martedì 5 luglio 2011

un "gioco" per scrivere....

Penso che questo scritto, più degli altri che ho preparato per questo loculo letterario, possa venir utile per chi desidera Scrivere e non sa bene come iniziare oppure proseguire nel suo intento.

I pericoli che allontano da una “vera”, sana Scrittura sono talmente tanti che fraintendere e agire in modo sconsiderato, prima di tutto verso se stessi, deve essere perdonato. È un po' come trovarsi ad un incrocio di tante vie. Se ne deve scegliere una. Ci si inoltra e, forse un po' troppo sicuri di noi stessi per il semplice motivo che io sono io, ci si dimentica di fare come pollicino e lasciare una traccia per poter tornare sui propri passi. Se non si ha questa attenzione ci si affezionerà ad una via anche se in fondo comprendiamo che è sbagliata, e un po' per non ammettere a se stessi di aver perduto degli anni e un po' perché non si ammette che non si sa più tornare indietro, si va avanti, in un buio sempre più aberrante e che ci allontana da noi stessi, e dal quel che è, come per il pesce un habitat insostituibile, l'acqua della relazionalità, che in fondo è la nostra vita.

Se, una volta che abbiamo deciso di porci dinnanzi a quell'incrocio interiore, davanti alla scelta, siamo soli, come scegliere? Tanti fanno finta di non vedere e tirano dritto. In poche parole è la via a scegliere e non loro. La domanda si scopre e diventa la seguente. Desidero scrivere, ma cos'è scrivere? La letteratura, quel risultato affascinante che hanno ottenuto i Kafka, Yourcenar, Woolf eccetera, cos'è? Nel leggerla la riconosco, ma nel desiderio di attuarla mi perdo.....

Questa ammissione di umiltà, è la prima tappa da compiere per effettuare la scelta della direzione. I consigli valgono ben poco anche perché nella quasi totalità dei casi non ci verranno dati da persone che hanno fatto la letteratura, ma che ambiscono a farla e quindi come noi sono preda di dubbi legittimi. Ed è sorprendente che nonostante i dubbi vi offrano certezze.....

La strada che vi consiglio è un'altra. Cercate dentro di voi.

Siete esseri completi. In voi nulla manca, ma tutto deve essere messo in ordine. Siete un sacco di pelle viva che nello sconquassamento della nascita dell'infanzia e dell'adolescenza non ha potuto far altro che mettere in ordine la propria interiorità in base a regole esterne che non sono le vostre. Un esempio per tutti? Si pretende di dirvi cosa fare e non fare nel sesso. Ridicolo. Dentro di voi, con l'esperienza troverete e amerete i vostri gusti che saranno vincolati solo al rispetto dell'infanzia e dell'altro. Non ha senso in nessuna azione della vita un “si fa così” dettato dall'esterno. Sta a noi maturarlo e per farlo servono pensiero ed esperienza. Chi sceglie solo una delle due, e son la stragrande maggioranza, si ritrovano impantanati in limiti che si impadroniscono della persona che pensa di “navigare” correttamente e invece sbanda verso l'irreparabile. Solo pensiero... e si han follia e a volte anche la morte. Non sto scherzando. Solo esperienza... e si hanno dei pregiudizi all'infinito.
Gli esempi son banali ma servono. Un romeno vi ruba la bicicletta? Ecco che tutti i romeni son ladri. Ditemi se questa non è una deduzione tratta dell'esperienza ma non supportata dal pensiero che immediatamente vi farebbe dire che chi si è mal comportato nei vostri riguardi non era prima di tutto un romeno ma un individuo. Quest'esito non meditato potrebbe portare come risultato la fiducia verso gli italiani del nord e così il vicino piemontese vi fregherà la seconda bicicletta ma mai penserete a lui che, vestito di un abito preconcetto di onestà, riceverà pure la vostra amicizia.

E il solo pensiero? Penso che possa esser utile leggere “Controcorrente” di Huysmans, e anche di Strindberg “Inferno”. Particolarmente col secondo, terminerete la lettura e avrete la sensazione di un'instabilità che vi si sta trasmettendo. Sentirete la necessità di allontanarvi anche fisicamente da quel testo per non proseguire la situazione narrata che si rivela contagiosissima.

Solo pensiero. Si. Ne conosco. Uccisa così molta filosofia. Nietsche per esempio, il tanto amato e odiato....c'è qualcuno che ricorda mentre lo legge, della morte di suo padre e della sensazione che il figlio ereditò, di finire allo stesso modo. C'è qualcuno che sente quella fretta di pensare e di vivere che devon risolvere, dare un senso all'esistenza prima che il cervello si riduca, come fu appunto nel padre, in una palla da tennis? no. Analisi su analisi di parole e virgole. I suoi scritti e non la sua individuale, sofferta umanità.

