domenica 20 gennaio 2013

Israel Joshua Singer: "Joshe Kalb"


In casa i libri che preferisco sono in un angolino. Israel Joshua Singer è presente con “Yoshe Kalb” e parlarne è facile e difficile nel contempo, come è sempre facile e difficile 
parlare di ciò che si ama.
 Israel Joshua Singer
Ci sono persone che chiamano “amore” tutti i bambini coi quali si relazionano anche solo per qualche secondo, che chiamano “amici” i semplici conoscenti eccetera. Io cerco di dare un valore preciso alle parole. Spero così che il mio dire ad una persona che è un amico, ad una donna che la amo, di un libro o un quadro o un brano musicale, insomma di un prodotto artistico, che lo amo, sia più chiaro e sensato. Per ottenere un significato potente con quel verbo, “amare”, è necessario essere precisi, avere le idee chiare, condividerne i contenuti. Ci son donne che mi piacciono ... e quella che amo, e se non c'è ora ci sarà, oppure, definitivamente, c'è stata. Non esiste tragedia maggiore di non aver mai amato. Fortunatamente non è il caso mio …
Ci son tanti, tantissimi conoscenti, per esempio, ma di amici pochissimi.
E definire in cosa consiste questo amare, o questa amicizia, spiegare quella condizione che rende lecito e necessario dire “ti amo” o “sei un amico”, è per me impossibile. Ci si deve rassegnare a questo. Se capita, in amore, di dubitare che si tratti semplicemente di un'eccessiva “spinta” dei sensi, è sufficiente osservare, dopo il coito, colei che prima si credeva di amare. Se il sentimento resta identico anche in quella spossatezza e la mano, senza chiederci il permesso, vola verso una carezza … allora amiamo.
E spesso amare è una doppia rassegnazione, poiché include una responsabilità che va per la prima volta oltre noi stessi, ed è una rassegnazione anche perché i sensi prendono una direzione, eleggono un soggetto e non riescono a staccarsene. E … per queste due rassegnazioni l'unica cura è il tempo che renderà consapevoli.

Il desiderio si modella non sul pensiero del desiderio, ma sull'esperienza che di esso facciamo.
La responsabilità, questa dilatazione oltre l'io, diviene, sempre col tempo, con la pratica, una soddisfazione, pane per l'ego, consapevolezza di un io che si espande, e solo con linnesco dell'espansione consapevole dell'io si può iniziare a percorrere quella via che porta ad un senso di eternità … e anche più lontano.

Ebbene. Amo “Joshe Kalb” di Israel Joshua Singer e considero quel libro un amico. E, coerente con quel che ho appena scritto e non so spiegare di più. Posso supporre, immaginare e dire tante cose, ma mai si tratterà di un significato compiuto, totale.

Israel era il maggiore di una famiglia ebrea, chassidica da parte di padre. Non proprio la solita famigliola, perché il fratello Isaac (nato nel 1904), si diede anche lui alla letteratura, ci vinse pure il Nobel, mi sembra nel 1996 e anche un suo libro mi attende nell'angolo delle cose che amo. Esiste poi una sorella, Hinde Ester (1891); anche lei scrisse, ma per ora non ho letto nulla. Esistette poi il fratello Moyshe del quale non so niente e due fratellini che se ne andarono in tenera età per scarlattina.

Iniziamo per ordine: erano ebrei …

Cos'è per me l'ebraismo. Cerco di spiegarmi con qualche ricordo.

Sono a New York. La città si spopola regolarmente nei fine settimana e io spesso, rimango per visitare i musei che saranno senza folla. Arrivo al Museo di Scienze Naturali e quando entro nella grande hall che al centro mostra due enormi dinosauri, rimango incantato. Diceva Picasso che ci vogliono anni per riuscire a tornare bambini. A me ci vuole poco, da sempre, ma in quella situazione dopo aver ammirato con la logica di un bambino quegli antichi giganti, mi son reso conto che intorno a me c'erano solo persone in bianco e nero. Osservo meglio e vedo uomini in camicia bianca, gilet e pantaloni neri, barbona, cappello sempre nero a tesa discretamente larga e i cernecchi. Per chi questi ultimi, i cernecchi appunto, li ha sentiti nominare e non li avesse mai visti, osservi il bambino della foto qui sotto, alla cerimonia del Bar Mitzvah.

