Per calarsi bene in questo
scritto è il caso di leggere prima il precedente col titolo “Nabokov
e la visita del folletto”. Il motivo è che qui un altro uomo
grande e profondo, ne incontra uno e mi sembra importante, oltre alla
meditazione sul testo, fare anche qualche confronto. Si noti che dico
meditazione e non invito all'analisi razionale … è importante.
Stiamo parlando di creazioni letterarie elevatissime quindi lasceremo
la scientificità alla scienza. Qui, se serve una fetta di cuore ce
la mettiamo.
Bisogna partire da una
presentazione. Axel Munthe, purtroppo è per la stragrande
maggioranza delle persone del 2013, uno sconosciuto. Nacque nel 1857
in Svezia. Si laureò, più giovane medico di Francia, a Parigi, con
Charcot, che fu anche maestro di Sigmund Freud. Altro, per ora, della
sua biografia, non ci interessa. Mi permetto comunque sin d'ora di
far presente che Freud, trasformò la lezione di Charcot in una
scienza, che definisco umana nel senso che non sarà mai perfetta
come tutte le azioni umane, ma a questa mira. Munthe invece trasformò
la lezione di Charchot, in tre opere letterarie, nell'ordine:
“Vagabondaggio”, “La storia di san Michele” e “Croce rossa,
croce di ferro”. Il più celebre fu il secondo. Si trattò di un
successo completo, anche editoriale a livello planetario. Lo diede
alle stampe a settant'anni.
Per quel che riguarda la
descrizione della sua personalità, preferisco affidarmi alle parole
di Curzio Malaparte che lo conobbe. Le trovate all'inizio del suo
libro “Kaputt” che, anche per altri motivi, merita di essere
letto e profondamente meditato.
Veniamo alla descrizione.
Vi dico la situazione. Malaparte è andato a trovarlo a Capri, e lo
accompagna in una passeggiata:
“... Quel giorno Munthe
appariva sereno: e a un certo punto si mise a parlarmi degli uccelli
di Capri. Ogni sera, verso il tramonto, egli esce dalla sua torre,
s'inoltra a passi lenti e cauti fra gli alberi del parco, col suo
mantellaccio verde sulle spalle, il suo cappelluccio buttato di
traverso sui capelli arruffati, gli occhi nascosti dietro gli
occhiali neri, finché giunge in un luogo, dove gli alberi più radi
fan come uno specchio di cielo nell'erba. Là si ferma, e diritto,
magro, legnoso, simile ad un antico tronco scarnito e inaridito dal
sole, dal gelo e dalle tempeste, un riso felice acquattato fra il
pelo della sua barbetta di vecchio fauno, aspetta: e gli uccelli
volano a lui a frotte, cinguettando affettuosi, gli si posano sulle
spalle, sulle braccia, sul cappello, gli beccano il naso, le labbra,
gli orecchi. Munthe riman così, diritto, immobile, a discorrere con
i suoi piccoli amici nel dolce dialetto caprese, finché il sole
tramonta, si tuffa nel mare azzurro e verde, e gli uccelli volano via
al loro nido, tutti insieme, con un alto trillo di saluto”.
Una precisazione: gli
occhiali scuri poiché aveva seri problemi alla vista.
Penso che non ci siano
dubbi che ci troviamo davanti ad una persona particolarissima.
Attualmente sarebbe un cretino? Penso di si. Il fatto che io non
voglia star lontano da casa per dare da mangiare all'eterno
pettirosso che abita tutti gli inverni nella siepe di fronte alla mia
porta e, se proprio non posso farne a meno, incarico qualcuno di
portare giornalmente pane secco sbriciolato e di cambiare l'acqua,
viene visto o come una stravaganza o un atteggiamento. Il fatto che
particolarmente in primavera ed estate sia disposto ad attendere ore
e ore con movimenti lenti e misurati, il bel merlo nero brillante che
entra in casa, si sistema sulla sedia di fronte, e che sia contento,
quasi felice di essere accettato senza timori da lui, anche questo
non fa un buon effetto. E la volpe che ha anche dormito in macchina
una notte, per paura di un temporale, e che si lascia accarezzare e
prendere in braccio, e le tortore, e il riccio che quando diventa
padre viene a mostrarmi i figlioletti disposti in bella fila … io
non sono Axel Munthe. Sono una piccola cosa che cerca la natura
perché sente che essa è il suo orologio interno più fedele, più
vero.
