DALL'ALDILA’ 3(Picasso)
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Picasso, ultimo autoritratto prima della fine |
Ciao. Forse comprenderai chi sono durante la lettura di questa lettera. Forse no. Sono preparato anche a questo. Ma non temere. Sappi sin d’ora che non è colpa tua. Ci son cose che ora ti rivelerò. Cose che ti riguardano. Cose che deformano la realtà. Anche la mia.
Questa mail si cancellerà nel giro di poco tempo. Riuscirai a leggerla una sola volta e non è memorizzabile. Capirai poi perché. Ora vai avanti.
Il tuo tempo ha riordinato frammenti di passato secondo le sue esigenze pratiche e non secondo i fatti. Ma andiamo per ordine.
Chi sei tu.
Una persona che ha scelto di comprendere la storia dell’arte e che forse, senza l’aiuto di queste parole, proseguirà su binari un po’ rigidi.
Sappi comunque, che non sai bene cosa sia l’arte. Ne hai un’idea vaga, un guazzabuglio di sensazioni rivestite di romantiche possibilità per il futuro, ammantate di successo. Pensi ancora con indecisione a due ruoli: il critico d’arte o l’artista e non ti decidi. Sappi che Alberto Savinio disse che nessuno ha mai fatto un monumento ad un critico. Penso che dopo tanti anni quelle parole colgano ancora nel segno. Chi è il critico? Colui che, esprimendosi in universitese, linguaggio artificioso e barocco, se ben pagato, parla bene di un artista vivente. Se tratta di un artista deceduto, ovvero di uno come me, che non può più difendersi, ecco che il suo intento diventa scoprire qualcosa di nuovo e se non lo trova inventa. Deve far carriera e per questo ingrato scopo, i fatti realmente accaduti spesso non aiutano perché sono scarni, poveri oppure rivelano aspetti che non si è più abituati a valorizzare e quindi, si inventa.
La mia storia ne è un esempio.
Essere artisti invece ti sembra qualcosa che purtroppo non è. La parola chiave ormai è business. In più deve esistere sempre una capacità di stupire e la disponibilità di lasciar vedere ai critici e ai docenti universitari, che troppo spesso son la medesima persona, quel che vogliono, poiché l’importante è semplicemente che dell’artista si parli.
Ti lascerò nel dubbio. Non oso consigliarti una via o l’altra. Quel che ti chiedo è di non pensare solo a te stesso in qualsiasi caso e di ricordare che le parole, oppure l’opera, ti sopravvivranno e riveleranno prima o poi il tuo vero valore.
Ricorda sempre quando soppesi un’opera, che stai facendo un’operazione che serve prima di tutto a te in quanto essere umano. Se essa diviene immediatamente merce e strumento per l’affermazione economica e professionale, l’uomo che in te dovrebbe crescere sarà irrimediabilmente perduto.
Pensa ora a un pianista. Egli è l’interprete del pensiero di un grande compositore. È il medesimo ruolo che dovresti tentare di realizzare se decidessi di diventare un critico e ricorda che il pianista mai giudica. Non ha senso comunque, essere come quei pianisti tecnicamente perfetti che sono in grado di accelerare tutto in semibiscrome trasformando un parto della sensibilità in gesto atletico. Quanti ne ho sentiti! Ci sta dimostrare al mondo che si sa “fare”, l’ho fatto anch’io, ma poi è importante dare un senso alle cose della vita.
Fu il caso mio. Ho ricordi vaghi. Qui nel regno dei morti il senso del tempo cambia pian piano. Immagina di essere al centro di te stesso e che ogni attimo del tuo passato ti sia equidistante. Io un ricordo che si sgrana come le perle di un rosario, ce l’ho ancora, e il motivo è per me assai triste. Sono a ridosso della porta dell’inferno. Davanti ai miei occhi campeggia la scritta che ben conosci.
