Partiamo dalla più totale
inconsapevolezza. Il vocabolo giusto è ignoranza, ovvero colui che
ignora. Esco di rado. Mi invitano in una birreria dove posso trovare
una birra che ho da poco scoperto e che mi piace molto. (Il fatto
che ora racconto accadde più di dieci anni fa, non ricordo
esattamente, ma lo ricordo con molta nitidezza ...). La birra si
chiama Menabrea. Ora è nota, all'epoca era difficile da trovare. Ho
accettato anche per non essere scortese e dire sempre no. Ricordo che
era una zona vicina ad un porto. Buio, ombre di navi enormi rese
indefinite dalla nebbia. Fantasmi.
Non ricordo in quanti
siamo. Ci si siede, si ordina e si chiacchiera come è normale che
sia. C'è musica di sottofondo. Qualcosa di così amalgamato con
l'ambiente che appena lo noti quando tutti, per qualche secondo,
tacciono.
Ma … ecco che poche note
di pianoforte mi mettono all'erta. Penso: forse si tratta
semplicemente del fascino che provo per quello strumento? no. Mi
rendo conto che la musica che precedeva e che confondevo col brusio,
si basava sulla percussione monotona tipica della musica commerciale.
È lo stacco, la differenza ad aver acceso l'attenzione, e anche il
fatto che le chiacchiere non pesano niente, non sfiorano nemmeno
l'ordinario. È un inizio che comunque, altre a godere dello stacco
dal brano precedente, ha un qualcosa di chiaro come un invito a
concentrarsi su un tentativo. Lo sento subito, un tentativo che
essendo all'inizio si offre in tutta la sua indeterminatezza, ma
ugualmente dice “sto tentando … ci provo ...”. Qualcosa che
dopo aver chiamato all'ascolto, tenta di prendere il volo. Ora so
calcolare i tempi della mia reazione. Riascoltando il brano oggi,
sono in grado di ricordare e rivivere i tempi della fioritura che
ebbi e ora tenterò di riviverla in queste parole.
Allora fu una sensazione
enorme. Non ero più io, ero musica.
Riprendo il ricordo: Una
emozione forte mi prende e gli occhi si son fatti lucidi. Mi sono
alzato geloso della mia emozione, e anche timoroso che qualcuno la
vedesse. L'ipersensibilità spesso sembra ridicola. Ma chi ora non ce
l'ha deve ricordare che non siamo sempre identici a quel che pensiamo
di essere. Un giorno non ci scuote nulla e invece in un altro, ci
ritroviamo a salutare commossi una foglia che cade dall'albero,
improvvisamente consapevoli che non la vedremo più, che per lei è
finita, e che quell'ultimo volo è bellissimo.
Sono uscito dal locale. La
musica è anche fuori, allora rientro e mi rivolgo al cassiere che è
anche il proprietario e siede proprio fra il registratore di cassa e
l'impianto stereo. Gli chiedo per favore di rimettere su il brano
dall'inizio. All'inizio è sorpreso. Non ho il tono e l'aspetto di
chi lo chiede come un favore, ma di chi ne ha bisogno … non dice
nulla. Schiaccia il tasto giusto ed esco. Ora, con la notte e la
nebbia potrebbe essere più facile. Qualche macchina in lontananza e
nient'altro ed ecco la chiamata al raccoglimento e le note che
cercano un'ordine, come le idee nella testa di un essere umano. Al
terzo minuto esatto del brano il primo salto che fino al quinto è un
meditativo rarefatto che cerca di coordinarsi. Al sesto minuto è
alle soglie del cuore ma non riesce ... fatica, ma non ce la fa
ancora. Dopo trenta secondi ho la sensazione che ce la sta facendo ed
ecco che, esattamente al minuto 6,53 spicco il volo. Ma il brano non
termina col volo. Troppo semplice. Il volo non è la meta, ma il modo
per raggiungerla … e poi, al minuto 7,12 si accende il sole dentro
… no … sembra la sua luce, ma è il travolgente schiudersi del
loto, dell'anima, del sacro.
Non è questione di
lasciarsi andare. Accade tutto senza che mi accorga delle reazioni
del corpo. Quando l'apice passa, e torna al volo stentato, riappaio a
me stesso.
