lunedì 2 maggio 2011

Perchè apro un blog

I motivi sono talmente tanti che non so da che parte iniziare.

Il primo che mi viene in mente è molto funzionale. Mi è capitato, facendo conferenze, di trovarmi davanti quasi costantemente ad una domanda che qualcuno mi pone, ed è la seguente: “cosa mi consigli di leggere?” e mi rendo conto che mi viene chiesto non certo in tono sfida coll'insano intento di valutare a quale livello sono o in quale faziosità amo sguazzare, ma semplicemente, me ne son reso conto, perché sentono che affronto i “miei” argomenti preferiti con passione. In chi ama quel che fa, ci sta anche sbagliare, se poi si è in grado di ammetterlo, e non è umiliante ammettere di non sapere e quindi trasformarsi all'occasione da conferenziere in pubblico perché si scopre seduta stante, che nella mente di una persona presente c'è un tesoro d'esperienza che vale la pena di essere ricordato.

Un altro motivo sta nel fatto che amo scrivere. Anche in questo caso serve una spiegazione. Scrivere secondo me potrebbe anche non essere un mestiere e piegarsi a questo ruolo solo come un accidentale forma della sorte. Io non mi metto davanti a un foglio o davanti al pc con ben piantato in testa il compito di scrivere perché è chic. Mi ritrovo che un'idea spinge,s i fa posto, prende forma nella mente. Dopo mesi che si è lasciata trasformare allungare accorciare, rifinire ecc, arriva il momento che nulla si muove più. Sento che la crescita è finita e scrivere diviene impellente, irresistibile. Spesso è pure doloroso, perché è una parte di me che in quelle parole prende forma, come scrivere sulla lapide l'epitaffio di un periodo della propria esistenza e prepararsi a consegnarlo all'oblio che, lo sappiamo anche se non abbiamo il coraggio di pensarlo, è la misura di tutto il nostro essere.

Mi capita di rendermi conto che in quel che scrivo c'è anche l'ambizione di ricordare. È per me stesso che accade. Non sopporto chi dice che si scrive per gli altri. So che accade ma non mi riguarda. Scrivere accade, e non è prevedibile, come il tempo di dopodomani e la data di nascita del figlio che non abbiamo nemmeno ancora pensato di progettare. Accade anche che non si viva chiusi in un mondo singolo. Qualcuno legge, si rimane sorpresi o delusi dalle reazioni e non è certo il pubblico, se si è onesti con se stessi, che ci gratifica, bensì, il pensiero, se se ne coglie la sincerità, di pochi amici fidati. Capita che di mano in mano la situazione sfugga di mano, ma quando non si conosce il proprio lettore che valore può avere quel che eventualmente ti dice nella fugacità dell'attimo nel quale te lo presentano e nel perenne dubbio che dica certe cose per cortesia, per dovere sociale e non solo. Un complimento è non costa nulla e può avere come tornaconto un debito di atteggiamento da rendere a chi ci ha offerto certo un'apparenza, ma sicuramente non un dispiacere.

