venerdì 13 maggio 2011

"La solitudine dei numeri primi",Lettura consigliatata (ma con beneficio d'inventario)

Rinnovo la premessa del blog. Parlo di qualcosa se, secondo me ne vale la pena. Parlar male è troppo facile e attualmente in Italia sembra uno sport nazionale.



“La solitudine dei numeri primi” è un pessimissimo romanzo. E allora perché decido di dedicargli comunque la vostra attenzione? Perché qualcosa di buono anzi, più che buono c'è ma è mascherato, massacrato in modo apparentemente inspiegabile. Questo testo rischia di essere percepito come qualcosa di simile a “Jack Frusciante ecc”, a “Volevo i pantaloni” e “Melissa P”. Questi tre titoli, che hanno fatto un successone, ma son delle robacce allo stato puro, son state concepite, secondo l'editoria, per un target di pubblico adolescente. I primi due hanno funzionato, commercialmente, in questo senso, il terzo è stato un must per i quarantenni arrapati che muoiono dalla voglia di vivere certe avventure erotiche e pensano che gli adolescenti di oggi facciano di tutto senza preoccupazioni; si ha quindi una generazione che ha vissuto la sessualità in un'epoca nella quale questa sottostava ancora a qualche regola e che pensa che i giovani attuali non ne abbiano e i tardoni nutriranno di quel testo, la loro fantasia. Bella idea quella di una minorenne che pubblica un'autobiografia presunta vera. Ve li immaginate i genitori che acconsentono? Mi vien men cheda ridere. Ovviamente c'è dietro dell'altro, dell'altro che non si può dire...



Il libro di Giordano secondo me è stato costruito in modo per nulla spontaneo e lui è stato forse obbligato. L'editoria spesso dice ai suoi schiavetti “o così o niente” e poiché il “niente” ha odor di denaro e potrebbe essere che l'esordiente ne abbia bisogno come l'aria, ecco che la robaccia nasce.



Ma qui qualcosa brilla! Ed è quasi perfetto....



Provate a leggere il secondo capitolo così, in modo indipendente dal resto! Vi accorgerete che è completamente “staccato” dal resto dell'opera. Non abbiamo bisogno di alcun dato presente negli altri capitoli e la conclusione, grandiosa, è buona così. Qualsiasi aggiunta la uccide, la banalizza.



Veniamo alla descrizione.

Abbiamo due gemelli, Mattia e Michela. Si scopre che Michela non è normale e non parla. Si assomigliano, ma il cervello è come se fosse scollegato. Mattia sarà suo compagno di classe e poiché nessuno vuol starle vicina, ci si metterà lui. Lui è anche l'unico che riesce a calmarla e qui la scena è bellissima, con quel dimenar le braccia che sembra un batter d'ali “come una falena in trappola”. Lui la abbraccia da dietro con dolcezza e le dice “ecco, non hai più le ali”; lei si calma e noi sentiamo una sintonia che ha una bellezza notevole. Il peso però è presente. La vita di Mattia potrà prendere il volo con quella sorella che di fatto, anche se è moralmente squallido ammetterlo, è pure un ostacolo? Lo capiremo con poche altre scene scritte in un linguaggio necessario e sufficiente, che non si atteggia e arriva al contenuto in un modo diretto, puro.



C'è la festa di compleanno di un compagno di classe. Mattia è finalmente invitato, e anche la sorella. Lui prova a chiedere alla madre “Michela deve proprio venirci alla festa?”, si aspetta una sberla, ma arriva solo una risposta: “certo che viene”.



Partono insieme. “Guardò la sorella che aveva i suoi stessi occhi, il suo stesso naso, il suo stesso colore di capelli e un cervello da buttare e per la prima volta provò un odio autentico”.

Ecco forse l'unico aspetto che mi permetto di criticare. Non era necessario esplicitare l'odio anche perché non esattamente di odio si tratta e comunque aleggia nell'aria quella tensione. È come girare in una puzza infernale e quello di fianco a te dice “ma che puzza!” Non ci sta. La sentiamo benissimo anche senza quelle parole....



Segue una frase perfettamente ambigua che ci introduce al comportamento negativo che si sta definendo: “Fu mentre attraversavano che gli venne un'idea. Lasciò la mano della sorella, coperta dal guantino di lana, e pensò che però non era giusto.”



Il lettore pensa che intenda causare un incidente, ma sentiamo che stona, che è troppo forte.

e “Poi, mentre costeggiavano il parco, cambiò idea un'altra volta e si convinse che non lo avrebbe mai scoperto nessuno”.



Capiamo ora che aveva pensato ad altro e ci troviamo nel freddo di un parco, e Miche la invita ad aspettare li, su quella panchina. Lei non ha il senso del tempo quindi non si renderà conto di nulla. Mattia va, la festa funziona e trovo buona anche l'idea del gioco con la benda nel quale tutti sanno che lui da sotto, vede e glielo fanno capire, ma ugualmente si impossessa delle caramelle supplementari che rappresentano il premio. Si tratta di un piccolo riscatto per quel che la vita non gli aveva dato fino a quel momento.



