“Ed
eccovi me a quattro, cinque anni in uno spazio fangoso che trascino
un pezzo di legno immenso. Non ci sono né alberi né case intorno,
solo il sudore per lo sforzo di trascinare quel corpo duro e il
bruciore acuto della palme ferite dal legno. Affondo nel fango sino
alle caviglie ma devo tirare. Lasciamo questo mio primo ricordo così
com’è: non mi va di fare supposizioni o d’inventare. Voglio
dirvi quello che è stato senza inventare niente.”
Questo è l’inizio, e di
così totali, grandiosi … e completi, ne troverete ben pochi nella
vostra (e mia) vita. Ora vi chiedo di agire come feci io la prima
volta che lessi quelle parole. Per favore, provate anche voi a
leggere e rileggere, con calme quelle poche righe. Resistete dalla
tentazione di proseguire per qualche ora. Lasciate che quelle parole
si sciolgano dentro.
Fate caso che dopo quel
che ho trascritto, nel libro, segue un punto e poi un a capo. Si
tratta di un salto. Di un vero salto alla riga successiva che
rappresenta l’inizio della narrazione. Questa immagine che precede,
così separata dall’accapo, e che ho trascritta, osserviamola,
gustiamola, lasciamo che ci entri dentro con la minor dose di
pensiero che ci riesce e ripetute, attente, lente riletture si
permettano il compito più banale, ma non completamente inutile, in
un secondo tempo, di ragionare.
Dicevo … l’inizio di
quel brano è un’immagine, e per quest’epoca, che da qualche
decennio è quasi esclusivamente visiva, sembra per questo, facile.
Ora immaginiamo ….
Io ho visto un bianco
abbacinante, piedi nel fango, una bimbetta chissà perché
striminzita, scuretta di carnagione e che trascina un nervo di legno,
qualcosa come un ramo di ulivo che per lei è quasi tronco. Ho poi
rimeditato questa immagine e l’ho “pulita” di quanto ho
aggiunto arbitrariamente … so che chi ha scritto è una donna,
quindi ho immaginato una bambina. So che è nata a Catania e quindi
l’ho immaginata abbronzata e, anche il ramo, per quel motivo, era
un ulivo. Sbagliato. Ho condito troppo e male aggiungendo cultura in
un impasto che sento essere istintivo, primordiale, subcosciente.
Rileggo e mi rendo conto che si tratta invece di un esserino
antecedente la divisione sessuale. Un bambino. Strano l’italiano.
Gli articoli maschili “il” o “un”, per un vocabolo,
“bambino”, che si percepisce come neutro! Preferisco il “mio”
tedesco, che dice, con l’articolo neutro “das”, e il vocabolo
“Kind”, qualcosa di più vero. Kind, che ci riporta alle barrette
Kinder, bambini al plurale, una squisitezza appunto per cuccioli. E
penso a quando prendi in mano un gattino di una settimana e non sai
se è maschio e femmina. Davanti alla vita, nel suo corpo, nella sua
percezione, altro non è che una cosina neutra lanciata nella vita e
che vivrà fra cambiamenti suoi ed esterni.
Bene. Ho già riletto una
volta per scoprire un bambino, das Kind, per l’esattezza.
Ha quattro o cinque anni.
Passiamo alla scena; “uno
spazio fangoso” è la prima traccia, poi il nulla che sta dietro e
intorno a das Kind, è reso con la negazione di oggetti concreti.
“non ci sono né alberi né case intorno”.
Immagino ora la sensazione
di circolarità intorno a quel nulla che non è casuale, ma un nulla
di case e alberi, che quindi immagino e, come suggerisce il brano,
poi elimino. E quella circolarità, come il nulla creato per
eliminazione, son geniali o almeno, così io li sento.
Frugo ancora fra le
parole. Quel che mi colpisce ora è lo sforzo, anzi, la naturalezza
.. che esce da questa “visione” data con poche parole, e accede
alla, per noi inusuale, sfera degli altri sensi e della corporeità.
L’assenza del paesaggio, espressa dalla coppia “alberi” e”
case”, è affiancata da un’altra coppia; “sudore” e “sforzo”.
