lunedì 15 aprile 2013

Simenon: "La chiusa n.1"




Per entrare nell'atmosfera di questo post son necessarie alcune istruzioni: Primo, leggere il post “Simenon e il commissario Maigret” del 10 aprile 2013. Secondo, leggere “Maigret e i testimoni reticenti. Questo post l'ho pubblicato in data 15 aprile 2013 e prosegue il ragionamento. Segue, nella medesima data, "Maigret a scuola”. Quindi il seguente testo che consiglio di aver letto prima di inoltrarsi....

Come ho già spiegato, ho scelto tutti i testi a caso tranne “Maigret e il barbone”. Anche “la chiusa n. 1” ha seguito la medesima sorte. L'avevo comunque già letto qualche anno fa. Non si tratta quindi di una scelta tendenziosa e lo dimostrerà la particolarità del testo che si riduce alla seguente regola: tre eventi sono oltre la colpa e l'assurdo. Il suicidio di un figlio e la consapevolezza continua che si sta morendo e la scoperta di non essere fertili.

Andiamo con ordine. Il suicidio del figlio. Se esso accade come nel caso narrato ne “La chiusa n.1”, colui che l'ha causata, anche se non volontariamente, ma con comportamenti che hanno massacrato il valore per Maigret fondamentale della famiglia, non potrà essere riabilitato per il semplice fatto che nemmeno un dio può farti tornare dalla morte. La morte è un evento che conclude e non permette di ristabilire un equilibrio.

Il secondo caso, quello della consapevolezza che sta sta morendo, Maigret lo esamina in modo eccellente nel volume “Maigret si diverte”. In quel caso, una ragazzina scopre che ha un problema al cuore e che non vivrà a lungo, questa scoperta, fatta origliando quel che si dicevano genitori e specialista, porta ad una reazione di frenesia di vita che scombina tutte le regole. La figlia che essa avrà dal marito, sarà una conseguenza secondaria di un terremoto totale.

Il terzo caso, la scoperta di non essere fertili, con relativa reazione di una attività sessuale sfrenata che equivale all'immagine di bussare alla porta della vita che mai si aprirà, è ben descritta ne “Maigret e la vecchia signora”. Si può ben dire che, a livello inconscio, l'infertilità è una sensazione di morte che proietta nello stato conscio comportamenti socialmente distruttivi esattamente come accade ai comportamenti di Eveline jave, la donna morta de “Maigret si diverte”. Il dramma dell'infertilità di Arlette Sudre de “Maigret e la vecchia signora”, si somma, viene accentuato dal comportamento anaffettivo totale della figura materna; realtà questa attualmente comunissima che porta a futuri blocchi della capacità relazionale.

Questo modo di agire appartiene sempre alla sfera inconscia e possiamo constatare che è un portato individuale presente precedentemente espresso, nella tragedia greca. In essa le situazioni rilevate, sono quelle che mandano in crisi il sistema morale che vorrebbe sovrapporsi perfettamente a quello legale e alla sua continua impossibilità di adattarsi alle regole divine. Riscontro, particolarmente nei primi quarant'anni del novecento, una tendenza alla tragedia di tipo greco, ma trasposta anche nella letteratura, nella cultura americana. Il suo sistema giovane ha utilizzato la crisi presentata dalle opere per esempio di Arthur Miller come una coscienza pulsante. Ebbe quel ruolo anche Fitzgerald e attualmente le cosccienze americane sono, a livello alto, Clint Eastwood e Robert Altman, a livello medio, George Clooney e Robert Harris, e a livello basso, ma assai influente, Stephen King.

Devo far comunque presente un particolare. Risulta che Simenon abbia scritto settantasei testi sul celebre commissario, in un periodo compreso fra il 1931 e il 1972.

è possibile che qualcuno di essi non rientri in quello schema che ha natura secondo me inconscia. È comunque possibile che due ragioni abbiano portato ad un agire diverso, puramente intellettuale, oltre al sondare casi limite come quelli che ho descritto.

Primo: Simenon scriveva tanto e comunque sempre ad un livello notevole. L'abitudine quotidiana alla scrittura porta come risultato secondario, alla capacità di scrivere sempre bene, anche quando le idee esposte non appartengono all'io profondo o quando qualcosa di contingente, appartenente alla vita quotidiana, allenta o crea tensioni. Il nostro io, per accedere al subconscio, ha bisogno di determinate condizioni che non sono uguali per tutti. Ognuno di noi le deve scoprire.

