martedì 11 ottobre 2011

Odradek editore .....!

questo scritto si accompagna ad altri due: "una visita alla fiera del libro di Roma"e "il cartellone pubblicitario bugiardo"

Per dare un'idea della miseria intellettuale nella quale navigano gli editori attualmente, eccovi una lettera inviata alla casa editrice Odradek. Il ricevente, che  ho occultato, poiché non mi interessa colpire le persone ma invitare a meditare, era uno dei due personaggi che mi hanno irriso....fino a prova contraria. L'esito della situazione non fu men grottesco di quel che mi accadde alla fiera del libro del 2008. Mi risposero dicendo che non ricordavano.... e poi mi invitarono a collaborare.
Non risposi.
Questo, purtroppo è un esempio del mio e del vostro presente.
Trovo che Don Chisciotte se la passasse decisamente meglio.
Buona lettura.


29 gennaio 2008               da We per XXXX

Argomento: il termine Odradek.

Rammenta quella persona che all’ EUR in occasione della Fiera dei piccoli Editori (mi sembra si chiamasse così) disse che Odradek era il nome di una motocicletta?

Il testo nel quale può trovare la foto è “Franz Kafka” di Klaus Wagenbach (ed Adelphi) a pagina 47.
Quando la mia macchina fotografica digitale smetterà di fare i capricci le manderò comunque io stesso una foto.

Per ora le offro dati abbastanza precisi per trovare altro materiale. La motocicletta fu costruita nel 1903 dalla ditta Laurin & Klement a Jungbunzlau che in seguito prese il nome di Officine Skoda.

La Skoda attualmente ha sede a Brno che, mi risulta che faccia parte da qualche anno del gruppo Volkswagwen. Una via di ricerca consiste quindi nel rivolgersi alla sede di questo celebre marchio e chiedere di poter “sbirciare” nell’archivio.

Nel 1907, sotto la monarchia austriaca, risultavano censite 5387 motociclette. Non è impossibile quindi nutrire qualche speranza e riuscire prima o poi a vederne un esemplare sopravvissuto.

CONSIDERAZIONI SULLA MOTOCICLETTA

Consideriamo il racconto “Un incrocio” del 1917 (pag.422 ed. Meridiani Mondatori).
Kafka inventa un animale che è in parte gatto e in parte agnello.

A pag. 423 più o meno a metà, troviamo la seguente frase:
“…è soltanto il giusto istinto di un animale che sulla terra ha un numero infinito di parenti, ma forse nessun consanguineo prossimo, cui pertanto è sacra la protezione che ha trovato in casa nostra.”

All’inizio del brano scrive: “Possiedo uno strano animale, metà gattino, metà agnello. L’ho ereditato da mio padre, ma si è sviluppato soltanto ai miei giorni. Prima era molto più agnello che gattino.”

Nella medesima pagina aggiunge “…perché esiste un solo animale, perché lo possiedo proprio io..?”

E’ secondo me la medesima situazione dell’Odradek.
Franz Kafka eredita dalla famiglia due identità. Quella ebraica e quella occidentalizzata. 
Da piccolo prevale la parvenza che si cela dietro al cognome Kafka (germanizzare il cognome era un’ambizione degli ebrei meno osservanti e che acquisivano un ruolo sociale rilevante).
Da adulto, si rivela quella che fa capo al vero cognome che era Kavka.

Consideriamo che il ramo materno faceva capo alla figura di un antenato considerato santo per la sua devozione. Si narra che ogni giorno, d’inverno come d’estate, facesse il bagno nel fiume per purificarsi.

In Kafka c’erano queste due realtà che non gli appartenevano, che non sentiva sue. Il lato ebraico della sua origine avrebbe dovuto identificarsi con quei folcloristici personaggi che rappresentavano una cultura, quella Yddish e un modo di vivere, che egli non aveva mai vissuto e nemmeno visto vivere. Gli ebrei di Praga erano diversi da quelli delle campagne. Questa identità nel suo presente era la più sradicata.
Kafka scoprì il loro mondo grazie al teatro Yddish e agli attori dei quali divenne amico, oltre ai gesti eclatanti di coetanei come Langer. Questo contaminò la sua opera nella direzione di un certo grottesco umorismo, come ad esempio la figura del signor Pollunder in “America”.

