giovedì 29 dicembre 2011

Le ultime parole di Giordano Bruno

Vola piccolo gabbiano

vola

sin dove si fondono cielo e mare

e vento e onde

e piangono l'accordo della nostalgia.

Vola

nella mesta quiete

dove il mare

giace silente

sino a quando

di te

la volontà e la speranza

sconfiggeranno

lo spazio infinito.

Vola

piccolo gabbiano

da colei

che più di tutte

ho amato.

Leggero

come un uccello

è l'animo mio

se

presto

saremo

uniti

avete letto questi versi?

Bene, ora ne parliamo. Premetto che contrariamente a quel che probabilmente molti di voi hanno pensato, non sono miei ( per ora e chissà per quanto, i miei voli sono un timido “svolazzare”).

Vi invito a centellinare nuovamente quelle parole. Gustatele accuratamente.

Penso siano almeno decenti per tutti.

Ora cerchiamo di comprendere cos'è una poesia per una persona che legge dopo l'anno duemila.

Iniziamo pensando al mercato. Non comperiamo quasi mai un oggetto perché vale in relazione ai materiali, all'accuratezza eccetera. Ci basta un buon design sommato ad un marchio noto che ha ricevuto propulsione, visibilità, dalla pubblicità.

Si può dire che, forse per abitudine, forse per noja, ci siamo arresi ad un sistema che garantisce sé stesso solo a parole. Un esempio per tutti. Pensate ad una borsa di Louis Vuitton; esattamente alla tela detta monogram, quella marrone con le lettere L e V sovrapposte e piccoli fiori stilizzati. Ebbene. Il valore è minore forse anche di dieci volte in relazione al prezzo che si dà. Eppure quelle cosine, che siano borse, portafogli o cinture, sono onnipresenti, desideratissime. Per quanto ben rifinite, son cose di plastica con un po' di pelle sui bordi o nei manici, ma molta, troppa gente, accetta di pagare quel prezzo quasi assurdo. Un denominatore comune dei tre oggetti che ho elencato a caso, ora mi rendo conto che sta nella portabilità. Mi spiego. Portafogli, cintura e borsa escono con noi, fanno parte del nostro io visibile agli altri, all'io che “se la gioca” nella relazionalità. Non si tratta quindi di una scelta personale, intima. Questa è certamente una delle chiavi di lettura.

Vi domanderete cosa c'entra questo brodino di parole quasi ovvie con la poesia che ha aperto il brano.....

E' presto detto. Il “problema del marchio”, della firma, esiste ugualmente per oggetti anche profondamente differenti come i libri. Se vi dicessi che ho dei versi di Faletti e vi invitassi a leggerli, molti di voi, con un palato che sa distinguere almeno gli escrementi dalla cioccolata, storcerebbero il naso e lascerebbero perdere. Se vi invitassi dicendo che sono di, diciamo Umberto Eco, nome che ha un'aura di serietà anche per chi non ha mai letto nulla di lui, ecco che forse la paura di una “cosina” un poco contorta vi farà desistere, oppure proprio la possibilità di trovare intelletto più che arte, malattia questa nel ventesimo secolo, vi spingerà a cimentarvi poiché se la sensibilità non è da tutti e con timore lo sapete, l'intelligenza, anche se con fatica, qualche speranza di sentirsi almeno “decenti” se pensiamo di aver compreso, ce la dona....

Tranquilli. Faletti e Eco non c'entrano.

Ponetevi per favore, forse per la prima volta nella vita, consapevolmente davanti a dei versi senza sapere nulla. Mettetevi alla prova, valutate. Lasciatevi andare al “sentire” vero. Via l'intelligenza che serve solo a mettere ordine e si mette ordine quando qualcosa è stato creato, puro, sorgivo, dentro di noi.

Questo è il primo strato. Ora inizia la sovrapposizione.

I versi son vecchi di secoli.

Furono scritti a Roma.

Un uomo era in carcere da sette anni. Finalmente acconsentirono a dargli della carta che sempre chiedeva.

Domani sarebbe morto e lo sapeva.

Ora. Sì, ora ri-saggiate quei versi, e scoprirete sapori nuovi, forti, che ci riguardano poiché tutti in fondo sappiamo di essere condannati a morte, chi dall'età, chi dalla natura, chi dagli uomini.

E ora veniamo ai nomi. Il Cardinale Bellarmino autorizzò la carta e Giordano Bruno scrisse quel che avete letto e riletto.

Sono le sue ultime parole.

Quel cardinale, figura complessa e secondo alcuni controversa, aveva compreso che l'astronomia di Tolomeo era da “riscrivere”, ma condannò personaggi che almeno di nome tutti conosciamo.

La Chiesa tremava ogniqualvolta il pensiero, che poi si fece scienza, dimostrava qualcosa che era in contraddizione con quanto aveva fino ad allora decretato come verità indiscutibile. Contava chi “parlava”. Si diceva “Lui lo ha detto”, e lui era spesso Aristotele o qualcun altro autorizzato a dire; un dire che in fondo era un ripetere.

Il senso della divinità che Giordano Bruno “covava” dentro era più vasto, più bello, più dolce, più consolante, di quello papale. Una divinità senza inferno, un universo di infiniti mondi.....

Ammetto di aver aggiornato un termine; “speme” è diventato speranza. Ben poco cambia e ora che ho riletto anch'io per poter proseguire con un minimo di coerenza questo scritto, deduco che quando ho accennato a Faletti come autore ho decisamente esagerato. Quei versi sono buoni anche se non si sa chi ce li ha donati. Di Faletti sento spesso chiedere “ma li ha scritti lui quei libri?”. Non so rispondere. Anzi, non voglio. E non è certo l'unico caso. Ed ecco che si ritorna alla questione troppo volgare del marchio. Si crea un'immagine ed essa vende. Il prodotto inerente a quella immagine non può essere intaccato, non deve, da chiacchiere come “ma l'ha scritto lui? Eccetera”. L'unica legge del mercato è.... portare al massimo l'incasso. Il resto è strumento.