Dopo un poco sento
qualcuno che mi tocca una spalla. È il proprietario che è uscito ed
è appoggiato al muro di fianco a me. Mi passa la mia Menabrea che
avevo lasciata al tavolo. Ora sorride comprensivo. Mi chiede: “E'
la prima volta?” “Si” rispondo.
Ascoltiamo ancora un poco
e poi chiedo: “Chi è?” “Keith Jarrett. Il concerto di
Colonia”. Non ci guardiamo in faccia, le parole sono sparse, rade,
per godersi la musica. Gli chiedo: “perché cose così nessuno te
le consiglia? Se non fossi venuto stasera … e non volevo venire
...”
“Non lo so” ha
risposto, “anche a me ha fatto effetto. La sentivo alla radio in
macchina. Erano le tre di notte … mi sono fermato”.
Arriva qualcuno, lo
salutano. Il momento magico è evaporato. Ora siamo solo uomini in un
pub con una birra in mano, ma per un attimo ...
E domani, quel domani di
più di dieci anni fa, comperai “The Koln concert”.
La magia di quel pezzo che
mi risulta essere giustamente apprezzatissimo, merita di essere
approfondita.
Il mondo della musica
classica, esauritosi in un certo senso con Scriabin, Rachmaninov e
Mahler, passò le consegne ai direttori d'orchestra. Questa frase
farà venire i capelli dritti a molti esperti, ma non li temo. Agli
intellettuali spetta altro. Io parlo di arte, quindi questo scritto
non li riguarda. La musica classica, esauriti i suoi compositori
eccezionali, cosa poteva fare? Nulla. Trasformò in grandi star i
direttori d'orchestra. Karajannis naturalizzato tedesco e noto come
Karajan, Kleiber, Walter, Toscanini, eccetera. Fate caso che del
novecento, esattamente da dopo la prima guerra mondiale, siete in
grado di ricordare solo direttori d'orchestra. Siamo al punto; da
anni ormai, dai media si viene a sapere che c'è un concerto di Muti,
e cosa suona ... viene detto dopo e non sempre. Abominevole. Io amo
Glenn Gould, Claudio Arrau, Arturo Benedetti Michelangeli, Artur
Schnabel, per esempio. Una generazione d'interpreti che oltre ad
essere delle star, spesso loro malgrado, sapevano annullarsi. Ma
quanti di loro erano troppo star e producevano un gesto atletico
sulla tastiera completamente staccato da qualsiasi sensibilità!
Quando Michelangeli suonava una mazurka di Chopin, appariva l'anima
del grande polacco, il polacco più francese che sia mai esistito …
Certi direttori
d'orchestra di quella medesima generazione erano ipnotici,
bravissimi, ma troppo protagonisti, troppo star. Vi confido una
cosaccia che non si può dire. Il direttore d'orchestra, la sera
dell'esecuzione, può starsene a casa. Lui la deve preparare,
l'orchestra … è come se l'allenatore di una squadra di calcio,
oltre ad allenare, scendesse regolarmente in campo. Mi ricordo che lo
fece Vialli nel Chelsea. So che è un'eccezione. Se il direttore non
ci fosse, forse il momento sarebbe più spirituale. Si, perché c'è
tanta musica classica che, con o senza il dio di qualche religione
che manifesta direttamente le sue esigenze programmatiche tramite
preti e vescovi e cardinali, tanta musica classica dicevo, è
spiritualità in senso laico. Non hai bisogno di sapere nulla del dio
di Johann Sebastian Bach per provare un brivido immenso mentre la
Messa in si minore fa vibrare l'aria! Il Beatus Vir di Monteverdi,
non ha bisogno di essere tradotto per ritrovarti in macchina a
canticchiarlo quando meno te lo aspetti, anche se le radio ti
tamburellano roba adatta per essere digerita e … lasciamo perdere.
È evidente che se dal
primo dopoguerra son diventati protagonisti i solisti e, più ancora
i direttori d'orchestra, un motivo ci deve essere. E io penso che sia
dovuto al fatto, da me ripetuto fino allo sfinimento, che gli
intellettuali han preso il posto degli artisti. L'intellettuale è
una macchina che non mira alla qualità ma all'autopromozione. Esiste
quello serio che ti schiude i simboli e ti mette nelle condizioni di
fruire, ma sono men che rari. Se guardate il panorama internazionale,
i compositori non mancano nemmeno oggi ma, tranne qualche rarissimo
nome, si tratta appunto di intellettuali che giocano a fare gli
artisti. Tutto parte con Sconberg e dintorni … ed ecco che la
musica, quella che ama autodefinirsi classica, si stacca dalla vita.
