In data 29 marzo “La
Stampa”, presentava un articolo di Silvia Ronchey con argomento, la
Yourcenar e il suo celebre romanzo “Le memorie di Adriano”. Si
scopre fra le righe che l'occasione, per il pezzo, è una mostra che
si tiene a Tivoli; titolo “Marguerite Yourcenar: l'antichità
immaginata”. Mostra che rimarrà aperta fino al 3 novembre.
Ho meditato fino ad oggi
prima di decidermi a scrivere.
L'articolo è scritto
bene, ma … scrivere bene non basta.
Vien detto quel che da
anni si dice sull'argomento, ma non si offre la traccia che “fa il
libro”, che produce il capolavoro e in noi un'emozione che si
condensa in pensiero.
Ho già parlato di questa
grande scrittrice in altri post e mi meraviglio, fra le varie cose,
che in quell'articolo si pensi, in generale, alla genesi di un
romanzo con un unico filo diretto che è, in questo caso,
l'imperatore Adriano. La vita è un poco più complessa … manca
Piranesi con le sue stampe e poi sembra che la Yourcenar non abbia
pensato altro che ad Adriano, l'imperatore, fino a stesura ultimata,
fino ai quasi cinquant'anni di sua età ...
Citare per esempio la
frase di Flaubert: “gli dei non c'erano più e Cristo non c'era
ancora e ci fu, da Cicerone a Marco Aurelio, un momento in cui a
esistere fu l'uomo, solo”. Citare continuamente questa bella frase
per dare una spiegazione del perché la scrittrice scelse quel
periodo storico … ma non mi basta che una frase sia bella! Che la
usino le dame nei salotti proustiani che ancora esistono, strani
acquari nei quali si deve riuscire a parlare di nulla con eleganza.
Se si osserva quella
frase, ci si rende conto che contiene un assurdo. In quell'epoca non
c'erano più dei e non c'era ancora Cristo … ma se c'era un
presunto profeta al giorno e le religioni orientali andavano e
venivano come mode! Di dio, delle divinità ci si stancherà solo
davanti ad una conquistata immortalità, quindi mai!
Non mi sembra un
ragionamento difficile. Stimo Flaubert, e credo che, in buona fede,
qualcuno abbia immobilizzato un suo pensiero. E' troppo evidente quel
che ho detto, e che rende quella frase semplicemente bella, quindi
salottiera, per non dubitare che si trattasse di un frammento in
divenire. Un pensiero è qualcosa che si muove, che cresce. Fermarne
un frammento è penoso come quando vedo o sento troncare
arbitrariamente, quasi sempre per questioni di tempo, di palinsesto
dicono, un'intervista.
Altra frase assurda e
spesso citata, questa volta presa direttamente dall'autrice che la
“mise” in una lettera inviata alla sua traduttrice, l'ottima
Lidia Storoni Mazzolani è ovviamente riportata dall'articolo: …
tra coloro “che son troppo umili o troppo fieri per far parlare di
sé.” ragioniamo: la scrittrice si colloca ad uno dei due estremi
citati; essere troppo umile o troppo fiera … ma questa frase, che
rende torbido il rapporto fra il testo creato e l'autobiografia,
questa frase, dicevo, non fa altro che nascondere un tabù, qualcosa
che per l'autrice non si può toccare direttamente col pensiero!
Perché in lei un tabù esiste … ne parlano le opere, con un
continuo mascheramento. Per chi vuole orientarsi in un caso di
mascheramento artistico, contenente un tabù della medesima natura
consiglio la lettura del mio post su Picasso …
Quando un intellettuale
ascolta o legge quel che un artista dice di sé, dovrebbe avere
l'ardire di pensare che sta accadendo qualcosa che non è
immediatamente sulle righe. L'intellettuale agisce così. L'artista,
sempre, anche quando mangia, dorme, va in bagno eccetera, lotta con
una belva che cerca di domare, di ammansire. Ne va della sua vita. Se
non ci riuscisse ci sarebbe pronta per lui una delle tante forme
della follia.
Veniamo al sodo. La
Yourcenar ebbe, in famiglia, nel senso di famiglia allargata, la
presenza di una sessualità non canonica, non secondo le regole.