E il povero Socrate? Ne parlerò in un altro scritto. Questa epoca esageratamente razionale ha travolto l'ovvio che nei suoi scritti equivale alla certezza del dialogo con la divinità della quale lui era il portavoce umile.

E Schubert? Per lui, a proposito di lui mi capitò un fatto curioso. Un pianista mio conoscente, quando si rese conto che amo la musica classica, andò al pianoforte e eseguì il primo dei drei kavierstucke. Io spesso guardavo in direzione dell'unica porta della stanza e anche l'orologio. Alla fine dell'esecuzione, mi chiese se mi era piaciuto. Feci presente che quel brano era molto bello cercando così di evitare in qualche modo qualche considerazione sul suo stile. Mi chiese poi perché avevo continuato a guardare la porta e l'orologio. Allora non mi trattenni più e gli feci presente che da come aveva suonato mi era stata trasmessa la sensazione che lui avesse una fretta del diavolo. Aveva suonato così rapidamente che mi era venuta la certezza che stesse arrivando qualcuno e volesse sbrigarsi. Mi resi conto poi che di Schubert sapeva a fatica il nome. E se nell'esecuzione di quella musica fosse andato oltre le note? Io avevo “sentito”, anni fa, una malinconia particolarissima e poi mi informai di lui. Cito dal Frohlich: “La casa ha sedici appartamenti, ciascuno composto da camera e cucina, ed è abitata al momento da settanta persone. Gli Schubert occupano un appartamento di nemmeno treantacinque metri quadri, il numero 14 al primo piano, dove Elisabeth darà alla luce, fino al 1801, altri dodici figli dei quali solo cinque sopravviveranno. Uno di loro, Franz Peter, viene partorito in cucina il 31 gennaio 1797 all'una e mezzo del pomeriggio: su di lui, divenuto compositore di fama mondiale, si concentra da centocinquant'anni l'interesse dei biografi e dei musicofili.”. Più in là leggiamo che nove di questi figli morirono in un'età compresa fra un giorno e cinque anni.....(in tutto fra vivi e morti furono quattordici...)

Ma....il fatto che su quattordici figli ne fecero adulti solo cinque, non fa pensare a chi si incarica di interpretarlo? La tavola della cucina era il luogo della nascita e anche della morte, e i bambini malati venivano tenuti li sopra, distanti dagli altri che stavano nell'altra stanza, per evitare possibili contagi. Basterebbero queste poche righe per riscrivere il periodo romantico che per tanti professoroni deve la sua origine a pensieri filosofici di uno sparuto gruppo dì saggi, ma io penso che sia diverso scrivere o comporre della vita davanti ad una tavola che straborda di cibo o davanti a trentacinque “metri quadri” di morte.....

Ebbene, aver suonato offrendomi un gesto atletico, poteva appagarmi? Suonare bene è semplicemente aver possesso della tecnica dello strumento? Direi proprio di no! Ed ecco quindi, l'esperienza tecnica, non supportata dal pensiero che ci offre un prodotto a dir poco stupido e che potrebbe essere traslato come giudizio a Schubert che invece è veramente un dono del cielo.

E approfittando del buon Franz Peter (Pan) Schubert, vi faccio notare cos'era per lui l'arte del comporre: mettere in note lo stato d'animo non del momento, che ci porterebbe a concepire per esempio un inno a un buon tacchino ripieno come fece Rossini, ma per gioco, mi raccomando. Lo stato d'animo più alto è quello che in Franz Peter (Pan) Schubert, faceva sentire la vita fragile come una foglia che è consapevole che in qualsiasi momento potrebbe staccarsi da un ramo in autunno.
Ogni attimo era per questo sofferto e nel contempo goduto, ogni gesto amplificato in quella struggente ansia dei sensi di cogliere il più possibile come negli ultimi istanti il condannato a morte.

Questo colsi di Schubert. Questo trovai nella storia della sua vita quando successivamente la lessi. Questo ignorano troppi interpreti che fan di lui un tappeto elastico sul quale saltare per esaltare se stessi. Schubert ridotto a strumento dell'altrui narcisismo. Non è tragico. Si dice ridicolo, ma troppo spesso gli interpreti non se ne accorgono. Per questo sono indissolubilmente legato a Horowitz, Arrau, Gould, Michelangeli e Kissin. La loro interpretazione è frutto di tecnica sopraffina e pensiero.

