cognome indubbiamente ebraici e quest'ultimo appartenente anche ad un
Nobel che stimavo ... e il quadro di Chagall sulla copertina mi
convinse del tutto. Lo misi in tasca. Cento lire erano quasi il
nulla, potevo ben dire che, come usa, “provare non costa niente!”
E una volta rincasato, in compagnia di una tazza Wedgwood nera e il
mio tè preferito, mi accomodai in poltrona. Erano le cinque di sera.
All'alba lo avevo finito e continuavo a domandarmi perché, perché
nessuno me lo aveva mai consigliato! Passai al romanzo “I fratelli
Ashkenazi” e mi sentii infinitamente più ricco e migliore … del
me stesso di ieri.
Se non ho detto quasi
nulla del romanzo e della vicenda che narra, è perché son purtroppo
quasi certo che non lo conoscete e, ogni briciola rivelata in
anticipo, equivale a togliere un po' di magia alla sua scrittura.
Posso dirvi che non si
tratta solo di una storia sorprendente. Se già verso il settimo
capitolo siete certi di cosa accadrà, ricordatevi che possedete solo
una parte di quanto vi verrà rivelato ed è quanto lui vi ha
concesso di comprendere. Chi sa veramente scrivere, e Israel è fra
questi, non teme di scoprire le carte, poiché se il piacere di
leggere risiede solo nella trama allora possiamo essere certi che si
tratta di un libro banale! Saper scrivere è intelligenza che si
applica per ordinare una materia sgorgata da dentro. E Israel ha
svolto questo compito in modo esemplare.
Posso dirvi che la storia
è veramente accaduta. L'invenzione letteraria è tutta nella
accurata definizione dei caratteri che arriva a darci l'idea che, con
quel Rabbino e quei due ragazzi, così ben delineati, non poteva
accadere altro che quel che leggeremo.
Il finale invece è una
vera sorpresa. Il processo non è dei nostri, nei quali due
dinamiche, quella di accusa e difesa, si misurano sul libro della
giustizia. Esiste di più, esiste una vastità del tutto ebraica e
tipica di quella corrente assai mistica.
Accade poi che il
protagonista de “Il Castello” di Kafka e “Joshe Kalb”
diventino la medesima persona. E' una eternità che appartiene ad una
religione che fa dell'essere errante una dimensione singola narrata
ma condivisa in un profondo, fragile sentire ... disumano anche, e
noto col termine sradicamento, che per l'ebreo è uno spettro sempre
presente; un ebreo, un essere umanissimo, che continuamente cerca di
mettere radici, insomma di vivere. Se il problema di Joshe Kalb è
dentro la sua persona, quello di Josef K. de “Il Castello”, è
esterno, e è ciò che è fuori di lui, che resiste e non si
armonizza.
Due aspetti altrettanto
tragici, quell'internità ed esternità, che definiscono la
complessa immagine dell' “ebreo errante”.
Una considerazione
ironica: per noi un certo comandamento … “Non commettere atti
impuri”; risulta essere legato alla masturbazione maschile. Io, che
non sono Matusalemme, ricordo che il prete mi chiedeva “ti tocchi?
Stai attento che diventi cieco”. È vero che da un paio di anni
porto gli occhiali … solo un grado … forse vuol dire che non ho
esagerato con l'amore carnale per me stesso, ma comunque è accaduto
e sono stato punito? Mi consola pensare che tanta gente che conosco e
che all'apparenza, è stimabile, porta gli occhiali da vista e ha
problemi più grandi del mio... e anche le donne che forse il pretino
in confessionale ha dimenticato, ma il suo dio, che non è il mio, le
ha punite con la medesima severità! Ma … come poter condividere
una credenza che si riduce anche a queste banalità! … e so che
accade tuttora. Dopo un poco di ironia a buon mercato, veniamo al
punto. “Non commettere atti impuri” vuol dire dell'altro. Era
impuro un rito che non rispettava minuziosamente la procedura e si
pensava che gli effetti che si desiderava ottenesse, sarebbero stati
nulli e forse con qualche risvolto punitivo. È impuro un cibo che
non è preparato secondo le regole prescritte. Un cibo kosher, così
si dice, veniva valutato e promosso direttamente da un rabbino o un
esperto. Pura doveva essere anche la macellazione. Ci potrebbe venire
il legittimo dubbio, a questo punto, che la verginità femminile, la
purezza femminile, non consistesse semplicemente in quel che il
cristianesimo ci dice?
Spiego questo perché, nel
libro di Israel Joshua Singer, spesso si parla di puro e impuro ed è
giusto sapere che quel comandamento ha per la Bibbia un significato
più vasto di quello che propinano ai cristiani e che condizionava,
in quelle comunità, gesti quotidiani...
Di più non dico....
Buona lettura.
p.s.
a soli due giorni dalla la pubblicazione di questo post, mi vedo costretto ad una precisazione. Rispettare e stimare la cultura ebraica non ha nulla a che fare con Israele.
mi spiego. mi è stato fatto notare che gli ebrei avranno pure una cultura importante e non trascurabile ma Israele ... son due cose diverse. su Israele sono critico anch'io.
mi spiego con un esempio: coloro che mi pongono una domanda di questo tipo, si comportano come la persona che non ne vuole sapere di entrare in un certo ristorante perchè l'arredamento non è di suo gusto. potrebbe perdersi la miglior pasta e fagioli che sia stata cucinata dai tempi di Noè ... Si deve entrare in una cultura, per arricchirsi ed è ovvio che non ci piacerà tutto. Questo non accade nemmeno con la nostra; ma, come disse Martin Buber (ebreo anche lui, ma è un caso)... si ricordi che l'unico mistero della vita è l'altro ...
p.s.
a soli due giorni dalla la pubblicazione di questo post, mi vedo costretto ad una precisazione. Rispettare e stimare la cultura ebraica non ha nulla a che fare con Israele.
mi spiego. mi è stato fatto notare che gli ebrei avranno pure una cultura importante e non trascurabile ma Israele ... son due cose diverse. su Israele sono critico anch'io.
mi spiego con un esempio: coloro che mi pongono una domanda di questo tipo, si comportano come la persona che non ne vuole sapere di entrare in un certo ristorante perchè l'arredamento non è di suo gusto. potrebbe perdersi la miglior pasta e fagioli che sia stata cucinata dai tempi di Noè ... Si deve entrare in una cultura, per arricchirsi ed è ovvio che non ci piacerà tutto. Questo non accade nemmeno con la nostra; ma, come disse Martin Buber (ebreo anche lui, ma è un caso)... si ricordi che l'unico mistero della vita è l'altro ...
Nessun commento:
Posta un commento