Se la cantano, se la suonano, e si congratulano fra di loro. Il
pubblico pagante deve pagare e se dimostra di non gradire è
ignorante, non nel senso che ignora, ma nel senso di inferiore.
E così accadde nella
poesia, nella letteratura, nella pittura. Ciarpame dal quale nella
vita quotidiana ci si libera facilmente per esempio cambiando canale.
Loro però continuano a campare perché università, accademie e
stati, foraggiano. Si, ci sono anche gli artisti che lo stato
riconosce come suoi e dai quali ama farsi rappresentare, e lo stato
in questo caso equivale a dire una ristretta cerchia di politici che
impongono dal basso dei loro dimostratissimi limiti. Finzioni. E
accade ancor oggi. Nulla a che fare con la qualità, ovviamente.
Accade però che la musica
sia l'arte più sentita. Quella che può permettersi la massima
astrazione e colpire veramente all'anima. Keith Jarrett viene da un
mondo della musica che è considerato settorializzato, ovviamente
sempre dagli intellettuali. Si dice che parte dal jazz. Io dico che
parte dalla verità. Bach e Miles Davis, possono sembrare
incompatibili, due mondi distanti, e invece si tratta semplicemente
di qualità e lo dimostra il fatto che lui li ama entrambi e ne fa un
mondo unico. Lui improvvisa brani che non sono jazz, ma improvvisare
così, gli viene dal jazz. Utilizza quindi la materia musicale senza
sentire le barriere che altri hanno imposto. Non è assurdo dire che
si amano col medesimo trasporto Beethoven e de Andrè proprio per
questo. Si va direttamente all'anima, senza giochini intellettuali,
atteggiamenti, protagonismi. L'artista, quello vero, ha fame di
toccare quel momenti magici. Sa di poterli creare. Lo ha capito, e la
sorpresa di questa capacità, ve lo garantisco ... è sua quanto
vostra. Immagino Chopin che si guarda le mani e stupisce di quel che
ha appena fatto. Lo dona a se stesso. Se siete li e sembra che lo
doni anche a voi … ma è a se stesso ... Lui non deve cercarvi, ma
siete voi, che, consapevoli di non poter creare quelle estasi,
cercate chi le crea. L'artista, quindi non dona, ricordarlo sempre! È
troppo sorpreso da se stesso per riuscire anche a donare. Può farlo
solo dopo, quando il momento magico è finito, ma quel che offrirà
sarà, l'immagine riflessa, non l'attimo estatico. Meglio che niente,
sicuramente. E questo vale anche per Jarrett, che sale sul palco, ci
prova, ma non è detto che sbocci.
Ora. La linea di musica
cresciuta fuori dagli intellettualismi, è giunta con Keith Jiarrett
ad alcune soluzioni notevoli. L'artista sale sul palco e improvvisa.
Sappiate che l'inizio di quel primo brano che suonò a Colonia il 24
gennaio del 1975, corrisponde alla campanella che invitava il
pubblico all'inizio dello spettacolo. Lui la ripete col piano, idea
che gli è venuta sul momento. Una sollecitazione esterna che ti da
il via e poi si lascia andare ... come quella volta che nel finale
della quinta imperatore, Michelangeli davanti al papa in sala Nervi,
sentì un tuono enorme. Gli rispose, col piano, lo fece genialmente
suo. So che qualcuno si è lamentato che Jarrett è duro col pubblico
perché vuole il silenzio totale e già un colpo di tosse lo irrita.
Io lo capisco. Deve ascoltare se stesso e ripetere quel che quell'io
dice. L'io interno è fragile, sensibilissimo. Basta un nulla e lo
perdi e poi ti ritrovi davanti ad un pubblico, sei Keith Jarrett sì,
ma ormai solo esteriormente, e puoi solo autoimitarti, perché ti sei
perso.
