Sto
camminando sul marciapiedi. Poca gente. Devo decidere a cosa pensare
dopo una giornata passata sui libri, quando, all’improvviso accade
la grande disavventura. Un uomo di poco più giovane di me, che mi
aveva appena superato e ora mi cammina davanti, si ferma
improvvisamente. Si vede che la decisione, che aveva fino ad un
attimo prima, l’ha lasciato. Avendomi per l’appunto appena
superato, quel suo arrestarsi all’improvviso mi ha costretto a uno
scarto abbastanza brusco. Ho sfiorato il suo zainetto di pelle nera
di ottima fattura. È stato inevitabile. Di meglio non mi è riuscito
di fare. Lui mi guarda sorpreso, si sfila lo zaino e lo tiene stretto
in grembo. Diventa furioso e inizia a gridare “Al ladro! Al
ladro!”. Lo guardo stupito e cerco di dire, mentre urla, che si è
fermato improvvisamente e che l’ho sfiorato nel tentativo forse
maldestro ma comunque riuscito, di evitarlo. Ma non mi sente. Urla e
si fa gente. Sono imbarazzatissimo. Se scappo sarò considerato
colpevole. Se rimango verrò certamente arrestato. Rimanere è
comunque l’unica possibilità, anche se remota, che mi rimane
poiché posso così azzardare una, anche se ardua, difesa.
Due poliziotti arrivano e si mettono ai
miei fianchi. Anche loro non sanno come agire. La mia immobilità li
sconcerta e non richiede, per il momento, altro intervento. Intanto,
la gente che si è raccolta, mi guarda con riprovazione. Per loro,
d’istinto, son colpevole. Il colpevole che si fa vittima, è sempre
utile, rinfranca. Ognuno non esita a considerarsi sempre innocente. È
l’altro a doversi far carico, ovviamente controvoglia, della colpa
e delle sue conseguenze. La loro rabbia si sfoga sanamente, ma per
mia fortuna in modo controllato. Sguardi appunto, e qualche
imprecazione.
Un dubbio mi addolora. Il sospetto che
avrei potuto fuggire. Sono consapevole di poter correre assai veloce.
E un colpevole anonimo me lo sarei scrollato di dosso in poco tempo.
Ma ormai è tardi e quella soluzione che avrebbe ridotto la
situazione ad un uomo che lamenta urlando un furto di fatto non
avvenuto o non riuscito, sarebbe finito nel nulla in pochi minuti.
Si fa silenzio. Mi osservano tutti e
attendono da me una difesa perché il colpevole,anche se colto come
pensano, sul fatto, cercherà di contraffare la realtà o di
impietosire. Ma sono vestito bene. Elegante, direi. Non sono
credibili favolette di povertà e figli alla fame.
Dico che il signore camminava veloce,
mi ha superato e poi si è fermato improvvisamente, che ho fatto il
possibile per non urtarlo, ma che comunque l’ho sfiorato, e questo
fatto che trovo minimo gli ha dato l’esagerata certezza che avessi
voluto derubarlo.
Lui mi guarda sorpreso. La gente
intanto bisbiglia severa e anche i poliziotti lo scrutano attendendo
che dica qualcosa.
Qualcuno insinua che ho una fantasia
eccezionale e che essa è una prova in più della mia colpevolezza. È
evidente che non intendono rinunciare al piacere di un colpevole.
L’accusatore tace e i poliziotti mi
chiedono i documenti che rassegnato consegno.
Quell’uomo non lo guardo, non so più
che dire. Lui invece si avvicina ai poliziotti e dice piano che sì,
è vero, si è fermato improvvisamente. Si era appena ricordato di un
impegno che stava appunto scordando e che aveva assolutamente la
precedenza su quel che stava facendo.
Mi guarda accennando a un sorriso. Uno
dei poliziotti risponde che verrò comunque segnalato, così se
accadrà ancora disporranno di un precedente.
Mi sembra di capire che lui,
l’accusatore, sia soddisfatto, quindi dico: “anche un sospetto è
per me una condanna.”
Risponde che non capisce, che gli
sembra di aver rimediato alla situazione e in fondo è stato benevolo
poiché lo ha fatto anche se non ha la certezza della mia innocenza.
Gli dico: “Mi guardi negli occhi!”,
ma china lo sguardo. “Ora che il male è sorto, nessun gesto,
nessuna azione potrà annientarlo. Lei pensa, come tutte queste
persone, che quando si mette in carcere un omicida sia fatta
giustizia? La giustizia non esiste! Se si potesse ridare alla vittima
quel che aveva, quindi la vita, forse almeno un poco si potrebbe dire
che si è rimediato! chiudendo il colpevole in carcere in fondo ci si
limita a metterlo nella condizione di non fare altro danno. E se le
sembra che per un furto basti riconsegnare degli oggetti, lo
spavento, la sicurezza incrinata, non si possono rendere e solo
questa epoca che monetizza tutto, anche gli affetti, può credere che
basti un risarcimento … Ora io verrò segnalato e avrò timore a
girare a piedi per strade affollate perché, e lei lo ha potuto
constatare, il fatto può accadere casualmente ancora ed essere
fraintesi accade troppo spesso. Nulla io posso contro il caso.
Contro esso la mia volontà non basta.”
Lui si arrabbia e grida: “E cosa
posso farci ora! Ho detto che ho un dubbio e nel dubbio la lascio
libero! di più non posso fare!”
“Ma questo basta più. Neanche
dichiararmi innocente mi renderà più l’uomo di prima e nemmeno
lei da ora sarà più la medesima persona.”
I poliziotti mi prendono per i gomiti e
mi stringono ai loro corpi, ma con gentilezza.
Lui si mette quella maschera che
chiamano occhiali da sole e torna sui suoi passi con nervosa
decisione.
Ma io so che a una ventina di metri c’è
il ponte inesorabile.
Chiedo ai poliziotti un attimo di sosta
e me lo accordano. Non temono una mia fuga e in più hanno in tasca i
miei documenti. Per me non c’è scampo.
Mi appoggio con le spalle al muro e
con la coda dell’occhio lo vedo allontanarsi con passo sempre più
incerto. Ecco … è arrivato al ponte … si ferma …. scavalca.
Nessuno ha visto niente, come in quel
lontano giorno, quando Icaro con le ali sciolte, si perse nel mare.
Solo io so ora, a cosa porta il male,
sempre, quando nasce … anche se chiamato involontariamente.
Ed ecco che questo mondo che potrebbe
essere stupendo, si fa abisso.
E anche a me ormai, spetta
l’insondabile destino perché vittima e carnefice son due volti
della medesima infinita moneta.
Nessun commento:
Posta un commento