L’uomo Kafka però, sentiva di avere dentro di sé due realtà, due radici, due anime, che non conosceva, ma che sapeva essere la fonte della sua identità.

La prima frase che ho presa dal racconto, calzerebbe anche per il personaggio de “Il Castello”.
Se al posto della parola “animale” mettiamo “ebreo” e al posto di “casa nostra” mettiamo (nostra nazione) ecco che possiamo cogliere il senso della metafora non troppo velata di Kafka.

L’Odradek è un’evoluzione di questa immagine. Un oggetto che tocca la sua massima stranezza nell’essere decisamente oggetto, ma vivo. Una presenza a sé, visibile, irrelazionabile proprio per la sua costituzione basata sull’essere un oggetto animato. Non umano, come per molte persone dell’epoca erano considerati gli ebrei e come in fondo egli percepì inizialmente gli ebrei così come li potete trovare per esempio in “Joshe Kalb” di Joshua Singer. Animato, vivo, ma di fatto, per la possibilità di inserimento e anche di autoaccettazione, inesistente.

I personaggi dei tre romanzi, hanno una caratteristica comune. Cercano di farsi accettare da un contesto. In “America” e ne “Il Castello”, abbiamo il viaggio e una nuova comunità, un nuovo mondo, nel quale si è tollerati, ma non accettati. Ne “Il Processo” la comunità, rigetta una persona che era convinta di farne parte e che soccombe non comprendendo la natura della sua diversità/colpa. Ma egli scopre che il suo mondo puramente occidentale, quello di un procuratore, è  contaminato, giudicato da un'entità che proprio per il fatto di volerlo giudicare, dichiara la sua appartenenza ad essa. Si noti le affinità direi proprio visive fra il processo dello “Joshe Kalb” e quello di Kafka.....

Si ricordi che Kafka, come dice Scholem, per la cultura ebraica è ormai una lettura religiosa. Le sue parabole vengono utilizzate per analizzare la Bibbia e il pensiero ebraico.
Kafka attualmente è invece malvissuto dai ceki. Non lo considerano un loro letterato. Non scriveva ne in boemo ne in moravo. Lo stesso destino ha colpito in Italia Emanuel Carnevali. Mengaldo, alla mia domanda del perché non lo aveva messo nella sua antologia dei poeti italiani del ‘900 si giustificò con me dicendo che aveva scritto in Inglese. Scusa banale detta senza la forza di guardarmi negli occhi.

Kafka è l’Odradek. Nella letteratura è vivo, ma senza una patria che lo riconosca.
Per inciso, Freud, sempre per la cultura ebraica sta diventando pian piano invece uno scrittore e sta svestendo l’abito del medico strizzacervelli.

Kafka è l’Odradek, l’indefinito della letteratura mondiale.
Secondo me è anche l’unico che ha saputo andare oltre il romanzo ottocentesco e, perché no, novecentesco partendo dall'ultimo Strindberg. Le sperimentazioni fini a se stesse muoiono con la loro epoca. Lui non ha sperimentato. Ha vissuto un dramma interiore e lo ha espresso con un linguaggio che sa di giuridico (ne ha la pulizia, la freddezza formale: ad esempio le prime celebri righe de “la metamorfosi”), di parabola religiosa che spesso è una sua fonte rielaborata -davanti alla legge, il ponte, l’avvoltoio ecc.) e di paura davanti al sentimento dell’amore, vissuto senza filtri culturali, così come sgorgava dal cuore. Vi dimostro quest’ultima asserzione. Nell’estate del ’23 a Muritz, sul Baltico, Franz incontra Dora Dymant (originale, Diamant…).
Se osservate i pochi racconti che ha scritto una volta che ha trovato l’amore, vedrete che non è più la “roba” di prima. Troverete la medesima mano, ma è cambiata la tensione. La letteratura in sé non ha più motivo di essere. Il nodo che la creava è sciolto. “Giuseppina la cantante” altro non è che una definizione dell’espressione artistica, per esempio, quindi ormai più un testo filosofico che un racconto.