Crebbe e scoprì in se stessa l'omosessualità. Decise di viverla.
Rinunciare alla propria sessualità, all'amore che ad esso potrebbe
essere legato, è per lei inconcepibile. Di questo l'articolo parla
in modo leggero, quasi sfiorando ...
Dopo il caos creato nelle
menti etero da Marcel Proust, intervenne Gide. Lei si senti
autorizzata da questi precedenti, a tentare un'avventura che era al
limite del tollerabile; lei donna, in un'epoca nella quale il suo
sesso lottava per poter votare, per avere dei diritti fondamentali
che ora ci sembrano cosa ovvia, lei scrisse, nel 1929, a ventisei anni! “Alexis”
con sottotitolo, “o il trattato della lotta vana”. Un uomo lotta
con una pulsione cela con il matrimonio. Non ce la fa più, se ne va
e scrive alla moglie. Ritorna a galla il ricordo familiare della
scrittrice che lo “usa” con cura e stile.
Lei capì quale era la
chiave per agire sul mondo, quel mondo che viveva le omosessualità
come dei tabù. Proust aveva mostrato la via. La Recherche era prima
di tutto un capolavoro letterario. Non potevi resistere, la leggevo
affascinato. Proust faceva miracoli con la parola. “per lungo
tempo mi sono addormentato...” l'inizio, col bambino che attende il
bacio della madre, questa ipersensibilità che immediatamente viene
sentita, accettata dal lettore! Il capolavoro dell'infuso di tiglio
di zia Leonie, il ricordo che sale da regioni remote della mente! Si
legge e si è incantati. E poi arriva l'amore di Swann, i salotti con
nobildonne, la magica sonata che diventa la colonna sonora del suo
amore con Odette, e la figlia del compositore di questo brano …
Ecco entrate in scena due
crisi eterne, fino a quel momento, Odette era una prostituta d'alto
bordo, la figlia del compositore era omosessuale. Ecco che si solleva
il primo lembo dell'apparenza e ci si inoltra nella vita in un modo
più aperto.
Vediamo che per la prima
volta l'omosessualità femminile viene narrata. Proust, come la
Yourcenar ci stupisce con l'inversione non del suo sesso, ma
dell'altro, con una sorta di pudore della propria esperienza al quale
rinuncia davanti alla malattia. Sente la morte che non suona la
grancassa, ma un flauto sottile, stridulo, continuo, che gli prende
un granello di vita giorno dopo giorno. Non ha più remore. Sarà
morto fra breve e già è poco vivo in vita. Non è più un problema
suo. Che leggano. E il lettore, di qualsiasi sessualità, incantato
dalla bellezza della sua scrittura, dalla sua arte, gradualmente
accetta tutto! Il breve: “Sodoma e Gomorra uno” entra
completamente nell'argomento. Lo si legge, si sorride, poiché c'è
anche del buffo. E poi si medita.
Mi viene in mente una
scena di “Pulp fiction” di Tarantino. I due killer sono in
macchina. Dietro siede un malcapitato. Involontariamente parte un
colpo di pistola. Quello dietro è dilaniato, la macchina è piena di
sangue. Pezzi di cervello ovunque … ma abbiamo riso … e più ci
rendiamo conto che c'è poco da ridere ...ma abbiamo riso ...
continuiamo a ridere. Con “Sodoma e Gomorra uno” accadde qualcosa
di simile. Il lettore sorrise. Si rese conto che aveva appena letto
un tabù, ma sorrise, e continuò. L'arte aveva preso per mano
l'Uomo, e gli aveva narrato l'ombra.
Quando Lucio d'Ambra lesse il primo volume della Recherche, quello nel quale solo qualche accenno distante era presente, gridò agli italiani, per primo, il capolavoro. Non stupisca se uno dei suoi più grandi ammiratori fu Curzio Malaparte! Un donnaiolo, un duro, un'icona etero, ma anche un grande scrittore!
Ci si inchina davanti al
capolavoro! Nessuno maledice ed esce offeso se gli si mostra per
esempio, nel Giudizio della Sistina, il giovane che Michelangelo
amava. Lo si accetta e basta. Davanti al capolavoro la morale salta,
si fa polvere, viene rifondata!