Dopo l'esecuzione gli
hanno chiesto di trascrivere il brano. Non voleva. Hanno insistito. E
invece “quando esegui una improvvisazione deve finire lì”, come
lui aveva tentato di dire. La vuoi risentire? Siamo nell'epoca della
riproducibilità tecnica. Niente di più facile. Che sia un cd o un
file, è un attimo. Ormai basta volerlo e hai tutta la musica e tutta
la letteratura in un click.
Keith Jarrett, che è
musica classica della migliore, nel senso che è già un classico
riconosciuto dal giudice più alto che è la nostra anima, Keith
Jarrett dicevo, ha seguito il percorso vivo della musica. Quando
negli anni trenta finiva la classica occidentale, moriva, esattamente
nel 1938, Robert Johnson. Con lui suonava Sonny Boy Williamson.
Primitivi, nel senso buono del termine, come primitivo era per alcuni
Giotto, ma spontanei, veri.
Vi invito ad osservare,
oltre che ad ascoltare, un video su You tube. Muddy Waters: il brano
è “Got my mojo”. Fatto? Bene. Quello con la fisarmonica è Sonny
Boy. Suonò con Johnson ed era con lui all'ultimo concerto che fecero
insieme. Ora guardatevi Sonny Boy Williamson in “nine below zero”.
Vi consiglio quel filmato nel quale il presentatore di colore della
tivù statunitense, lo presenta. Oltre ad ascoltarlo guardatelo bene.
É una maschera antica, non recita mai come faranno quasi tutti i
cantanti dal secondo dopoguerra. Gradate Robert Johnson e Muddy
Waters. Non sono ne belli ne brutti. Sono veri. Sono i volti e lo
stile di una tradizione, ma l'americano bianco che li guardava dalla
tivù, seduto in poltrona, sentiva solo il ritmo e solo di questo
s'invaghiva, ma il ritmo da solo è ben poco, quasi nulla.
Prima ho detto che non
sono ne belli ne brutti, anzi, per i canoni attuali decisamente
brutti … e vi chiederete cosa centra la bellezza ... ora ve lo
spiego. Loro venivano dall'anima nera trapiantata con lo schiavismo
negli Stati Uniti. Avevano una tradizione che si incrociò col
cristianesimo bianco. Era una cultura, e non una sottocultura, come
si diceva allora. Robert Johnson esce dalla fabbrica religiosa mista
dei santoni degli schiavi. Cantare era invocare. Cantare poteva
essere un richiamo, delle forze del bene e del male non importa,
purché collaborassero. Chi sentì cantare Robert Johnson, se era
nero e ne condivideva la cultura, non vedeva solo un cantante, ma un
santonee ne provava anche timore reverenziale. Per i bianchi quella
musica e quell'uomo, erano solo una tecnica, la sua anima non la
condividevano. Se forse un poco la conoscevano, comunque la
sbeffeggiavano. Le leggende sulla sua vita, sulla sua fine, fanno
parte di un gioco ormai frainteso, un po' come chi dice che Elvis è
vivo. E come scoprirono il blues i bianchi? Andate a leggerlo in
“Storia di una maitresse Americana di Nell Kimball … sentendoli
nei postriboli. In quei salottini, fra una marchetta e l'altra quella
musica avanzava e iniziava a piacere. E ora pensiamo alla generazione
che segue questi sacerdoti che cantano per un rituale, per uno scopo.
Sono giovani, belli, e hanno arraffato i ritmi del blues perché
fanno ballare, perché funzionano. E proprio in Elvis, cosa rimane di
quella spiritualità? Esiste solo un parallelo possibile ma casuale.
Elvis era un sex symbol e quelle canzoni dei primi bluesman avevano
un alto potenziale di immaginazione erotica. Andiamo avanti e
approdiamo al disastro del secondo dopoguerra. I cantanti hanno preso
il mascheramento, l'essere altro da sé, come abitudine. Son
retrocessi agli stregoni? Si, ma non lo sanno nemmeno. Non sanno che
è la medesima cosa. Non sanno che far musica equivale a
somministrare ritmo. Non sanno che il ritmo è alla base della
ritualità sacra, della vita. Migliaia di persone che si fanno corpo
unico, che si esaltano. Intervengono le droghe semplicemente perché
questo annullamento nella massa guidata da un ritmo, diventa più
rapido e totale. E infatti speso gli stregoni somministravano erbe
che producevano il medesimo effetto e il rito ritmato aveva sempre
uno scopo. E ora arriviamo al Top. Mike Jagger con i suoi Rolling
Stones. Cantano “Sympathy for the devil” ad Altamont nel 1969. La
situazione era tesa per fatti precedentemente accaduti e le autorità
avevano invitato a rimandare il concerto. Ma il solista voleva
cantare. Aveva un'idea della musica come pacificatrice di animi. Se
riuscite, cercate di osservare il video dell'intero concerto. Si
vedono i disordini, Il cantante mascherato in modo decisamente
triste, il momento dell'omicidio, i drogati letteralmente sfatti e,
scena notevole, il solista che va in sala di registrazione per
rivedere il concerto. Questo momento è importante, perché si coglie
dalla sua espressione, che non ha capito cosa possa essere accaduto e
lui, così distante dall'origine della musica della quale usa i
ritmi, ovviamente non ci può arrivare.