L’ambiguità dell’Odradek incarna quella del suo autore prima che l’amore venga a spazzar via tutto risolvendo.
Ad una osservazione rapida della omonima motocicletta, si ha subito la sensazione di un telaio di bicicletta al quale è stato aggiunto un “invadente” motore. Né moto, né bicicletta. Un oggetto ambiguo nella realtà che si anima, che si muove.
Immaginate Kafka che lo guida, che ha la sensazione di dar vita ad un oggetto. La sua sostanza oggettuale però prevale, poiché quando non la usa, la sua presenza senza movimento è continua.
Per gli animali ciò che si muove è vivo. Anche per i bambini. Un oggetto vivo. Lo puoi usare, non ti puoi relazionare. La vita dell’oggetto. Incompresa e incomprensibile perché diversa per essenza da noi. E’ un passo geniale inventare una forma composita come fa Kafka nel racconto. E’ altrettanto geniale non riuscire a proiettargli la nostra umanità. Rimane estraneo. Rimane un enigma. Rimane il simbolo dell’ebreo non accettato, incompreso e incomprensibile da Kafka nella forma di vitalità Yddish e dal mondo occidentale in generale col quale occhio Kafka scoprì e studiò quel se stesso arcaico che gli tornava, potente e fresco prevalentemente dalla genealogia materna. La distanza quindi fra l’oggetto vivo e sconosciuto e un se stesso che ha dimenticato di provenire da quell’oggetto nel senso che la vita deriva comunque da materiale inanimato. Prima venne creato il mondo e poi l'essere vivente.....

Anche il curioso animaletto mezzo gatto e mezzo agnello, “parla” al protagonista, come Kafka parla a coloro che rappresentano le sue origini, ma la distanza è troppa. Il personaggio finge, accondiscende a ciò che non ha compreso. Non può fare di più.

L’Odradek è quindi contemporaneamente l’antenato incomprensibile e la sua anima sdoppiata in ciò che è e in quel che sente essere la sua origine; aspetti che non riesce a conciliare, a collegare e solo il coltello potrà liberare la sofferenza del gatto/agnello, il medesimo coltello che uccide K. Ne “Il processo”

Sembra un doppio ruolo quello dell’Odradek, ma nel cervello dell’artista l’antenato incomprensibile e l’anima sdoppiata divengono due punti di vista del medesimo male di vivere.
Due punti di vista per una mente razionale. Uno solo per l’artista.

Concludo ricordandole un particolare del nostro dialogo che mi diede molto fastidio.
Lei mi chiese di che origine è il termine Odradek. Le feci presente che forse era un cognome e la sua origine era ceca o morava ma non avevo mai indagato la questione (in fondo non ne vedevo l’utilità).
Per tutta risposta prese l’opuscolo della casa editrice e mi lesse le parti del racconto che parlavano di origini slave incerte e forse tedesche con corruzioni slave.

Non confonda la filologia con l’invenzione di un artista. Kafka aveva bisogno di sottolineare l’ambiguità, come fattore costitutivo anche del nome dell’oggetto strano che descriveva e che era una sua proiezione. Le confermo comunque che il “sapore” del vocabolo non è assolutamente tedesco, per questo le ho proposto la possibilità che si tratti di boemo o moravo.

Vede, la signora che era presente e che ho sentito oggi al telefono per scoprire il suo nome che non mi disse), davanti alla scoperta di qualcosa di nuovo sul termine Odradek, si è illuminata ed era contenta, mi ha chiesto anche la e mail. Lei, signor XXXX XX, ha messo in dubbio quel che ho detto. Non avrei avuto ragione finché non avessi dimostravo la mia asserzione (ricordo che insieme a lei c’era un’altra persona che la spalleggiava….). Ha poi pensato di dimostrare che ero un “poveretto” con quella domanda sull’origine del termine. Ha sbandierato il brano di Kafka e poi me ne sono andato sconvolto.

Le sembra il modo di trattare la gente?

Si ricordi che uno sconosciuto potrebbe essere una nullità e statisticamente il suo comportamento è il più conveniente, ma capita anche che la persona che le parla e le offre una notizia sconosciuta, possa essere sondata con rispetto. E questo, badi bene, non vuol dire che io sono un fenomeno, ma che casualmente, come quasi sempre accade nella vita, io disponevo di una conoscenza che avrebbe potuto esserle necessaria.
Mi sono scocciato di essere considerato in questa cretinissima cultura italiana come uno che non vale niente e che deve dimostrare tutto, anche l'evidente e il banale. L’errore è suo. Glielo dico senza vie di mezzo. Siete un popolo di docenti sistemati dai partiti e che come nel ‘200 date più valore all’autorità di chi parla che al contenuto.
In questo caso ho dovuto dimostrare che le mie non erano fandonie a lei che non si è nemmeno presentato e che ha trovato più semplice negare quel che non sa piuttosto che farne tesoro, pensava di avere vinto non so cosa con una domanda tristissima che secondo lei esprimeva la mia supponenza e quindi la condanna.

