lunedì 28 novembre 2011

La Yourcenar e certi titolacci di giornale...

Questo pomeriggio, una persona, con l'intento di divertirsi scrutando il mio volto mentre leggeva un certo articolo di giornale che mi aveva portato, si è divertita molto.



Sul “Corriere della Sera” di venerdì 25 novembre, a pagina 55 leggo il seguente titolo: “Il vero Adriano pubblico e privato”, sottotitolo: “Una biografia smentisce il romanzo della Yourcenar”.



L'articolo è di Luciano Canfora e col titolo, grazie al cielo, non ha niente a che spartire. L'unico appunto che posso fare a questo serio studioso è sul linguaggio che usa. Un po' contorto. Per lui sicuramente il modo ordinario di parlare, ma preferisco un linguaggio più sciolto, con parole il più quotidiane possibile. Porto un esempio che traggo dalla pagina 218 della raccolta di racconti di Guareschi intitolata “Corrierino familiare”. Un libro divertente e profondo. La mia è la seconda edizione, con disegni di messer Giovannino, della Rizzoli e datata 1954).



Cito dal testo: “Margherita, ieri ti ho sentito dire -illazione-, adesso hai detto -drastico-. Non ti bastano più le normali parole per esprimere i tuoi pensieri? Stai incamminandoti anche tu nell'ambiguo sentiero dell'intellettualismo?”



Per chi ormai mi conosce la questione si fa semplice e non nuova. Che senso ha un linguaggio specialistico, specifico, per chi oltre che studiare intende divulgare? E che intenda divulgare lo dimostra il fatto che l'articolo sia stato pubblicato! Per me non si tratta di una questione di rispetto nei confronti di menti più povere che intendo soccorrere. Si tratta di ben alto. Non mi va che si usi quel che di fatto è inutile. Un linguaggio specifico crea degli esclusi e mi è accaduto troppo spesso di scoprire che dietro la fatica di una decodifica si celasse il nulla o quasi. Penso che una mente ottima non intenda perdere tempo in fronzoli. Non sto parlando di arte, ma di intellettuali e il rimprovero che Guareschi rivolge alla moglie ci fa comprendere che qualcuno che era un discreto cervello già allora, nel 1954, aveva compreso che l'intellettual-ismo, come tutti gli -ismi, altro non è che un tunnel senza uscita nel quale ciechi accompagnano altri ciechi che pensano di seguire uno che ci vede benissimo ma che è sicuramente da un'altra parte proprio perché ci vede. L'idea, la qualità, son prodotti altamente individuali che vanno condivisi e l'-ismo, qualsiasi -ismo, anche il più celebre altro non è che un branco di menti povere che seguono uno o forse due grandi menti, imitandoli e appropriandosi di differenze minime che non avrebbero senso se non attaccate al carro della grande idea, della grande mente.



È poi di una banalità sconcertante una asserzione assegnata a Plechanov. La riporto: “si potrebbe dire che la narrazione storica incentrata su di una personalità significativa porta in primo piano , com'è giusto, la questione sempre viva del -ruolo della personalità nella storia-”.

A me sembra che si tratti di una definizione ovvia. Acquacaldismo1 puro che sommata a linguaggi tecnici non necessari fanno dell'intellettual-ismo un pagliaccio inconsapevole che pensa di essere elegantissimo.



É invece secondo me assai discutibile la seguente frase: “...intorno alla peculiarità del genere biografico di cui ravvisa la funzione per così dire complementare rispetto alla storiografia -alta-.....”

Si deduce che esiste una storiografia alta e le altre forme di studio della storia le son gregarie.....

mah..... secondo me han pari dignità e a volte è più importante partire da una biografia o da un romanzo, che da una serie di date ed eventi, e non dico che si debba agire così per accalappiare lettori. Non ha senso leggere un testo di storia delle superiori, per esempio la seconda guerra mondiale e basta. Io, se dovessi consigliare qualcuno lo farei partire da “Il rogo di Berlino” o/e “Lasciami andare madre” di Helga Schneider, oppure “Se questo è un uomo” e “”La tregua” di Levi. Per la prima guerra, ad un italiano consiglierei prima di tutto “Un anno sull'Altipiano” di Lussu. So che così comprenderebbero che è accaduto qualcosa di colossale e anche orrendo. Così si ricorda. Cosi si ha lo sprone per comprendere e proseguire nello studio. In un libro di storia “alta”, milioni di morti si riducono ad un bilancio che non ci fa tremare e questo è scandaloso, imperdonabile. Quella che “Canfora” definisce storia alta è poi troppo spesso una visione di parte. Ho testi sulla strage di Katyn, testi d'epoca, che furono storia alta per i russi con una verità che si rivelò manipolata..... ed è solo uno degli esempi possibili. Ricordo un cero Cardini, che di solito è “in gamba” aver asserito con convinzione che le crociate non son mai esistite.... Un uomo, per quanto si sforzi di essere oggettivo, sarà sempre guidato da una sua “visione del mondo” (si faccia caso che non lo scrivo in tetesko come fanno sempre gli intellettuali più per darsi un tono che per altro) una morale, e l'articolo medesimo di Canfora ce lo dimostra con la citazione da Gibbon che ora riporto: “ Adriano si mostrò volta a volta principe eccellente, sofista ridicolo e geloso tiranno”. A me sembra che a parlare sia un emissario di “Novella duemila” e non uno storico.... e poi, a quante personalità possiamo aggiustare quella definizione? Tante, troppe...... e poi ancora. Immaginate please un indocente che deve far giornata e agogna ad una briciola di fama. Se non trova nulla se lo inventa ed ecco le crociate di Cardini. Quanti personaggi più meno celebri son stati per qualche mese, di solito d'estate, tacciati di omosessualità, per esempio? Quindi la vera storia, quella che loro e non io pretendono con la s maiuscola, di inquinamenti ne passa talmente tanti....che è meglio filtrarla bene prima anche solo di annusarla!