Robert Leroy Johnson |
Ma Sonny Boy Williamson,
Muddy Waters e Robert Johnson, non si mascheravano e la loro musica
aveva un motivo d'essere preciso. Non erano strumenti di un mercato
commerciale. Erano se stessi e calati in una tradizione. Mike Jagger,
senza tradizione perché ancora ragazzino, si ritrova il successo e
lo usa come può fare uno che basi non ne ha avute. Gioca con la
musica, gioca col “diavolo” in quella canzone che farà da
innesco all'omicidio, senza sapere da quale passato quei ritmi e
quelle immagini, provengono. Non sa nulla di religione, stregoni,
sciamani e musica come rituale.
E' la tragedia
dell'ignoranza. Dai il successo a gente che non ha le basi e che
pensa che la musica sia solo ballare e divertimento ed ecco che si ha
la fiera dell'esteriorità. Ma la musica non è mai stata solo
quello. Anzi. Spesso è stata, all'opposto, solo sacralità. Vi porto
un esempio. In origine, quando Johann Sebastian Bach preparava la
settimana pasquale, ogni messa era cantata e suonata. Non esisteva un
pubblico. Immaginate la chiesa con i fedeli. Cantare e suonare era
pregare, tutti insieme, e quella voce, diventava l'anelito della
comunità verso il suo dio. Oggi, sentirla in ruolo di spettatore, in
chiesa o in teatro, è comunque agire in un modo profondamente
diverso da quello originario. La partecipazione nostra si abbassa di
livello.
E se si pensa alla musica
sensuale espressa da James Stephens nel capolavoro “La pentola
dell'oro”! Il più irlandese dei romanzi del novecento ci mostra il
dio Pan che arriva in Irlanda e suonando seduce. Solo i bambini non
ne sono estasiati, perchè non sono ancora sessualmente sviluppati.
Per il resto tutti, vecchi e giovani e animali, tutto il vivente,
freme … alla sua musica.
E ora passiamo a William
Butler Yeats, sempre irlandese, Nobel per la letterature nel 1923 e
ascoltiamo, cantata da Branduardi, la sua poesia “Il violinista di
Dooney”. Ecco la musica nel momento del raccolto, nel momento in
cui la comunità contadina si raccoglie per fare i lavori insieme, e
le fanciulle attendono lui. “Ecco il violinista di Dooney, vengono
a danzare come le onde del mare”, bravo Yeats e bravo Branduardi.
Eros trionfa al ritmo di un violino. E quel rito contadino che
portava ai fidanzamenti era di tutte le campagne, a tutte le
latitudini. Ecco l'universalità del linguaggio che proviene dalla
terra, che ha una poesia e una musica sue che ovunque vengono
comprese, ma non in città, non da chi è nato in un quartiere di
Liverpool o New York, o anche solo Milano.
Io vedo questa situazione.
Gli anni trenta si spengono in Europa come musica classica. Emerge un
mondo che è legato alla tradizione e ad un sacro non ufficiale ,
negli anni venti-trenta. Non accade solo negli Usa. In Belgio, per
esempio, nel 1910 nasce Django Reinhardt. Zingaro sinti; ascoltate
la sua “Minor Swing”. Ascoltate anche la musica Klezmer equel che
l'ebraismo ha dato alla musica! E caricate l'anima di energia ! ... e
su Berio, Cage e simili procediamo col rendere operativo l'oblio
immediato che si son guadagnati in quanto intellettuali che si
mascherano da artisti.
