Oggi, 22 aprile 2013, su “La Repubblica” è uscito l'ennesimo articolo sulla Nemirovsky. Trovo triste la quantità di articoli che le dedicano perché la spinta che li attua non è l'amore per la grande letteratura. Se mai Adelphi nel 2005 pubblicò “Suite francese” che l'anno prima in Francia era stato un caso editoriale importante, quindi con un occhio alla qualità e uno alla borsa, mentalità coerente ... quel che sta accadendo dal 2012 in poi è triste. L'articolo ci informa che in quella data son scaduti i settant'anni di protezione dei diritti d'autore, settant'anni che si contano dalla morte della Nemirovsky, ovviamente. Scopriamo che al carretto della fama postuma di questa grande scrittrice si attaccano ora cani e porci e mi permetto un'affermazione così dura poiché l'articolo, preferisco dimenticare il nome di chi lo ha scritto, dimostra che ben poco interessa comprendere la sua opera. Unica informazione utile è sapere chi ha pubblicato cosa. Per capire lasciate perdere quelle due facciate. Un esempio: ad un certo punto si legge: “-Suite Francese- in grado di descrivere con piglio magistrale l'esodo in massa da Parigi di fronte all'invasione nazista”. Premetto che la persona che ha scritto l'articolo si è permessa di concludere con un microscopico ma visibile “riproduzione vietata” … son costretto a rigettare questo ordine perché penso che il lettore vada un minimo tutelato. Veniamo a quella breve frase. Essa descrive la situazione … ma da quando la situazione è il contenuto? E il significato profondo dell'opera? Esiste un passo sconvolgente in quel libro. Il prete che viene lapidato.
Se “Suite francese” si esaurisse come intento nel “descrivere con piglio magistrale l'esodo in massa da Parigi” eccetera, non sarebbe il grande libro che di fatto è …. e quella scena sarebbe fuori luogo!
In neretto è stato anche
scritto: “Era una pensatrice libera, segnata dalla vita e
difficile da incasellare. Per questo così attuale”.
Qui siamo all'apoteosi …
dire che è attuale chi ha quelle caratteristiche, cioè libero
pensatore, segnato dalla vita e difficile da incasellare … lo
accetto da Emilio Fede, da Vanna Marchi, ma non da una persona che si
definisce un minimo seria. Essere attuali è un enigma che sarà la
posterità a comprendere! E incasellare è una passione indecente che
fa “scappare” tanti significati!
La Nemirovsky
semplicemente, scrive con una sincerità che affascina. In certe sue
opere si “sente” che il nocciolo della sua anima, del suo
sentire, è non sfiorato, ma compreso!
E poi... cosa vuol dire
essere una pensatrice? Se si tratta di colui o colei che pensa,
credo che sia una definizione un po' vasta che va bene per tutti, ma
proprio tutti, tranne i morti …
E una pensatrice libera?
Lasciamo perdere il pensare che per un artista è quasi offensivo,
poiché va ben oltre al pensiero, ma la sua libertà? Solo “David
Golder” , “Come le mosche d'Autunno” e “Suite francese” lo
sono veramente e il fatto si spiega con semplicità, poiché nacquero
in periodi nei quali scrivere era fine a se stesso. La Nemirovsky
iniziò a pubblicare con Grasset e questi, un valido affarista, si
rese conto che un volume come “David Golder”, così spietato
verso la figura della finanza ebraica, in un periodo non ancora
completamente raffreddato dal clamore del caso Dreyfus che aveva
diviso la Francia e appassionato il mondo e di uno scandalo di alta
finanza dell'anno precedente che coinvolgeva ricchi ebrei, sarebbe
stato un successo. Per lui si trattava della descrizione dura di una
realtà attuale, un po' come quando nei nostri tempi, dopo un
processo per esempio di omicidio molto seguito dai media, qualcuno fa
un filmettino... Grasset sapeva solo che lo aveva scritto una donna e
che l'argomento era quello giusto. Aveva, per contattarla, una
casella postale. Lei non rispose, poiché stava partorendo la sua
prima bambina e lui, per creare attesa, mise un annuncio sui
quotidiani, nel quale si dichiarava che si cercava l'autrice di
“David Golder” per pubblicare il libro. Cieca un mese dopo,
quando Grasset si trovò davanti una ragazza fine, di elevata
estrazione sociale e pure ebrea, comprese che ne sarebbe nata una
grande operazione commerciale eccellente. Vedete, la Nemirovsky
comprese l'aspetto pratico di quel che le stava accadendo, e lasciò
fare. Aveva bisogno di soldi. Ora aveva una famiglia. Un marito che
era bancario e non banchiere e un'abitudine di vita abbastanza
dispendiosa … lasciò appunto, fare. La sua fame di soldi
condizionò molte pubblicazioni anche su riviste di destra. Questo
l'estensore dell'articolo lo fa notare arrivando a dire, cosa non
vera! Che “ l'hanno consegnato ai posteri l'immagine di un'autrice
di destra...” ma quale immagine ai posteri! La Nemirovsky era
dimenticata! E in più, il motivo di quelle pubblicazioni su
Candide e Gringoire era legato al fatto che doveva far tornare i
conti e in più l'editore spingeva per tutte quelle operazioni che
davano visibilità. A lei personalmente interessava, per l'estate
affittare una bella casetta vicino al mare per crescere bene le
bambine.