Non posso non comprendere
la sua gioia nel vedere che la dimensione più naturale, quella
animale, lo accoglie serenamente. Lui era profondamente dotato,
capace di essere semplice nel senso che la natura così stima e che,
per la nostra epoca, anzi esattamente, per l'esasperata cultura
occidentale, risulta essere una stranezza degna di essere curata da
uno strizzacervelli …
Quando Malaparte, che ha
descritto un fatto del quale è stato veramente spettatore, descrive
la barba di Munthe, dice che è da vecchio fauno. Quale maggior
esattezza, ma nel senso profondo del termine! Questo essere
antichissimo e con la zampa caprina fu utilizzato dai cristianesimi
per rappresentare una delle tante versioni del diavolo che, fateci
caso, zoccoluto lo è quasi sempre. Ecco a quale distanza si pone
l'essere che nella naturalità sente completezza. Per me è una
lezione continua. L'unica che ho trovato, per ora, in grado di
esorcizzare la morte e altre simili enormi e irrisolvibili paure.
Nella natura, se ci entri, non comprendi, ma accetti, perché
qualcosa ti mescola il sangue ad un ritmo che è il medesimo che fa
scorrere i pianeti, l'acqua del Gange e un sorriso vero … e
l'eternità, per un attimo la senti, la vivi, è tua.
Per questo, quando all'età
di ventisette anni meno un mese, Axel Munthe racconta di aver
incontrato, di nuovo, lo gnomo della sua infanzia, non mi sorprendo e
non perdo tempo a domandarmi se è invenzione o altro. Esiste una
realtà vasta, nella quale i ricordi dell'infanzia, anche da adulti,
non diventano povere cose di bimbo, ma rocce sulle quali si fonda una
personalità che ha così la possibilità di una coerenza e di una
serenità affascinanti.
Veniamo al punto. Munthe
fugge letteralmente da Parigi per via di una donna. Non entro nei
particolari. Fa un viaggio in Lapponia. Quando è ora di tornare,
Ristin, una ragazza sedicenne di quella popolazione, viene incaricata
di accompagnarlo fino alla casa di Lars Anders. E' ancora in mezzo
alla foresta. Di strada ne ha fatta fidandosi di Ristin, e viene a
sapere che:
“ … C'era un piccolo
gnomo che abitava la stalla delle mucche, i nipotini lo vedevano
spesso. Era perfettamente inoffensivo finché era lasciato in pace e
trovava la sua scodella di polenta di farina d'orzo nel suo angolo
abituale. Non bisognava canzonarlo.”
Munthe dialoga con la
famiglia che lo ospita e viene a sapere tante cose sui vari spiriti
dei boschi … e poi va a letto ...
“ … Augurai loro la
buona notte e andai in camera mia, sopra la stalla delle mucche.
Fuori dalla finestra c'era il bosco, silenzioso e scuro. Accesi una
candela di sego, sul tavolo e mi sdraiai sulla pelle di montone,
stanco del lungo viaggio. Ascoltai per un po' il ruminare delle
mucche mentre dormivano. Mi parve di sentire il grido di un gufo,
lontano nella foresta. Guardai la candela di sego che ardeva
debolmente sulla tavola; mi faceva bene vederla, non avevo visto una
candela di sego da quando ero bambino nella mia vecchia casa. Fra le
palpebre socchiuse mi parve di vedere un ragazzetto, che in una
grigia mattinata d'inverno andava verso la scuola, camminando a
fatica nella neve profonda, con un pacco di libri legato con una
cinghia sulla schiena ed una candela di sego in mano, perché ogni
ragazzo doveva portare la sua per accenderla sul banco, in classe.
Qualche ragazzo ne portava una grossa, altri ne portavano una
sottile; sottile come quella che ardeva ora sul tavolo. Io ero un
ragazzo ricco, sul mio banco ardeva una grossa candela. Sul banco
accanto al mio ardeva la più sottile candela di tutta la classe,
perché la madre del ragazzo, che mi era vicino, era molto povera. Ma
io fui bocciato all'esame di Natale e quello passò primo della
classe, perché aveva più luce nel cervello.
… Mi parve di sentire un
rumore sul tavolo. Dovevo essermi addormentato per un po', perché la
candela stava per spegnersi … ma potevo vedere distintamente un
ometto, non più grande del palmo della mia mano, seduto a gambe
incrociate sulla tavola, che tirava la catena e chinava la vecchia
testa grigia da un lato per ascoltare il tic tac del mio orologio.
Era così interessato, che non si accorse che mi ero seduto sul letto
e lo guardavo. Ad un tratto mi vide, lasciò cadere la catena
dell'orologio, scivolò giù da una gamba del tavolo, agile come un
marinaio e balzò verso la porta, veloce quanto le sue gambine lo
permettevano. “Non avere paura, piccolo gnomo!” dissi.
“ Sono soltanto io. Non
scappare, ti farò vedere cosa c'è dentro quella scatola d'oro, che
t'interessa tanto. Può suonare una campana, come in chiesa la
domenica”. Si fermò di scatto e mi guardò coi suoi occhietti.