Segue poi la coppia, “duro” del legno e “bruciore” delle
mani. In quell’immagine iniziale, che “vedo” con bianco
abbacinate e fango marrone alle caviglie, entra il sudore … Ho
fatto caso quanto in Murakami Haruki sia presente il sudore, con
quella sua attenzione costante ad un corpo ben allenato. A me la sua
percezione manca quasi totalmente, e a molti di noi. Per noi
attualmente il sudore non è un odore, ma una puzza, e va debellato
come un veleno che ci intride la pelle e quindi non lo conosciamo
come accade per qualsiasi cosa che, per educazione ci repelle. In
quel brano il sudore è il simbolo di una fatica. Potrebbe esserlo
del sole e del suo caldo e son di nuovo deviato, ma per un solo
attimo ma nuovamente, perché so appunto che l’autrice nacque a
Catania, sinonimo di caldo (e certi squisiti dolci alle mandorle ….
ma quanto è difficile dominare il sensuale cervello!!!). il sudore è
legato allo sforzo. Per noi questo accoppiamento, sudore-sforzo, sa
di palestra e raramente ormai in questo senso lo rintracciamo. Anche
chi lavora di braccio deve ammettere di averne un ricordo vano,
piccolo piccolo. Penso ai faticatori per eccellenza della nostra
mente educata agli stereotipi. I camalli, gli scaricatori di porto.
Attualmente con muletti, nastri trasportatori eccetera, faticano
certamente, ma un decimo di quel che accadeva una volta. Ricordo per
esempio il mio stupore quando ho scoperto che il trattore di con
ruote alte quanto me, aveva l’aria condizionata e lo stereo! Fatica
da contadino … una volta … Vedete … l’immagine di quelle
prime righe è atemporale. Nessuna traccia la depone nel novecento o
nel milleduecento o nel … 1909, come poi si scoprirà. Solo quel
rapporto sudore-sforzo tradisce una datazione non attuale …. Ma
nascendo questo indizio da un eccesso di pensiero la colpa è mia e
non dell’autrice.
L’altra coppia riguarda
la sensazione; “duro” e “bruciore”. Duro del legno che in
relazione a das Kind, fa un certo effetto, che sarebbe sminuito se si
trattasse di un adulto. Il bruciore alle mani, causa la durezza del
legno, ci pone nel tempo. Lo sforzo compiuta da Das Kind, è
prolungato, diversamente non ci sarebbe il dolore. Dolore nel tempo.
Grande e giusto.
“Affondo nel fango fino
alle caviglie ma devo tirare, non so perché, ma, lo devo fare”.
La sensazione di un non
luogo dal quale ci si deve affrancare, e ci si porta dietro l’unico
oggetto “duro”, concreto oltre noi stessi. Ecco che sento che
“sudore”, “sforzo”, “duro” e “bruciore”, son tutte
tracce che confermano l’esistenza a das Kind. Andare, muoversi, è
esistere. Le sensazioni del corpo ne son conferma in quel nulla,
unico stimolo e aiuto a non arrendersi e farsi nulla nel nulla, fango
nel fango, relitto, tronco di corpo morto alla deriva, poiché la
nerezza, che sento fortissima, abbacinate quanto lo sfondo che
immagino bianco, è morte da evitare ed evitabile solo se ti senti
vivo, e la vita è rivelata da sforzo, sudore, duro e bruciore, abc
del primigeno esistere.
Veniamo ad un “gioco”
linguistico che aiuta a “toccare” la forza di quella frase che
anticipa l’inizio dell’opera; Black e blanco basterebbero, ma
aggiungo bianco e Balnc tanto per gradire e il ricordo che in Europa
il bianco è per i vivi, per i matrimoni e i bambini. Il bianco è
purezza, che si oppone al bianco dei crisantemi giapponesi e al suo
legame col culto dei morti.
Black e blanco … la
medesima radice in quel “bl”, che sta per assenza di colore. Ecco
la primordialità della misura visiva di quella frase espressa col
più arcaico “scuro”!
Vedete, dello “scuro”
del ramo siamo certi poiché viene detto, ma quello scuro rende
abbacinante, quasi luminoso e fastidioso quel nulla di sfondo creato
con la negazione di alberi e case.
