martedì 10 maggio 2011

come rimediare libri

Se dico “come rimediare libri” è perché comperare un libro deve essere l'azione conclusiva di un processo meditato. La domanda diviene quindi per ora la seguente: Perché si desidera possedere un libro”. Per comprenderla a fondo analizzo ora il verbo possedere che è fetentissimo e mette a nudo molte nostre malattie dell'anima. Non si pensi al significato che ci offre il vocabolario. Scaviamo un po' di più. Un esempio. “Si possiede in amore?”. No, mai. Si condivide. Possedere l'altro ha al primo impatto un significato sessuale che involgarisce immediatamente quel che si pensa o si spera dai sentimenti. In amore non si possiede, ma una giurisprudenza di origine religiosa e non solo, ereditata dagli antichi e ancora presente nel linguaggio ci fa dire “è mia moglie”, “è mio marito”, “è il mio ragazzo” ecc. Di fatto l'altro non è nostro e se consideriamo così il patner si finisce col massacrare un rapporto. Nemmeno me stesso è mio. Mi illudo che sia così, ma sia dal punto di vista legale che psicologico quante volte scopriamo noi stessi in una reazione che non avremmo mai pensato di avere e che misteriosamente è uscita e ben coordinata in parole e gesti? E poi, ero mio quando mi arrivò la cartolina per partire per fare il soldato? no. Ero di uno stato che dichiarava di vantare sulla mia persona un diritto che, se disatteso, mi sarebbe costato caro. Sono solo due esempi. Quel che mi interessa trasmettere è la sensazione che la vita ci fa comprendere qualcosa che è duro da ammettere. Si può possedere qualche oggetto, non c'è dubbio, e spesso, come per una casa, non è un possesso semplice, totale. Non si possiederà mai una persona, nemmeno se tornasse ad esistere la schiavitù, poiché in un angolo ben nascosto della sua mente, quello schiavo sarà indipendente da chi pensa di possederlo totalmente. E un cane è nostro? Ma quant'è brutto e insensato dire “il mio cane”! Un esempio chiaro lo si trova nella curiosa storia di Lump, il bassottino nero focato di Picasso. Questi apparteneva di fatto ad un fotografo giramondo che era sempre su e giù dagli aerei. Quando Lump, così si chiamava il bassottino, si ritrovò ad Antibes, a casa di un signore che viveva con una capra e altri interessantissimi animaletti, disponeva di un giardino intriso di odore di mare e sembrava poco propenso a prendere aerei quasi tutti i giorni, decise bene di nascondersi quando il suo “padrone” si accinse a togliere il disturbo, dopo qualche ora di chiacchiere. Lo cercarono ma non si fece trovare. Picasso gli disse “te lo prendi la prossima volta che vieni” e così il “padrone” se ne andò solo. Tornò, ma Lump si nascose finché si decise che avrebbe vissuto col Pittore che nel frattempo ne era stato letteralmente conquistato al punto da dedicargli una serie di opere.

Può bastare questa storiella?



Possedere è anche una esigenza indotta. Noi non sappiamo nulla di un certo shampoo rigenerante che fa bene alla circolazione, rilassa, tonifica e chissà cos'altro. Interviene quel demone che è la pubblicità ed ecco che “vogliamo” quel prodotto anche se, con ogni evidenza gli attributi che gli son stati dati dal venditore, son men che ridicoli. Va così. La pubblicità è invadente e fastidiosa. Il suo compito moralmente tollerabile sarebbe quello di informare coscienziosamente su nuovi prodotti dotati effettivamente di certe caratteristiche. Ma esiste un ente affidabile che controlla? no. Esiste la possibilità di difendersi da questo eccesso di stimoli visivi e uditivi spesso sommati? no. L'unica possibilità è insita involontariamente nel nostro cervello. L'eccesso di informazione porta ad uno stress che viene automaticamente risolto con una curiosa disattivazione dei sensi. Accade comunque che molte persone non si rendano conto di aver la vita riempita da sollecitazioni assolutamente secondarie e non necessarie, e percepiscono, nella reazione non meditata a queste, la loro vita come viva e piena. Diventano invece degli “acquistatori” emotivi, (quel che viene espresso di solito con il termine shopping compulsivo). Ma pieno, impropriamente riempito è il nostro tempo, non certo l'esistenza....



Ci si può rendere conto ora di quanto sia malamente influenzato l'atto del tentare di possedere?