Anche noi, se decidiamo prendere in mano la penna, abbiamo il dovere di agire come fanno e han fatto, questi quattro grandi pianisti. E la lezione di Schubert ci deve servire da guida. Egli, travolto dalle esperienze che la vita gli diede fin dalla più tenera infanzia, guardò in se stesso, si vide, e si dipinse in forma di note. Farlo in parole è in fondo la medesima faccenda.

Ora. Come si fa a capire chi siamo? Come diceva Lino Banfi, “son volatili per diabetici” arrivare a noi stessi. E perché direte voi? Perché con noi siamo o indulgenti o troppo severi. Mi viene in mente “Va dove ti porta il cuore” della Tamaro. La colpa è degli altri se siamo quel che siamo.... troppo facile. Se qualcuno ci spinge irrimediabilmente in una stanza della tortura allora sarà vero. Nulla ci impedisce di evitarla e ci toccherà subire, ma nella vita, gli altri intesi in forma di ostacolo son una forma riduttiva dell'intender le cose e presuppone che noi siam capaci di esprimere solo passività negli eventi. Non dico che non accada, ma rarissimamante. Di solito in noi c'è una reazione, una spinta vitale. Un tendere a volte inconsapevolmente a quel che desideriamo e che abbiamo il dovere di comprendere per organizzare la vita e tentare di donarcelo.....

In un racconto sempre della Tamaro, “Cuore di ciccia”, si ha un bambino che reagisce alle negatività della vita, aprendo il frigorifero e mangiando. Se il cerchio si chiude così, frigorifero-bambino e bambino-frigorifero, si ha un suicidio e se non accade comunque il circolo vizioso creato lo rappresenta. Può accadere, in fondo anche perché si tratta di un bambino, che il mondo esterno si intrometta e spezzi il cerchio assurdo riportando il protagonista dalla morte “circolare” alla vita, ma anche un bambino, con la fantasia e creandosi un mondo parallelo tutto suo reagisce e crea ondate di positività anche nell'ambiente più assurdo. Si pensi agli amici immaginari, alle figure intravviste nella carta da parati e che ci fecero compagnia fino a quando improvvisamente non si fecero più vedere e accadde in fondo perché non ne avevamo più bisogno... (non ricordo se accadde a Canetti o a a un altro valido scrittore).

Sulla tragedia del frigorifero vi racconto un fatto agghiacciante e vero. Marlon Brando, dopo il disastro dei figli, si legò al frigorifero. Viveva in una casa che era divisa in due e nell'altra parte abitava un attore molto noto. Il grande Marlon aveva deciso di morire così. Volle che fosse la sua abbondanza di beni materiali a sotterrarlo. Nessuno spezzò quel cerchio maledetto. Non era più un bambino ….e, particolarmente nella cultura anglosassone, l'adulto è solo e se diventa povero o pazzo è colpa sua....se si fosse trasferito sui colli romani o a Napoli, non glielo avrebbero lasciato fare e non certo perché lo avevano ammirato in “Fronte del porto”...

torniamo allo scrivere.

Secondo me non c'è guida che tenga. Si può avere a disposizione il fenomeno del secolo che ci consiglia ma di fatto può solo scoprirci. A me grandi menti han consigliato cosa leggere, ma il lavoro di cesello e di autoscoperta è tutto nostro e per giunta solitario. Gli altri, ma che sian pochi e selezionatissimi, possono venirci in soccorso dopo che abbiam prodotto la presunta opera. La lettura di altri porta al confronto. Ci rende consapevoli di come il nostro parto viene percepito e questo, si badi bene, non vuol dire che si cercano e otterranno giudizi o complimenti sensati. Evitateli. Dagli altri, anche se fenomenali, potete comprendere solo come venite percepiti. Accadde per esempio a Stendhal, dopo aver saggiato il rapporto fra i suoi due celebri romanzi e il suo tempo, di prevedere due ondate di interesse, una della quali effettivamente si realizzò cinquant'anni dopo la sua dipartita.
Il giudizio su di noi, su chiunque lo dà qualcosa di indefinibile che si chiama un'epoca.....i singoli solo raramente “ci prendono”. Si pensi a Gide con Proust. Fu il primo a vincere anche il Nobel che è un frutto acerbo del presente che illude chi lo riceve alla grandezza. E fu sempre il primo a rifiutare la Recherche.....contò scusarsi? Per noi posteri no. Il male fatto non ha rimedio checcè ne dica il cristianesimo.....