Mi è capitato anni fa do pubblicare per un settimanale una rubrica intitolata “un libro per l'estate”. Mi resi conto che funzionava perché un libraio era venuto a chiedermi i titoli che avrei proposto nei mesi seguenti. Era accaduto che su quanto da me proposto si erano viste molte ordinazioni. Quel che era iniziato come un gioco anche un poco presuntuoso era diventato una responsabilità. Cosa si può avere da insegnare al mondo a vent'anni? Questo mi domandai. Ero già un lettore vorace e mi resi conto che era troppo quel che non sapevo per non rischiare di fare la figura del “saputello” di fronte a quella vastità di persone che anche solo per una maggiore età vissuta, poteva ben vantare una quantità di tempo e pensiero ben più grandi di quelle che avevo avuto a disposizione io anche solo per una questione anagrafica. Non che le persone con i capelli bianchi non dicano assurdità, la questione era proprio pratica. Se di un autore avevo letto due romanzi e questi ne aveva scritto mettiamo venti, ero consapevole che potevo essere più preciso e che gente più esperta di me ce n'era. E poi il periodo storico nel quale l'autore scrisse, perché ha scritto. Mi sentii insomma travolto da qualcosa di più grande di me. Mi salvò l'idea di affidarmi alla dimensione affettiva. Se un libro mi fosse piaciuto, lo avrei ammesso in modo personale, spiegando cosa ci trovavo io. Poteva essere sbagliato, banale, geniale, normale. Era comunque quel che potevo dare con onestà. Mi domandai perché quella mia scelta funzionò e molti lettori si fidarono dei miei consigli. La risposta che mi diedi non fu lusinghiera. Non mancano a nessuno di noi occasioni per montarsi la testa e quell'ebbrezza è capace di far perdere l'equilibrio interiore anche alla persona più saggia. A me capitò la fortuna di comprendere, grazie ad alcune lettere che dei lettori mi inviarono per ringraziarmi, che nessuno consiglia libri e perde tempo a spiegare perché ama questo testo più di un altro. Ero quindi l'unico a farlo. Questo era il punto. Quando non si hanno concorrenti si è certamente il migliore.....ma anche il peggiore della graduatoria.
La constatazione mi fece ovviamente pensare e compresi, anzi, è meglio dire che pensai di avere compreso, che la nostra epoca, ha rinunciato a questo ruolo quasi senza rendersene conto e non è consapevole della gravità di questo vuoto. Cerco di spiegarmi. Quando compriamo della musica, non lo facciamo a scatola chiusa. L'abbiamo sentita di solito alla radio o “vista” (perché attualmente la musica si vede anche, paradosso commerciale e non amplificazione della gioia dell'ascolto....) in televisione o su internet.
Se ci si pensa un poco attentamente, ogni bene di natura artistica, tranne il libro e il film, viene consumato dopo esser stato conosciuto. Nessuno compera un quadro senza averlo visto per esempio. Per il libro accade che lo pubblicizzino, il che equivale semplicemente a renderci noto che esso esiste, e che qualche critico lo recensisca sui quotidiani. Ma chi sono questi critici? Chi li ha messi li a pontificare? Non ci è dato saperlo. Una cosa comunque è certa, il critico è colui che viene pagato per parlare bene di qualcosa. Ben pochi agiscono in completa libertà ed è ovvio, poiché se parlasse male ostacolerebbe una campagna commerciale della quale lui è un tassello accuratamente calcolato. Una scuola di pensiero per nulla assurda asserisce che si può anche parlare male poiché l'importante è che si parli. È fuor di dubbio che molte persone guardano per esempio certi programmi televisivi non per piacere, ma per constatare quale grado di schifezza sia stato raggiunto e so che si stupiscono sempre. Il punto è che il critico ci rivela la trama, ci dice che un libro è “buono”, ma la fiducia in lui a cosa la attacchiamo? al fatto che scrive sul giornale? Ad alcuni basta, ma quella è gente che si accontenta....
facciamo un esempio concreto: “il codice da Vinci”. Non intendo indagare se è o meno un buon libro. Preferirei dedicare le mie energie a descrivere quel che ritengo valga la pena di leggere. Vorrei far notare una cosa. Siamo stati bombardati di una quantità spaventosa di pubblicità, notizie, racconti di scandali ecc che il testo avrebbe causato. Quel libro è stato un successo? Direi di si, se si pensa solo alle vendite. Io preferisco spostare l'attenzione sull'appagamento del lettore. Se avesse veramente apprezzato, avrebbe certamente comprato il secondo volume pubblicato da quello scrittore e invece c'è stato un tonfo. Io lo spiego così. La pubblicità ci ha inoculato l'esigenza di quel libro (per curiosità, per poter dialogare con gli amici che probabilmente lo hanno letto o per essere in anticipo su di loro, che il segreto delle mode per essere banalmente chic, non è nel uniformarsi quando esse sono di dominio pubblico, ma di intuirle, anticiparle....) lo abbiamo letto, non ci è piaciuto. E su quell'autore abbiamo fatto una bella croce. Si potrebbe dire: “mi hanno fregato ancora una volta”. Un guadagno indubitabile quindi, per le casse delle case editrici, un ammanco, quasi un furto, per i lettori. Secondo me non va. C'è una mancanza di rispetto, un po' come quando comperiamo un elettrodomestico e quando si guasta diventiamo matti per farlo aggiustare. Ci è stato venduto un prodotto e “loro” pensano di essere a posto così, con noi, ma non va. C'è un'offesa, un sentirsi trascurati che a lungo andare lascia il segno, crea disinteresse, ci costringe a cercare vie alternative a quelle che l'ufficialità propone per non essere nuovamente “fregati”. Quelle che si aprono sono: i consigli degli amici, (ho constatato personalmente che le fregature abbondano ugualmente ma non sono il 99,99 per cento come con la pubblicità o la finzione dei premi letterari) e internet. Con un blog per esempio si dialoga. Col critico no. Lui pontifica. E il dialogo è importante, perché, come ho già detto, io non sono la fonte certa di nessuna verità. Ho una passione e grazie a questa posso offrire una sincerità, un consiglio, una guida dalle quali io stesso son stato plasmato.

