lunedì 11 luglio 2011

Leggendo un romanzo di Umberto Eco




Ho iniziato la lettura de “La misteriosa fiamma della regina Loana”.

Sono arrivato solo a pagina trentaquattro. Sa scrivere. Penso si sia compreso da miei accenni scritti precedentemente che non ammiro molto il comportamento di Umberto Eco. L'ho conosciuto. Non ho fatto nulla per approfondire. Troppo narcisismo, troppo masch
Ho iniziato la lettura de “La misteriosa fiamma della regina Loana”.

Sono arrivato solo a pagina trentaquattro. Sa scrivere. Penso si sia compreso da miei accenni scritti precedentemente che non ammiro molto il comportamento di Umberto Eco. L'ho conosciuto. Non ho fatto nulla per approfondire. Troppo narcisismo, troppo mascheramento, troppa finzione. Chissà com'è senza maschera.
Ma quando si chiude in camera e scrive è bravo. E si capisce immediatamente perché il grande pubblico non riesca ad “afferrarlo”. Non è lui ad essere sfuggente, ma il suo mondo.

La fortuna de “Il nome della rosa” nasce su un equivoco. Sembra un giallo. Si tratta invece dell'iniziazione di un'adolescente alla vita. Chi ha un grande maestro, come il protagonista del romanzo, avrà una grande iniziazione, e quel ragazzo ha l'opportunità di comprendere nella finzione letteraria quel che a un essere umano arriva più o meno nel mezzo del cammin di nostra vita.

Un po' come per il film di Pupi Avati “Storia di ragazzi e ragazze” che la critica ha considerato come uno spaccato della vita durante il fascismo e invece è ben altro. Le coppie si formano, ma l'unica persona felice è la donna rimasta vedova da giovane. Tutte le sere saluta il suo uomo là fra le stelle. Per Avati nella vita la felicità non è realizzabile se non in forma di desiderio da proiettare nel futuro. Quando quel futuro si fa presente, rivela solo squallore.



Dopo “Il nome della Rosa” ecco “Il pendolo di Focault”. È il suo primo libro considerato veramente difficile dal pubblico e infatti le vendite calano vertiginosamente. Ho la sensazione che quella cultura universitaria così spinta, sia una maschera. Già il ragazzo del primo romanzo nasce secondo me da qualcosa che nella vita quotidiana di Eco, ha causato uno smacco, un crollo enorme. Oserei dire per lui spaventoso. È la solita questione. La gente, nemmeno gli esperti, non si domandano quale fosse la sofferenza di Picasso che lo ha portato a creare le celebri opere del periodo blu.
Io sento che tutto in Eco è partito da un dolore irrimediabile, davanti al quale si può solo crollare, poi, se se ne esce sani di mente o vivi, impegnarsi a raccogliere i cocci e poi ricostruirsi. Ne “Il pendolo..” il mondo rivela al soccombente che esistono verità superiori alle quali si cede. Ad esse non abbiamo diritto di accedere. Queste verità possono essere anche illusorie o sbagliate. Nulla cambia. Ne siamo esclusi. Esiste quindi una verità. Un qualcosa dal quale Eco sente di essere stato forse definitivamente escluso. Quando si soffre, quella sensazione martoriante ci fa proiettare nell'infinito del tempo futuro con quel qualcosa come una stimmata, un segno irreversibile al quale dobbiamo tener fede che diviene il nostro bagaglio. Terzo romanzo “L'isola del giorno prima”. Qui il gioco si fa chiaro. Una disperata nostalgia. Una struttura colta che nasconde il desiderio di tornare indietro e rivivere certi eventi. Riviverli non ripetendo quei comportamenti che pensiamo ci abbiano gettati, quindi per nostra colpa, nel baratro. Quarto romanzo “Baudolino”. Il capolavoro. Un ragazzino bugiardissimo. Le bugie non sono realtà. Su quella non realtà si basa la memoria del mondo. Solo così, con questa strategia, si annebbia il dolore. Tutto è finto. Non è una catena di senso che fa la vita e nemmeno i singoli fatti che la compongono. Eco riabilita il se stesso de “L'isola del giorno prima” e riconosce che non ha senso rivivere l'evento cruciale poiché la sequenza dei fatti non è coerente e l'insensatezza lo getta, in parte liberato dall'angoscia, nella vastità, nel caos del mondo. É il libro più bello. Il linguaggio si fa semplice, scorre. Si corre sull'onda delle pagine con un piacere che non ci si aspetta se ci si attende da un autore rigorosamente sempre la medesima acqua. E si sorride con intelligenza. Ho anche riso. Un riso dolceamaro perché Baudolino è Eco, autore involontario del suo destino e spettatore incapace di reagire alla sua sofferenza. Ora lo sa che è così e si può solo guardare avanti, sempre più lontano. Un poeta disse “allegria di naufragi”. Ma c' è umorismo, qualcosa che testimonia una digestione del dolore che ci sembra ultimata e la vita che si fa accettabile nella sua frammentarietà così picaresca. Non è incredibile che dopo l'angoscia di “Se questo è un uomo” Levi abbia potuto scrivere “la tregua”? Quel viaggio di ritorno dai campi che brilla, di voglia di vivere e spesso fa sorridere? Ecco. Il passaggio è il medesimo. Di Levi sappiamo.
La tragedia fu personale e epocale nel contempo. Quella di Eco fu individuale? Non ne parla. Mette maschere e recita nella vita come nell'opera, ma per chi si sofferma, per chi non è trascinato dal tempo ma il tempo lo giostra a suo piacere, non sfuggono queste cose e dietro la maschera ecco apparire un volto. Un volto vero, umano. Ha avuto una vita disastrosa. Essere docente, anzi, per l'esattezza indocente è come accettare l'etichetta di laido e provare a conviverci. Ogni mestiere cambia chi lo fa. Rimane attaccata un'atmosfera, a volte anche un odore, che chi li indossa non percepisce. E poi certi modi di fare si fanno carne della loro carne ed è finita. Ricordo in un romanzo, Balzac che ci fa vedere il medico che salutando l'amico generale gli si avvicina più del dovuto e gli sussurra una confidenza. Non lo fa per quel che ha da dire, ma per poter cogliere dall'alito se il suo fegato sta meglio. Ecco quel che si diventa con certi mestieri. Esser docenti in Italia è poi qualcosa di talmente indecente da poter considerare il termine stronzo un sinonimo perfetto....