Non si dimentichi quindi che solo pochissimi esseri quasi irreali possono dirci con certezza “si, questo è un capolavoro” oppure, cosa ancor più eccezionale e per me massima, “merita di essere ricordato” che per un'opera letteraria conduce al pensarla spesso e al rileggerla volentieri.

Ma...ed è un grande ma... dobbiamo capir noi stessi e scrutarci senza attenuanti o eccessive rigidezze per cogliere in noi quelle sensazioni-diamante che, trasformate in parole, brilleranno per se se stesse e, lo si ricordi, non in quanto nostre.

Flaiano diceva: “spero che gli uomini sostituiscano i ragionamenti alle parole”.

Grande frase.....che comunque presuppone un sottinteso che bisogna mettere nero su bianco perché così ovvio non è. Porgo l'esempio tramite un dialogo realmente accadutomi tempo in una libreria di Bologna con una ragazza che li lavora (per favore, non si deduca che sono bolognota o dei dintorni. Amo quella città come un granchio nei testicoli. Ci abita qualcuno che vado a trovare ogni tanto. Tutto qui): dopo aver trovato nel settore “roba vecchia” quattro testi interessanti, mentre ero alla cassa, si è innescato un dialogo reso possibile anche dal fatto che il negozio era quasi vuoto. Dietro alla schiena della ragazza che mi ha fatto lo scontrino, c'era una prima edizione di “Marcovaldo” di Calvino. La persona che mi aveva preceduta alla cassa aveva chiesto il prezzo. Vicino c'erano due cosine di Sciascia e ho chiesto il prezzo di quelli, facendo notare che Calvino lo amavo come saggista e non come autore letterario. La ragazza ha detto che invece a lei piaceva. Ho risposto che il pensiero vale per la saggistica ma non basta per la narrativa e secondo me Calvino non si lascia andare ma costruisce con l'intelletto. Mi ha risposto che lei adora l'intelligenza. Controbatto che essa altro non è che il modo più breve ed economico per arrivare alla meta che ci siamo prefissata, ma non è assolutamente detto che la via più breve sia, per noi esseri umani, la migliore, proprio perché siamo umani, il che vuol dire non completamente, grazie al cielo, razionali. Mi ha chiesto “e allora cos'è uno scrittore?”: “uno che impegna l'anima che è la somma di pensiero e cuore. Se c'è solo pensiero potrebbe essere un prodotto interessante ma non di più. Non amabile. Un po' come pretendere che il corpo steso sul tavolo per la dissezione anatomica, sia un uomo. È il corpo di un uomo! Ci interessa sapere come quel corpo è fatto come di un epoca, che è il corpo del tempo ci interessa scoprire quel che aveva dentro”. (E qui si ritorna a quel che ho detto prima di Schubert.....) la ragazza mi ha ringraziato. Aveva lo sguardo di chi era sorpreso e interessato alla distinzione che avevo fatto.....

Torniamo ora alla frase di Flaiano: “spero che gli uomini sostituiscono i ragionamenti alle parole”.

Si da per scontato in questa frase che i ragionamenti non siano solo un insieme di regole ferree dalle quali non ci si può svincolare. Un esempio: dio non esiste perché non si mostra a noi, a me, per l'esattezza. E chi ci dice che quel che è impossibile per la razionalità non possa accadere perché esiste una razionalità più grande che la contiene?..... per un uomo del settecento i tre quarti di quel che per noi oggi è ordinario, ha del magico, dagli aerei, al telefono eccetera, ed è ovvio che la dimensione di quanto oggi ci appare irreale e magico non lo sarà più in futuro e si dilaterà sempre di più....

I ragionamenti che secondo Flaiano dovrebbero riempire, dar senso alle parole, son qualcosa di vasto. Si tratta si quel “sentire” che non va dedotto dal mondo esterno, ma da dentro di noi. Tutta la sua opera (di Flaiano) osserva il mondo esterno con disincanto dopo aver desunto una morale da dentro. Vedete. L'esterno è vita sociale. L'interno è individualità. La seconda può tentare di fiorire solo se è consapevole di sé.... è inutile dire al mondo che così non va perchè è di moda dirlo o perché suona bene. Dentro di noi, abbiamo una risposta, la nostra risposta e dobbiamo scovarla non solo col pensiero.

