Avrei voluto l'anonimato.....scendo a un compromesso. Il mio nome di battesimo è Werner, ma mi firmerò We, come, per economizzare qualche molecolina di fiato, mi chiama chi mi frequenta. Il cognome me lo sono dimenticato...
Quel che rivela uno sguardo è un pensiero. Il pensiero qui appare o almeno ci prova. Il volto per il resto poco importa. E nemmeno il luogo. Come in certa fisica d'avanguardia, la particella che io sono, è potenzialmente ovunque, ma si materializzerà solo in certe condizioni. E poi non è importante. Potrei essere a Belgrado o nell'appartamento sotto di voi. Sono comunque raggiungibile per quel che riguarda il pensiero ed è questo che conta.
Capita che un nome diventi un marchio commerciale, una garanzia di qualità e secondo me, in letteratura, quando si fa sul serio, non si riesce a perdere tempo dietro a queste cose senza soffrirci un po'. Se pensassi al reddito che la letteratura può darmi e agissi di conseguenza mi sentirei sporco. Può accadere, ma con esso può anche nascere una sgradevole sudditanza, una possibilità di mancanza di tempo per troppi impegni, o limiti, censure.
Ho già pubblicato, ma il libro, l'unico che ho veramente amato, lo stampai a mie spese e l'incasso lo diedi ai canili. Non era firmato. Era un omaggio al mio cane e il nostro reciproco grande affetto ne è il soggetto. Fuori dalle pagine di un blog non ho nulla da dire se il mio volto e quel che scrivo, vengono affiancati. Non lo trovo necessario. Mi è indifferente. E poi non mi piace farmi fotografare. Lo accetto ma se posso evito.
Posso dire che sono di sesso maschile, eterosessuale ma senza preconcetti nei confronti di chi “la pensa diversamente da me”. Ho amici gay e quando esco con loro non sento la necessità di mettere le “mutande di ferro”. Loro non pensano minimamente ad attentare alla mia “verginità” e si scherza su tutto tranquillamente. Quel che uno fa nella sua camera da letto e di se stesso, entro i limiti dell'autolesionismo e del rispetto del prossimo, deve essere accettato senza riserve. Fa parte della libertà che abbiamo il diritto e il dovere di vivere.
Sono razzista ma in un modo un po' personale.
Non si tratta di nazionalità di serie b, di fasce di reddito da evitare (anche se molta alta borghesia fa veramente ribrezzo), o barriere religiose o sessuali.
Se una persona, in una scala da uno a cento può valere novanta e non fa nulla per se stessa e per nutrire quel valore, mi irrito e divento insopportabile. Posso comprendere chi ha periodi di noia, pigrizia, lasciarsi vivere, innamoramenti quasi fantozziani. Il discorso non è legato ad un costante, continuo, rendimento da fenomeni. Anch'io per molta parte del mio tempo ho l'impressione di buttarmi via o anche semplicemente che potrei fare di più, ma non mi ossessiono certo. Rispetto i talenti che il caso o la natura o chissà chi, ha inserito in me, e mi sembra di buttarmi via se li trascuro. E questo non vuol dire che tutti devono scrivere perché lo faccio io. Mi piace anche la persona che amando il calcio e avendo accumulato quarant'anni di vita, “non molla” e continua a giocare a livello amatoriale. La vita ha tante possibilità. Non è solo una la via giusta per darsi un senso, ma è innegabile che la stragrande maggioranza non vive ma si lascia vivere....
L'età.
La saggezza dicono che venga con l'età. Ed Emilio Fede allora? Premetto che per me lui è il grado zero dell'introspezione intellettuale. Se una cosa è in grado di capirla lui, la capiranno veramente tutti.... e cito lui ma ognuno di noi sa di poter sgranare un rosario nomi di persone anziane che non meritano nemmeno il nostro disprezzo. La saggezza secondo me va e viene. Ricordo un giorno che dialogavo seduto in un caffè con un artista dal cervello fino. Passò un mammifero di suo gusto e si ridusse nel giro di un attimo a un galletto. Spesso gli ormoni ci possiedono e ci trattano come burattini al loro servizio. Secondo me la saggezza è un lampo che si accende ogni tanto nella vita di ognuno. Ovviamente alcuni ne son totalmente esclusi e non ne soffrono. Sarebbe come pretendere che possa sentire la mancanza del pudding chi non l'ha mai assaggiato. Altri, han lampi di saggezza che durano tanto, delle ore, dei giorni. Ne conosco uno così. Si chiama Tonino Guerra e di lui parlerò diffusamente. La saggezza è secondo me una coincidenza particolare. Una situazione nella quale la somma di esperienza e pensiero offrono una lucidità bellissima e in alcuni casi, spaventosa. È ovvio che un anziano dispone di un potenziale serbatoio di esperienze tale da poter annichilire un giovane, ma se poi non esiste in lui un pensiero per ordinarle in un insieme coerente si da formare un paesaggio dell'anima degno di essere frequentato da qualcun altro oltre il suo possessore? Molte memorie sono solai colmi nei quali il ricordo di un amore non è mai stato elaborato e vince il desiderio durato anni dell'auto di grossa cilindrata che alla fine è stata acquistata .
Per chi dubita delle capacità anche artistiche di menti molto giovani consiglio la seguente terapia: mettere di fianco alle opere di Michelangelo e Raffaello l'anno di realizzazione della stessa e l'età del pargolo che l'ha realizzata. C'è da rimanere sbalorditi. E non si pensi che siano eccezioni. Ho scelto due nomi ultra noti, ma è solo la nostra epoca che considera la giovane età o come fenomeno da baraccone o immatura per tutto.