Secondo. Simenon, che non era uno stupido, potrebbe aver colto la sua chiave di lettura e aver cercato di “evitarla” coscientemente. Questo può esser accaduto o per pudore, rivelare la chiave che fondamentale della propria anima potrebbe farci sentire fragili, attaccabili, oppure può essere accaduto per una sorta di esigenza tecnica. Si rischiava di essere ripetitivi, anche se, l'autore fu ben consapevole che quella chiave non era stata colta.

Ne “La chiusa numero uno” vedremo confermata in pieno la mia teoria. Se ci tengo a precisare queste cose è perché ritengo che, comprendere la chiave profonda di un grande artista, non corrisponde all'aver decodificato tutta l'opera. Simenon scriveva per sé, ma anche per far quadrare il bilancio e si può supporre che qualcuno gli abbia chiesto pure una trama con un certo ambiente, con certi personaggi. Un esempio a lui precedente e che riguarda la storia del cinema, è col regista ukraino, Dovgenko. Il figlio racconta che il regime comunista gli imponeva forti limitazioni espressive e che una quota del dieci per cento di ogni film è da considerarsi effettivamente libera a livello espressivo. Un dieci per cento che è stato comunque sufficiente per creare capolavori come “La terra”, appartenente ancora al periodo del film muto, e che amo molto.

Il fatto che per ora sei libri su settantasei, scelti tutti a caso tranne “Maigret e il Barbone”, ci deve insegnare che questa è la chiave giusta, ma non si dimentiche che l'artista è calato nella vita, che la sua libertà espressiva raramente è totalmente libera. Per farlo devi esiliarti dal tuo tempo, non avere legami, poiché ogni legame ti attacca sempre più al suolo. Kafka ci è riuscito. Bulgakov anche e questa sua libertà in un mondo, quello russo di Stalin, decisamente oppressivo nel campo delle arti, gli è costato sofferenza e salute. Il compromesso che penso possa essere esistito per Simenon è più leggero. La sua era l'epoca del commercio che continua tuttora. Si hanno così uomini col portafoglio che in ragione di quel possesso dettano legge e sembrano soddisfatti solo dagli incassi. Se chi ti fa lavorare ti pone degli ostacoli per motivi che non sono i tuoi, puoi rifiutare, e Simenon poteva, oppure, se l'ostacolo ti sembra irrisorio, aggirarlo. La sua onestà intellettuale era esemplare. Lo dico pensando a quando diresse un Festival del Cinema, Cannes, e premiò Fellini messo in competizione con Antonioni. Scelse il meglio e lo premiò. Le case di produzione, particolarmente quelle americane, avevano fatto pressioni su di lui e sulla giuria per assegnare qualche premio al mercato americano. Maigret non li ascoltò e il risultato fu che non diresse mai più un festival del cinema. Peccato....

Mi raccomando! Non si pensi che io stia cercando delle pezze perché il prossimo testo “scappa” dalla rete della mia idea! Tutt'altro!

Dico che sono invece preoccupato dal fatto che possa accadere il contrario. Disporre di settantasei testi con la medesima chiave inconscia, sarebbe sbalorditivo e quasi insensato.

Veniamo al testo:

Parto subito da quello che considero il punto più importante. Quella che definisco “scene sacra”. Maigret va su un barcone per parlare con una ragazza e accade …

: “... si trovò di fronte la ragazza bionda che, seduta su una sedia di paglia, allattava un bambino. Era una scena così inaspettata e allo stesso tempo così naturale che il commissario si tolse goffamente il cappello, si infilò in tasca la pipa ancora calda e indietreggiò di un passo”.

Ci rendiamo conto dai gesti, che si tratta di sacralità e ci basti pensare che, nell'entrare in chiesa, un credente avrebbe agito esattamente nel medesimo modo per due gesti, ovvero togliere il cappello e occultare la pipa e che col terzo sottolinea il fatto che l'azione, essendo vera, in carne e ossa, che va ben oltre l'effetto che si avrebbe davanti ad una statua che allatta, porta a reagire ponendo quella distanza che si deve frapporre fra il sacro accadente, e l'uomo. Si pensi ora a “Il Castello” di Kafka … esiste la medesima scena. Il protagonista entra in una casa di povera gente e vede una donna che allatta e anche in questo caso la visione è sacralizzante. Nel caso di Kafka si trattava della legge, della soglia che non era in grado di varcare, nel caso di Simenon della presenza tangibile di quello che considerava il valore più alto da tutelare. Tutta l'opera, intendo il volumetto “La chiusa n.1” si imposta sulla descrizione di un caso umano estremo e inconciliabile con la vita. Si tratta di Emile Ducrau che agisce con potenza e non rispetta nessun valore. Le conseguenze sono un figlio suicida e la paternità non certa di una bambina, nata dalla moglie del suo miglior amico. Si somma la reazione spropositata di impiccare una persona che ha agito indubbiamente in modo impuro, ma nessuno negherà che esiste una sproporzione intollerabile fra colpa e pena che Ducrau ha realizzato. Per portare l'immagine di immoralità all'estremo, Simenon ci mostra la situazione abitativa che è folle. Ducrau abita il primo piano della sua casa, al secondo c'è l'amante, Rose, ballerina di Night e il figlio è relegato al sesto piano, chiaro simbolo di mancanza di dialogo. Conclude l'elenco delle efferatezze che rendono ducrau un essere intollerabile per chiunque sia un minimo umano, il suicidio di Gassin, l'amico di una vita, che non regge l'urto della scoperta del tradimento.