Ed è vero che molte volte le parole vengono usate come caramelle succose masticate con calma fra lingua e labbra. Si dimentica che son portatrici di un contenuto, se legate in una catena di sorelline. La parola in sé non vale che per quel che rappresenta. La parola casa è la casa e basta. “La casa dell'anima”, che è un insieme di quattro paroline, già la cambia tutto e con la razionalità scopriamo le regole e solo una parte del senso. E quante poesie non son altro che suoni più o meno aggraziati o volutamente stridenti! Capita come con le mode dei colori. Per anni per esempio il color malva quasi non si è visto. Una casa automobilistica lo lega al lancio di un nuovo modello ed ecco che confondiamo la novità che si abbatte sui sensi con la qualità, con la bellezza che della qualità è una delle concretizzazioni. Come quelle persone che confondono gioventù e bellezza, la malattia con un ideale che va oltre i sensi....La parola che non diciamo mai o quasi mai e che però conosciamo, ci sembrerà impreziosire uno scritto e invece lo falsifica. Dire “sentiero” potrebbe per esempio andar bene e “carraia” essere invece per noi un atteggiamento perché di carraie ne abbiam passate forse un paio ma vissute minuziosamente nessuna. Flaiano alla sua epoca, quando disse quella frase, si trovava immerso in un eccesso di parole che, in un'ondata che doveva ben poco ormai alle deformazioni di d'Annunzio, forse a causa della pubblicità, con le parole appunto ci giocava come oggetti, che si esaurivano in quel che rappresentavano concretamente e non come anelli di una catena di senso da costruire.

“Sostituire i ragionamenti alle parole”. Io dico, per l'intenzione di questo scritto, “vestire di senso le parole” non accontentandoci di dire quel che vogliamo dire, ma di lasciarlo sgorgare.

Vi faccio un esempio. “È troppo facile dire che è brutto quel che accade fra Tunisia e Lampedusa con quegli immigrati.” Questo è pensiero che da solo contiene un senso e una morale, non ha senza alcuna valenza artistica.

Vi racconto, in proposito, cosa mi è accaduto un giorno in modo per nulla calcolato. In modo non calcolato nel senso che non avevo deciso di elaborare qualcosa sul problema degli immigrati nordafricani e della loro traversata....

Dunque: un uomo non anziano era su una sedia a rotelle vicino a me in caffè. Aveva una gamba e un braccio ingessati. Era evidente che la straniera che lo accudiva era per lui una dipendenza transitoria. La ragazza era piacevole. Nord africana, vestita sobriamente all'occidentale, mi dava l'idea che lui la osservasse, mentre portava al tavolo le due ordinazioni, con un qualcosa di dolceamaro nello sguardo e quindi nel pensiero. La sua utilità era ovviamente per lui momentaneamente fondamentale quindi era costretto a pensarci, a pensarla, e non poteva far finta di ignorare tutto quello che lei rappresentava, come molti, troppi, fanno. Lei, gentilissima, mise lo zucchero nel suo cappuccino, e poi mescolò. Mi diede l'impressione che a lui imbarazzasse il far vedere al mondo esterno non tanto che purtroppo non fosse per ora indipendente, ma che dovesse relazionarsi con lei. Ad un certo punto suonò il telefono della ragazza, lei rispose e colsi che, la diffusione di quella “parlata strana” nel mix sonoro del locale, fu per lui intollerabile e si tuffò con gli occhi e con la testa nel quotidiano che ora sembrava un separé.

Da questa situazione la mia mente immaginò quanto segue.
Un uomo col suo motoscafo, da solo in alto mare. Sta dormendo rilassato. Sente delle grida. Si sveglia e vede un barcone che sta affondando ad una decina di metri da lui. Li guarda impassibile. Torna il silenzio. Si riaddormenta. Qualche tempo dopo ha un incidente ed è costretto come il tipo che mi stava di fianco nascosto dietro il giornale. Avendo quel mio momentaneo vicino un look da tamarro doc, ho immaginato che anche quello della fantasia lo fosse. Ora, si ripete la scena appena vissuta della telefonata e immagino che il suo sguardo, che celerà dietro il giornale, si fa spaventato. Lei parla la medesima lingua di quelle persone che stavano annegando e una parola che lei ripete, loro la dicevano continuamente. Una parola che da quel momento lo ossessiona. Ho immaginato poi che il rapporto fra loro due si complica perché lui è colpito da un'angoscia crescente e non dorme la notte. Nel frattempo. Nello sfilare dei giorni, lei riesce a fargli capire che è più presentabile con un look meno vistoso e dialogando, lui cerca di sapere il significato di alcune parole fino a scoprire che la parola che lo ossessiona è “aiuto”. Lei coglie la sua agitazione quando telefona nella sua lingua e lo farà d'ora in poi in un'altra stanza. Un giorno viene un amico. Lei va fuori a fare un po' di spesa e lui si confida. La relazione con lei è per lui ormai un legame dettato da un mix di sensualità e colpa. Sta male da morire. E l'amico gli dice che glielo si legge in faccia e finché è ingessato ha la scusa del corpo che fa male, ma dopo si capirà che si tratta di una ferita dell'anima. A questo punto si confida. L'amico non ha parole. Sta seduto di fianco, gli prende la mano e non sa che dire. La porta della stanza si apre. Lei ha sentito. L'amico capisce e se ne va. Fra loro due si apre una sfida tutta mentale. Alla fine lei lo perdonerà e immagino che, senza gesso, e sulle sue gambe, lui la porta in alto mare nel luogo della colpa e gettano fiori. Tornano al porticciolo. Lui attracca. Scendono. Lei gli dice che, si, lo perdona, ma deve andare.....e lui è definitivamente cambiato.