Un'ultima considerazione su Proust. Qualcuno potrebbe dubitare di questa sensazione di morte … lui la pianificò. Era ridotto a vivere una vita normale per un pomeriggio dopo una quindicina di giorni di malattia. Andò all'appuntamento. Non entrò nell'albergo. Attese sotto la pioggia. Tornò a casa e si mise a letto. Nelle sue condizioni era pazzesco. Non lo era per lui che non sopportava più la convivenza con la malattia. Scelse di morire e non si affidò al colpo di pistola che fa rumore e disturba i vicini, non scelse il veleno che fa rumore sui giornali, ma decise di aiutare la malattia. Per questo ebbe il coraggio totale di parlare di quel tabù, di quella realtà presente da quando esiste l'uomo ma, posto sempre ai margini.
La Yourcenar ebbe il
coraggio di narrare storie di uomini, non aveva la morte a farle
fretta e a liberarla da ogni timore. Alexis prima e poi Adriano e
Antinoo.
Ma con “Memorie di Adriano” riuscì a ripetere
l'operazione di Proust. Chi prende in mano quel libro, possibilmente
nella traduzione della Mazzolani, rimane incantato già dalle prime
pagine. È come se le parole volassero. Già dalla prima facciata, da
quell'incontro col medico che non dice la verità, ci si rende conto
che tutti i veli son eliminati. Si ha la sensazione che Adriano abbia
il coraggio spaventoso di affrontare con la realtà in ogni momento
dell'esistenza. Questo spaventa e affascina chiunque. Chi ha il
coraggio della realtà? Essa è insopportabile. Questo particolare
sommato alla scrittura eccezionalmente bella e fluida, porta il
lettore a non fermarsi davanti a nulla. Antinoo, quell'amore
omosessuale, scivola via bene, come il resto.
Ma La Yourcenar non
affronta il lesbismo. Io sento continuamente questo suo parlare di se
stessa, ma in modo mascherato, inverso. Nella storia che sta vivendo
lei è forse Antinoo e l'altra Adriano.
E poi fa una scelta che
stimo notevolmente. Diluisce la sessualità, che si fa senza confini,
che diventa una parte del tutto della vita, nel racconti del
volumetto “Come l'acqua che scorre”.
ma dove lei arriva, anzi,
dove ci porta, è sconcertante. Se il tabù delle omosessualità può
esser considerato intaccato poiché se ne è iniziato a parlare, con
“Anna Soror...”
il pugno alla mente si fa
tremendo. Ritorna il tabù, il confine, l'invalicabile,
l'intollerabile. Leggetelo e dimenticate il resto. I tabù ci saranno
sempre. Questo ci vuol dire la scrittrice. Non è in noi la
possibilità di evitarne lo scontro se il destino ci plasma in un
certo modo. A noi sta il soccombere o il cedere, pagandone le
conseguenze, come accadde a Edipo, ad Anna Karenina, ad Emma Bovary,
come accade nella vita. In “Anna Soror” la morte, tabù estremo,
risolve la situazione intollerabile che si è creata. Questo ci dice
che quel limite è sentito come invalicabile anche da lei, da
Marguerite Cleenewerk de Crayencour nota col pseudonimo di Yourcenar
che considero, insieme a Virginia Woolf, la mente di donna più bella
del novecento.
In una Francia che ormai
ha solo intellettuali, lei belga, fu invitata ad essere membro della
“Accademia Francese”. Li univa la lingua e non è poco. La
Francia bussò in Belgio per un po' di buona letteratura, nel secondo
dopoguerra. Simenon e Yourcenar risposero. “Memorie di Adriano” è
del cinquantuno e oggi, dopo più di sessant'anni, per ogni lettore è
una perla. Come allora, un capolavoro.
Buona lettura.
Capolavoro assoluto scritto dalla donna più intelligente che abbia avuto il 900
RispondiEliminasbagliato. e lo dico con decisione. una delle donne più sensibili insieme alla Woolf. l'intelligenza è un frutto sterile per l'arte, anche per l'arte dello scrivere, se inteso come fonte principale della creatività. la sensibilità invece è il fulcro e solo dopo, l'intelletto, un minimo, organizza. dio ci guardi dalle persone solo intelligenti. mi vien freddo solo a pensarci!!!
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