martedì 29 gennaio 2013

Axel Munthe: "La storia di San Michele" e la visita del folletto


Per calarsi bene in questo scritto è il caso di leggere prima il precedente col titolo “Nabokov e la visita del folletto”. Il motivo è che qui un altro uomo grande e profondo, ne incontra uno e mi sembra importante, oltre alla meditazione sul testo, fare anche qualche confronto. Si noti che dico meditazione e non invito all'analisi razionale … è importante. Stiamo parlando di creazioni letterarie elevatissime quindi lasceremo la scientificità alla scienza. Qui, se serve una fetta di cuore ce la mettiamo.

Bisogna partire da una presentazione. Axel Munthe, purtroppo è per la stragrande maggioranza delle persone del 2013, uno sconosciuto. Nacque nel 1857 in Svezia. Si laureò, più giovane medico di Francia, a Parigi, con Charcot, che fu anche maestro di Sigmund Freud. Altro, per ora, della sua biografia, non ci interessa. Mi permetto comunque sin d'ora di far presente che Freud, trasformò la lezione di Charcot in una scienza, che definisco umana nel senso che non sarà mai perfetta come tutte le azioni umane, ma a questa mira. Munthe invece trasformò la lezione di Charchot, in tre opere letterarie, nell'ordine: “Vagabondaggio”, “La storia di san Michele” e “Croce rossa, croce di ferro”. Il più celebre fu il secondo. Si trattò di un successo completo, anche editoriale a livello planetario. Lo diede alle stampe a settant'anni.

Per quel che riguarda la descrizione della sua personalità, preferisco affidarmi alle parole di Curzio Malaparte che lo conobbe. Le trovate all'inizio del suo libro “Kaputt” che, anche per altri motivi, merita di essere letto e profondamente meditato.

Veniamo alla descrizione. Vi dico la situazione. Malaparte è andato a trovarlo a Capri, e lo accompagna in una passeggiata:

... Quel giorno Munthe appariva sereno: e a un certo punto si mise a parlarmi degli uccelli di Capri. Ogni sera, verso il tramonto, egli esce dalla sua torre, s'inoltra a passi lenti e cauti fra gli alberi del parco, col suo mantellaccio verde sulle spalle, il suo cappelluccio buttato di traverso sui capelli arruffati, gli occhi nascosti dietro gli occhiali neri, finché giunge in un luogo, dove gli alberi più radi fan come uno specchio di cielo nell'erba. Là si ferma, e diritto, magro, legnoso, simile ad un antico tronco scarnito e inaridito dal sole, dal gelo e dalle tempeste, un riso felice acquattato fra il pelo della sua barbetta di vecchio fauno, aspetta: e gli uccelli volano a lui a frotte, cinguettando affettuosi, gli si posano sulle spalle, sulle braccia, sul cappello, gli beccano il naso, le labbra, gli orecchi. Munthe riman così, diritto, immobile, a discorrere con i suoi piccoli amici nel dolce dialetto caprese, finché il sole tramonta, si tuffa nel mare azzurro e verde, e gli uccelli volano via al loro nido, tutti insieme, con un alto trillo di saluto”.

Una precisazione: gli occhiali scuri poiché aveva seri problemi alla vista.

Penso che non ci siano dubbi che ci troviamo davanti ad una persona particolarissima. Attualmente sarebbe un cretino? Penso di si. Il fatto che io non voglia star lontano da casa per dare da mangiare all'eterno pettirosso che abita tutti gli inverni nella siepe di fronte alla mia porta e, se proprio non posso farne a meno, incarico qualcuno di portare giornalmente pane secco sbriciolato e di cambiare l'acqua, viene visto o come una stravaganza o un atteggiamento. Il fatto che particolarmente in primavera ed estate sia disposto ad attendere ore e ore con movimenti lenti e misurati, il bel merlo nero brillante che entra in casa, si sistema sulla sedia di fronte, e che sia contento, quasi felice di essere accettato senza timori da lui, anche questo non fa un buon effetto. E la volpe che ha anche dormito in macchina una notte, per paura di un temporale, e che si lascia accarezzare e prendere in braccio, e le tortore, e il riccio che quando diventa padre viene a mostrarmi i figlioletti disposti in bella fila … io non sono Axel Munthe. Sono una piccola cosa che cerca la natura perché sente che essa è il suo orologio interno più fedele, più vero.