Questa cerimonia, che rappresenta il passaggio nell'età adulta, della responsabilità personale (dodici anni e un giorno per le femmine, tredici e un giorno per i maschi), la si può vedere nel film “A serious man“ (2009) dei fratelli Cohen.
I cernecchi, per intenderci, sono i peli delle basette che vengono lasciati crescere a volte di pochi centimetri, spesso molto di più. Se ad una prima occhiata della foto vi è sembrato che dal cappello di pelo del ragazzo partissero due specie di lacci per legarlo sotto il mendo … ebbene, si osservi meglio ...
Torniamo al Museo. Vedo dei bambini vestiti con l'attenzione che la loro religione richiede e che non sembra proprio metterli a disagio. Sorridono coi padri, dialogano. Spesso il più piccolo è in braccio. Le effusioni non mancano e si notano più che altrove perché negli USA in generale, non piace mostrarsi teneri mai.
La mia attenzione va al museo. Mi incanto per esempio nella sala dei tronchi pietrificati, ma con la coda dell'occhio osservo sempre, questi padri coi figli. E non penso che sono ebrei anche se “salta all'occhio”. Penso che sono sereni e che quei bambini, una volta grandi, saranno più capaci di me, di molti di voi che leggete, perché la loro partenza è stata buona. Vedete, nei sentimenti si può anche fingere ma .... Gli adulti che desiderano crederci a tutti i costi, troppo spesso “ci cascano” e si illudono, anche perché chi elargisce finzione può essere stato allevato in modo così subdolo da non essere in grado di comprendere nemmeno lui, che sta recitando. Offrono un'immagine di se stessi codificata da un'educazione esteriore e devono ancora sbattere sontuosamente il naso per cogliere in se stessi la finzione. Provate un poco a pensare a cosa vale il giudizio di una persona che non sa di fingere, che non sa di essere sleale coi principi che ha dentro che che deve imparare a fare suoi con l'esperienza! E, ricordatelo che è sempre chi non conosce se stesso che giudica. Non c'entra la tolleranza, che è pura finzione. Non giudica più chi scoprendo il proprio mondo interiore, arriva a comprendere la vastità di sfumature di un vero sentire. In Italia per esempio, terra di educazione cristiana, e anche i laici, inconsapevoli, sono educati all'ipocrisia del cristianesimo, se lo ricordino!, in Italia dicevo, l'apparenza dell'educazione non tiene mai conto della chiamiamola “naturalità”, bestialità positiva e soggettività del sentire, dell'uomo. Ecco quindi molti esseri diurni e notturni che selezionano solo in base alla diurnità …

E poi i Bambini! particolarmente quando non sono ancora sessualmente sviluppati! E gli adolescenti, nei quali tutte le sensazioni sono eccesso e necessità impellente! Nei quali il bambino detta ancora le regole negli affetti, mentre la sensualità adulta offusca … Loro non li freghi. Se il tuo affetto non è vero, lo sentono. Il bambino cerca di sedurti per innescarti ad un sentimento vero, perché ha bisogno, profondamente di quello che non gli stai dando ... poi si fa adolescente, ama e odia con furore e alla fine, ti caccia, tenendo di te solo il succo del portafoglio.