Il libro per esempio va per prima cosa letto. Il suo possesso può acquisire un senso solo dopo un processo che si dovrebbe attuare gradualmente in noi e che fra poco spiegherò

mi si permetta prima un parallelo che mette in luce le conseguenze sgradevoli di un agire da acquistatore emotivo. Pensate al vostro armadio di vestiti o alla vostra scarpiera. Quante cose avete comperato e non vi servivano e prova ne è che le avete indossate un paio di volte o anche meno?



E com'è potuto accadere? Semplice, non vi siete controllati. Vi piaceva e avete ceduto ad un impulso superficiale. Impulso mai sazio, e infatti vi è molto difficile tornare a casa a mani vuote dopo una passeggiata in centro. Comperare non appaga se non nel momento dell'acquisto. La scarica di qualche sordido liquido nel cervello è della medesima natura di quella del giocatore d'azzardo e, non lo dico per inorridirvi, è scientificamente dimostrato, del maniaco sessuale. Si parlava prima, di essere in possesso almeno di se stessi.... ed ecco che si scopre che anche per un'operazione semplice come un acquisto, le variabili che ci dominano non sono quasi mai nostre. Ebbene, almeno per i libri proviamoci.



Domandona: “perché si compera un libro?” cos'ha di sano, di coerente il suo possesso? Si sa che non basta possederlo per averlo compreso. In più quasi sempre lo leggiamo una volta sola. Il libro panino.... e poi, che ci fa in casa un libro che eventualmente, se ci pensiamo un attimo, sappiamo bene che non apriremo più? Secondo me ci allontana sempre più da quei pochi libri che veramente amiamo. Mi fanno ridere quelle persone che dicono di amare i libri solo perché ne hanno una quantità notevole. Il possesso non fa l'amore per il patner come non lo fa per il libro. È talmente evidente! Uno dei punti chiave è il seguente. Vantarsi della casa piena di libri dà di noi l'immagine della persona intellettuale, che legge, che pensa. Equazione ridicola: tanti libri uguale tanta testa e di conseguenza, sensibilità, autorità e stronzatine varie. Accade poi anche che li comperiamo convinti che li leggeremo in futuro quando ci basta meditare un attimo per constatare che non sarà così, testimoni fra le altre cose, i libri che non abbiamo letto e che si impolverano sulla libreria di casa.



Esiste poi un altro fattore più ridicolo che mai e lo spiego con un esempio. Incontrai Umberto Eco e gli feci i complimenti per “Baudolino”. Non era leccaculismo d'altura. Mi era piaciuto veramente. In presenza di altre persone mi disse che non mi credeva perché lui non ha lettori. “I miei libri vanno di moda e si devono esibire sul tavolino del salotto o in altre posizioni ben visibili!” Lo invitai ad interrogarmi e mi chiese come si chiamava il cavallo del padre del protagonis...non aveva finito la domanda che avevo già risposto. “Pagnufli, un nome che fa sentire tutto l'affetto che riceveva”. A questo punto mi strinse la mano con un fare misto fra l'ironia e la serietà e mi fece alcune domande perché non si deve mai dimenticare che se il lettore è curioso dell'autore quest'ultimo sbava dalla curiosità di sapere quel che ha colto un Lettore non qualsiasi ma con la elle maiuscola .

La moda quindi la fa da padrona non solo nella scelta dei vestiti. Esiste poi una frase magica che fa preferire quasi sempre un oggetto ad un altro e i libri non si salvano da essa: “è nuovo”. Quindi Faletti batte anche Virgilio.....

Questa considerazione, “è nuovo”, che fa comunque parte della moda, non era esattamente quella che colpiva per esempio Umberto Eco. Per lui, la schiavitù della banalità aveva scelto una via più assurda: quella politica. Come una persona di sinistra non può non amare e quindi vedere i film di Moretti, così non poteva (attualmente non so), no dichiarare di stimare Eco. E questo accade perché in Italia abbiamo tuttora una sinistratissima sinistra che occupa i posti della cultura non praticandola quasi mai. E non si pensi, dopo questa considerazione, che sono di destra, del centro, cordigliere, laburista papista o milanista. Non mi interessa la politica, posso dire che la odio e la temo e non sopporto quando mette le sue luride zampacce in settori che non possono non uscirne inlordati. Che la destra si sia impossessata di Ezra Pound è di una stupidità abissale. Pound è geniale in sé e basta e nel frattempo questa destra non ha mai colto la bravura di Alessandro Pavolini in “Scomparsa d'Angela”. La destra, non potendo reclutare vivi decenti, si impossessa dei morti che indifesi si ribaltano nella tomba indignati. La sinistra invece, crea idoli vuoti che vengono creduti non in quanto validi ma per la pressante presenza alla quale il pubblico viene sottoposto con i mass media. Se è vero che non ci si abitua a tutto, è comunque fuor di discussione che ci si abitua a quanto non ci interessa eccessivamente ed ecco che un autore di sinistra diventa un'emanazione sonora e un volto che è meglio riconoscere perché a poco prezzo si farà la figura degli intellettuali.