Non posso non comprendere la sua gioia nel vedere che la dimensione più naturale, quella animale, lo accoglie serenamente. Lui era profondamente dotato, capace di essere semplice nel senso che la natura così stima e che, per la nostra epoca, anzi esattamente, per l'esasperata cultura occidentale, risulta essere una stranezza degna di essere curata da uno strizzacervelli …

Quando Malaparte, che ha descritto un fatto del quale è stato veramente spettatore, descrive la barba di Munthe, dice che è da vecchio fauno. Quale maggior esattezza, ma nel senso profondo del termine! Questo essere antichissimo e con la zampa caprina fu utilizzato dai cristianesimi per rappresentare una delle tante versioni del diavolo che, fateci caso, zoccoluto lo è quasi sempre. Ecco a quale distanza si pone l'essere che nella naturalità sente completezza. Per me è una lezione continua. L'unica che ho trovato, per ora, in grado di esorcizzare la morte e altre simili enormi e irrisolvibili paure. Nella natura, se ci entri, non comprendi, ma accetti, perché qualcosa ti mescola il sangue ad un ritmo che è il medesimo che fa scorrere i pianeti, l'acqua del Gange e un sorriso vero … e l'eternità, per un attimo la senti, la vivi, è tua.

Per questo, quando all'età di ventisette anni meno un mese, Axel Munthe racconta di aver incontrato, di nuovo, lo gnomo della sua infanzia, non mi sorprendo e non perdo tempo a domandarmi se è invenzione o altro. Esiste una realtà vasta, nella quale i ricordi dell'infanzia, anche da adulti, non diventano povere cose di bimbo, ma rocce sulle quali si fonda una personalità che ha così la possibilità di una coerenza e di una serenità affascinanti.

Veniamo al punto. Munthe fugge letteralmente da Parigi per via di una donna. Non entro nei particolari. Fa un viaggio in Lapponia. Quando è ora di tornare, Ristin, una ragazza sedicenne di quella popolazione, viene incaricata di accompagnarlo fino alla casa di Lars Anders. E' ancora in mezzo alla foresta. Di strada ne ha fatta fidandosi di Ristin, e viene a sapere che:

“ … C'era un piccolo gnomo che abitava la stalla delle mucche, i nipotini lo vedevano spesso. Era perfettamente inoffensivo finché era lasciato in pace e trovava la sua scodella di polenta di farina d'orzo nel suo angolo abituale. Non bisognava canzonarlo.”

Munthe dialoga con la famiglia che lo ospita e viene a sapere tante cose sui vari spiriti dei boschi … e poi va a letto ...

“ … Augurai loro la buona notte e andai in camera mia, sopra la stalla delle mucche. Fuori dalla finestra c'era il bosco, silenzioso e scuro. Accesi una candela di sego, sul tavolo e mi sdraiai sulla pelle di montone, stanco del lungo viaggio. Ascoltai per un po' il ruminare delle mucche mentre dormivano. Mi parve di sentire il grido di un gufo, lontano nella foresta. Guardai la candela di sego che ardeva debolmente sulla tavola; mi faceva bene vederla, non avevo visto una candela di sego da quando ero bambino nella mia vecchia casa. Fra le palpebre socchiuse mi parve di vedere un ragazzetto, che in una grigia mattinata d'inverno andava verso la scuola, camminando a fatica nella neve profonda, con un pacco di libri legato con una cinghia sulla schiena ed una candela di sego in mano, perché ogni ragazzo doveva portare la sua per accenderla sul banco, in classe. Qualche ragazzo ne portava una grossa, altri ne portavano una sottile; sottile come quella che ardeva ora sul tavolo. Io ero un ragazzo ricco, sul mio banco ardeva una grossa candela. Sul banco accanto al mio ardeva la più sottile candela di tutta la classe, perché la madre del ragazzo, che mi era vicino, era molto povera. Ma io fui bocciato all'esame di Natale e quello passò primo della classe, perché aveva più luce nel cervello.

Mi parve di sentire un rumore sul tavolo. Dovevo essermi addormentato per un po', perché la candela stava per spegnersi … ma potevo vedere distintamente un ometto, non più grande del palmo della mia mano, seduto a gambe incrociate sulla tavola, che tirava la catena e chinava la vecchia testa grigia da un lato per ascoltare il tic tac del mio orologio. Era così interessato, che non si accorse che mi ero seduto sul letto e lo guardavo. Ad un tratto mi vide, lasciò cadere la catena dell'orologio, scivolò giù da una gamba del tavolo, agile come un marinaio e balzò verso la porta, veloce quanto le sue gambine lo permettevano. “Non avere paura, piccolo gnomo!” dissi.