PER ME SI VA NE LA CITTA’ DOLENTE
PER ME SI VA NE L’ETTERNO DOLORE
PER ME SI VA TRA LA PERDUTA GENTE
GIUSTIZIA MOSSE IL MIO ALTO FATTORE
LA DIVIVA PODESTATE
LA SOMMA SAPIENZA E ‘L PRIMO AMORE
DINNANZI A ME NON FUOR COSE CREATE
SE NON ETTERNE, E IO ETTERNA DURO
LASCIATE OGNE SPERANZA O VOI CH’INTRATE”
Non son certo sai, che questo sia il luogo che mi spetti.
Non ho il coraggio d’entrare. Dietro di me il limbo. Passano spesso gli ignavi. Ho chiesto per curiosità se fra essi vi è Pietro da Morrone. Non c’è.
Questa scoperta è stata per me un sollievo. Vuol dire che il timore che mi attende oltre quella porta è, almeno in qualcosa, diverso da quel che ci fu descritto. Se Celestino non corre dietro al vessillo fra l’ignobile, vastissima schiera, allora forse, si, forse, non esiste nemmeno il girone che dovrebbe fagocitarmi.
Non basta comunque questa scoperta per raccogliere sufficiente coraggio e decidere di entrare. Ho paura. E non è vero sai, come è stato raccontato, che in noi venga infusa una smania di giungere al luogo dell’espiazione o della grazia.
Semplicemente ti ritrovi qui e devi decidere. Se hai la sensazione di essere colpevole ti avvii verso il luogo che pensi sia il tuo. E spesso, come nel caso mio, si approda ad un tergiversare che non si esprime in giorni, mesi, anni, decenni, secoli o millenni ma sembra comunque infinito e forse, è anche questa una forma della pena. Te l’ho accennato. Ogni momento del tempo è ora equidistante da quel che sei e quel che sei lo devi comprendere, non puoi non farlo, poiché si pensa di essere sempre qualcosa di diverso da quel che si è realmente, profondamente. Solo i grandi, i grandissimi artisti, son sempre quel che sembrano ma purtroppo, e contro il loro desiderio, lo sono solo davanti a se stessi. Davanti al mondo sono, proprio per questo, incomprensibili, folli, giusti rinnegati, temuti da ogni comunità, esiliati ovunque. Qui comunque, a differenza della vita, la finzione non dura. La maschera cade e questa è secondo me l’unica vera differenza fra la vita e la morte perché nemmeno il tempo, quando sei in vita, se sei te stesso fino in fondo, saprà sfiorarti e quel che farai sarà eterno.
Davanti alla Legge, scrisse Kafka. Ed eccola la porta. Ma non c’è nessun guardiano che ti spinge dentro o che risponda alla tua domanda, come accade nel suo racconto, dicendo che non è il momento. Accade la cosa più grande e temibile. Come ti ho detto, sarai tu stesso a giudicarti e avrai intorno a te tutta la vita passata, equidistante appunto e minuziosa, nitida.
Prima o poi dovrò decidermi ma per ora, con quest’attesa cerco di comprendere con ansia, quel che devo fare. Forse, per quel che ho sofferto, anche se in uggia alla morale della mia epoca, merito la grazia.
Perché ti scrivo dunque. Per consegnarti una vita tribolata che nessuno dei tuoi critici oppure, più freddamente, dei tuoi libri, ti ha nemmeno minimamente rivelato. Che bello sarebbe se tu decidessi di osservare “l’opera” senza farti influenzare! Fornisciti pure di notizie del suo tempo. Letteratura. La grande musica. Respira il suo mondo anche con gesti apparentemente banali come il ricercare, della mia epoca per esempio, gli oggetti. Solo così, libero di inoltrarti, avrai la possibilità di comprendere qualcosa.
La certezza mai.
Ricorda che a Celan, un pur valido autore italiano, contestò il fatto che la sua poesia era troppo incomprensibile. Egli, che soffrì l’inenarrabile durante la seconda grande guerra, si nascondeva anche nel linguaggio per sentirsi al sicuro. Il suo capolavoro fu quel fare capolino di rado, perseguitato da quella necessità di nascondersi che si realizzò completa nel gesto estremo di gettarsi da un ponte a Parigi. il massimo del nascondimento dalla vita. la morte.