Ecco cosa pensavo mentre guardavo quei bambini e quei padri. Io che mi ritrovo bambino con una facilità che mi sconcerta ma anche mi diverte, comprendo che li è tutto vero. Ed ecco uno dei motivi che rendono gli ebrei migliori di molti di noi.
É facile contestare che la regola non è generale, ma da loro, son solo le eccezioni quelle che assomigliano a noi. Si perdoni alla Nemirovsky, grande scrittrice ucraina, di origini ebraiche la durezza del suo ricordo personale che si fa letteratura per esempio in “David Golder” e in “Jezabel”. Le elite si assomigliano, ovunque e sempre, poiché hanno una religione comune che non nomino per pudore, e la la loro caratteristica consiste nell'aver smarrito il senso della realtà …
Ma se in una New York dialoghi con uno di quegli uomini barbuti in bianco e nero, quasi mai riceverai banalità. Anche a Venezia, nel ghetto, dialogai con stupore come quasi mai mi riesce con un gentile, e con questo vocabolo, che ritroverete anche nel libro, si intendono i cristiani. In senso generale invece, i non ebrei son chiamati, sempre nel libro, pagani.

Veniamo all'altra immagine, questa volta mentale che spero vi trasmetta la sensazione quasi tattile di una differenza enorme. Se la scena del Museo di Scienze Naturali aveva a che fare con il rapporto fra padri e figli (madri assenti e figlie anche, questo non mi piace molto, ma per quegli ebrei ortodossi sembra la norma) e quindi esaltava una dimensione affettiva della quale in occidente c'è una carenza che rasenta la fame, si coglieva anche una tendenza alla cultura. Erano in un museo … non da Mc Donald …
Ora prendiamo in mano il primo volume della trilogia autobiografica di Elias Canetti, altro Nobel, altro ebreo. Nacque a Ruse, in Bulgaria. Questa cittadina è vicina alla foce del Danubio, al Mar Nero e al confine con la Romania. Elias era un sefardita, ovvero di provenienza spagnola. Data della migrazione, 1492. In casa parlavano lo spagnolo antico, nella vita, il bulgaro, essendo in Bulgaria ..., e il romeno, poiché, essendo terra di confine, veniva comodo. L'ebraico si studiava per motivi religiosi e il tedesco perché si era sotto l'Impero Austro-Ungarico. Non si dimentichi che nel regno di Francesco Giuseppe, non esisteva periferia. Ruse, distava solo alcuni giorni di navigazione da Vienna. Si noterà anche nel libro di Israel, che alcuni personaggi pensano a Vienna come se fosse dietro l'angolo. Era normale, per esempio ai primi del secolo, cercare un buon medico nella capitale. Vienna non conteneva poi tutto; essa aveva anche una controparte, un subcosciente, consapevole e ammesso, e si chiamava Praga. Ecco come lo si spiega. Mozart, preparò il suo “Don Giovanni”; l'imperatore disse che non si poteva rappresentare né a corte e nemmeno nella sua capitale, un'opera nella quale un nobile risultava così irrimediabilmente immorale! … la prima fu tenuta a Praga … (potere degli esempi! Spesso valgono più di mille parole …).
Torniamo a Canetti e facciamo due conti: spagnolo antico, bulgaro, romeno, ebraico, tedesco! … e jiddish. Sei lingue per vivere. Lo spagnolo in casa, il bulgaro e il romeno, coi vicini, lo jiddish in generale con gli ebrei orientali, il tedesco, con lo stato. Elias andò poi in Gran Bretagna col padre … e via con l'inglese!
Guardiamoci intorno e pensiamo a noi cristianucci o ex cristianucci … spesso sappiamo l'italiano un po' alla buona, l'inglese giusto per usare un computer e in riviera un po' di tedesco, sbagliato, per rimorchiare. Ricordo una scena del film, “I Vitelloni”, nella quale un personaggio, ancora nel locale da ballo, invita una tedesca ad andare in spiaggia. É notte e le dice “Spazieren”? Quel che intendeva il galletto romagnolo gli italiani lo comprendono ... tutti, peccato che il vocabolo volesse dire qualcos'altro e ho verificato che realmente, direttamente da ex vitelloni e donnaioli riminesi, non sapevano che volesse dire “passeggiare”. Fellini stesso, non lo sapeva....
E' forse il caso di domandarci cos'è una lingua? Si, perché attualmente è intesa quasi solo come strumento. Siamo in un'epoca commercial-consumistica e sembra che solo le sue logiche, che invece impoveriscono anche i ricchi, abbiano un senso.
Una lingua è un mondo, un pensiero, una logica. Una lingua è anche sapori e paesaggi. E ogni ebreo ne è immensamente più ricco di noi. E poi le sensazioni per la fantasia? Domandiamoci anche quale effetto profondo deve essere per un ebreo, per un musulmano, sapere di riuscire ad utilizzare la medesima lingua con la quale dio si degnò di comunicare con loro! La sensazione che, se si parla a Dio con la sua lingua, la comunicazione sia più certa … loro ce l'hanno ...