“Non posso capire”, disse lo gnomo. “Mi pareva di sentire
l'odore di un bambino in questa camera, altrimenti non sarei mai
entrato, e tu sembri un uomo. Per davvero …” Esclamò,
arrampicandosi sopra la seggiola vicino al letto. “Per davvero non
mi sarei mai immaginato d'aver la fortuna di trovarti qui, in questo
posto lontano. Sei proprio lo stesso bambino di quando ti vidi
l'ultima volta nella camera dei bambini della tua vecchia casa ...”
Si deve notare
immediatamente che Munthe, a differenza di Nabokov, non inventa, ma
racconta. Da cosa possiamo capirlo? Dal fatto che si stende e,
osservando un oggetto, la candela di sego, in modo involontario,
viene risucchiato dal passato. Questo agire divenne celebre con
Marcel Proust. Marcel rincasa in una giornata di pioggia. E'
malinconico. Gli servono un infuso di tiglio e una Madeleine. Intinge
il biscotto e, quando quel sapore invade la bocca, qualcosa di
indefinibile lo porta ad uno stadio intermedio fra l'agitazione e la
commozione. È come se un'immagine volesse apparire ma non ci riesce.
Varie volte riprova assaporando il biscotto inzuppato ed ecco che
l'immagine prende forma. Il salotto di zia Leonie, l'infanzia, un
mondo che sembrava perduto … e inizia così quella lunga avventura
che ora si chiama, non a caso, “alla ricerca del tempo perduto”.
Axel Munthe osserva la
candela di sego che da anni non ha più visto e quel ricordo lo
allontana dalla realtà della stanza posta sopra la stalla. Si
assopisce e quindi parte dei ricordi iniziano ad oscillare fra sonno
e veglia, in un mondo molto più vasto e accogliente ... ma poi si
sveglia, o almeno così crede. La candela è spenta quindi deduce che
è passato un po' di tempo … sente qualcosa e scorge sul tavolo,
seduto a gambe incrociate un omino minuscolo che osserva incuriosito
il suo orologio d'oro.
Munthe dice qualcosa per
evitare che l'esserino si spaventi e inizia il dialogo che ha
sfumature toccanti. L'autore, che non ha ancora ventisei anni, pensa
di poter spiegare allo gnomo, cos'è il tempo. Pensa di sapere
qualcosa che lo gnomo non sa. Gli toccherà scoprire che si tratta di
una invenzione che è la sua condanna. Sua e di tutti gli umani.
Ovviamente ho messo solo l'inizio dell'incontro. Potrete leggerlo per
intero nel volume “La storia di San Michele”. Si tratta del
settimo capitolo intitolato “Lapponia” e tutto questo mio scritto
non uscirà dai suoi confini.
Merita ora una certa
attenzione il viaggio nella foresta lappone che precede l'arrivo in
quel luogo nel quale Munthe incontrerà lo gnomo. Ristin, questa
ragazza, ha caratteristiche interessanti ...
“ … Camminava per il
ripido pendio col passo rapido e silenzioso d'un animale, saltava,
come una lepre, un tronco d'albero e uno stagno d'acqua. Ogni tanto
si slanciava, agile come una capra, su un'erta roccia, guardandosi
d'attorno in ogni direzione. Ai piedi della collina ci trovammo
davanti a un largo torrente; ebbi appena il tempo di domandarmi come
avremmo potuto attraversarlo, che lei vi era già entrata fino ai
fianchi. Non mi restò che seguirla nell'acqua gelata. ...“
Questo essere umano, di
origine ed educazione lappone, agisce nella foresta con la logica
dell'animale ...
“ … I miei tentativi
per spiegare a Ristin l'uso della bussola da tasca avevano incontrato
così poco successo, che tralasciai di guardarla io stesso, ponendo
la mia fiducia nell'istinto di Ristin, istinto di animale selvatico”.
Alle parole precedenti,
seguono immediatamente le prossime. Le ho staccate per sottolineare
una caratteristica. In esse Ristin è, in tutto per tutto, un cane da
caccia in azione ...
“... Si capiva che aveva
una gran fretta. Ogni tanto correva più rapidamente in una
direzione, si fermava di scatto aspirando il vento con le narici
frementi, poi ripartiva in un'altra direzione per ripetere la stessa
manovra. Di tanto in tanto si chinava ad annusare la terra. …”
E' un essere sorprendente
per il mondo civile, ma non finisce qui, con la descrizione di un
altro particolare, Munthe ci proietta nel paradiso ...