Prima ho accennato che libri e film si prestano a un mercato che vende, si può ben dire, a scatola chiusa. Vi è mai capitato di guardare il promo di un film, di estasiarvi e tornare poi dal cine delusissimi? A me quasi sempre. Comprimono in pochi secondi le poche battute o scene interessanti  e noi, merli come al solito deduciamo che il livello della proiezione sia costantemente quello....
I nostri soldi, se ci siamo sorbiti una schifezza totale, non ce li rende nessuno e chi ha avviato l'operazione commerciale che aveva come dato positivo vendere molti biglietti d'ingresso si sente appagato perché il bilancio è attivo. La sentite la discrepanza, la crepa, quel qualcosa che non va assolutamente e che ci fa perdere tanto tempo prima di riuscire a “goderci” qualcosa di buono? Chi ha colto questo meccanismo che va a scapito del cliente nel mercato di massa, di solito si rifugia nei classici. Bella scelta ma, e la nostra epoca? Ma vuoi proprio che non abbia niente di buono da dire? Mi sembra incredibile se penso che ora abbiamo accesso gratis a tutta la musica buona o cattiva che sia, addirittura gratis. Io mi estasiai vent'anni fa quando mi resi conto che col prezzo di una pizza potevo comperare una buonissima edizione di una sinfonia di Beethoven. E oggi che mi basta un clic per avere il meglio o il peggio? È magnifico, ma anche disperante. Aver a disposizione tutto è esattamente come non avere a disposizione nulla. Si deve essere guidati, altrimenti accade che si trova qualcosa di buono appunto per caso, dopo mettiamo, cento tentativi e si butta la vita come un cieco che dal centro di una piazza deve raggiungere mettiamo, una fontana. Possono servirgli anni. Potrebbe per eccesso no trovarla mai. Ma se fosse guidato sarebbe questione di un attimo. La guida non è legata a noi da una catena indissolubile. Se quel che ci intende offrirci non è in sintonia con quell'io che abbiamo dentro e che dobbiamo scoprire riflesso nelle cose che scopriamo di amare, possiamo cercare qualcun altro. È folle l'ambizione di voler fare da soli. Quando si nasce non si sa nemmeno andare di corpo se non ce lo insegnano. Capita invece che per il fatto che ci scopriamo capaci di usare un poco il linguaggio e ci trastulla la sensazione narcisistica che di conseguenza pensiamo e io, solo perché sono io e non per altro, non farò certo dei discorsi stupidi....quindi faccio da solo.