Ma gli intellettuali, e la loro forma più feroce, gli “indocenti”, non son molto elastici. Vi racconto un fatterello che la dice lunga in proposito. Avevano invitato a Bologna in università un celebre specialista della rivoluzione francese a nome Vovelle. Teneva una conferenza e poiché temevano che nessuno si sarebbe presentato vennero a chiedere la presenza ad alcuni di noi studenti, in fondo per coprire le sedie. Avevo comperato da poco un suo libro e non lo avevo ancora letto. Per me si trattava quindi non solo di scaldare una sedia. Questo signore parlò, tradotto al volo da un collega e la cosa andò abbastanza bene. Verso la fine, gli indocenti, immaginate abiti scuri, cravatte regimental, (la medesima divisa dei politici....e che sa di corvo) si aggirarono fra le sedie chiedendoci di fare qualche domanda, che non si poteva mandar via un simile luminare che era arrivato da Parigi, senza dargli almeno questa soddisfazione. Io una domanda ce l'avevo, e la amavo molto. Chiesi se non riteneva importante la lettura de “Gli dei hanno sete” di Anatole France per la comprensione dell'atmosfera che si respirò al tempo della rivoluzione. Mi liquidò dicendo che quella roba l'aveva letta da ragazzino e poi era cresciuto. Me lo sono mangiato in salsa rosa. L'ho divorato e ho sputato gli ossicini con gusto. Lui, esattamente come un religioso un poco ottuso dava credito solo a quanto diceva la sua parrocchia-università. Venne per scusarsi dicendomi che forse non si era spiegato. Gli feci presente che lui passava, France no, e con quel libro ho respirato l'atmosfera tesa, la tensione della mente di rivoluzionari che uccisero sapendo che anche loro sarebbero stati sacrificati. Lo invitai a non essere un bigotto universitario e me ne andai indignato.



Ecco il punto. La storia alta è tutta la storia. Essa è una sensazione, non un testo. E questa sensazione nasce dall'intersezione di testi onesti che agiscono da angolature sempre diverse e concentrate nel nostro pensiero.



E ora veniamo al titolo dell'articolo. Io credo che Canfora quando lo ha letto si sia offeso. In nessun punto questo studioso dichiara che una biografia smentisce il romanzo della Yourcenar. Egli ci ricorda con belle parole che Yves Roman, nella prefazione al suo nuovo libro sull'Imperatore Adriano, dichiara che il libro della Yourcenar sul medesimo argomento, gli era “onnipresente alla mente durante la redazione”. Questa considerazione è un bel complimento all'opera della grande belga, non certo una smentita di qualcosa.



E come potrebbe essere altrimenti! Canfora e non meno Yves Roman sanno sicuramente che la Yourcenar scrisse “Le memorie di Adriano” perché aveva qualcosa da dire....



Si può anche ricordare anche il motivo che la portò alla scelta di quell'imperatore e non di un altro: si era in un'epoca nella quale gli dei erano alla fine e Cristo non era ancora entrato in gioco. Si poteva supporre quindi un uomo che agisse secondo una morale dettata dall'interno.

E' evidente che per creare questo “gioco” artistico unico, di un essere umano che per una casualità di date può essere padrone delle sue scelte, la scrittrice si sia potuta servire di dati di fatto storicamente certi. Evidente si, ma non era comunque necessario. Se avesse deciso di far passare l'imperatore da Bagnacavallo, sarebbe stata libera di farlo.



La Yourcenar, con “Alexis o il trattato della lotta vana” scritto a ventiquattro anni, inaugurò un'opera lunga una vita incentrata sulla liberazione dai vincoli della morale per accedere pienamente a sé. Essere ciò che si è, mentalmente, sessualmente. Discorsi enormi e delicati. Siamo in un epoca di Cristo, certamente un po' sgonfia, ma è facile constatare quanto ognuno sia altamente moralista con la vita degli altri e liberatorio con la propria. Quel che la Yorcenar ha tentato di insegnarci è grandioso e mi fa sorridere immaginare la reazione privata di certi parrucconi dell'alta cultura di quei tempi che videro pubblicate la “Recherche” e l'opera di questa scrittrice. Non si tratta di rompere i vetri con Proust e Yourcenar. Scrivono in modo eccezionalmente bello. Se decidiamo di sottolineare le parti memorabili, delle “Memorie di Adriano”, consumeremmo sicuramente più di una matita. È con questa consapevolezza che Yves Roman, non riesce a staccarsi da quel romanzo che è da considerare una delle perle del novecento mondiale. Purtroppo sta nascendo l'equazione Yourcenar-memorie di Adriano, che come le Saint Exupery-piccolo principe, Kafka-metamorfosi, e tante altre, annullano la visibilità di una serie di opere di questi autori che meritano non meno, la nostra attenzione.