E ora, dopo molto tempo, non certo per antipatie o scelta, ho preso in mano “La misteriosa fiamma della regina Loana”. Sono a pagina trentaquattro. Ho sospeso la lettura per scrivere queste righe.
Bello. Scritto bene. Eco per ora sembra non intenda più usare il suo sapere universitese. C'è il suo mondo, i libri che ama. Son tanti e quindi i lettori scapperanno di nuovo. È un cioccolatino di Pejrano. Una delizia. Una persona si sveglia dal coma. Ricorda tutto ma non la sua vita, la moglie, i figli, i nipoti. Cita a non finire e fa sorridere.
Ecco un passo. “il libro era “Papà Goriot”. Balzac. Senza aprirlo ho detto: “Papà Goriot si sacrificava per le figlie, una si chiamava Delfina, mi pare, entrano in scena Vautrin alias Collin e l'ambizioso Rastignac, Parigi a noi due. Leggevo molto?”

Si, il personaggio del romanzo leggeva molto e Eco legge molto. Quelle poche righe, per chi non ha letto quel romanzo di Balzac, non son altro che una fila di parole che trattengono un segreto, un significato, la corposità di un piacere provato nella lettura. E quella battuta! “Parigi a noi due!” le parole finali del romanzo e la sfida del provinciale sconvolto dalla realtà immorale della grande capitale!

Chi non sa, chi non ha letto e gustato, ne è escluso. E si perde qualcosa di bello.
Poche pagine prima accade la medesima situazione per un altro libro: cito da Eco: “Il terzo uomo, Harry lime sulla ruota del Prater dice che gli svizzeri hanno inventato gli orologi a cucù...”

Graham Greene. Il romanzo è “I terzo uomo”. La scena sulla ruota è cruciale. Traffico illecito di penicillina in una Wienna distrutta dalla guerra. Anni dopo se ne fece un film. Alcuni soldati americani uscirono dalle sale assai scossi. Dissero che quei traffici ci furono davvero.

Vedete... non si tratta di un piacere puramente culturale del tipo “ lui sa e quando cita se io riconosco tutto il materiale mi sento un fenomeno”. Questo accade, ma non qui. In queste due scene indubbiamente colte accade invece che Eco, con poche magistrali pennellate riporta a galla tutto di quell'opera e se l'hai letta sfiori un mondo. Il fatto che sia condiviso, che lui l'abbia apprezzato e io anche, non guasta, ma non ci si deve fermare qui. È come il pittore che con due pennellate che sembrano tirate a casaccio ci mostra una rosa così come sentiamo che è e deve essere....