Quel bianco livido è
spuntato in noi, come una diurna nebbia maligna, a contatto col ramo,
ammettiamolo … e “sentiamo” che quella frase che anticipa
l’inizio del libro, rappresenta la vita del protagonista, una vita
ancora fuori dal tempo, dal sesso e dallo spazio. E poi, lasciando
lavorare l’immagine dentro di noi, e “sentiamo” che
quell’immagine è completa, universale, sua e … nostra.
Istruzioni per l’uso di
quella caterva di imbecilli che scrivono senza umiltà ….
Goliarda Sapienza non ha
costruito quella frase. L’ha “sentita” e poi trasformata in
parole. Quel che si deve comprendere è che il Saper Scrivere non può
nascere nelle scuole di scrittura creativa e nemmeno nell’ambizione,
che anzi, ne è una nemica ed estrema assassina. Ci si deve lasciar
andare … e le immagini verranno, e saranno sempre più pure in
ragione del nostro sforzo di arrenderci a tutto quel che l’apparenza
della vita, l’esterno, chiede a chi scrive. Non esiste morale in
questo “viaggio”. Scoprire noi stessi è il primo gradino. Deve
seguire poi l’accettazione anche di quegli aspetti che di noi
stessi non accettiamo. Solo quando il nostro io non trova ostacoli,
avrà il coraggio di parlarci, poiché esso risente troppo del nostro
giudizio. Se vi riuscirà, operazione comunque assurdamente
difficile, se vi riuscirà, dicevo, il pudore interverrà in voi
stessi nel senso che diverrete gelosi di quanto avete ottenuto. Che
siano parole, quadri o altro, poco importa. Ogni frainteso su
quell’io puro, lo sapete, vi ferirebbe e quindi dare in pasto al
mondo vi pesa. E allora dovete scoprire che quell’io puro
trasferito nell’opera, si deve lasciarlo andare poiché era un io
in un momento del tempo e voi che continuate ad essere ne saggerete
la distanza sempre più grande da quel divenire che siete. Dovete
ignorare quindi, la sua esistenza. Per voi deve importare il
credere, sperare, che quell’io possa essere purificato ancora un
poco e ancora un poco e ancora un poco, fino al ricongiungimento
estremo, al momento magico nel quale, abbandonato il corpo che è
diventato uno strumento insufficiente, nell’infinito che continua,
se siamo stati veramente sinceri con la vita, ci congiungeremo
all’immagine che lo specchio dalla nostra arte ha rivelato.
Ovviamente il libro di
Goliarda Sapienza vale non solo per quel grande inizio, ma come per
altre letture, ad esempio “Lolita”o “Tropico del cancro”,
dobbiamo saper rinunciare alle nostre moralità, ai nostri limiti. È
un naufragare nel mare della vitalità che ha precedenti più
mascherati ma illustri sempre nel novecento ma anche nel
castigatissimo ottocento. Il mio caro Simenon è, per esempio, un
inno alla vita. Per lui quando la vita chiama non esiste legge
dell’uomo che la possa imbrigliare!
Vi porto altri due esempi,
che su altri registri che comunque stimo, anche se più pudichi e
costruiti, portano comunque nella medesima direzione. È estate, è
caldo! e una letturina bella, leggera ma seria, ve la consiglio. Si
tratta de “Il marito in collegio” di Guareschi. Vi troverete
davanti ad una coppia che nonostante uno zio ricco e una famiglia
nobile e spocchiosa, riesce a trovare quella via nella quale un
sentimento e una sensualità fioriscono. La lotta per la vita
trasformata in una commedia che spesso, nonostante si tratti di un
testo del 1944, ci fa ancora ridere, altro non è che l’emancipazione
dall’amore naturale dalle regole della società.