Vediamo che comunque la situazione di sicurezza per l'infante ovviamente presente nel testo è ben delineata e anche in questo caso il suo futuro possiamo immaginarlo deducendolo dai dati del testo che vanno comunque sottolineati, poiché solo una lettura attenta rivela la precisione del risultato. Veniamo al testo: Ducrau e Maigret dialogano. Quest'ultimo ha intercettato una lettera destinata ad Emma, sorella di Gassin, l'amico “cornificato”, la quale figlia, forse sua, forse di Ducrau, ormai adulta, ha avuto una bimba che allatta, e a lei è riferita la “scena sacra”. Maigret no fa leggere la lettera a Ducrau, e scaturisce il seguente dialogo:

a chi è indirizzata?”

a sua sorella”

a Emma? Che fine ha fatto? Per un po' ha vissuto sulla chiatta del fratello, e credo anche di esserne stato innamorato. Poi si è sposata con un maestro della Haute-Marne che dev'essere morto poco tempo dopo...”

ha una locanda al suo paese”.

Scrutiamo questo dialogo. Ducrau non ha certezze su quel che dice, e la risposta di Maigret sembra un oracolo delfico. Se si “passano” velocemente queste parole si deduce che la sorella di Gassin abita in quella certa zona ed è vedova ma … dire “ha una locanda al suo paese”, il paese di chi, di lui, lui inteso come marito morto, o di lei? Si tende ad incorrere, con una lettura affrettata, col dare credito a quel che suppone Ducrau, fateci caso. La realtà evidente è invece la seguente: Maigret sa la verità e da una risposta che deve essere scrutata. Quel che io comprendo è che, al paese di lui, nella Haute-Marne, il marito ha una locanda. Se poi sommiamo la lettura della lettera che Gassin scrive alla sorella, scopriamo che lui si rivolge da fratello a sorella, con un per sempre che rinforza il legame di sangue e quindi può escludere ogni riferimento, nel patto ultimo, col marito. Aggiungo che l'omertà di Maigret, opposta alle imprecise informazioni di Ducrau, ha senso perché tutela un destino.

Veniamo ora ad una chiave fondamentale. Simenon centellina accuratamente gli aspetti autobiografici del suo commissario. Nel Volumetto “Maigret a scuola”, scopriamo varie informazioni poiché il comportamento di vari bambini innesca la sua memoria involontaria. Nel testo in osservazione, scopriamo un dato che non si deve mai dimenticare ed è il seguente:

ha figli?” chiese poi al commissario con quello sguardo di traverso che Maigret cominciava a conoscere.

Ho avuto solo una bambina, che però è morta”.

Il commissario Maigret ha vissuto quindi uno degli eventi più assurdi, e oserei dire, quasi contro natura, della vita. Veder morire un figlio, sopravvivere ad un figlio.

E si pensi ora a quale gioco pazzesco è il destino! Sua figlia morì, e nel peggiore dei modi, suicida. Quel timore che è nella chiave del ruolo di protettore di bambini che definisce l'agire del suo personaggio più noto, il commissario Maigret, quel timore dicevo, sconvolgerà la parte finale della sua esistenza che divenne per lui un giallo da rileggere identificandosi nel ruolo di innocente impuro che ha ceduto ad una donna terribile, la seconda moglie, che col suo comportamento ha portato la figlia al totale rifiuto della vita. Simenon ha “giocato” con la sua paura, l'ha esorcizzata, l'ha in un certo senso chiamata? Ognuno di noi sa della vita quel che umanamente ci è consentito sapere, si legga il mio breve scritto intitolato “il pensiero fisso di Gogol” datato 3 giugno 2012, e si mediti. Mai farsi prendere da un timore e affilarlo con tonnellate di meditazioni. Esso verrà e avrà i tuoi occhi ….

Nessun commento:

Posta un commento