Vedete cosa accade alla mente? Il tutto si è innescato per via dello sguardo quasi stralunato di disagio che il “tamarro alla romana”(per comprendere pensare a certi film di Verdone...) ha mostrato quando la sua sensuale badante che aveva la colpa per lui inaccettabile di essere nordafricana, ha invaso l'etere con quella “parlata” che la rendeva più visibile dell'aspetto che, essendo lei graziosa, sapeva che sarebbe stato perdonato da chi come lui usa solo un neurone e di rado perché teme che si consumi e pensa che chi è diverso dal mio branco puzzi e non solo.

L'arte non è cosa esplicita. Ha un contenuto che gira intorno al senso creando uno spazio di significati più vasto di quel che si può concedere una frase razionale. Se dicessi “non si deve essere razzisti”. E rappresentassi questo con una scena di buoni e cattivi e il buono che la vince, ecco che sarei scontato e banale. Ma quel che è peggio è che quei difetti si sposteranno da me all'argomento rendendolo altrettanto banale quanto il suo enunciatore.... ho un immagine stupenda per profondità che mi “perseguita” e vuol saltare fuori, farsi parole qui e ora per dimostrare una forza... il film dal quale la tolgo è “Nuovo Mondo” di Crialese. Una inquadratura di folla che riempie completamente lo schermo dando l'idea che continui in tutte le direzioni. La folla rumoreggia. Parlano. Un colossale fischio di nave e si zittiscono. Rumore di metalli che soffrono in elefantiaci movimenti e quel che sulla scena vediamo non è la nave che si stacca dalla banchina, ma una fetta di Sicilia che se ne va. Toccante. Grandioso. Ecco la tragedia della migrazione costretta resa con poesia....

Nel pezzo che sgorgò improvvisamente in me e che lasciai libero di formarsi quel giorno seduto al caffè, quella situazione inventata non consapevolmente, legando la sensualità alla colpa, la bellezza alla quale troppo sempre si perdona eccetera, ha prodotto una sequenza di immagini che forse resteranno nella mente con più fervore che un sermone trasformato in una trama sempliciotta.

È, per esempio, quel che Tarkovsky sapeva fare con un talento unico. Nel film “Nostalghia” abbiamo un personaggio secondario stupendo. Un uomo che rinchiude la moglie e i due figli in casa e prega attendendo la fine del mondo. Arrivano i carabinieri. Aprono la porta. Il bimbo corre sui gradini del sagrato della chiesa adiacente in un paesaggio di paese che sembra abbandonato. Quei passi, innocenti, con desiderio di moto, di vita, toccano il cuore, e il padre, il mostro della nostra immaginazione che lo segue con affetto ci sconcerta e ci fa capire che non agiva per cattiveria ma per un timore profondo che estendeva a chi più amava. E la madre, che corre ad inginocchiarsi davanti a un carabiniere, ne abbraccia le gambe e piange di gioia ….e quelle lacrime son amplificate da una bottiglia si latte che lei inavvertitamente urta e che, come il suo pianto, trabocca di vita della quale il latte è simbolo potentissimo, nutrimento e....poesia. Come si poteva dir meglio che il troppo affetto è un carcere per chi si ama? Se un'attrice dovesse dire “caro, se mi stai così addosso mi opprimi”, il contenuto sarebbe il medesimo, ma l'effetto miserissimo.... ecco l'arte e, si badi bene, queste costruzioni non nascono per nostro calcolo. Può accadere e possono piacere, ma noi, di fronte a noi stessi, sappiamo che non si tratta di acqua pura.