Sono soltanto io. Non scappare, ti farò vedere cosa c'è dentro quella scatola d'oro, che t'interessa tanto. Può suonare una campana, come in chiesa la domenica”. Si fermò di scatto e mi guardò coi suoi occhietti. “Non posso capire”, disse lo gnomo. “Mi pareva di sentire l'odore di un bambino in questa camera, altrimenti non sarei mai entrato, e tu sembri un uomo. Per davvero …” Esclamò, arrampicandosi sopra la seggiola vicino al letto. “Per davvero non mi sarei mai immaginato d'aver la fortuna di trovarti qui, in questo posto lontano. Sei proprio lo stesso bambino di quando ti vidi l'ultima volta nella camera dei bambini della tua vecchia casa ...”

Si deve notare immediatamente che Munthe, a differenza di Nabokov, non inventa, ma racconta. Da cosa possiamo capirlo? Dal fatto che si stende e, osservando un oggetto, la candela di sego, in modo involontario, viene risucchiato dal passato. Questo agire divenne celebre con Marcel Proust. Marcel rincasa in una giornata di pioggia. E' malinconico. Gli servono un infuso di tiglio e una Madeleine. Intinge il biscotto e, quando quel sapore invade la bocca, qualcosa di indefinibile lo porta ad uno stadio intermedio fra l'agitazione e la commozione. È come se un'immagine volesse apparire ma non ci riesce. Varie volte riprova assaporando il biscotto inzuppato ed ecco che l'immagine prende forma. Il salotto di zia Leonie, l'infanzia, un mondo che sembrava perduto … e inizia così quella lunga avventura che ora si chiama, non a caso, “alla ricerca del tempo perduto”.

Axel Munthe osserva la candela di sego che da anni non ha più visto e quel ricordo lo allontana dalla realtà della stanza posta sopra la stalla. Si assopisce e quindi parte dei ricordi iniziano ad oscillare fra sonno e veglia, in un mondo molto più vasto e accogliente ... ma poi si sveglia, o almeno così crede. La candela è spenta quindi deduce che è passato un po' di tempo … sente qualcosa e scorge sul tavolo, seduto a gambe incrociate un omino minuscolo che osserva incuriosito il suo orologio d'oro.

Munthe dice qualcosa per evitare che l'esserino si spaventi e inizia il dialogo che ha sfumature toccanti. L'autore, che non ha ancora ventisei anni, pensa di poter spiegare allo gnomo, cos'è il tempo. Pensa di sapere qualcosa che lo gnomo non sa. Gli toccherà scoprire che si tratta di una invenzione che è la sua condanna. Sua e di tutti gli umani. Ovviamente ho messo solo l'inizio dell'incontro. Potrete leggerlo per intero nel volume “La storia di San Michele”. Si tratta del settimo capitolo intitolato “Lapponia” e tutto questo mio scritto non uscirà dai suoi confini.

Merita ora una certa attenzione il viaggio nella foresta lappone che precede l'arrivo in quel luogo nel quale Munthe incontrerà lo gnomo. Ristin, questa ragazza, ha caratteristiche interessanti ...

“ … Camminava per il ripido pendio col passo rapido e silenzioso d'un animale, saltava, come una lepre, un tronco d'albero e uno stagno d'acqua. Ogni tanto si slanciava, agile come una capra, su un'erta roccia, guardandosi d'attorno in ogni direzione. Ai piedi della collina ci trovammo davanti a un largo torrente; ebbi appena il tempo di domandarmi come avremmo potuto attraversarlo, che lei vi era già entrata fino ai fianchi. Non mi restò che seguirla nell'acqua gelata. ...“

Questo essere umano, di origine ed educazione lappone, agisce nella foresta con la logica dell'animale ...

“ … I miei tentativi per spiegare a Ristin l'uso della bussola da tasca avevano incontrato così poco successo, che tralasciai di guardarla io stesso, ponendo la mia fiducia nell'istinto di Ristin, istinto di animale selvatico”.

Alle parole precedenti, seguono immediatamente le prossime. Le ho staccate per sottolineare una caratteristica. In esse Ristin è, in tutto per tutto, un cane da caccia in azione ...

... Si capiva che aveva una gran fretta. Ogni tanto correva più rapidamente in una direzione, si fermava di scatto aspirando il vento con le narici frementi, poi ripartiva in un'altra direzione per ripetere la stessa manovra. Di tanto in tanto si chinava ad annusare la terra. …”

E' un essere sorprendente per il mondo civile, ma non finisce qui, con la descrizione di un altro particolare, Munthe ci proietta nel paradiso ...