E’ necessario fare sul serio. Partire dal rispetto poi sarebbe un’idea carina ma non chiedo troppo.

In questi mesi, son stato assillato dal dubbio se scrivere questa lettera o dimenticarla come in fondo aveva dimostrato di meritare, ma ho compreso che mi sentivo offeso e che nella mente continuava a infastidirmi la memoria di quel dialogo.

Per lei scoprire che Odradek non era semplicemente un vocabolo ambiguo inventato da Kafka per la bisogna, è sembrato quasi offensivo. In fondo aveva ragione poiché se avessi avuto ragione, la sua sconcertante reazione dimostrava che la casa editrice aveva ricevuto quel nome con l'intento brillare di luce riflessa della genialità di Kafka. Il compito che si chiedeva al fruitore di quel nome era comunque ridottissimo e di natura puramente saccente, nozionistica. Si doveva saper risolvere l'equazione nobilitante Odraderk-Kafka. Se il casuale passante avesse risolto l'enigma Odradek? Rispondendo "Kafka!" sarebbe stato classificato come un essere superiore che poteva accedere a....lei.
Chi ha osato di più riducendo l'immagine della casa editrice secondo lei in modo blasfemo, a una motocicletta, l'ha offesa. È la realtà ad offenderla. Mi spiace che come espansione di luoghi comuni risulti indigesto un Kafka che va in moto. Si trattava comunque di quella dello zio medico e scapolo... le darò anche un altro dolore. Si sa per certo che Kafka giocava a tennis e che era un discreto donnaiolo.

Vede, il punto della questione è il seguente. Uno sconosciuto si avvicina ad uno stand e si complimenta per la scelta del nome della casa editrice. Le rivela poi che Kafka non ha inventato e che un oggetto Odradek esiste. Lei si indigna e sbeffeggia. Lo sconosciuto se ne va.
Partendo dal presupposto che chi dirige una casa editrice dovrebbe avere un po' di cultura non solo per il marketing e che eventualmente lo stupore, ma rispettoso, avrebbe dovuto essere dello sconosciuto...partendo da questo, mi sa spiegare come si pubblica un libro? Per raccomandazioni, per finzione sociale nella quale io soggiaccio alla sua insolenza ignorante adulandola? Lei ha molti anni più di me e mi hanno insegnato a rispettare i chiamiamoli anziani, ma ultimamente questa regola generale è saltata. Capita che uno di essi sale in tram e chiede con decisione proprio il mio posto. Scorgo che ce ne sono tanti vuoti, ma vuole proprio il mio.... compero un libro e alla cassa una persona canutissima mi passa davanti ignorandomi in modo assurdo, ovvero guardandomi negli occhi con sfida.... vado a comperare un po' di pane e come se non esistessi perché alla cassa nessuno rispetta la fila....

Bene. Ho cambiato regola. Non esiste età, ma qualità mentale e prima ancora, l'educazione.
Una persona come lei che quasi si offende perché scopre che un altro potrebbe sapere qualcosa che lei non sa e che reagisce umiliando, come dovrebbe essere trattata? Lo spiega questa lettera: mettendola davanti all'evidenza dei fatti. Nessuno sa tutto ed è naturalissimo incontrare qualcuno che sa, non più di noi, ma semplicemente qualcosa che non sappiamo. È un ragionamento ardito? Non mi sembra. Lei riesce a non farlo e a diventare a dir poco scortese.
Mi ha annullato sul momento. Il dialogo era distrutto e lei era ben fiero di aver salvata quella sua “cultura” che pensa essere assurdamente totale. E poi arriva questa lettera. Arriva la prova. Non cambierà nulla, lo so, ma a me fa tanto bene. Trovo solo che sia un peccato che gente fuori dalla realtà come lei si ritenga anche competente per selezionare, come non ha mancato di farmi sapere,  chi pubblica....





Buona serata

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