Esiste un momento della vita nel quale in ognuno di noi nascono delle idee sul senso del tutto. E la si è appena assaggiata solo nel ruolo di figlio, forse fratello e nipote e a livello sociale forse nello sport, nella parrocchia e sicuramente a scuola. Nella calda cuccia della famiglia con i genitori pronti a risolvere i problemi (si spera), quella mente cresce e matura appunto delle idee che se diventano opera, proprio per il fatto di non essere ancora partecipi del flusso della storia risulteran nuove. È cosa ben diversa sentir parlare d'amore da chi non ha ancora amato e vede perle dove molti di noi, con l'esperienza, son convinti ci sia dello sterco. Anche chi è diventato, quasi come se fosse un mestiere, deluso o cinico, non può non emozionarsi davanti a quella freschezza che fu nostra e che sta, in fondo, solo a noi recuperare. E cosa dire delle utopie sociali? Delle mille ribellioni dell'adolescenza? Molto spesso è il nostro occhio mediocrizzato dalla quotidianità dalla quale loro non sono ancora stati travolti, a non vedere poesia. Ricordo una ragazza che seppe che avrebbero tagliato gli alberi della sua via. Per lei era intollerabile. Lei non aveva visto crescere quegli alberi, ma loro l'avevan vista aprire gli occhi, e poi gattonare e arrampicarcisi per gioco. Questi padri immobili, che sussurravano al vento l'ombra dei suoi giochi, videro innescata, per salvarli, una bellissima guerra. Chiamò degli amici. Ognuno salì su un albero e scesero solo quando furono certi che sarebbero stati salvati tutti. Per la tivù fu solo una notizia bizzarra da seguire per riempire un palinsesto che deve prima di tutto stupire e certamente non far pensare. Per quei ragazzi, e per me, fu una visione positiva della vita che li avrebbe resi più forti, (e io con loro, perché anche solo il fatto che qualcosa di positivo vada a buon fine mi rende più facile guardare avanti) più robusti contro le intemperie infami delle necessità burocratiche e commerciali che fanno la nostra quotidianità.
E io che ho anche insegnato e penso che lo farò ancora, ho potuto leggere cose scritte dagli studenti e anche brani musicali da loro composti, che nessuno aveva degnato di un po' di rispetto se non i loro compagni, e loro offrivano al mio sguardo quasi certi di quel fatidico “non ho tempo” che sempre li perseguita.
Dice Vecchioni nell'inizio di una sua canzone: “La chitarra riempie la tua stanza, come non la riempiono gli amori, forse a diciott'anni non c'è distanza fra le cose dentro e quelle fuori. Forse a diciott'anni si canta e basta, essere sentita o non sentita, non ti cambia la vita”.
Parole stupende, ma l'esser sentiti, ascoltati, rispettati anche se quel che si è fatto è fragile, la vita te la cambia. E forse un domani, da quella stima che ha dato sicurezza di sé, qualcosa di buono potrebbe tornarci in forma, anche, di opera o di vita vissuta bene.
Mi son perso. Si parlava della mia età. Non la ricordo. Quando son nato ero talmente piccolo che non si può pretendere... e su certe cose non vedo perché io debba fidarmi di certe persone che pretendono di aver ragione solo perché c'erano e poi, se domando cosa hanno mangiato ieri sera, non lo ricordano....
è ovvio che è una scusa. Non mi va di dirlo.
Si creano poi luoghi comuni, aspettative che non hanno molto senso. Nelle “Recherche” Proust (che è l'innominato protagonista) incontra finalmente ad una cena il suo scrittore preferito che si chiama Bergotte (nel libro ma che nella realtà Anatole France). Proust racconta quanto rimase colpito dalla differenza che colse fra la persona vera e quella che aveva immaginato, in base ai libri suoi che aveva letto. Si trattava di un quarantenne col naso camuso che ben poco offriva all'idealizzazione.
E sì, fateci caso. Quando leggete un libro, se non l'avete ancora vista, immaginerete la faccia dell'autore e molto probabilmente andrete su internet a far scorpacciata di immagini. Se invece il libro che vi apprestate a leggere ha una foto nella copertina, allora vi affretterete a cercare qualche alchimia fra il titolo e quei lineamenti. Noi uomini spesso agiamo così anche nell'amore. Pensiamo che la bellezza esteriore sia lo specchio di quella interiore eeee zac...un coccodrillo ci divorerà, sputerà gli ossicini e diremo che è stato cattivo, quando invece siamo stati noi ad essere banali.
No. Il viso non c'entra. È lo sguardo che parla, ma non sempre e non da subito. In chi non ci guarda in faccia può celarsi una persona perfida o uno sconfitto che non si offre in pasto alla possibilità di un'altra delusione. Bisogna quindi aver pazienza, lasciar passare i primi attimi e poi, quando distrattamente quegli occhi si perdono a guardare un particolare secondario, per esempio l'ombra lunghissima di una persona che passa li vicino, cogliere il filo sottile di un discorso interiore e annodarlo se è il caso al nostro. Ma ci son sempre le eccezioni. Lo sguardo vuoto esiste e se non te ne accorgi subito, e ti sporgi un po' troppo, cadrai giù e quando si cade è ormai tardi per tornare indietro....
morale della favola, niente mie foto. Sono brutto, non mi lavo e faccio dei versi strani che spaventano anche i draghi delle favole. Io sono le mie parole.
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RispondiEliminaHo incontrato il tuo blog per caso cercando quale altro libro della Nemirowski potessi leggere.
RispondiEliminaTi seguirò, misterioso We