Queste son le prime due ricchezze.
La terza è la più grande e forse la più difficile da comprendere, ma comunque ci provo: pronti? Vado:
Ogni religione prepara l'uomo ad una visione del mondo. Tolomeo fu il culmine della logica dedotta da una intersezione fra filosofia greca e cristianesimo. Newton fece coppia con cristianesimo e alchimia. Einstein, punto di arrivo di una filosofia di matrice ebraica iniziata nel cinquecento, non poteva non approdare alla relatività, ed essa è inconcepibile senza il Dio della Bibbia.
L'esempio è semplice, talmente semplice che … se volete potete darmi del matto:
Il dio cristiano, che sia di Tolomeo o di Newton, è in un punto fisso, ben definito e localizzabile dello spazio. Se cercate sulle mappe celesti dove abita troverete anche la via e il numero civico. Se ne deduce che aldiquà e aldilà siano in luoghi definibili, e calcolabili e infatti il loro mondo scientifico definisce il punto esatto di ogni particella con una tale mania che si potrebbe pensare che ne sia l'unico scopo. Il Dio degli ebrei invece, è ovunque e irraggiungibile. Provate a leggere “Un messaggio per l'Imperatore” di Kafka, passate ora a quelle parti de “Il castello” nelle quali il protagonista vede il maniero ma non riesce a raggiungerlo e alla parabola “Davanti alla legge” … Kafka e Einstein si conobbero, ma non discussero di relatività. Erano ancora troppo giovani e ambedue tendenzialmente socialisti, in modo molto ideale e insofferente. Ma … cos'è in fondo il socialismo se non una visione del potere più “diffusa” di quella amata dal cristianesimo che immaginava un fulcro, il papa, e un dittatore (chiamatelo re o imperatore, sempre di dittatore si tratta)? Quindi un potere definibile e localizzabile che faceva di queste due caratteristiche la sua forza? La relatività nella politica! Non più un essere definito e rintracciabile al quale rivolgersi, ma una struttura vasta, che in ogni sua parte ha una briciola di potere. Un potere che essendo ovunque si fa indefinibile, non rintracciabile. Marx di che religione era …?

Noi possiamo girare solo intorno a noi stessi, poi viene la nostra comunità e la scienza riflette una visione del mondo che abbiamo già dentro. Di solito accade che l'unica dimensione metafisica che ci appartiene, e che è presente ormai in brandelli irriconoscibili nel cristianesimo, diventi l'abito mentale della scienza. Un popolo senza metafisica è un popolo senza scienza. Diviene eminentemente pratico, e territorio della pratica è la tecnica … questo sta accadendo in occidente.
Per questo il novecento fu di marca ebraica. Perché la sua metafisica fu applicata alla scienza. Non mi si dica che son chiacchiere perché quel che un esperimento dimostra è indiscutibilmente vero … si pensi per esempio a quegli esperimenti che cercano di trovare quel punto nel quale la materia inerte, considerata non viva, diventa viva … ebbene, per un indù che pensa che tutto ciò che esiste è vivo, quell'esperimento si fa insensato, poiché la sua metafisica contiene già quella risposta! Ecco quindi che una scienza indù cercherà altre risposte o conferme della sua visione del mondo.
Provate ora ad immaginare quel secolo, il ventesimo, senza la mentalità ebraica, che plasmò scienza letteratura e politica, ...se ci riuscite! L'Italia stessa se ne è resa conto con la dipartita di Rita Levi Montalcini e con sorpresa ha scoperto, che altri due Nobel nacquero alla “scuola” della quale fu allieva. Il “Maestro” si chiamava Giuseppe Levi, gli altri due Nobel, Dulbecco e Luria. Si pensi poi che Giuseppe Levi fu padre di Natalia Ginzburg ed ecco che una fetta non trascurabile della storia d'Italia si perderebbe ...se fossimo antisemiti. E poi penso a Carlo Levi, a Primo Levi, a Bassani e mi fermo per non scadere nell'elenchismo, arte amata da chi non ha nulla da dire. E Primo Levi era pure un chimico talmente stimato che tuttora tantissimi professori di chimica godono della lettura di un certo suo libro e lo utilizzano per insegnare. Scienza e letteratura a braccetto. Magnifico.

