“...La
generazione di coloro che al tempo della guerra erano bambini....
Quando aprirono gli occhi videro del mondo sopratutto uno spettacolo,
la mobilitazione generale della violenza, e così vistoso e così
imponente, così invadente era questo spettacolo che pareva velare
ogni altro, anche quelli della bontà, della generosità,
dell'intelligenza, del sacrificio, che pure fiorirono in quegli anni,
come sempre. Quella violenza pareva trionfante, sicura di sé. Aveva
andature allegre, perfino sportive; arrivava a simulare una sorta di
giovanile innocenza. La sua legge era il disprezzo di ogni legge, la
sua caratteristica sociale era il disprezzo di ogni società e il
trionfo dell'individuo audace, cinico, privo di rimorsi. Si capì
presto infatti, quando la generazione bruciata si
affacciò alle cronache con una serie impressionante di delitti ….”
Queste
son le parole che una voce fuori campo introduce nel film “I
vinti”. Soggetto, sceneggiatura e regia di Michelangelo Antonioni,
aiutato dalla eccellente Suso Cecchi d'Amico e con un aiuto regista
come Francesco Rosi. Per chi trova noiosetti e lenti i film
dell'Antonioni degli anni settanta, invito ad andare alle radici
della sua opera. “I vinti” è del '53 ed è un gioiello che fa
pensare … e tanto.
Facciamo
due conti. “La generazione che al tempo della guerra erano
bambini”, così dice la voce. Li immagino nati negli anni trenta e,
se la mente, all'età di tre, quattro e cinque anni è ritenuta in
grado di relazionarsi, aggiungerei anche la prima cinquina degli anni
quaranta. Se poi si analizza cosa fu dell'Europa nell'immediato
dopoguerra, si comprenderà che allargare anche fino al '46 e '47,
non è così esagerato come può sembrare. Tutto era distrutto.
Vendette, lotta per il cibo eccetera. Una babele che, dalla violenza
insensata e sbruffona dei fascismi, passò a quella della
sopravvivenza.
Domanda.
Esiste ancora quella generazione? Quella che Antonioni, Rosi e
D'Amico chiamano la generazione bruciata?
Pallottoliere alla mano la risposta è si …
Oscillano
dagli ottant'anni per quelli degli anni trenta, ai settantacinque per
quelli degli anni quaranta. Se, come ci dice quella voce, una parte
finì sulle cronache, chi non ci finì e in qualche modo è arrivato
ai nostri giorni, con quell'educazione alle spalle, cosa può aver
combinato?
Ci
si potrebbe domandare perché desidero parlarne ed è semplice. Io di
quella generazione che considero non bruciata, ma maledetta, sono un
figlio.
Vedete,
la violenza non si esprime solo con le botte, con una sottomissione
guidata dalla forza. Essa si maschera pian piano in botte private,
senza testimoni, poiché la facciata va pur salvata, e in guerra
psicologica (questa la violenza invisibile e possibile in una
democrazia. Il femminicidio, ultimo atto di azioni per il novanta per
cento sommerse, ne è un segno e sembra che quel sommerso nessuno
abbia fretta di regolamentarlo...).
Ma
noi, figli della generazione maledetta, eravamo bambini e poi
adolescenti! Bambini di una generazione senza regole e abituata alla
violenza, al sopruso! Ed ecco che vedo padri e madri che rubano, si,
rubano il futuro ai figli cercando di prendere tutto fino all'ultima
goccia, e i figli, o han ceduto e, abituati da sempre solo a quella
subdola sottomissione, non si rendono ancora conto della vita non
vissuta che vivono … oppure, oppure se ne son andati. Hanno
spaccato tutto, legami intendo, e spesso dal nulla hanno ricominciato
tenendo a distanza … la generazione maledetta.
Accade
però che nella vita quotidiana li incontri quando meno te lo
aspetti. Altrove ho narrato quel che mi accadde in una
libreria-edicola a Roma; entro e prendo quel che mi serve. Mi
avvicino alla cassa e aspetto il mio turno dietro ad un signore. Nel
frattempo arrivano altre tre persone, di quella maledetta
generazione, si servono e mi passano davanti come se io non
esistessi. Sbalordito, mi son chiesto se son diventato invisibile e,
al quarto cliente di quella generazione che entra veloce, prende un
quotidiano e mi supera e ignora, son sbottato urlando “Io
esistooooooo!” Si son bloccati stupiti. All'inizio mi han preso per
matto e uno ha chiesto cosa intendevo dire. Quando ho spiegato si è
scusato dicendo che non se n'era reso conto, risposta che non lava un
bel nulla ma mette in risalto cosa a quella generazione manca perfino
nelle più piccole cose.