E così accade che la “Jupiter”, che conosciamo, che il pubblico conosce come opera di Mozart, in effetti sia di qualcun altro.

Un nome che dice ben poco alla gente. Mozart vende,quell'altro che è “roba” da intenditori, quasi da addetti ai lavori, non farà mai il medesimo incasso del grande salisburghese che con la sua aura di genialità che non intendo certo discutere, “costringe” il mercato attuale ad essere disonesto nonostante le evidenza storiche.

Andrea Lucchesi. Veneto. Fu maestro di cappella a Bonn e qualcuno lo ricorda come maestro di Beethoven.  
Ricordo che anni fa mi irritava il fatto di non riuscire a distinguere quasi mai Mozart da Haydn. Incolpavo il mio orecchio, forse troppo “duro” per certe sfumature, e mi misi a memorizzare brani per porre un rimedio a quella che consideravo una lacuna.

Anni dopo la notizia. Sembra che quasi tutta la produzione di Haydn sia di Lucchesi.

Se, come dimostra un archivio modenese, anche Mozart “mungeva” quel veneto quasi sconosciuto, ecco che il mio orecchio ne esce riabilitato. Non esisteva differenza per quel che riguarda la musica strumentale, fra Mozart e Haydn, poiché scriveva la medesima persona. Mi risulta che anche la sinfonia di Praga esista in originale manoscritto di Lucchesi e che Mozart, dopo averla comperata, circa due anni dopo, la copiò accuratamente e la “spacciò” per sua.

Nulla distruggerà, e giustamente, l'immagine di Mozart. Scoprire che era Vittima di leggi di mercato che gli chiedevano molto più di quanto umanamente potesse produrre sia come talento che come operaio di sé stesso, lo porta nella contemporaneità. Abbiamo scoperto per esempio anche che Montanelli non ha scritto, ma solo firmato i suoi libri di storia. Si trattò di una operazione ben fatta che divulgò una materia importantissima che da anni in Italia “usciva” solo in testi elitari. Lo siam venuti a sapere dopo qualche anno dalla morte di questo grande giornalista che stimavo e che dimostrò di stimarmi.

Ma lo sappiamo solo ora, quando l'operazione commerciale che riguardava quella collana di libri, è stata considerata totalmente esaurita.....

E io ritengo, l'ho già detto altrove, che la nostra epoca abbia un bisogno quasi patologico di onestà. Se Balzac faceva sorridere quando si scopriva che affittava sempre case con due entrate, che per lui erano in fondo più provvidenziali come uscite, per fuggire ai creditori.... se non scosse più di tanto il suo tempo l'esilio francese di d'Annunzio che di fatto scappò ai creditori.... se non fece notizia la passione di vetture sportive di un Brecht intelligentissimo e assai furbo che, nonostante gli ideali che professava, quando “disfò” una fuori serie non esitò a “vendersi” per una pubblicità pur di comperarne immediatamente un'altra.... se non scandalizzarono gli eccessi di Fitzgerald che arrivò al punto di scrivere un racconto solo per comperare un gioiello alla moglie.... se le manie di Wagner che decise di riceve vestito in viola di varie sfumature facendo cambiare anche tende e orpelli della stanza.... se tutte queste cose all'epoca fecero notizia, era perché, come disse Borges, da una certa epoca in poi, l'artista dovette produrre due opere: la vita e l'opera.

Ora, nel nostro presente, nel quale le leggi del mercato pur di vendere massacrano qualsiasi coerenza, sorge una nuova esigenza. Non interessa che il vegliardo celebre esca con due lolite al giorno, ma la sua onestà, e saperla dimostrare è quasi impossibile perché tutto quel che ci giunge dai mass media potrebbe essere finto. Lo sappiamo e ormai non riusciamo a dimenticarlo così facilmente.

L'opera sì che deve essere valida, ma che esca da una persona che abbia una morale da offrire, anche una morale ostica come quella della Yourcenar che comunque scriveva divinamente ed era profondamente coerente con se stessa.

Ora ritorniamo ai versi di Giordano Bruno. Da belli, almeno per me, si son fatti impressionanti e penso alle sere a Campo dei fiori che ora è luogo di piacere e leggerezza. Spesso mi alzo dal tavolino dopo aver goduto con gli occhi di sfavillanti americane e giapponesi deliziose come miniature irreali, e vado alla statua. Mi piace osservarla di notte perché il volto si fa tutt'uno col cappuccio di bronzo e la sua immagine, si ora sacra, si dilata nel cielo brillante di stelle.

...E mi pervade la rabbia e la rassegnazione per un'umanità che da tempi immemorabili ha trasformato la vita terrena in un inferno.... mi spavento di questa reazione e la leggo riflessa, come in uno specchio d'ombre, nel volto invisibile, notturno, immenso di Giordano Bruno.

Penso che questo sia uno dei tanti paradisi. Un dio non può concepire altro che il paradiso, e il corpo, humus e terra del seme che chiamiamo anima, va nutrito. Solo così la morte non farà paura e non sarà totale annientamento, ma sarà semplicemente il momento nel quale, il seme nutrito con la consapevolezza coltivata e raggiunta, lascerà l'involucro di carne, come la farfalla la crisalide o l'uccello il nido.

Ed ecco il gabbiano-anima di quella poesia che, arso il corpo, liberato dalla zavorra, torna al tutto, ma senza rinunciare all'io che è il gioiello che si deve costruire in vita.

Ecco perché Giordano Bruno merita di essere ricordato

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