Vi consiglio poi, di
Mario Soldati, “La verità sul caso Motta”. Testo fintamente
leggero, del 1937 se non sbaglio e che, in una Italia castrata nella
sua libertà di espressione come in fondo accade in tutte le epoche
(e anche nella nostra …), ci mostra l’avvocato Motta che, non
riuscendo ad “innescare” un dialogo concreto con la femminilità
… si trova nell’irrealtà stupenda delle sirene che culminano nel
ghigno inconsapevole della madre iperprotettiva e religiosa e quindi
castrante, trasferito sulla mostruosa, felliniana regina delle
sirene. Ecco, anche in questo caso qualcosa impedisce alla vitalità
di realizzarsi … e prende la via di una simpatica follia. Mai
eccedere nella realtà sotto le dittature!
Ecco il tema di Goliarda
Sapienza. La vitalità,
la sua, che si esprime senza remore, senza timore di essere, com’è
giusto, giudicata. Solo ai meschini interessa l’altrui giudizio in
morale e arte ….
Un altro esempio, mi
vengono su così a caso, lo trovo ne la raccolta “Racconti di mare
e di costa” di Joseph Conrad edito Einaudi. Sono tre, e in essi la
seduzione, il fascino ottocentesco per i capelli femminili è reso
alla massima potenza. Solo dopo la lettura di questo libro si può
comprendere l’eccesso di Sissi, la moglie dell’imperatore
d’Austria, che aveva una chioma talmente folta da essere costretta,
nei momenti di vita privata, a farla sorreggere da una carrucola. In
due racconti, “Un briciolo di fortuna” e, “Freya delle sette
isole”, la potenza della legge di natura, ben diversa da quella
degli uomini, si pone come via unica da percorrere per approdare ad
una vera, vitale, vita di coppia. In ambedue i casi, la vitalità ne
esce sconfitta, ma è proprio nella sua irrealizzata malattia che si
svela, all’uomo del secondo ottocento, cosa occorre alla vita per
essere degna di questo nome. E da qui passare agli ammutinati del
Bounty è doveroso, che di un paradiso di eros senza regole non
riuscirono più, una volta assaggiatolo, a fare rinuncia…. Tornare
ai costumi britannici? Alle donne grigie di regole e di abiti
inguainati in telai di ossi di balena? Rinunciare a paesaggi in
technicolor delle isole esotiche per il grigio omogeneo di Londra,
così celebre da definire il colore di un panno tuttora in voga? La
tentazione di esistere, di esistere con un senso almeno del corpo è
presente in queste epoche con una forza inaudita. Far figli e
arricchire soddisfaceva l’apparenza, ma non l’Uomo….
E Goliarda Sapienza
prosegue un cammino immenso che, con la citazione di tre testi
considerati minori e comunque quasi dimenticati, preferendoli per
esempio alle universalmente note signore della letteratura, ovvero
Madame Bovary, Anna Karenina, e Lady Chatterley, con quei tre testi
minori dicevo, si dimostra la vastità della sua importanza nella
storia dell’uomo. Uomo, uguale
bestia civile. Come
possono convivere due opposti simili? Non riescono. A volte scelgono
uno il giorno e l’altro la notte, spesso han due femmine, una per i
figli e l’altra per l’amore …. Ma questo era il mondo dei
maschi!!! Ora, e spero che definitivamente sia questa la direzione
intrapresa, il mondo è degli esseri umani e l’essere bestia e
civiltà, è un enigma che tutti, maschi e femmine e non solo …
devono risolvere in libertà e …. Incoscienza. Se poi si riuscisse
a superare l’equazione uomo-bestia-civiltà e farne una scala con
in cima la scoperta dell’anima … ma è un problema mio, che così
sento. E non devo cambiare argomento.
Torniamo alla frase
iniziale. Essa si conclude così: … “Lasciamo questo mio primo
ricordo così com’è; non mi va di fare supposizioni o inventare.”
Io penso, ma è una
cosuccia assai personale e quindi fragile, che il ricordo descritto
sia vero e che l’opera vada invece oltre la realtà biografica.
Goliarda ci offre il ricordo “così com’è” e con quel suo
scrivere “lasciamo
questo mio ricordo così com’è” ci coinvolge ci riconosce e ci
da un consiglio di lettura. “Non giudicate, lasciatevi andare!”.
E perché lo chiede, anzi, lo consiglia? Perché per lei, per me, per
tutti, quel ramo scuro … “non so perché … ma lo devo tirare,
non so perché, ma lo devo fare.”
