mercoledì 3 aprile 2013

Marguerite Yourcenar: "Memorie di Adriano"




In data 29 marzo “La Stampa”, presentava un articolo di Silvia Ronchey con argomento, la Yourcenar e il suo celebre romanzo “Le memorie di Adriano”. Si scopre fra le righe che l'occasione, per il pezzo, è una mostra che si tiene a Tivoli; titolo “Marguerite Yourcenar: l'antichità immaginata”. Mostra che rimarrà aperta fino al 3 novembre.


Ho meditato fino ad oggi prima di decidermi a scrivere.

L'articolo è scritto bene, ma … scrivere bene non basta.

Vien detto quel che da anni si dice sull'argomento, ma non si offre la traccia che “fa il libro”, che produce il capolavoro e in noi un'emozione che si condensa in pensiero.

Ho già parlato di questa grande scrittrice in altri post e mi meraviglio, fra le varie cose, che in quell'articolo si pensi, in generale, alla genesi di un romanzo con un unico filo diretto che è, in questo caso, l'imperatore Adriano. La vita è un poco più complessa … manca Piranesi con le sue stampe e poi sembra che la Yourcenar non abbia pensato altro che ad Adriano, l'imperatore, fino a stesura ultimata, fino ai quasi cinquant'anni di sua età ...

Citare per esempio la frase di Flaubert: “gli dei non c'erano più e Cristo non c'era ancora e ci fu, da Cicerone a Marco Aurelio, un momento in cui a esistere fu l'uomo, solo”. Citare continuamente questa bella frase per dare una spiegazione del perché la scrittrice scelse quel periodo storico … ma non mi basta che una frase sia bella! Che la usino le dame nei salotti proustiani che ancora esistono, strani acquari nei quali si deve riuscire a parlare di nulla con eleganza.

Se si osserva quella frase, ci si rende conto che contiene un assurdo. In quell'epoca non c'erano più dei e non c'era ancora Cristo … ma se c'era un presunto profeta al giorno e le religioni orientali andavano e venivano come mode! Di dio, delle divinità ci si stancherà solo davanti ad una conquistata immortalità, quindi mai!

Non mi sembra un ragionamento difficile. Stimo Flaubert, e credo che, in buona fede, qualcuno abbia immobilizzato un suo pensiero. E' troppo evidente quel che ho detto, e che rende quella frase semplicemente bella, quindi salottiera, per non dubitare che si trattasse di un frammento in divenire. Un pensiero è qualcosa che si muove, che cresce. Fermarne un frammento è penoso come quando vedo o sento troncare arbitrariamente, quasi sempre per questioni di tempo, di palinsesto dicono, un'intervista.
Altra frase assurda e spesso citata, questa volta presa direttamente dall'autrice che la “mise” in una lettera inviata alla sua traduttrice, l'ottima Lidia Storoni Mazzolani è ovviamente riportata dall'articolo: … tra coloro “che son troppo umili o troppo fieri per far parlare di sé.” ragioniamo: la scrittrice si colloca ad uno dei due estremi citati; essere troppo umile o troppo fiera … ma questa frase, che rende torbido il rapporto fra il testo creato e l'autobiografia, questa frase, dicevo, non fa altro che nascondere un tabù, qualcosa che per l'autrice non si può toccare direttamente col pensiero! Perché in lei un tabù esiste … ne parlano le opere, con un continuo mascheramento. Per chi vuole orientarsi in un caso di mascheramento artistico, contenente un tabù della medesima natura consiglio la lettura del mio post su Picasso …

Quando un intellettuale ascolta o legge quel che un artista dice di sé, dovrebbe avere l'ardire di pensare che sta accadendo qualcosa che non è immediatamente sulle righe. L'intellettuale agisce così. L'artista, sempre, anche quando mangia, dorme, va in bagno eccetera, lotta con una belva che cerca di domare, di ammansire. Ne va della sua vita. Se non ci riuscisse ci sarebbe pronta per lui una delle tante forme della follia.