Ma...e quel titolo? Com'è potuto accadere che un articolo in fondo onesto e interessante sia stato “coronato” da una simile stupidata? “Il vero Adriano pubblico e privato” per uno storico assennato è un'utopia consapevolmente irraggiungibile. Il suo sogno è di aggiungere una postilla, un chiarimento ad un tema che sa essere infinito e sfuggente lungo la linea del tempo. E il sottotitolo che parla di smentite! Ma come può un'opera d'arte come “le memorie di Adriano” essere smentita da uno storico! Si tratta di “oggetti talmente diversi! È come se mi chiedessero se preferisco la carbonara o il tiramisù. Io non sceglierei ma inizierei con una e terminerei gaudentemente con l'altro. E penso che in pochi agirebbero diversamente se la salute ce lo permette. Niente smentisce la grande arte. Essa apre la mente. Se la sua lezione è colta la vita si farà più accettabile, un ostacolo sarà superato, eliminato, per noi, per tutti.



E io immagino appunto i parruconi in camicia bianca, gilet, panciotto, catena d'oro con ninnoli che ondeggiano e giacca tipo guscio di Scarafaggio (vedere i disegni del Latrec a Tolosa per convincersi....), che leggono con piacere quasi estatico Sodoma e Gomorra I e poi, come per disincanto si rendono conto che han letto roba di “omosessuali”, ma non riescono ad inorridire. Non capiscono come mai ma non accade. Vorrebbero ma.... ed ecco che con la bellezza suprema della penna Proustiana un argomento tabù si fa strada anche nella mente di chi “li ammazzerebbe tutti”. E La Yourcenar, che nella sua opera sdogana una libertà completa fino al dramma che ci lascia sconvolti, ultima barriera difficilmente sormontabile senza inorridire, che è in “Anna, Soror...” e in quel dubbio immane e tragico ci lascia a noi stessi e a pensieri enormi.....questa è vita. Sì. Il pensiero che si fa strada, che ci fa umani e divini. Quel Melville che dal Moby Dick e da racconti perfetti come “Il venditore di parafulmini” e “Bartleby lo scrivano” ci mostra la sovranità della natura sull'uomo, perché l'uomo ne è parte e deve accettarlo, volente o nolente.....figlio di una madre alla quale non si sfugge. O Kafka e l'infinita sensazione del dio sfuggente che si annulla nell'amore di Dora, e Fitzgerald che ci ricorda il valore struggente e spesso mortale della nostalgia.... e Brancati che ci mostra l'uomo, il maschio, talmente vittima adorante della donna da desiderarla, e non desiderare altro, ma anche da annichilirsi così totalmente in quel desiderio, in quella meta, che quando l'ha raggiunta, poiché comunque è raggiungibile nella realtà non più sua, è ormai una larva, un impotente, consumato, distrutto, vinto e soddisfatto dal desiderio. La luce potente di eros che solo nel mostrarsi e non nel realizzarsi, incenerisce e realizza.



È grandioso nutrirsi di questi doni, e molti non li ho citati.



E quel titolo, non certo di Luciano Canfora, rende tutta questa possibilità, banale. Ci riesce in un attimo, con due parole buttate li in modo irresponsabile.



Propongo che l'autore di quel titolo venga punito con la lettura integrale delle opere di Faletti e Camilleri (Montalbano. Il resto lo rispetto), e se non ha compreso profondamente, nel suo intimo cos'è la lordura, che si passi a “Guerra e pace”, a “Il Castello” e “Delitto e castigo”, così brucerà sul rogo della sua banalità rivelata nell'atto della consapevolezza della non comprensione di quei testi.



Per un attimo, scrivendo di Tolstoj, mi è venuta in mente quell'eroina tragica che fu Anna Karenina. La sua vita finita in un vicolo cieco, rifiutata dalla mondanità, dalla norma e trionfante di sensualità di vita. Si gettò sotto un treno e si risolse nel nulla. In “Alexis” un essere umano, e per favore sforziamoci di vedere in Anna Karenina non solo la donna ma appunto l'umano puro, nessuno va sotto il treno, nessuno si arrende alla finzione. Vince la vita. È un filo sottile che lega quelle opere, se solo si volesse pensare appunto all'essere umano e non a problemi di uomini o di donne.



amen



1La pseudoscienza che ci fa scoprire che l'acqua calda è calda, che gli asini non volano eccetera eccetera eccetera.

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