Ora inizio con la mia storia. I fatti salienti son brevi. Era l’inizio del novecento. Con una persona mi mossi in direzione della straniera Francia. Se non ricordo male era il mio terzo viaggio nella capitale fantastica e questa volta avevo l’intenzione rimanere. Esattamente a Montmarte. Sia lui che io eravamo pittori. Montmarte era un poco il luogo della possibilità nella più totale assenza di regole. Era come il mito del Pugilato negli Stati Uniti. Potevi essere l’ultimo, ma con tenacia e qualche dono di natura, potevi emergere. E il dono di natura io l’avevo. Dipinsi più o meno a quattordici anni due ritratti. Uno di mio padre e uno di mia madre. La qualità era eccelsa. Ero quindi sicuro di me, spavaldo, forte. Una cosa però non andava bene. Il mio amico e io ci amavamo. Si. Hai capito. Ci amavamo. Giunti a Montmartre io non ebbi il coraggio di portare avanti la relazione. Mi rendevo conto che si trattava di un ambiente che ostentava virilità in tutti i modi. Il nobile o il ricco potevano essere quel che volevano. L’artista anche, ma di nascosto o per finta e con cautela e io, eccitato dal mio talento, volli rispettare forse troppe regole per assecondarlo. Le regole comunque, credute dal mio tempo. Son tante le fandonie su quel periodo. Quella che in fondo io stesso ho contribuito a creare intorno alla mia immagine, è forse la più grande poiché io ero il più grande.
Vi insegnano che Amedeo Modigliani si invaghì dell’arte africana. Sbagliato. Era l’arte egiziana che poteva vedere al Louvre. Era sempre solo. Squinternato, elegante, fantastico e autodistruttivo.
Torniamo a me. Dissi col mio compagno che si doveva nascondere il nostro rapporto. Non ci riusciva. Me ne tornai infuriato a casa. Lui rimase, angosciato dalla mia scelta. Tentò di andare a letto con una mia ex finta fiamma, per dimostrarmi forse un poco di buona volontà, ma non riuscì. Si sparò un colpo alla tempia in un caffè davanti ad amici comuni. Venni a sapere del fatto. Ora la mia rabbia si mutò in angoscia ed era la sua che, uscita dal suo corpo venne a cercarmi e mi trovò nella mia lontana città, nel momento esatto che le parole nella quale si era insinuata, mi raggiunsero raccontando quel gesto. Lo dipinsi con una candela di fianco, sul letto di morte e la tempia oltraggiata. Lo dipinsi mentre ascendeva al cielo seguito dagli angeli e arrivai a Parigi morto a me stesso, arrabbiato col mondo, incontenibile, capace di insultare e tradire tutto e tutti. Esplosi. Finii in una clinica per malattie veneree e, consapevole di cosa mi attendeva in fondo a quella pazzia se avessi perseverato, mi fermai. Osservai le mie mani, il mio volto interiore stravolto e dipinsi la solitudine che mi attanagliava. Pian piano tornai alla vita, quella esteriore. Quella interiore non ebbi più nemmeno il coraggio di sfiorarla. Si trattava di uno scrigno nero che quando inavvertitamente aprivo, mi offriva lo sguardo della persona che avevo annientato e che, ora ne ero certo, mi aveva veramente amato.
Vedi. Ho compreso ora che l’importante è amare. Disquisire sugli aspetti corporali di questo sentimento è decisamente ininfluente. Il corpo ha una sua natura che non si può contraddire. Se ci provi hai perso. I suoi urli ti assorderanno e se riesci a costringerti fino in fondo ad apparenze che non ti corrispondono, diventi mostruoso, elegante, forse di giorno, ma con uno sguardo strano e nelle notti della mente, feroce con chi ti ritrovi vicino.