Se avete deciso che sono matto fermatevi qui, se invece vi ho incuriosito “sorbitevi” anche le previsioni: la visione relativistica dell'ebraismo si è concretizzata nel socialismo e nella teoria della relatività. Il prossimo passo sarà legato alla teoria Indù. Già ne abbiamo avuto un assaggio con Bose, quello studioso di origine indiana e profondamente religioso che ha dato il suo nome ai bosoni e com'è giusto che sia per chi è troppo in anticipo sui tempi, il Nobel non lo ha vinto. Vedete, l'induismo è una religione così particolare da potersi fare personale per ogni individuo, e il dio assume un numero indefinito di forme. Un elenco di aggettivi non può far altro che rendere appena comprensibile, alcune delle sue qualità e la sua infinità è non rappresentabile alla mente umana ma percepibile. Per dare un'idea delle basi completamente differenti che possono portare di conseguenza a nuovi risultati nella scienza, si pensi a cosa intendiamo noi col termine “infinito”. Io penso che nella mente di un qualsiasi occidentale di renda visibile un piano con i lati che si allontanano, oppure una figura tridimensionale, per esempio la sfera che si dilata. L'infinito per noi è una dimensione non misurabile di spazio. L'infinito nel tempo lo chiamiamo anche eternità. Per loro, per gli Indù, rappresenta la perfezione, rappresenta la percezione completa e intuitiva della divinità. Ma il concetto di infinito della matematica, stampella d'oro della scienza … può bastare al concetto indù? Direi di no.
In occidente la scienza si è fatta troppo laica, ma chi la pratica è sempre più umano di lei, e spesso, anzi, quasi sempre, è con un piede nella religione. Newton poi aveva un piede nella religione, uno nell'alchimia e … e in fondo nessuna scienza, e voleva spiegare evidenze ai sensi.
Mi han chiesto spesso della Cina. Questa enormità geografica esplosa anche dal punto di vista industriale da qualche annetto. Ebbene. Devono ritrovarsi. Sono in pieno cambiamento. Troppo ricchi i ricchi, troppo poveri i poveri. Così non va. Devono implodere e rifondarsi. Se accadesse su presupposti precedenti a Mao, avrebbero delle possibilità e il perché ve lo spiego brevemente: un carattere della calligrafia cinese vuol dire contemporaneamente Sole, Luce e Verità. Abbiamo presenti in un'unica lettura la dimensione sensibile, il sole, la dimensione razionale, la luce, e la dimensione metafisica. Questa capacità della lingua scritta cinese, è un capolavoro. Il problema è se la si studia superficialmente. Se sole luce e verità son solo vocaboli come telefono cane e supposta, che vi sfido a collegare seriamente fra di loro, e che rappresentano solo se stessi e tendenzialmente, considerando utilizzabile solo l'aspetto più concreto che da essi si può spremere, beh, se quei vocaboli sono solo concretezza, allora la cultura cinese è finita. Se invece recupererà e rispetterà questa antica ma sempre attuale, visione d'insieme, potrà dare molto alla … vita. Sole luce e verità. Pensateci. Già così ordinate, senza aggiungere altro, avete compreso che la luce che ne consegue non è solo quella del sole, o di una torcia … che la verità non è solo quella dimensione conforme alle leggi …

Bene... anzi male! Il dottor divago, in questo post merito questo nome di romantico sapore letterario! torna a Israel Joshua Singer.