E Keith Jarrett …
dimenticavo, ho scritto di lui questa sera perché trovo giusto che
si sappia che è stata recuperata una registrazione del 1979 fatta a
Tokio con Jan Garbek, Palle Danielsson e Jon Christensen. È stata
pubblicata nel 2012 e immediatamente è stata considerata un
capolavoro. L'ha ritrovata in archivio il dirigente della casa
discografica EPM. Ne è rimasto colpito, l'ha inviata a Jarrett che
ha riconosciuto la sua qualità e ha acconsentito alla pubblicazione.
Si chiama “Sleeper in Tokyo”.
Sax, basso, percussioni e
tastiera. Ne vale la pena.
Ricordate comunque che
come tutta la grande musica, non fa solo fremere il corpo … va
oltre. La musica classica europea, fattasi troppo intellettuale,
troppo pensata e quindi laica, cede il passo a chi intende leggersi
dentro con un talento e una sincerità decenti. Nessuna differenza
nel metodo con i grandi di sempre, nessuna differenza nella qualità
della grandezza.
ciao ...
...
buongiorno. riapro il post perchè ho qualcos'altro da aggiungere che forse rende più chiara la mia posizione verso la musica del novecento che è indubbiamente discutibile.
dopo gli anni venti trenta del novecento la cultura occidentale ha prodotto ancora qualcosa di buono. per esempio amo l'opera di Giya Kancheli, ma oltre lui e qualche pezzo rarissimo di altri, accade che trovi si qualcosa di interessante, ma mai appassionante. Keith Jarrett lo ascolto spesso, e questo mi capita con lo studio op. 8 n. 12 di Skriabin, con la Kreisleriana di Schumann per esempio ma, sempre per esempio, Already it is dusk" di HendrYk Gorecki, che stimo, lo ascolterò forse una volta ogni due anni ... il Requiem Polacco e il Dies Irae di Krysztof Penderecki, li ritengo validi, e anche il suo Te Deum, ma li ascolto assai di rado. perchè? valgono ma non mi attirano. troppo mentali, spesso talmente potenti da rasentare il rumore, che non è musica, e il ritmo, quella base che fa fiorire la vogliua di ri sentire, quasi non c'è ... la musica solo per la mente, la costruzione troppo intelligente, intellettuale, non dura in noi.
lo dimostra la "Misa Criolla" del 1964 di Ariel Ramierez (Argentina). la sento invece anche in macchina! Spesso gli strumenti popolari, per esempio in questo caso quelli andini, e i ritmi decisamente folk, vengono visti dai puristi come qualcosa di grezzo. a me non interessa. si nutrono anima e corpo, le dita tambureggiano sul volante, spesso canticchio! fate caso che Glenn gould e Keith Jarrett, spesso non si rendono conto che con nla voce ripetono il tema che stanno eseguendo. ci sta. si son lasciati andare, ci guidano in alto. tutto si perdona a chi ci guida oltre alla terrestrità, oltre al quotidiano.
E ora un altro esempio.
Mi invitano ad un concerto. suona Li Biao, virtuoso della marimba.
quando inizia col concerto per marimba e orchestra d'archi di Ney Rosauro (vivente, nate nel 1952), dopo il primo stupore curioso per l'abilità mostrata e per l'inusuale strumento, mi sono accorto che la gente era distratta. il brano non "prendeva". alla fine grandi applausi per il virtuosismo .. ed ecco che Li Biao, in inglese, avverte che ora suonerà un brano composto dieci anni fa, per un amico che era deceduto. silenzio in sala. l'anima si stacca immediatamente dalle poltrone e dai palchi e vola. vedo occhi lucidi, commozione. Li Biao è andato oltre al virtuosismo. momento stupendo.