Veniamo al sodo. La Yourcenar ebbe, in famiglia, nel senso di famiglia allargata, la presenza di una sessualità non canonica, non secondo le regole.
Crebbe e scoprì in se stessa l'omosessualità. Decise di viverla. Rinunciare alla propria sessualità, all'amore che ad esso potrebbe essere legato, è per lei inconcepibile. Di questo l'articolo parla in modo leggero, quasi sfiorando ...

Dopo il caos creato nelle menti etero da Marcel Proust, intervenne Gide. Lei si senti autorizzata da questi precedenti, a tentare un'avventura che era al limite del tollerabile; lei donna, in un'epoca nella quale il suo sesso lottava per poter votare, per avere dei diritti fondamentali che ora ci sembrano cosa ovvia, lei scrisse, nel 1929, a ventisei anni! “Alexis” con sottotitolo, “o il trattato della lotta vana”. Un uomo lotta con una pulsione cela con il matrimonio. Non ce la fa più, se ne va e scrive alla moglie. Ritorna a galla il ricordo familiare della scrittrice che lo “usa” con cura e stile.

Lei capì quale era la chiave per agire sul mondo, quel mondo che viveva le omosessualità come dei tabù. Proust aveva mostrato la via. La Recherche era prima di tutto un capolavoro letterario. Non potevi resistere, la leggevo affascinato. Proust faceva miracoli con la parola. “per lungo tempo mi sono addormentato...” l'inizio, col bambino che attende il bacio della madre, questa ipersensibilità che immediatamente viene sentita, accettata dal lettore! Il capolavoro dell'infuso di tiglio di zia Leonie, il ricordo che sale da regioni remote della mente! Si legge e si è incantati. E poi arriva l'amore di Swann, i salotti con nobildonne, la magica sonata che diventa la colonna sonora del suo amore con Odette, e la figlia del compositore di questo brano …

Ecco entrate in scena due crisi eterne, fino a quel momento, Odette era una prostituta d'alto bordo, la figlia del compositore era omosessuale. Ecco che si solleva il primo lembo dell'apparenza e ci si inoltra nella vita in un modo più aperto.

Vediamo che per la prima volta l'omosessualità femminile viene narrata. Proust, come la Yourcenar ci stupisce con l'inversione non del suo sesso, ma dell'altro, con una sorta di pudore della propria esperienza al quale rinuncia davanti alla malattia. Sente la morte che non suona la grancassa, ma un flauto sottile, stridulo, continuo, che gli prende un granello di vita giorno dopo giorno. Non ha più remore. Sarà morto fra breve e già è poco vivo in vita. Non è più un problema suo. Che leggano. E il lettore, di qualsiasi sessualità, incantato dalla bellezza della sua scrittura, dalla sua arte, gradualmente accetta tutto! Il breve: “Sodoma e Gomorra uno” entra completamente nell'argomento. Lo si legge, si sorride, poiché c'è anche del buffo. E poi si medita.

Mi viene in mente una scena di “Pulp fiction” di Tarantino. I due killer sono in macchina. Dietro siede un malcapitato. Involontariamente parte un colpo di pistola. Quello dietro è dilaniato, la macchina è piena di sangue. Pezzi di cervello ovunque … ma abbiamo riso … e più ci rendiamo conto che c'è poco da ridere ...ma abbiamo riso ... continuiamo a ridere. Con “Sodoma e Gomorra uno” accadde qualcosa di simile. Il lettore sorrise. Si rese conto che aveva appena letto un tabù, ma sorrise, e continuò. L'arte aveva preso per mano l'Uomo, e gli aveva narrato l'ombra.


Quando Lucio d'Ambra lesse il primo volume della Recherche, quello nel quale solo qualche accenno distante era presente, gridò agli italiani, per primo, il capolavoro. Non stupisca se uno dei suoi più grandi ammiratori fu Curzio Malaparte! Un donnaiolo, un duro, un'icona etero, ma anche un grande scrittore!

Ci si inchina davanti al capolavoro! Nessuno maledice ed esce offeso se gli si mostra per esempio, nel Giudizio della Sistina, il giovane che Michelangelo amava. Lo si accetta e basta. Davanti al capolavoro la morale salta, si fa polvere, viene rifondata!