Per analizzarlo son partito da cosa vuol dire per me essere ebreo e son finito col parlare di induismo e ideogrammi cinesi!

Penso di aver reso comunque un'idea della vastità dell'azione del pensare ebraico sull'umanità del ventesimo secolo.

Veniamo ad un altro termine che definisce la figura e il mondo dal quale Israel proviene: cosa vuol dire Chassidismo.
Non mi interessa darvi la definizione. Troppo facile. E poi ormai è sufficiente digitarlo su un qualsiasi motore di ricerca per sapere tutto e di più. Trovo importantissimo ricordare solo un particolare: il fondatore, Ba'al Shem Tov, nato verso la fine del seicento, in un territorio che allora era polacco e ora è dell'Ukraina, amava dire che si doveva amare Dio nella gioia …. noterete questa gioia diffusa nel film “Train de vie” e anche nel libro “Le nove porte” di Langer.
Eccone comunque alcuni in carne e ossa:

Rabbini della comunità di Belz.
Sotto, festa del capodanno ebraico.

anche il ragazzino dell'altra foto è dei loro.... Esistono quindi ancora; sono pochi e come potete verificare, se vi capitasse di incontrarne uno, non sarebbe difficile riconoscerlo.
Quel che vi dico di loro è più irrazionale delle informazioni di un wikipedia. Uno dei motivi per i quali hitler mi risulta veramente intollerabile, è per il suo tentativo quasi riuscito di estinguerli. Lui mirava agli ebrei in generale, ma si scatenò particolarmente in Galizia (Ukraina e Polonia), e proprio questi chassidim, devoti ai rabbini magici, così allegri e gioiosi, hanno veramente rischiato la fine. Ripeto che potete vederli nel film “Train de vie”, che potrebbe esservi utile per “Immaginare” anche il mondo di “Joshe Kalb”.

A questo punto una considerazione per me importantissima. Quando qualcuno mi chiede cosa ne penso de “Il processo “ di Kafka, sempre rispondo con la seguente domanda: “Ma hai letto Joshe Kalb?”. Ovviamente la risposta è sempre negativa, poiché quegli asini degli “indocenti” universitari ti propongono sempre libri troppo intellettuali. Io consiglio invece questo, poi invito alla lettura del saggio di Canetti sempre su “Il processo”. Ci sta anche la lettura del libro di Giuliano Baioni, che fu un critico profondissimo e poi, di Urzidill, “Trittico praghese” e “Le nove porte” di Jiri Langer e, della Nemchovà, “La nonna”. Come potete constatare non ho un odio cieco verso i critici, ma ragionato. Baioni e Canetti son due di loro, ed eccellentissimi. A chi mi dicesse che Canetti fu scrittore, rispondo che potrebbero dirlo anche Gramellini e Faletti, ma come per il vocabolo amore, per il quale esprimo una certa taccagneria nel donarlo, così sono spilorcio col termine scrittore. Canetti sapeva raccontare e questo fu il suo dono, ma raccontare è una cosina un po' diversa dall'essere scrittore, dimensione che non può essere staccata dall'invenzione.
Non ci si meravigli se per leggere Kafka ci si deve inoltrare prima in altri testi anche letterari. Il problema nasce dal fatto che l'ebraismo dei primi del novecento è quasi completamente sconosciuto.
Che la sua ricchezza sia affascinante ve lo dimostra, come ho già accennato nel post dedicato a Keith Jarrett, anche la musica Klezmer. Ne trovate di valida su internet e un buon assaggio nella sfida fra ebrei e zingari nel già citato “Train de vie”.

Il processo presente nel libro di Israel Joshua Singer ha molte delle caratteristiche che Kafka riutilizzerà nel suo celebre romanzo, celebre purtroppo perché la sua apparente incomprensibilità che permette di fraintendere a man bassa e costruirci sopra carriere memorabili … e il collegamento non è da trovarsi nel fatto che uno ha letto il testo dell'altro. Israel descriveva un mondo che conosceva bene, Kafka incrocia un mondo che ha scoperto, con il presente occidentalizzato che sta vivendo.