Veniamo ora alla questione preminente di questo scritto.
Un “giochino” da fare per introdursi in questa ottica in relazione all'arte.
Il punto è il seguente: come porsi nella condizione da “lasciar sgorgare” le immagini che un evento esterno può innescare?

Questo giochetto l'ho sperimentato varie volte con altri e per questo posso garantire che funziona e offre secondo me la traccia di un lungo lavoro da compiere su se stessi.

INIZIO DEL “GIOCO”.....

Immaginate una casa. Ci siete nati e ci avete vissuto tanto. Potete decidere se ci tornate perché l'avete ereditata oppure che, alla fine siete rimasti solo voi. Inventatevi un qualcosa di razionale per giustificare il fatto che scoprite che c'è una stanza che non avete mai visto. Io, nel mio racconto ho immaginato che la tassa della casa fosse troppo alta e che richiedendo il progetto la scoperta si facesse evidente prima sulla carta. Si può pensare che spostando un mobile.... e insomma, metteteci del vostro.

Ora. Nel momento stesso che vi ho detto che in una casa profondamente vostra troverete una stanza in più, se non siete ridotti come Emilio Fede, qualcosa, alla mente, immediatamente, vi è apparso. Bene. E' un'immagine pura! Osservatela senza porre modifiche e non introducete il fattore tempo, tipo ci passeggio dentro apro questo e quello eccetera. Quel primo lampo di immagine è tutta vostra. Siete voi, dovete comprenderla a fondo e per farlo non smontate ogni particolare ma lasciatevi andare. Solo così, un cavallo a dondolo scrostato che troverete fra gli oggetti non sarà solo un ricordo vostro ma forse di qualcun altro eccetera.

In questa situazione più esempi faccio e più contamino e condiziono la vostra fantasia, cosa che non deve accedere.

Ora che quella prima immagine l'avete fermata, immaginate di relazionarvi con quella nuova stanza; ci dovete vivere in quella casa e quella stanza segreta è parte di voi....

Non si pensi per favore che dietro a questo escamotage si celi della psicologia. Se si volesse si potrebbe analizzare anche come condiamo l'insalata e risalire da questo a Edipo e Clitennestra e questo vi dimostra quanto la razionalità sia invadente. Ricordo quando mi fecero notare che la mia passione per la scrittura con la stilografica era una traccia di omosessualità. A quella mente contorta non poteva bastare una risposta semplice e quindi non gliela diedi, ovvero che scrivere con la stilo è meno faticoso che non con una penna a sfera (e chi mi parla dei roller che peste lo colga! Si scaricano sempre e vanno come i miei affari...).

Vedete, in quel giochino che vi ho proposto avete trovato una parte di voi stessi. Non può non accadere. Ora dovete farla vostra. Conoscerla. Conoscervi. La vera, la grande letteratura è solo di chi è consapevole al massimo grado di se stesso. E non è facile. Posso dirvi per esempio che di recente nel racconto Kopf, (che non mi ricordo se ho messo su), la fine di uno dei due personaggi mi ha stupito. Mi è venuta fuori senza chiedere il permesso, com'è giusto che sia e ho capito così che, nonostante le pensassi superate, alcune cose del mio passato hanno tuttora il potere di condizionarmi.

Si scopre se stessi in quel che si scrive e finché accade sappiamo che si deve crescere, migliorare. Una volta che si è nitidi in noi, spieghiamo quel mondo e non in modo diretto, perché così usato il linguaggio ci va stretto, ma non costruiremo, verrà da solo.

Di recente ad un'amica poetessa ho consigliato di non usare i vocaboli dolore, rabbia, sofferenza. “Quelli sono i soggetti e se li dici perde senso l'agire”. Diventa un dire e non un elevare un'idea vestendola di parole o altro. Se hai della rabbia spiegala, evolvila, dalle forma in qualcosa. E che lo scrivere non serva per scaricarsi. Per questo fai all'amore o anche solo sesso o vai a fare una corsa....