È grande la vastità di
quel “non so perché”. Si deve tirare, si deve fare … la vita.
Perdere tempo nell’analizzare, vivisezionare quella prima frase,
anestetizzarla e poi scomporla e giocarci, roba da indocenti e
intellettuali, non va fatto. Lasciarsi andare è l’unica chiave. La
medesima che lei utilizzò per scrivere e che vi consiglio, sempre,
per una nutriente lettura.
Se ho scelto di portare
passo passo l’evoluzione della mia, (speriamo…) sensibilità,
mondandola costantemente da cultura ed erudizione, è per rendere
evidente, palpabile quale colossale sforzo sia l’essere umili in
arte e essere umili, in questo campo più che mai, equivale
all’essere corretti.
Un’ultima
considerazione. Ricordo altri due autori che hanno iniziato opere
chilometriche su se stessi, partendo dal primo ricordo consapevole.
Elias Canetti e Giacomo Casanova. Il loro, che è un diretto, chiaro
inequivoco ricordare, rientra nella dimensione del raccontare. È
più facile e non raggiunge, secondo me mai, le vette della pura
creazione. Son opere che non si possono certo tralasciare. Ci si
inoltra in epoche, tradizioni, geografie e pensieri. L’invenzione
pura, ovvero Kafka, Nabokov, Bulgakov, per citare alcuni dei miei
preferiti, scardina invece il tempo, lo annulla. È come avere a
disposizione una medicina universale che annientando morali basse,
umane, ci consegna la consapevolezza di un senso, anche se solo
intuito.
Il senso di giustizia in
Kafka (ma non solo quello…), la moralità del lolitismo, la
corruzione sociale in Bulgakov, esisteranno sempre. Da queste piaghe,
da queste realtà, poiché sempre da essa si parte, s’involarono
quei tre grandi.
Goliarda Sapienza parte
invece da una vitalità,
scoperta in una bambina, prima dell’avvento della norma, della
società, della cultura. La vitalità in forma sessualità per
esempio, si fa quindi gioia, estasi, e non esistono redini sensate
per chi ha avuto un simile esordio! Magistrale è il dialogo sul mare
che non conosce, che non ha mai visto, e la parallela scoperta del
piacere erotico. Quel ragazzo al quale ha chiesto, descrive il mare
in modo buffo ma vero, ma lei non capisce. Si passa poi al primo
contatto erotico fra i due nato sempre da una domanda che può aver
risposta solo nell’azione, e durante estasi provata per la prima
volta, lei dice: “Ora so cos’è il mare”.
Geniale. L’infinità di
un’entità sconosciuta e descritta alla buona, come il mare, e la
sensazione, infinita del piacere per la prima volta gustato che si
toccano e “sento” che il contatto è totale, vero anche per il
lettore che, all’inizio pensa, “ma che bella immagina” e poi la
interiorizza e non ne fa più a meno.
Un esempio dell’utilità
dell’arte al livello più basso, ma comunque utilissimo ….
immagino qualcuno che legge di quella sensazione ma sa di aver
provato qualcosa di molto più piccolo, banale, e forse meno
innocente. Spesso la sessualità si annichilisce nella sensazione che
sia una cosa sporca, dono spesso ereditato da religioni e zitelle
acide … e la scoperta che …. È come il mare, questo simbolo
enorme , inspiegabile, ma che corpo e … scusate … anima,
comprendono, può convincere a cercare. Si desidera solo quel che si
conosce … e quel passaggio, quel gridare della ragazzina “ora so
cos’è il mare” è scoperta che una certa sensazione esiste, è
bella e quindi …. è trovabile … A
All’inizio del pensiero
precedente mi son permesso di dire che si tratta della descrizione di
un’ utilità al livello più basso. Mi spiego. Se uno presuppone il
sacro, anche se come me, non sa ancora definirlo, ecco che le
sensazioni del corpo non riusciranno ad esaurire mai il senso
dell’esistenza, ma rappresenteranno un possibile punto di partenza,
di elevazione …
Come non proseguire ora
nella rilettura de “L’arte della gioia”! … quindi vi saluto e
vi lascio per quelle pagine primitive, sincere e per questo belle.
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