Io invece, che possedevo quello scrigno che conteneva un simile sguardo, che è ben oltre qualsiasi sensazione di colpa, iniziai a dipingere in modo solo tecnico. Il corpo lo destrutturavo, lo deformavo in tutti i modi possibili e mi rendevo conto che per quanto lo massacrassi, si riconosceva sempre che di un corpo si trattava. L’anima nemmeno mi azzardavo ad immaginarla. Se facevo un volto esso mi riusciva perché lo concepivo come una maschera, anzi, come la deformazione di una maschera. Le donne poi. Ritraevo la medesima più volte nel tempo e da un ritratto abbastanza riconoscibile, passavo a destrutturare fino all’esasperazione. Un’esasperazione che ricevette il dono di un senso da parte dei critici ai quali lasciai fare il loro lavoro nascondendomi, quasi con gratitudine, dietro quel colossale muro di parole. Ho poi avuto donne. Ho figliato. Ho creato il mito dell’artista eroticamente insaziabile. Per me le figure femminili che producevo, però non erano “la donna”, ma qualcos’altro che sta a te ora comprendere. Mi rendevo conto comunque che, in certo qual modo, con i miei silenzi, collaboravo al fraintendimento. Il mio corpo reclamò comunque la sua vitalità e chi mi conosceva sapeva, ma ormai si era giunti ad un punto di non ritorno. La mia immagine commerciale aveva certe caratteristiche e non andava modificata. Rendevo tanto. Troppo. Chi minimamente aveva a che fare con me, si arricchiva. Pensa che ci fu un artistucolo che si vantò per anni di essere mio amico. Ad ogni inaugurazione, annunciava la mia presenza e poi si autoinviava un telegramma nel quale giustificavo in qualche modo la mia ovvia assenza. Lo seppi e sorrisi di questa bassa scaltrezza per riuscire a campare con poca fatica.
Ai mendicanti diedi spesso un mio scarabocchio su un pezzo di carta. Lo firmavo e per loro era come aver vinto alla lotteria.
Divenni vecchio e, come scrisse il grande argentino, “morto l’animale, o quasi è morto, restano l’uomo e l’anima”. Rimasi con me stesso accuratamente rinchiuso nel castello della fama, con una ricchezza sbalorditiva che mi era indifferente. In quella solitudine trovai la calma necessaria per aprire lo scrigno e dialogare con quello sguardo che mi scaldò dopo tanti anni, col suo disperato, sincero affetto. Eravamo finalmente rimasti solo lui e io e sappi che solo chi ama ha veramente vissuto e in tarda età, alle soglie dell’abisso, rigorosamente rinserrato in me stesso, l’ho contraccambiato.
Ora sono qui, davanti alla Legge. Pietro da Morrone non era nella schiera e forse, deduco. non esiste il girone che mi fa penare. Forse chi ama con tutto se stesso non rientra in quella categoria. Ho una speranza, ma per ora mi manca il coraggio.
Questa, caro ragazzo è la mia storia.
Questa è la storia di Pablo Ruiz Picasso .
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Quel che questa finzione rivela … è vero. Fin da ragazzo ero affascinato dal periodo blu e studiai accuratamente la vita di Picasso dalla nascita fino al 1906-7.
in me, in un'età nella quale l'amore era ancora disgiunto dagli ormoni, ero un bambino … e quindi anche l'omosessualità era men che irreale, in me dicevo, era comunque diventato chiaro un fatto. A Picasso era capitato qualcosa di brutto. Non era possibile che dopo l'apice toccato a soli 14 anni con i ritratti al padre e alla madre (eccoli)....
la scoperta di Parigi e di Lautrec(ecco un'opera che ne dimostra l'influenza...);
improvvisamente, fossero apparse quelle figure cosi sofferenti, dolorose e rassegnate. E poi crebbi, scoprii l'amore anche carnale, e mi resi conto che esistevano gli omosessuali. Io avevo altri gusti, ma “loro” erano di solito intelligenti, originali e quant'altro, quindi non li evitavo. Sicuramente con un gay, usiamo un termine più aggiornato, è abbastanza inverosimile che si parli per esempio di calcio... capita poi che il mondo dell'arte e dello spettacolo ne vanti una folta schiera, in parte nascosta, e in parte, ormai dichiarata e tranquilla. Negli anni novanta del novecento, dichiararsi gay era ancora un rischio, un'avventura con conseguenze sgradevoli, delle quali, una parziale emarginazione, era sempre il minimo garantito. Per me, allora come ora, quel che una persona fa del suo corpo, non interessava. Erano e sono affari suoi. Mi fa ridere di amarezza questa attenzione sulla sessualità dei politici, per esempio. Essa rappresenta la morbosità del pubblico che così trova sfogo, non quella del politico … e pensare che esiste il mondo dello spettacolo che ha il compito ormai istituzionalizzato, di render nota la vita privata e “scaricare” così le pubbliche, e mai ammesse tendenze, al morboso che in ogni epoca assumono aspetti suoi caratteristici.