Ad un certo momento della festa decide di andare via. Non è ancora stata tagliata la torta ma l'immagine della sorella coi suoi guantini bianchi al freddo domina, in lui e va. Non la trova. Si fa buio e gira per il parco che sembra essere più grande di quanto immaginava (bella metafora del mondo).



Raggiunge un fiume “che taglia in due il parco”. Ricorda ora che “una volta papà li aveva portati sulla riva”, per insegnare a tirare i sassi in modo che rimbalzino sull'acqua. La sorella, nell'acqua ci era entrata perché ne era irresistibilmente attratta e il padre la fermò mentre avanzava.



Mattia comprende cos'è accaduto. Si siede sulla riva, trova un piccolo pezzo di vetro e se lo conficca e rigira ripetutamente nella mano.



Fine del racconto-capitolo



È una tragedia vera, verosimile e colossale. Ci vedo il malato terminale con i familiari, tanta gente con i loro “matti” che la società fa finta di considerare ma che te li trovi completamente sul groppone e poi non ce la fai più, la vita ti scappa via, il tempo sgocciola e non hai vissuto.



La Vita di Mattia inizia così, con un vero peccato originale. Qualsiasi concretizzazione di quella vita futura non può reggere alla sensazione che ci pervade quando quel capitolo si conclude. Non c'è più niente da dire. Si deve chiudere li, far due passi e pensare a cosa realmente è la vita, alle sue fortune, alle sue disgrazie che quando si presentano offrono sempre due soluzioni, una egoistica ma vitale, l'altra di sacrificio e insofferente.



E quanto è grandiosa l'idea della bambina che non parla, come un animale, e come questi è attratta dall'acqua. Un essere quindi, più naturale del fratello, più in sintonia col tutto che mi fa sentire la festa di compleanno, la socialità della classe, che li viene narrata, come qualcosa di degradato e individualista. Lei, la sorella, ci fa “sentire” quel che profondamente non siamo.

Il compagno che organizza la festa è egoista. I compagni di classe pure. In Natura si è così solo davanti alla fame. Per il resto si è “socievoli” e la sorella lo è, e si incanta a guardare particolari che invece son malattia per il nostro modo di vivere.



E la scrittura! Lo ripeto perché desidero che la osserviate, la soppesiate. Non c'è spazio per la tecnica. Non accadranno “robe” finte alla Gadda, alla Pasolini. “Non si scrive per dire qualcosa. Lo si fa solo se si ha qualcosa da dire “ scrisse Francis Scott Fitzgerald nei suoi taccuini. E questo Paolo Giordano lo ha fatto.



Ora. Ma cosa ci fa quell'altra robaccia li di fianco? Immaginate di vedere un quadro che è di van Gogh sul lato destro in alto e ci incanta, e per il resto è robaccia tirata li col secchio da mistificatori a buon mercato come Vedova, o bruciacchiato alla Burri!



È evidente che qualcosa di “storto” è accaduto. Forse con troppa fantasia, ho immaginato che davanti a questo racconto, Paolo Giordano sia stato invitato (costretto) a “tirarci dentro” e fare un romanzo. Perché può essere accaduto? Sempre di fantasia immagino quanto segue. Con un racconto che è dodici pagine e mezzo nell'attuale libro, e con un carattere grafico che se fosse più grande farebbe comprendere che lo si voleva “allungare” artificialmente, un libro proprio non lo si poteva fare. Come utilizzare un prodotto che comunque è stato riconosciuto per valido? Allungandolo.



Secondo me gli hanno pure proposto (imposto) di far vedere Mattia adolescente e non per esempio adulto o vecchio che “si gira indietro” e guarda il suo passato dopo quel personale “peccato originale”.



Non so spiegarmi diversamente il divario fra quel secondo capitolo e il resto.



Immaginiamo un concerto di Pino Daniele, col suo stile e le sue ben note capacità, e in esso Nino d'Angelo che interviene e canta le sue “robine” insulse.... un insulto a Pino Daniele e ai nostri orecchi. Il punto è che vi ho chiesto di immaginare un fatto quasi intollerabile ma...che è realmente accaduto. E com'è andato a finire? Che Nino d'Angelo ha raccolto insulti, pomodori e altre verdure che gli han gettato e ci ha fatto insalata per un anno. Ogni tanto la giustizia esiste....



Si tratta più o meno della medesima situazione.



Sapete come viene definito questo libro? Un long seller, ovvero un best seller che dura a long....



ma questa è una di quelle definizioni che rappresentano l'interesse appagato dell'editore e non del lettore! A noi cosa ci viene in tasca se un libro è long o brev seller! Un bel niente. Come al solito l'editoria cura i suoi interessi senza rispettare il lettore e, tanto per cambiare, lo scrittore, che non è mai libero quanto desidererebbe o quanto la creatività gli impone di esserlo, non sta meglio di noi.



Vi consiglio quindi di leggere solo il secondo capitolo e rileggerlo e rileggerlo perché penso che sia una delle “cose” più belle della letteratura italiana degli ultimi grami anni.

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