Un'ultima considerazione su Proust. Qualcuno potrebbe dubitare di questa sensazione di morte … lui la pianificò. Era ridotto a vivere una vita normale per un pomeriggio dopo una quindicina di giorni di malattia. Andò all'appuntamento. Non entrò nell'albergo. Attese sotto la pioggia. Tornò a casa e si mise a letto. Nelle sue condizioni era pazzesco. Non lo era per lui che non sopportava più la convivenza con la malattia. Scelse di morire e non si affidò al colpo di pistola che fa rumore e disturba i vicini, non scelse il veleno che fa rumore sui giornali, ma decise di aiutare la malattia. Per questo ebbe il coraggio totale di parlare di quel tabù, di quella realtà presente da quando esiste l'uomo ma, posto sempre ai margini.

La Yourcenar ebbe il coraggio di narrare storie di uomini, non aveva la morte a farle fretta e a liberarla da ogni timore. Alexis prima e poi Adriano e Antinoo.
Ma con “Memorie di Adriano” riuscì a ripetere l'operazione di Proust. Chi prende in mano quel libro, possibilmente nella traduzione della Mazzolani, rimane incantato già dalle prime pagine. È come se le parole volassero. Già dalla prima facciata, da quell'incontro col medico che non dice la verità, ci si rende conto che tutti i veli son eliminati. Si ha la sensazione che Adriano abbia il coraggio spaventoso di affrontare con la realtà in ogni momento dell'esistenza. Questo spaventa e affascina chiunque. Chi ha il coraggio della realtà? Essa è insopportabile. Questo particolare sommato alla scrittura eccezionalmente bella e fluida, porta il lettore a non fermarsi davanti a nulla. Antinoo, quell'amore omosessuale, scivola via bene, come il resto.
Ma La Yourcenar non affronta il lesbismo. Io sento continuamente questo suo parlare di se stessa, ma in modo mascherato, inverso. Nella storia che sta vivendo lei è forse Antinoo e l'altra Adriano.



E poi fa una scelta che stimo notevolmente. Diluisce la sessualità, che si fa senza confini, che diventa una parte del tutto della vita, nel racconti del volumetto “Come l'acqua che scorre”.


ma dove lei arriva, anzi, dove ci porta, è sconcertante. Se il tabù delle omosessualità può esser considerato intaccato poiché se ne è iniziato a parlare, con “Anna Soror...”



il pugno alla mente si fa tremendo. Ritorna il tabù, il confine, l'invalicabile, l'intollerabile. Leggetelo e dimenticate il resto. I tabù ci saranno sempre. Questo ci vuol dire la scrittrice. Non è in noi la possibilità di evitarne lo scontro se il destino ci plasma in un certo modo. A noi sta il soccombere o il cedere, pagandone le conseguenze, come accadde a Edipo, ad Anna Karenina, ad Emma Bovary, come accade nella vita. In “Anna Soror” la morte, tabù estremo, risolve la situazione intollerabile che si è creata. Questo ci dice che quel limite è sentito come invalicabile anche da lei, da Marguerite Cleenewerk de Crayencour nota col pseudonimo di Yourcenar che considero, insieme a Virginia Woolf, la mente di donna più bella del novecento.

In una Francia che ormai ha solo intellettuali, lei belga, fu invitata ad essere membro della “Accademia Francese”. Li univa la lingua e non è poco. La Francia bussò in Belgio per un po' di buona letteratura, nel secondo dopoguerra. Simenon e Yourcenar risposero. “Memorie di Adriano” è del cinquantuno e oggi, dopo più di sessant'anni, per ogni lettore è una perla. Come allora, un capolavoro.

Buona lettura.


2 commenti:

  1. Capolavoro assoluto scritto dalla donna più intelligente che abbia avuto il 900

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    1. sbagliato. e lo dico con decisione. una delle donne più sensibili insieme alla Woolf. l'intelligenza è un frutto sterile per l'arte, anche per l'arte dello scrivere, se inteso come fonte principale della creatività. la sensibilità invece è il fulcro e solo dopo, l'intelletto, un minimo, organizza. dio ci guardi dalle persone solo intelligenti. mi vien freddo solo a pensarci!!!

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