Fu una intuizione quella che ebbi su Picasso. Lui che torna a Barcelona dopo essere arrivato a Parigi, con Casagemas.
Casagemas che si spara in un bar davanti agli amici dopo aver tentato di avere una relazione con una ragazza nel 1901. Picasso lo viene a sapere e fa le prime opere blu, a Barcelona, sulla sua morte. Arriva a Parigi, vive al limite della maleducazione, della scorrettezza, come impazzito. Eccede in tutto eccetera. Pian piano questa visione prende forma e scopro altri possibili tasselli interessanti. Poi capita che per un po' di tempo vivo a Milano e conosco, fra gli altri, anche Franco Passoni, che di Picasso fu amico.
Mi stima da subito e dopo alcuni incontri al Jiamaica (ecco in foto il locale, tuttore esistente, in via Brera 32 a Milano. Quì passò un'epoca di arte, per esempio, Savinio, Quasimodo, Buzzati eccetera e ciarlatani a migliaia...)
e ad inaugurazioni, mi invita a cena da lui. Ricordo ancora, spaghetti tonno e pomodoro come primo. C'era lui, la moglie e i figli Matteo e Vanessa. Si chiacchiera e poi Franco e io andiamo in salotto. Mi mostra alcuni “pezzi” della sua collezione, spesso astratti e per me un po' insipidi e serenamente glielo dico. Apprezza e poi … aggiungo che avrei da fargli una domanda su Picasso. Sapevo già che aveva lavorato con lui. Non si erano solo frequentati per dovere. Si era anche instaurato un rapporto di stima.
La domanda la feci e lui mi stupì con la sua risposta.
“Picasso era gay?”
“Si”
“allora potrebbe essere giusto quel che ho pensato delle sue opere dei primi del novecento!”
“ma cosa c'entra il fatto che fosse gay!”
Ero sbalordito. La sua opera era quindi stata studiata senza tenere conto di questo dato? Ma l'opera è il riflesso dell'esistenza! La borghesia fu ed è il livello più basso dell'atteggiamento, del mascheramento, ma raramente un giovane è borghese e Picasso era giovane, allora .... Mostrare ciò che si vorrebbe essere e non quel che si è, questo è il borghese che si specchia nei quadri di Boldini, per esempio. Ma coi primi del novecento, esattamente un po' prima, con Goya, il rapporto con l'io interiore, con la propria vita, si fece fondamentale. Le crisi di Munch, quelle di Balthus, e Sironi e Campigli! Solo per dirne alcuni!
Sfogliammo un catalogo di Campigli e egli feci notare che spesso c'era una tela nella quale spicca di solito, una coppia di donne, che sian sole, o fra la folla, uniche visibilmente in relazione, o anche in casa. Non capiva. Per lui Campigli era solo l'evoluzione riuscita di una tecnica!