“ … “Benvenuto nella foresta!” disse Lars Anders …

… “Metti un altro tronco sul fuoco, Kerstin”, gridò alla moglie dentro la casa. “Ha attraversato il fiume a nuoto con la ragazza lappone, devono asciugare i loro abiti”. Ristin ed io ci sedemmo su una bassa panca davanti al fuoco. “E' fradicio come una lontra” disse madre Kerstin aiutandomi a togliere le calze, i calzoncini, la maglia e la camicia di flanella dal mio corpo bagnato e appendendoli ad asciugare su una corda attraverso il soffitto. Ristin si era già tolta la casacca di renna, i gambali, le brache e la maglia di lana, la camicia non l'aveva. Stavamo a fianco a fianco, sulla panca di legno, dinnanzi al fuoco fiammeggiante, completamente nudi come il creatore ci aveva fatto. I due vecchi pensavano che non ci fosse nessun male, e infatti non ce n'era. ...”

Quando immaginiamo quella scena davanti al fuoco, ricordiamoci che queste due versioni nordiche di Adamo ed Eva hanno rispettivamente ventisei e sedici anni. Esiste la possibilità che si tratti delle età che maggiormente esprimono la bellezza fisica dei due sessi. Secondo me sì, quindi quel paradiso raggiunge la perfezione. L'unica perfezione concessa all'umana fantasia.

In un altro punto del capitolo scopriamo che non sanno cosa sia il furto. Anche nel paradiso, eccezion fatta forse per un solo albero di mele, del quale Munthe e Ristin sembra che non sapessero nulla, il problema dei ladri non si pone … altrimenti che paradiso è … non trovate?

E la descrizione del senso dell'esistere di alcuni spiriti dei boschi? Scopriamo che è dotata di una coerenza notevole che non può e non deve essere trascurata ...

… “Gli Uldra?”

Sì, non conoscevo gli Uldra, il piccolo popolo che vive sotto terra?

Quando l'orso si addormenta durante l'inverno, gli Uldra gli portano il cibo di notte; naturalmente nessun animale potrebbe dormire tutto l'inverno senza nutrirsi, affermava sorridendo Turi. E' legge che l'orso non debba uccidere l'uomo. Se infrange la legge, gli Uldra non gli portano più cibo, e d'inverno non può più dormire. ...”

Vedete, esseri primitivi, tanto tempo fa, hanno creato dei ragionamenti che, per i loro scarsi mezzi sembravano talmente sensati, da meritare di essere elevati al rango di realtà … partendo dal presupposto che non si può stare mesi e mesi senza nutrirsi, si deduce che qualcuno, d'inverno, nutra gli orsi. Semplice. E io immagino il carissimo Albert Einstein che defunge, giunge davanti ad un dio, e scopre che la sua geniale teoria è tenera, semplice e distante dalla realtà che in quel momento gli verrà rivelata, esattamente come per noi la verità lappone sugli orsi, appare … degna del nome di favola …

E ora concludo citando un passo che riguarda il Troll:

“ … Ora, dacché il re aveva cominciato a far saltar le rocce per scavare e cominciato a costruire una ferrovia, non aveva più sentito di Troll. ...”

quando invitavo a leggere prima di questo, lo scritto dedicato a Nabokob che incontra lo spirito dei boschi, è in fondo per questo passo.

Tre motivi allontanano definitivamente questi esseri dalla Russia. L'industrializzazione, la guerra, esattamente la prima guerra mondiale, e la rivoluzione russa.

Cosa allontana i Troll? Il primo di questi motivi. La costruzione delle ferrovie … e basta questo perché di loro, forse fuggiti o forse dissolti in nebbia, nessuno senta più parlare.

Entro la prima metà del novecento, già due stati non han perso i loro folletti, ora, nel 2013 quale bilancio possiamo fare?


A voi deciderlo.

ciao

p. s.

Probabilmente qualcuno dubita della mia volpe...
potete vederla verso il fondo del post del 12 marzo 2012 intitolato. Tonino Guerra "Polvere di sole", seconda parte. Il portellone posteriore del furgone è aperto e lei è tranquillamente accoccolata. la sua pelliccia non è morbida, ma lievemente setolosa. E' stupenda, perfetta, e tuttora di notte, le lascio qualcosa da mangiare nella ciotola.







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