quel che ora si cerca è il momento nel quale un buon concertista, inventa. accade di rado. una volta ogni tanto, ma è quello il frutto desiderato. Il jazz che improvvisava ed era puro istinto. la musica classica che calcolava tutto chiusa in una sytanza, scrivendolo su uno spartito ... immaginate uno Scriabin che col suo pianoforte ci dona non la composizione, che sarebbe un ripetere, ma il momento nel quale l'idea nasce! è il massimo che si possa desiderare. ora può accadere e, oltre il resto, l'ascolto può essere staccato da quel momento magico. ovviamente chi fu presente a colonia quel giorno, godette più di me che ascolto la registrazione ma, poter sentire e risentire proprio quando l'idea nasce ... è sicuramente più toccante che sentire quel che un pianista anche geniale prepare andando al piano in sala d'incisione esattamente come si va a fare un lavoro qualsiasi. l'arte non è invece così. esiste il momento giusto. bisogna saperlo cogliere. la leggenda di Vivaldi che lascia l'altare proprio poco prima dell'elevazione per scrivere alcuni accordi, è esemplare. lui, prete, fu criticato, ma se avesse atteso la fine della funzione, nella sua mente sarebbe rimasto non l'accordo geniale, ma la sua ombra, il suo ricordo ...
Uno dei primi a comprendere il potere della sala d'incisione, per arrivare a produrre l'esecuzione migliore, fu Glenn Gould. ci andava quando se la sentiva e suonava quel che voleva. una sonata non veniva consegnata intera, così come l'aveva eseguita, ma scomposta nei suoi tre movimenti e poteva accadere che il primo fosse dell'anno precedente, il secondo di due mesi fa e il terzo di ieri. si tenevano le tracce migliori e il risultato per l'ascoltatore era il migliore possibile. Lui, un interprete, l'aveva capito. per questo chiuse coi concerti. suonava e registrava quando era ispirato.
Ora si desidera questo dalla grande musica: iil momento dell'ispirazione direttamente visto e vissuto dal pubblico. lo si conserverà pio registrato e sarà bello risentirlo. l'intellettualità che tutto vuol dominare e regolare è stata messa in un angolino. La creatività pura, ha creato la situazione nella quale può liberarsi senza limiti. trascrivere poi in uno spartito per farlo ri eseguire da altri? Non ha più senso. abbiamo il momento magico ... non esiste di meglio.
...
buongiorno. riapro il post perchè ho qualcos'altro da aggiungere che forse rende più chiara la mia posizione verso la musica del novecento che è indubbiamente discutibile.
dopo gli anni venti trenta del novecento la cultura occidentale ha prodotto ancora qualcosa di buono. per esempio amo l'opera di Giya Kancheli, ma oltre lui e qualche pezzo rarissimo di altri, accade che trovi si qualcosa di interessante, ma mai appassionante. Keith Jarrett lo ascolto spesso, e questo mi capita con lo studio op. 8 n. 12 di Skriabin, con la Kreisleriana di Schumann per esempio ma, sempre per esempio, Already it is dusk" di HendrYk Gorecki, che stimo, lo ascolterò forse una volta ogni due anni ... il Requiem Polacco e il Dies Irae di Krysztof Penderecki, li ritengo validi, e anche il suo Te Deum, ma li ascolto assai di rado. perchè? valgono ma non mi attirano. troppo mentali, spesso talmente potenti da rasentare il rumore, che non è musica, e il ritmo, quella base che fa fiorire la vogliua di ri sentire, quasi non c'è ... la musica solo per la mente, la costruzione troppo intelligente, intellettuale, non dura in noi.
lo dimostra la "Misa Criolla" del 1964 di Ariel Ramierez (Argentina). la sento invece anche in macchina! Spesso gli strumenti popolari, per esempio in questo caso quelli andini, e i ritmi decisamente folk, vengono visti dai puristi come qualcosa di grezzo. a me non interessa. si nutrono anima e corpo, le dita tambureggiano sul volante, spesso canticchio! fate caso che Glenn gould e Keith Jarrett, spesso non si rendono conto che con nla voce ripetono il tema che stanno eseguendo. ci sta. si son lasciati andare, ci guidano in alto. tutto si perdona a chi ci guida oltre alla terrestrità, oltre al quotidiano.
E ora un altro esempio.