Accadde
ancora in un altro locale. Feci notare al “maledetto” quel che
aveva fatto. Aveva ignorato una folla. Anche lui ha risposto che si
scusava ma non se n'era accorto... ma intanto io so, anche perché
conoscendolo di vista ho potuto rivederlo in azione, sempre lui
protagonista, che fra un attimo, dopo, domani e per sempre finché
camperà, anche nelle più piccole cose, vedrà solo se stesso.
Spesso
mi son domandato se mi riusciva di inventare una situazione che
mettesse completamente a nudo questa malattia. Ed ecco che la realtà
mi ha offerto quanto la fantasia ha saputo redigere solo in un
racconto scritto anni fa (si intitola “creatura” ed è stato
pubblicato in tiratura limitata) e che ritengo talmente violento, per
quanto narrante un fatto accaduto, da non avere nemmeno più il
coraggio di rileggerlo o pensarlo.
Ecco
cosa mi è successo questa mattina.
Vado
in un caffè con il mio cane. Un educatissimo Beagle a nome Lolita. I
cani possono entrare e quelli del locale li amano veramente, non
accade come spesso mi capita, che il cane è ammesso solo perché
siamo in tempo di crisi e si fa di tutto per racimolare clienti. Si
tratta in questo caso di una scelta morale. Sono al banco, quindi in
piedi, e al tavolino più vicino, una coppia della generazione
maledetta, sta consumando la colazione e leggendo il giornale. Lolita
è ad un metro di distanza e assai composta. La signora della
generazione suddetta, improvvisamente impone, con voce dura: “tenga
lontano quel cane!” Sono stupito. Lolita non ha fatto nulla. Ora
comunque la guarda, incuriosita da quell'abbaiare umano con tono
aggressivo. La barista, con la quale stavo chiacchierando, è
ammutolita. Io ho reagito dicendo “spero non le dia fastidio anche
il fatto che il cane la sta guardando”. Ho scelto il sarcasmo
perché la situazione era talmente assurda da non meritare altro
approccio. Lei ha risposto dicendo che la mia battuta non faceva
ridere ed era fuori luogo. “Ma il mio cane non ha fatto nulla e non
le era nemmeno troppo vicino e lei non può imporre così!”
Ha
reagito il marito chiedendo se ero nervoso. “Guardi che il cane non
ha fatto nulla, è educatissimo e imporre così, con durezza questa
esagerazione....” A questo punto la signora ha dato la classica
risposta che un cane la morse e che non li vuole vicino. Il tono era
irritatissimo. Le ho fatto presente che comunque esistono e il mio
era abbastanza distante per rendere inconcepibile la sua reazione.
Davanti all'evidenza dei fatti, che probabilmente si erano resi
indifendibili anche ai suoi occhi, ha inventato qualcosa merita di
essere analizzato attentamente. “Se lei non la smette io non verrò
più in questo caffè”. Nella sua mente è accaduto quanto segue;
io non posso più difendere la mia posizione quindi passo all'attacco
in altro modo. Se non la smette, per colpa sua il locale perderà due
clienti, me e mio marito. Per mettere a tacere la situazione che le è
sfuggita ha attuato un ricatto. Io creo un danno a terzi se non …
mi sottometto. Le ho fatto presente che è un'italiana, e non
rimpiango di averlo detto. Sapete che Montanelli era anche scrittore?
Leggeteli i suoi racconti. Eccellenti ma mal sopportati perché lui,
italianissimo, aveva prodotto uno specchio fatto di parole che per
l'italiano è insopportabile … ma vero. E in più essere della
generazione maledetta! che nel film a scene è diluita in Francia
Italia e Gran Bretagna. Rispondo che non può imporre la sua volontà
senza rispettare le regole e in generale gli altri ed esco. La
signora si scatena e fra le altre cose dice di aver chiesto “per
favore”, di allontanare Lolita. Son rientrato col fumo al cervello.
Le ho urlato che lei non ha chiesto per favore e non sa chiederlo e
oltre il resto non si chiede nemmeno “per favore” per una cosa
senza senso!