La mia prima guida? Jorge Louis Borges. Nella sua opera cita una marea di autori che stima. Li cercai. Come vedete non è necessario che la guida sia una persona in carne ed ossa. Anche l'opera ci parla.

Dunque. Due motivi per aprire un blog.

Uno: mettere a disposizione i miei scritti per il semplice fatto che ho constatato che una stretta e, secondo me fidata, cerchia di amici, mi han detto che non è giusto lasciarli nel cassetto.

Due:consigliare, anzi, consigliarci, cosa leggere e perchè.

Ricordo che un giorno intervenni un una scuola. Ragazzi all'ultimo anno delle “superiori”. La prof mi chiese di proporre un argomento. Ne proposi uno che nemmeno ricordo più e dissi di far leggere un breve racconto di un certo autore. Quando entrai nell'aula magna ebbi la buona idea di esordire chiedendo se avevano domande da farmi: mi chiesero subito consigli di lettura e anche di motivarli. Fu un attimo passare a domandare come leggevano e spiegare come lo faccio io, e poi cercare di dare una risposta insieme a “che cos'è la letteratura”, perché si scrive, quali esigenze soddisfa.
E non si dimentichi che non esiste un solo modo di leggere e nemmeno un solo motivo per il quale si scrive e come si scrive. Ognuno ha il suo metodo che si può comunque affinare solo col dialogo, col confronto.

Vi faccio un esempio. Ero con Beba Naj Oleari (si, proprio la stilista) in vicolo Fiori Chiari a Milano, in Brera. Ci siam soffermati davanti ad una vetrina di antiquario e lei si rese conto che ero affascinato da una poltrona non vecchia e nemmeno antica, color avorio. Mi disse che nella mia valutazione mancavo totalmente di senso pratico. Come per gioco siamo entrati, mi son seduto in quell'oggetto e ho ammesso a lei e, cosa più importante, a me stesso che era vero. Una poltrona del genere non avrebbe mai fatto parte della mia vita, ma sarebbe finita in un angolo, per il cane o il gatto. Iniziai così a valutare gli oggetti del design anche in funzione della loro “vivibilità”. È fuor di dubbio che certe auto son viceversa sgradevolissime allo sguardo, ma comodissime una volta che “ci si salta dentro”, e questo perché alcuni progettisti non si curano se non secondariamente di soddisfare l'occhio perché un'auto deve prima di tutto e comunque essere un auto e quindi viaggiare.

Penso che ognuno di noi possa trovare nel suo passato situazioni simili a quella che ho raccontato. L'esperienza si affina col dialogo. Ho sempre detto che una tragedia attuale per gli artisti, pittori o “scribacchini” il problema è il medesimo, è la mancanza di dialogo, di confronto. Se leggo un libro o vivo un'esperienza e mi limito ad elaborarla in me stesso, alla fin fine girerò in modo ripetitivo intorno a un me stesso che ha in se poche idee che spesso nemmeno son completamente consapevole di possedere. Se dico che mi piace per esempio Bulgakov, non mi basta scoprire che molte persone la pensano come me. Alla lunga anzi, la cosa potrebbe farsi deprimente. Se invece scopro che qualcosa mi è sfuggito o mi era completamente ignoto, ecco che mi trovo nella condizione di quella persona che trova una pietra che luccica nel fango, le passa col fazzoletto e si accorge che è sfaccettata, continua a pulire con acqua vede che brilla in modo inusitato, la passa nel detersivo e la asciuga con cure ed ecco che scopre che si tratta di un diamante.

E questo accade anche per i film. Cosa mi è piaciuto per esempio di “Gran Torino” di Clint Eastwood? Nel narrarlo potrei offrire più lucentezza a quel diamante per l'occhio della mente di una persona che, o per mancanza di tempo o disarmato dall'eccesso d'informazione o anche causa la cara, amatissima pigrizia, non ha potuto cogliere una certa, per me indimenticabile, sfumatura.

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