Joshe Kalb” è tutto un mondo rivelato. Un mondo quasi fiabesco ormai, nel quale, il malocchio, il diavolo, una festa quasi medievale nella sua orgiastica somma di eccessi, la minuziosa descrizione di un mondo non pulito e chiuso in se stesso, con gioia e paure radicali e potenti, ci affascina.

Sappiamo che il libro fu pubblicato a puntate su una rivista ebraica e poi tradotto in inglese. Sappiamo che fu, insieme a “Dybbuk” il più grande successo del teatro jiddish, questo dialetto tedescheggiante che spero, almeno a Belz, sia ancora vivo.

Veniamo ora alla scomparsa di questo grande scrittore. Come ho già ricordato altrove, due son le disgrazie che potevano colpire un artista nel novecento: la prima, essere allineati con un'ideologia non vincente, e di questa faceva parte per esempio Pavolini che era fascista. Merita anche di essere ricordato il caso di Meyrink che, troppo amato dalla massoneria, visione del mondo ancora presente ma minoritaria, si sommò con il suo esclusivismo alla sua morte … avvenuta durante la seconda guerra mondiale. Israel, morì purtroppo nel '44. abbiamo un altro caso che è stato resuscitato di recente, Irene Nemirovskij, di origine Ukraina, trasferitasi a Parigi per sfuggire alla rivoluzione russa. Come Meyrink, fu un caso letterario notevole fra le due guerre. A lei la ricomparsa di un manoscritto, “Suite francese” ha donato una seconda vita con tutte le sue opere giustamente tornate in luce. Meyrink, è fra gli autori più famosi della sua epoca ma, essendo ancora ben viva la “corrente” che lo ama, e che credo preferisca tenerlo nella penombra ed elargirlo solo agli eletti, penso che la rinascita sia per ora impossibil. ...Io lo ebbi in dono, come pregiato consiglio, dallo sceneggiatore, Pier Carpi. Ero un ragazzo e non capii tante cose, ma mi stette vicino in un modo che aveva molto del paterno. Di lui ho un buon ricordo e la nostra amicizia non si avvelenò quando rifiutai la sua offerta di farmi accedere alla … confraternita. Sono dell'idea che l'artista debba essere completamente libero. Glielo dissi, e lo comprese.

E come arrivai a Israel Joshua Singer? Assolutamente per caso. Nessuno ve lo consiglierà mai, purtroppo. Ricordo una bancarella in un giorno di pioggia. Prezzo cento lire, attualmente cinque centesimi. Mi colpirono nomi e cognome indubbiamente ebraici e quest'ultimo appartenente anche ad un Nobel che stimavo ... e il quadro di Chagall sulla copertina mi convinse del tutto. Lo misi in tasca. Cento lire erano quasi il nulla, potevo ben dire che, come usa, “provare non costa niente!” E una volta rincasato, in compagnia di una tazza Wedgwood nera e il mio tè preferito, mi accomodai in poltrona. Erano le cinque di sera. All'alba lo avevo finito e continuavo a domandarmi perché, perché nessuno me lo aveva mai consigliato! Passai al romanzo “I fratelli Ashkenazi” e mi sentii infinitamente più ricco e migliore … del me stesso di ieri.

Se non ho detto quasi nulla del romanzo e della vicenda che narra, è perché son purtroppo quasi certo che non lo conoscete e, ogni briciola rivelata in anticipo, equivale a togliere un po' di magia alla sua scrittura.
Posso dirvi che non si tratta solo di una storia sorprendente. Se già verso il settimo capitolo siete certi di cosa accadrà, ricordatevi che possedete solo una parte di quanto vi verrà rivelato ed è quanto lui vi ha concesso di comprendere. Chi sa veramente scrivere, e Israel è fra questi, non teme di scoprire le carte, poiché se il piacere di leggere risiede solo nella trama allora possiamo essere certi che si tratta di un libro banale! Saper scrivere è intelligenza che si applica per ordinare una materia sgorgata da dentro. E Israel ha svolto questo compito in modo esemplare.
Posso dirvi che la storia è veramente accaduta. L'invenzione letteraria è tutta nella accurata definizione dei caratteri che arriva a darci l'idea che, con quel Rabbino e quei due ragazzi, così ben delineati, non poteva accadere altro che quel che leggeremo.