un esempio forse un po' inusuale ma al quale credo.............: un tempo la nobiltà aveva il tempo e lo acquisiva non in grazia dei soldi ma del potere e chi ha il tempo può decidere se pensare o meno. Ora, e da un pezzo, la borghesia ha i soldi e usa il tempo per far soldi. Quando si riposa, vuole far vedere al mondo che ha fatto soldi e quindi compra oggetti che possano dimostrarlo e, non dedicando il tempo ad altro che al pensare a come far più soldi, arrivano al punto che son ridotti a credere, per semplificazione e riduzione di tutto ad un unico schema, che anche le donne possono essere comprate (e mai hanno hanno ragione...). Attualmente si ha anche una casta quasi invisibile che, ereditate attività che fan soldi, le girano ad un manager e si godono il dono più grande che è il tempo. In un certo senso è la situazione migliore. Il potere, che i nobili esercitavano anni fa, dava anche un po' da fare e aveva i suoi rischi. Quel tipo di ricchezza attuale più elevata della borghesia, e che di solito di terza generazione, è tranquilla. Il tempo e il denaro, (che se non sei cretino, va trasformato in opportunità), ci sono, e la vita potrebbe farsi pensiero e desiderio di un senso. Accade anche che chi non è ne ricco ne nobile ne borghese, comprenda che per “Crescere” con la c majuscola serva del tempo e decida di “mandarla in vacca” come si suol dire, ovvero di non lasciarsi prendere dal sistema, di accontentarsi di poco e di utilizzare il tempo libero in modo più che sensato. (vedere in proposito il film “Into the Wild e ascoltare atttttttentamente la canzone della colonna sonora, cantata da Ed Wedder e scritta da Jerry Hannan lui intitolata “Society”.... e troverete il medesimo senso. Male che vada non sono il solo a pensarla così.) e questo le persone ordinarie lo considereranno strano, fastidioso, in fondo perché fa pensare...

Vi faccio un esempio. Come può essere percepito lo sport in generale: un gioco con delle regole, ed entro queste puoi sbizzarrirti. Ha anche il vantaggio che scarichi diciamo l'esuberanza della giovinezza ed è pure dimostrato che parte degli ormoni sessuali si consumano anche così e quindi se ne esce sicuramente un po' scaricati e più “calmi”. Ma, e la mente? E' fuor di dubbio che si impegnerà nello spazio ridotto delle regole che ci siam dati, ma fuori da quell'ambito, nella vita servono più di poco? Hanno un bel dire che si impara a stare i mezzo agli altri. Tutto si fa competizione e a livello di cavalierato morale, l'ambiente, si scopre che non è meno lurido e pieno di raccomandati del mondo esterno. Questo sport, sommato all'esigenza di far soldi e di impossessarsi di miriadi di oggetti, riempiono la giornata di soddisfazioni di superficie. Acquistare è un coito del portafogli che va continuamente rinnovato perché la fame di comprare, subito si ripresenta. E fare gol? È una sensazione di un attimo e poi ne devi fare un altro.... si sa in eterno ed è un ripetersi, non un migliorarsi.

Bello schemino esistenziale..... È così tragico tentare di evitarlo? Nuotare in superficie ci basta? E immergersi in noi stessi e vedere quanto l'io sa essere profondo non è una vertigine più appagante che vincere un premio sportivo? Provare per credere. E quando si emerge da quelle profondità e si guarda l'altro, l'eterno, il molteplice altro? La vita cambia completamente. Se hai i soldi bene, se non li hai arranchi un po' ma recupererai te stesso con gusto. Vedrai la vita in te che si fa ideale e morale e soffrirai della diversità fra la realtà che ti circonda e quel che sei diventato, ma nel frattempo, quella sofferenza positiva si fa opera. Il mondo che vorresti si fa poesia. Prima di tutto le sensazioni del tuo io si vestiranno di parole parole o musica o altro. Lo si fa per te stessì e poi strariperà nel mondo.

Nessuno getta i diamanti, ma tutti dimenticano gli schiavi che li han scavati....

Noi siam schiavi e intagliatori e lasciata la pietra dietro le spalle, per intagliarne un'altra che solo quella alla quale stiamo “lavorando” ci sembra la migliore, si, lasciatala la in fondo, non la getteranno.

Non capiranno come è nata quella pietra, unico prodotto umano momentaneamente perfettibile, e cercheranno di farne business perché solo così per loro si valorizza qualcosa....ma lo sanno che i diamanti son più duri di loro, e brillanti e silenziosi, se si lasceranno andare alla loro luce che temono com'è giusto temere per una bestia quel che non si conosce nel profondo, se ad essa si lasceranno andare, ne usciranno abbagliati o cambiati.

Ma noi non lo facciamo per loro, per quella folla infinita che si vede negli stadi e per strada nei giorni di festa. La folla per noi non esiste. Sono tutti individui che se potessero spenderebbero anche solo per un sorriso quella moneta del sogno che è l'arte. E loro sono infiniti io, infiniti me stesso che devono, si, per favore, devono,imparare ad amare.

Nessun commento:

Posta un commento