“ … “Benvenuto nella
foresta!” disse Lars Anders …
… “Metti un altro
tronco sul fuoco, Kerstin”, gridò alla moglie dentro la casa. “Ha
attraversato il fiume a nuoto con la ragazza lappone, devono
asciugare i loro abiti”. Ristin ed io ci sedemmo su una bassa panca
davanti al fuoco. “E' fradicio come una lontra” disse madre
Kerstin aiutandomi a togliere le calze, i calzoncini, la maglia e la
camicia di flanella dal mio corpo bagnato e appendendoli ad asciugare
su una corda attraverso il soffitto. Ristin si era già tolta la
casacca di renna, i gambali, le brache e la maglia di lana, la
camicia non l'aveva. Stavamo a fianco a fianco, sulla panca di legno,
dinnanzi al fuoco fiammeggiante, completamente nudi come il creatore
ci aveva fatto. I due vecchi pensavano che non ci fosse nessun male,
e infatti non ce n'era. ...”
Quando immaginiamo quella
scena davanti al fuoco, ricordiamoci che queste due versioni nordiche
di Adamo ed Eva hanno rispettivamente ventisei e sedici anni. Esiste
la possibilità che si tratti delle età che maggiormente esprimono
la bellezza fisica dei due sessi. Secondo me sì, quindi quel
paradiso raggiunge la perfezione. L'unica perfezione concessa
all'umana fantasia.
In un altro punto del
capitolo scopriamo che non sanno cosa sia il furto. Anche nel
paradiso, eccezion fatta forse per un solo albero di mele, del quale
Munthe e Ristin sembra che non sapessero nulla, il problema dei
ladri non si pone … altrimenti che paradiso è … non trovate?
E la descrizione del senso
dell'esistere di alcuni spiriti dei boschi? Scopriamo che è dotata
di una coerenza notevole che non può e non deve essere trascurata
...
… “Gli Uldra?”
Sì, non conoscevo gli
Uldra, il piccolo popolo che vive sotto terra?
Quando l'orso si
addormenta durante l'inverno, gli Uldra gli portano il cibo di notte;
naturalmente nessun animale potrebbe dormire tutto l'inverno senza
nutrirsi, affermava sorridendo Turi. E' legge che l'orso non debba
uccidere l'uomo. Se infrange la legge, gli Uldra non gli portano più
cibo, e d'inverno non può più dormire. ...”
Vedete, esseri primitivi,
tanto tempo fa, hanno creato dei ragionamenti che, per i loro scarsi
mezzi sembravano talmente sensati, da meritare di essere elevati al
rango di realtà … partendo dal presupposto che non si può stare
mesi e mesi senza nutrirsi, si deduce che qualcuno, d'inverno, nutra
gli orsi. Semplice. E io immagino il carissimo Albert Einstein che
defunge, giunge davanti ad un dio, e scopre che la sua geniale teoria
è tenera, semplice e distante dalla realtà che in quel momento gli
verrà rivelata, esattamente come per noi la verità lappone sugli
orsi, appare … degna del nome di favola …
E ora concludo citando un
passo che riguarda il Troll:
“ … Ora, dacché il re
aveva cominciato a far saltar le rocce per scavare e cominciato a
costruire una ferrovia, non aveva più sentito di Troll. ...”
quando invitavo a leggere
prima di questo, lo scritto dedicato a Nabokob che incontra lo
spirito dei boschi, è in fondo per questo passo.
Tre motivi allontanano
definitivamente questi esseri dalla Russia. L'industrializzazione, la
guerra, esattamente la prima guerra mondiale, e la rivoluzione russa.
Cosa allontana i Troll? Il
primo di questi motivi. La costruzione delle ferrovie … e basta
questo perché di loro, forse fuggiti o forse dissolti in nebbia,
nessuno senta più parlare.
Entro la prima metà del
novecento, già due stati non han perso i loro folletti, ora, nel
2013 quale bilancio possiamo fare?
ciao
p. s.
Probabilmente qualcuno dubita della mia volpe...
potete vederla verso il fondo del post del 12 marzo 2012 intitolato. Tonino Guerra "Polvere di sole", seconda parte. Il portellone posteriore del furgone è aperto e lei è tranquillamente accoccolata. la sua pelliccia non è morbida, ma lievemente setolosa. E' stupenda, perfetta, e tuttora di notte, le lascio qualcosa da mangiare nella ciotola.
Probabilmente qualcuno dubita della mia volpe...
potete vederla verso il fondo del post del 12 marzo 2012 intitolato. Tonino Guerra "Polvere di sole", seconda parte. Il portellone posteriore del furgone è aperto e lei è tranquillamente accoccolata. la sua pelliccia non è morbida, ma lievemente setolosa. E' stupenda, perfetta, e tuttora di notte, le lascio qualcosa da mangiare nella ciotola.
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