Il finale invece è una vera sorpresa. Il processo non è dei nostri, nei quali due dinamiche, quella di accusa e difesa, si misurano sul libro della giustizia. Esiste di più, esiste una vastità del tutto ebraica e tipica di quella corrente assai mistica.

Accade poi che il protagonista de “Il Castello” di Kafka e “Joshe Kalb” diventino la medesima persona. E' una eternità che appartiene ad una religione che fa dell'essere errante una dimensione singola narrata ma condivisa in un profondo, fragile sentire ... disumano anche, e noto col termine sradicamento, che per l'ebreo è uno spettro sempre presente; un ebreo, un essere umanissimo, che continuamente cerca di mettere radici, insomma di vivere. Se il problema di Joshe Kalb è dentro la sua persona, quello di Josef K. de “Il Castello”, è esterno, e è ciò che è fuori di lui, che resiste e non si armonizza.
Due aspetti altrettanto tragici, quell'internità ed esternità, che definiscono la complessa immagine dell' “ebreo errante”.

Una considerazione ironica: per noi un certo comandamento … “Non commettere atti impuri”; risulta essere legato alla masturbazione maschile. Io, che non sono Matusalemme, ricordo che il prete mi chiedeva “ti tocchi? Stai attento che diventi cieco”. È vero che da un paio di anni porto gli occhiali … solo un grado … forse vuol dire che non ho esagerato con l'amore carnale per me stesso, ma comunque è accaduto e sono stato punito? Mi consola pensare che tanta gente che conosco e che all'apparenza, è stimabile, porta gli occhiali da vista e ha problemi più grandi del mio... e anche le donne che forse il pretino in confessionale ha dimenticato, ma il suo dio, che non è il mio, le ha punite con la medesima severità! Ma … come poter condividere una credenza che si riduce anche a queste banalità! … e so che accade tuttora. Dopo un poco di ironia a buon mercato, veniamo al punto. “Non commettere atti impuri” vuol dire dell'altro. Era impuro un rito che non rispettava minuziosamente la procedura e si pensava che gli effetti che si desiderava ottenesse, sarebbero stati nulli e forse con qualche risvolto punitivo. È impuro un cibo che non è preparato secondo le regole prescritte. Un cibo kosher, così si dice, veniva valutato e promosso direttamente da un rabbino o un esperto. Pura doveva essere anche la macellazione. Ci potrebbe venire il legittimo dubbio, a questo punto, che la verginità femminile, la purezza femminile, non consistesse semplicemente in quel che il cristianesimo ci dice?
Spiego questo perché, nel libro di Israel Joshua Singer, spesso si parla di puro e impuro ed è giusto sapere che quel comandamento ha per la Bibbia un significato più vasto di quello che propinano ai cristiani e che condizionava, in quelle comunità, gesti quotidiani...

Di più non dico....

Buona lettura.

p.s.
a soli due giorni dalla la pubblicazione di questo post, mi vedo costretto ad una precisazione. Rispettare e stimare la cultura ebraica non ha nulla a che fare con Israele.
mi spiego. mi è stato fatto notare che gli ebrei avranno pure una cultura importante e non trascurabile ma Israele ... son due cose diverse. su Israele sono critico anch'io.

mi spiego con un esempio: coloro che mi pongono una domanda di questo tipo, si comportano come la persona che non ne vuole sapere di entrare in un certo ristorante perchè l'arredamento non è di suo gusto. potrebbe perdersi la miglior pasta e fagioli che sia stata cucinata dai tempi di Noè ... Si deve entrare in una cultura, per arricchirsi ed è ovvio che non ci piacerà tutto. Questo non accade nemmeno con la nostra; ma, come disse Martin Buber (ebreo anche lui, ma è un caso)... si ricordi che l'unico mistero della vita è l'altro ...

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