E poi, insisto, cambiare vita andando verso il meglio, lo
san fare tutti, ma scendere la china delle ristrettezze quando ti si
prospetta una via redditizia, e inoltre sai non sei responsabile solo
di te stessa ma anche dei figli… era giusto che agisse così. Il
tempo avrebbe eliminato quel legame con la necessità salvando quel
che della sua opera era salvabile ed è notevole scoprire che anche
il racconto, il romanzo meno riuscito, è comunque interessante!
Non sopporto l'immagine di
purezza che si vuole assegnare prima o poi, a tutti gli artisti.
Raramente è un lusso che ci si può permettere. Vivere solo di
letteratura o di arte, subordinando ad essa tutto il resto, la
quotidianità, il problema della sopravvivenza, è quasi impossibile.
Capita che si scriva per il desiderio, la necessità di farlo e non
per mestiere o necessità, ma se hai un figlio? Se ne hai due come
Irene e vuoi dare a loro bellezza e delle possibilità? Se le
esigenze primarie, abitare, vestirsi e manducare per intenderci, non
si risolvono da sole? Ecco che accadrà anche che, quel che deve
essere arte, si fa anche mestiere. Si scende a compromessi.
Ci tengo a dire che amo
moltissimo l'opera della Nemirovsky e semplicemente cerco di agire
con un po' di senso della realtà. Mi è capitato per esempio di
sentir dire che Grasset era un grande editore perché aveva già
pubblicato Proust e si era dimenticato che questo grandissimo pagò
per far uscire quel primo volume della Recherche.... Grasset era
inserito e aveva fiuto, ma più per l'operazione commerciale. Creava
situazioni che facevano pubblico, che vendevano. La qualità era già
secondaria per lui …
Io penso che il periodo
d'oro del rapporto autore-pubblico, fu quello innescato da Dickens.
Le sue opere uscivano a puntate su riviste. La qualità era saggiata
dal lettore. Nacque così l'abitudine dell'editore di rivolgersi alle
riviste per sapere se quel nome, quel libro “tirava”. Non che io
stimi incondizionatamente il pubblico. Penso che solo per opere
particolarmente profonde sia necessario un intervento dall'alto,
possibilmente guidato da altri artisti … Un Kafka sarebbe rimasto
sconosciuto senza l'intervento di un saggio editore a nome Kurt
Wolff, di estimatori di livello come Carl Sternheim e amici preparati
che per anni hanno lavorato di fino sulla sua immagine, come Max
Brod.
A chi dobbiamo la scoperta
di Hemingway? Non ad un editore ma ad un certo Francis Scott
Fitzgerald.... “Il Gattopardo” lo dobbiamo ad elena Croce, figlia
di Benedetto filosofo … Proust stesso, lo dobbiamo ad Anatole
France, e potrei proseguire...
Irene Nemirovsky e
Grasset, facevano parte della vita, erano impuri come tutto ciò che
è umano. Solo pochissimi esseri umani riescono a creare, con
sofferenza e fortuna, quelle condizioni che permettono di vivere un
periodo puro. Kafka, Bulgakov, Nabokov, Pasternak, Skriabin, sono
secondo me fra i pochi che ci son riusciti.
Altra frasettina presa
dall'articolo e che vale meno di nulla …:
“Poche opere, nel
novecento specchiano la barbarie della guerra come “Suite
Francese”.
Se mi mettessi ad
elencare, ne verrebbero fuori parecchi di titoli. Ma come fa una
generazione che ne ha vissute due di guerre, e quando è andata bene
almeno una, a non parlarne diffusamente!
Sono sbalordito dalla
banalità di quella asserzione. Avrei saputo cosa dire se avessi
avuto l'intenzione di elogiare “Suite francese”!
Tempo fa, all'uscita del
film “Fratelli e sorelle” di Avati nel 1992, lessi una recensione
che descriveva quel gioiello come uno spaccato di vita del periodo
fra le due guerre. Ero inorridito. Contattai la persona che produsse
lo scritto, ci sedemmo in un caffè e dialogammo. Era una persona
famosa nel ruolo di critico cinematografico … non ammise a parole
di vergognarsi di quel che aveva scritto ma, dopo aver “meditato”
il film insieme, il suo disagio, ormai evidentissimo, fu un messaggio
chiaro. Mi disse che spesso non si ha il tempo necessario per fare
bene.
È vero ... dissi allora e
ripeto oggi. Io ho scelto di fare poco ma in profondità.
Morale. L'articolo
dedicato alla Nemirovsky, pubblicato oggi su “La repubblica” lo
trovo banale. Ciò che è banale, ci allontana dal senso delle cose.
Ma, per fortuna, le parole
dei quotidiani … durano un solo giorno.
... e
Nessun commento:
Posta un commento