Gli dissi che nei diari, Campigli raccontava che, quando era bambino, desiderava l'affetto della madre che era bellissima e la vedeva che si preparava per uscire. Lui si struggeva. Sperava di poter passeggiare al suo fianco, e invece, sempre, veniva un'amica e lui rimaneva in casa. Quel magone, lo ha ripetuto molte volte nella sua opera, poiché sempre tornava a galla. Tornò anche con la moglie, che si preparò, uscì con l'amica, e lui si sentì di nuovo, da adulto, come quel bambino fragile che fu! In più si deve tener conto che lo “passavano” per nipote e non figlio di …. cotanta madre … Come non tenere conto di questi dati per comprendere dei quadri che dimostrano la convivenza e non il superamento con un trauma! Se si ignorano queste considerazioni, le opere di Campigli risultano solo variazioni carine fatte su una celebre statuetta fenicia! Mai la tecnica non esaurisce il valore di un artista e se accade, o si tratta di mascheramento o di truffa. Accadde a Picasso dal cubismo in poi, e ritroviamo una situazione simile, anche se per altri motivi per esempio nella poesia di Celan,
per il quale il mascheramento consisteva nell'ultima difesa espressa col rendersi incomprensibile, nascosto anche dietro al verso. Si tratta altrimenti di truffa, spesso inconsapevole attuata da un intellettuale che gioca a far l'artista. Dico che l'atto può essere inconsapevole poiché l'indottrinamento scolastico e commerciale, offre valori nei quali, ovviamente, all'inizio si crede e non si può fare diversamente. Se ci insegnano che si va in montagna con le pantofole, la prima volta le metteremo, è ovvio; si tratta delle uniche informazioni che abbiamo e vanno usate. Quando si torna dalla prima incursione, se non si mettono in discussione le pantofole e non si inizia a cercare … allora si ha un intellettuale che gioca a fare l'artista. Un alpinista in pantofole che si sente pure a posto col mondo, e ridicolizza colui che ha deciso, da solo che son meglio gli scarponi, poiché … non rispetta la tradizione, gli insegnamenti!
Deve accadere che una volta “provate” quelle prime esperienze indotte, ci si deve rendere conto che l'arte va oltre e che non la insegna la scuola perché non si tratta di un insieme di nozioni sistematizzabili e uguali per tutti. In più si tratta di un qualcosa che deve a ciò che è esterno da noi, solo una parte dell'alchimia, il resto si innesca in noi e il codice segreto per aprire, svelare l'io è diverso per tutti e incomunicabile. Si può solo trasmettere la fiducia nella possibilità e invitare ad una coscienza critica libera.
Passoni era sbalordito. Gli spiegai che secondo me lui e la sua generazione si erano concentrati troppo sulla tecnica e aveva prodotto intellettuali in grado di spaccare il capello in quattro, ma …. cosa me ne faccio di quarti di capelli? Nulla o quasi. Una parte vale, l'eccessiva minuzia, diventa ridicolo.
Rilessi i quadri di Picasso secondo la mia ottica e mi disse che era vero, mi rivelò anche di qualche altra “avventura” del Picasso ormai famoso, quando ormai si mascherava. Quando nella sua sofferta pittura appare l'arlecchino, figura compresa osservando e dipingendo i personaggi del circo Medrano, è perché nella sua mente è nata la soluzione. Picasso non può essere liberamente se stesso. Si deve mascherare.....
E ci riesce benissimo. L'immagine sarà quella del caliente donnaiolo spagnolo. Si sposa varie volte, ma le mogli, quando le ritrae, le prime volte le fa belle, e poi le scompone fino alla follia, perché per lui non son l'oggetto del desiderio, ma del mascheramento!
Passoni mi ascoltò con attenzione e poi mi chiese che effetto gli faceva la sua generazione. Gli dissi, “colti, spesso sinceri, ma troppo legati, inconsapevolmente, al pensiero positivista. Ecco perché l'arte è diventata per voi solo tecnica!”
e con la destra indicai una tela di Piero Dorazio ( ecco una sua opera)
facendogli presente che conteneva a fatica un uno per cento di anima e io di anima avevo bisogno.
Mi chiese di Sebastian Matta, che da poco avevamo conosciuto. Gli dissi che il suo capolavoro era la figlia …
e poi l'opera che non era male, ed ecco a voi qui sopra un suo quadro. Era viva. Lui aveva accettato la regola del mercato che ti vuole immediatamente riconoscibile, e un Matta, come un Burri, o un Fontana era immediatamente identificabile. Ma a differenza degli altri due, era caldo, vivo. Scherzammo un poco su Burri, fascistone irredento e con le donne in odio, e poi mi disse, che forse la sua generazione poteva morire lasciando ben poco di buono. Gli dissi no! “gente come te e Sanesi, per esempio, siete comunque stati sinceri. Avete creduto in quel che avete fatto e detto e scritto. È lo schiavo del mercante, che utilizza la mentalità scientifica per giustificare con un linguaggio forbito qualsiasi corbelleria, è lui che non sopporto, e ce ne sono alcuni che hanno la mia età ...”