Sono
uscito. Stavo male. E penso ai governanti italiani. Da Berlusconi a
Monti a tanti altri di quella generazione maledetta che fino
all'ultimo secondo della loro vita vedranno solo se stessi … con
loro, come con quella signora, la gentilezza è inutile. Si
rapportano con la sottomissione e non hanno regole, non hanno una
morale se non quella di spuntarla comunque e sempre.
Quel
che vi ho raccontato non può funzionare in un film. Tutto si
svolgerebbe in un modo troppo rapido. Servono parole scritte e
rileggere per comprendere l'enormità di quel passaggio di livello
nel quale la signora, consapevolissima di essere nel torto, inventa
seduta stante una situazione che sottomette e basta. Il locale
perderà due clienti se la situazione non finisce. Tentare di zittire
non con la ragione sul caos ingiustamente innescato. Quella
generazione, quel massacro quotidiano, anche, come in questo caso,
nelle più piccole cose.
Uscito
dal locale, la mia generazione, e quelli più giovani che nonostante
la crisi economica hanno occhi che sorridono più di me, e noi
scampati e malridotti, spesso incapaci di vivere e di fare cose
semplici perché sistematicamente annientati, passeggiamo coi cani,
ci fanno sorridere e li accarezziamo. Per noi il cane è affetto, è
una via di fuga in una relazione sincera.
E
ora più che mai, eviterò la generazione maledetta che più
invecchia, trovando ingiusto invecchiare e morire, quindi lasciare
uno scettro osceno che nessuno vuole, che più invecchio, più si fa
lapalissianamente feroce ….
Una
generazione maledetta alla quale tutto è dovuto, anche la
sopportazione per un odio sempre più a fior di pelle solo perché il
soffio del tempo se li porterà via.
Ma
per ora, forse ancora venti o trent'anni, loro con le pensioni d'oro
ottenute sulla nostra pelle, semineranno.
Come
l'impressionismo fu anticipato dai macchiaioli, che spesso
dimostrarono un valore superiore ai posteriori colleghi francesi,
così il termine “Gioventù bruciata”, che ci ricorda l'America,
James Dean e il suo omonimo e celebre film, deve la sua origine a una
triade di grandi italiani. Strana terra quella, nella quale nascono
artisti eccellenti che sopravvivono come possono in una cattività
esagerata...
Ricordo
una notte a Roma. Dei gatti randagi. I celebri gatti “de Roma” e
una signora anziana con una sporta che parla con loro e mette cibo in
piccole ciotole di scarto. Anch'io giravo sempre con qualche bustina
di cibo per loro e con una sorta di pudore, quando nessuno vedeva (e
vede...) metto li il cibo. Lei parlava con i gatti. Era un cervello
ormai al limite, saturo, stanco. Era Suso Cecchi d'Amico. Le parlai
senza guardarla, dicendo che mi sembravano sazi per questa sera. Lei
mi disse “è la compagnia che sazia e qui passano ma compagnia non
ne fanno”. “Ognuno per sé, quindi”. “Si, e qualcuno che va
dai gatti....”. Ero in Largo Argentina. I ruderi. Dicono che qui fu
ucciso Giulio Cesare. La luna brilla con decisione ed eleganza. Suso
mi guarda e sorride; “Comunque la vita è bella!” sussurra come
per non agitarmi con una frase difficile da dimostrare. Le dico “ma siamo due marziani a Roma...” questa
volta mi scruta attentamente. e leggo il pensiero dei suoi occhi; Flajano. è troppo giovane per
quella letteratura.... ma forse... “Se ai queste cose dentro sarà più
facile...”, “più difficile" rispondo. Le sorrido e la saluto di
nuovo allontanandomi.
Roma questa sera, non elargirà la grande
pernacchia che stupì il marziano. Roma ha da fare. La notte è lunga
e fiotti di popolo sciamano verso Campo dei Fori e piazza Navona. E
lì, ad accarezzare gatti, la grande Suso Ccchi d'Amico e nessuno la
vide.
La pernacchia è ora un silenzio smisurato e assurdo....
E
penso a Michelangelo Antonioni. Quanta gentilezza. Quanta capacità.
E la sua bella casa a Trevi, da lui disegnata, e i quadri suoi e di
Enrica, che rispetterò per sempre. E Francesco Rosi, solo, troppo
solo dopo la irrimediabile e assurda fine della moglie. Abita vicino
a Piazza di Spagna. Si sale la scalinata e le gambe la via la sanno
da sole.
E
quella grande pernacchia del silenzio, e una generazione maledetta
...
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