Vedete quanto è complesso e oserei dire quasi impossibile essere un lettore libero, veramente libero?


Torniamo a noi. Il libro, è importante prima di tutto, leggerlo. Se ci ha colpito profondamente allora merita di essere riletto e di conseguenza di essere comperato. Come si fa per leggerlo senza comperarlo? si va in biblioteca o si chiede agli amici. Un altro canale che amo è l'acquisto nei mercatini dell'usato. Mi si potrebbe criticare che questo è un comprare e dico che è vero, ma i prezzi talmente bassi che ci si trovano, ho pagato certe cosine interessantissime meno di un caffè, annullano l'aspetto triste dell'acquisto emotivo.


A questo punto si legge. Se non ci piace lo si restituisce al mittente (vale anche per i mercatini).

Una volta, fino alla fine del secondo dopoguerra e poi ancora per qualche annetto, non ci si ritrovava come oggi che un libro lo si compera in poche parole “a scatola chiusa”. Dei critici pagati per parlar bene, parlano bene, la pubblicità pone fascette, e poi madagliette che son premi letterari, ma è solo roba che luccica e che attira l'occhio sul prodotto che ti vogliono rifilare. I libri che vincono i premi sono i migliori? Così come nel cinema i film che vincono gli Oscar i festival di Cannes, Venezia e Berlino, sono “sicuri”, garantiti come livello qualitativo? Oggi come oggi proprio no...

Una volta, non tanto tempo fa, chi scriveva si rivolgeva a quotidiani e riviste, da Dickens a Kipling a Mussolini, accadeva che si iniziasse così. Se poi quelle cosine a puntate piacevano, ecco l'editore che si rivolgeva al prodotto già testato dal quotidiano per essere più sicuro di non rimetterci. È vero che si poteva inviare un dattiloscritto all'editore, ma erano casi rari quelli che finivano bene e ben raccomandati, come un certo Fitzgerald che dice al suo editore che “Per chi suona la campana” merita”, oppure eccezioni assolute come quella della Nemirovsky con l'editore Grasset (ne parlerò in seguito). La via solita e preferita anche dagli scrittori era il giornale o la rivista poiché ci scappava anche un piccolo guadagno che permetteva di arrivare a fine mese. Accadeva poi che anche un autore già affermato avrebbe inviato le sue opere ai giornali e non solo perché così si attuava un canale di guadagno aggiuntivo che precedeva il contratto con l'editore.

E oggi come va? A scatola chiusa appunto. Anche per il cinema accade. Un provino striminzito che raccoglie a volte le uniche scene passabili e quando si esce dal cinema non si è per nulla appagati.

Accade così che gli unici dati affidabili per la scelta di una lettura, sono i consigli di pochi amici fidati. Una miseria. E come esito accade che il novantanove per cento delle volte, se siamo lettori che attivano oltre ai sensi anche una qualche briciola di pensiero, siamo delusi.

Il bello è che l'editoria cerca di inventarsi strategie per incrementare le vendite, ma si è fossilizzata su metodi di marketing che non fanno alcuna differenza fra la promozione di un pannolino o un testo letterario.

Ora. Abbiamo letto un libro reperito in biblio o prestato o acquistato a prezzi stracciati al mercatino; ci è piaciuto e scatta l'intenzione di rileggerlo. A questo punto ha senso comperarlo!




E si tenga conto che non basta il fatto che ci sia piaciuto. Un giallo per esempio, una volta che ha rivelato l'assassino è come un regalo già scartato a meno che non sia scritto bene come per esempio accade con “Dieci piccoli indiani” della Christie o qualche indagine del Maigret di Simenon.

Io ho pochi libri in casa, pochi ovviamente se si relaziona il dato con il mio ritmo di lettura, e quando un libro mi fa proprio ribrezzo mi capita anche di “donarlo” al bidone delle immondizie.

Tengo e rispetto solo ciò che amo.

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