Non solo questo aspetto mi era d'ostacolo, ma con persone aperte come lui ne potevo parlare. Ricordo quando Alessandro Quasimodo (ecco la sua immagine. ottimo attore particolarmente per il teatro greco e .... quando legge le mie cose...ha una voce così calda e profonda da rendere belle anche le banalità che qualcuno tenta di proporgli...),
mi portò a visitare l'appartamento di suo padre, il Nobel, in via Garibaldi, sempre a Milano. Sopra al letto c'era un autografo grandissimo di Gabriele d'Annunzio... era presente la poetessa Vittoria Palazzo che mi invitò a non meravigliarmi …
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ecco Vittoria, buona poetessa e importante per la poesia. sapeva essere amica di personaggi assai difficili, da Fontana a Quasimodo a Sartre ecc. |
...per quanto si fosse già negli anni novanta, non si poteva parlare di queste cose ...politica. E mi disse che lei, e Salvatore, che fu suo amico per anni, e non solo loro due, stimavano tanto l'opera del pescarese.
Quante “cose” strane, per un essere come me … a loro sembravo nato in una stanza senza finestre sul mondo e con a disposizione solo una luce e dei libri … Vittoria me lo disse, e questo li divertiva e spaventava, perché con due parole, scompariva qualcosa nel quale avevano creduto per una vita e dopo non aveva più il senso di prima. Vittoria mi disse. Hai ucciso Emilio Vedova.
Per me era quasi un genio, ora è solo il ricordo di un amico. Le dissi che non era poco e che forse da quello doveva partire per comprenderlo, se mai in Vedova esiste qualcosa da capire....
E comunque Picasso fu letto da allora, da quella cerchia di amici, tutti moooolto più vecchi di me eccetto Alessandro Quasimodo, come se, finalmente, avesse avuto un'anima, anima che, dicevo, è colei che fa le scelte grandi per i grandi artisti.
Alan Turing, ecco la sua immagine,
considerato il padre dell'informatica, per omosessualità, per vergogna di questa, si suicidò nel 1954, se non ricordo male. In letteratura grazie prima a Gide e poi a Proust e alla Yourcenar, senza dimenticare Mishima, il tabù si iniziò ad affrontarlo, prima con sorrisini sarcastici e poi sempre più con correttezza. Cosa poteva fare Picasso nei primi del novecento in una Montmartre di popolo e donnaioli Qualcuno era si come lui, ma la vita non era assolutamente semplice. Max Jacob ne fu un esempio. ecco la sua immagine:
Non ci si deve meravigliare se Picasso decise, dopo il dolore enorme causato dalla fine di Casagemas, di mettersi una maschera. Ci son persone tuttora, nel mondo dello spettacolo che continuano a non avere il coraggio di viversela liberamente! Non li critico, anzi, li capisco. Le paure sono in grado di condizionare l'esistenza. Ma quando questa scelta viene sentita come obbligata da un grandissimo come Picasso, mi sembra ovvio che la sua opera ne risenta, ne sia condizionata e caratterizzata.
Siamo nel 2013. mi auguro che ognuno possa fare della sua vita quel che desidera. Esiste solo un limite, quando il nostro agire fa soffrire qualcun altro. Dobbiamo rispettare la libertà degli altri in generale, e la sensibilità di chi amiamo in particolare. Lasciarsi amare è più facile, secondo me, di amare. Lasciarsi amare è prendere. Amare spesso è rinuncia. Io credo che molte persone gay si nascondano tuttora non per timore dell'opinione pubblica, ma di un padre, di una madre o un figlio, e questo ostacolo che sentono insuperabile diventa maschera, la loro vita diventa una continua recita. Immaginate ora un Picasso che ha un morto nel cuore, un morto che amava e che ha portato all'esasperazione negando ciò che già era …
ed ecco che nasce il periodo blu, il capolavoro del novecento.