Mi invitano ad un concerto. suona Li Biao, virtuoso della marimba.
quando inizia col concerto per marimba e orchestra d'archi di Ney Rosauro (vivente, nate nel 1952), dopo il primo stupore curioso per l'abilità mostrata e per l'inusuale strumento, mi sono accorto che la gente era distratta. il brano non "prendeva". alla fine grandi applausi per il virtuosismo .. ed ecco che Li Biao, in inglese, avverte che ora suonerà un brano composto dieci anni fa, per un amico che era deceduto. silenzio in sala. l'anima si stacca immediatamente dalle poltrone e dai palchi e vola. vedo occhi lucidi, commozione. Li Biao è andato oltre al virtuosismo. momento stupendo.
quel che ora si cerca è il momento nel quale un buon concertista, inventa. accade di rado. una volta ogni tanto, ma è quello il frutto desiderato. Il jazz che improvvisava ed era puro istinto. la musica classica che calcolava tutto chiusa in una sytanza, scrivendolo su uno spartito ... immaginate uno Scriabin che col suo pianoforte ci dona non la composizione, che sarebbe un ripetere, ma il momento nel quale l'idea nasce! è il massimo che si possa desiderare. ora può accadere e, oltre il resto, l'ascolto può essere staccato da quel momento magico. ovviamente chi fu presente a colonia quel giorno, godette più di me che ascolto la registrazione ma, poter sentire e risentire proprio quando l'idea nasce ... è sicuramente più toccante che sentire quel che un pianista anche geniale prepare andando al piano in sala d'incisione esattamente come si va a fare un lavoro qualsiasi. l'arte non è invece così. esiste il momento giusto. bisogna saperlo cogliere. la leggenda di Vivaldi che lascia l'altare proprio poco prima dell'elevazione per scrivere alcuni accordi, è esemplare. lui, prete, fu criticato, ma se avesse atteso la fine della funzione, nella sua mente sarebbe rimasto non l'accordo geniale, ma la sua ombra, il suo ricordo ...
Uno dei primi a comprendere il potere della sala d'incisione, per arrivare a produrre l'esecuzione migliore, fu Glenn Gould. ci andava quando se la sentiva e suonava quel che voleva. una sonata non veniva consegnata intera, così come l'aveva eseguita, ma scomposta nei suoi tre movimenti e poteva accadere che il primo fosse dell'anno precedente, il secondo di due mesi fa e il terzo di ieri. si tenevano le tracce migliori e il risultato per l'ascoltatore era il migliore possibile. Lui, un interprete, l'aveva capito. per questo chiuse coi concerti. suonava e registrava quando era ispirato.
Ora si desidera questo dalla grande musica: iil momento dell'ispirazione direttamente visto e vissuto dal pubblico. lo si conserverà pio registrato e sarà bello risentirlo. l'intellettualità che tutto vuol dominare e regolare è stata messa in un angolino. La creatività pura, ha creato la situazione nella quale può liberarsi senza limiti. trascrivere poi in uno spartito per farlo ri eseguire da altri? Non ha più senso. abbiamo il momento magico ... non esiste di meglio.
Nessun commento? Con te condivido la passione per Keith Jarrett, il Concerto di Colonia, mirabile, la musica classica, il jazz. La musica classica e il jazz che si fondono, diventano qualcos'altro da musica classica e jazz. Ho letto tutto il tuo breve saggio. Colto e interessante.
RispondiEliminaEssere colti è la conseguenza involontaria di una lunga perseveranza. La vita ha una scadenza e quindi sento il dovere verso quel seme interiore da coltivare, che viene chiamato anche anima, di nutrirmi del meglio. E' una ricerca lunga che in quanto ricerca porta a ben poco. Si trova, in fondo, quasi per caso, come dicevano Bejarte e Picasso. Jarrett è una ricchezza irrinunciabile. Mi viene in mente una persona che mi disse che la musica classica le faceva "venir sonno". Equivale a dire che la sensibilità occidentale, che nonostante tutto esiste, fa ....venir sonno? e penso a Schubert, Schumann, Domenico Scarlatti, Bach-Busoni con la stupenda ciaccona, che hanno dato un senso ad una notte pasquale insonne.
RispondiEliminaChe dormano coloro che il seme dell'anima non lo coltivano e si riducono alla sola corporeità.... per il jazz aggiungo una precisazione. Mi interessa ma non lo amo. La penso come Glenn Gould che disse di questo genere, che rappresenta il temperamento di un popolo (e un popolo può e deve dare più di questo). Il jazz, quando si innesta su generi spesso esausti come l'ultima, troppo intellettualoide, musica occidentale di estrazione alta, rivitalizza. Se poi un personaggio come Jarrett ci mette del suo, lui che ha imparato, cosa rara in un occidentale, a lasciarsi andare .... ecco che si ha un capolavoro. ciao