E ora veniamo all'idea generale del libro. Un uomo si sveglia. Non ricorda nulla della sua vita personale. Continua il filo degli altri libri? Si è reso conto che Baudolino-Umberto anche nel caos appena definito non riesce a non ricordare? Ecco l'artificio estremo. Il trauma. E il momento nel quale si chiude in camera diviene aria nuova, aria pulita nella quale, scegli cosa ricordare e cosa lasciar andare alla deriva. Posso dire all'uomo Eco, uomo che penso nessuno abbia mai incontrato integralmente negli ultimi vent'anni, dicevo che posso dire all'uomo Eco che quel che ci ha segnato, cambiato e spesso traumatizzato, non possiamo staccarlo da noi. Il corpo dimentica il dolore fisico con sorprendente immediatezza. Ci basta ricordare il mal di denti per sentirne la certezza di questa asserzione. La mente no. Si lega al dolore. Ne esce contorta. Secondo te chi è uscito da un campo di concentramento, tanto per portare un esempio, è in grado di vivere una vita normale. No. Può simulare. La maschera . In un romanzo di Isaac b. Singer, l'ebreo rifugiato a New York dopo aver passato mesi dentro un pagliaio per sfuggire ai nazi in Polonia, giunge a casa dopo una comunissima giornata di lavoro. Chiude la porta a chiave e con altri ordigni. Chiude anche quella del corridoio sempre con la chiave. Chiude quella del bagno e si mette nella vasca con la luce spenta. A questo punto pensa: “se arrivano ho ancora circa cinque minuti. Devono scardinare tre porte e poi capire che sono qui e col fatto che ho spento la luce forse ho guadagnato qualche attimo”.

Penso di avere reso l'idea.....

Se qualcuno non ha capito cos'è accaduto al Baudolino-Eco che tutti pensano di conoscere....che si sprema un po'. In fondo non è difficile.

Io mi inoltro nel suo libro sicuro che passerò dei momenti intensi.


eramento, troppa finzione. Chissà com'è senza maschera.
Ma quando si chiude in camera e scrive è bravo. E si capisce immediatamente perché il grande pubblico non riesca ad “afferrarlo”. Non è lui ad essere sfuggente, ma il suo mondo.

La fortuna de “Il nome della rosa” nasce su un equivoco. Sembra un giallo. Si tratta invece dell'iniziazione di un'adolescente alla vita. Chi ha un grande maestro, come il protagonista del romanzo, avrà una grande iniziazione, e quel ragazzo ha l'opportunità di comprendere nella finzione letteraria quel che a un essere umano arriva più o meno nel mezzo del cammin di nostra vita.

Un po' come per il film di Pupi Avati “Storia di ragazzi e ragazze” che la critica ha considerato come uno spaccato della vita durante il fascismo e invece è ben altro. Le coppie si formano, ma l'unica persona felice è la donna rimasta vedova da giovane. Tutte le sere saluta il suo uomo là fra le stelle. Per Avati nella vita la felicità non è realizzabile se non in forma di desiderio da proiettare nel futuro. Quando quel futuro si fa presente, rivela solo squallore.

Dopo “Il nome della Rosa” ecco “Il pendolo di Focault”. È il suo primo libro considerato veramente difficile dal pubblico e infatti le vendite calano vertiginosamente. Ho la sensazione che quella cultura universitaria così spinta, sia una maschera. Già il ragazzo del primo romanzo nasce secondo me da qualcosa che nella vita quotidiana di Eco, ha causato uno smacco, un crollo enorme. Oserei dire per lui spaventoso. È la solita questione. La gente, nemmeno gli esperti, non si domandano quale fosse la sofferenza di Picasso che lo ha portato a creare le celebri opere del periodo blu.
Io sento che tutto in Eco è partito da un dolore irrimediabile, davanti al quale si può solo crollare, poi, se se ne esce sani di mente o vivi, impegnarsi a raccogliere i cocci e poi ricostruirsi. Ne “Il pendolo..” il mondo rivela al soccombente che esistono verità superiori alle quali si cede. Ad esse non abbiamo diritto di accedere. Queste verità possono essere anche illusorie o sbagliate. Nulla cambia. Ne siamo esclusi. Esiste quindi una verità. Un qualcosa dal quale Eco sente di essere stato forse definitivamente escluso. Quando si soffre, quella sensazione martoriante ci fa proiettare nell'infinito del tempo futuro con quel qualcosa come una stimmata, un segno irreversibile al quale dobbiamo tener fede che diviene il nostro bagaglio. Terzo romanzo “L'isola del giorno prima”. Qui il gioco si fa chiaro. Una disperata nostalgia. Una struttura colta che nasconde il desiderio di tornare indietro e rivivere certi eventi. Riviverli non ripetendo quei comportamenti che pensiamo ci abbiano gettati, quindi per nostra colpa, nel baratro. Quarto romanzo “Baudolino”. Il capolavoro. Un ragazzino bugiardissimo. Le bugie non sono realtà. Su quella non realtà si basa la memoria del mondo. Solo così, con questa strategia, si annebbia il dolore. Tutto è finto. Non è una catena di senso che fa la vita e nemmeno i singoli fatti che la compongono. Eco riabilita il se stesso de “L'isola del giorno prima” e riconosce che non ha senso rivivere l'evento cruciale poiché la sequenza dei fatti non è coerente e l'insensatezza lo getta, in parte liberato dall'angoscia, nella vastità, nel caos del mondo. É il libro più bello. Il linguaggio si fa semplice, scorre. Si corre sull'onda delle pagine con un piacere che non ci si aspetta se ci si attende da un autore rigorosamente sempre la medesima acqua. E si sorride con intelligenza. Ho anche riso. Un riso dolceamaro perché Baudolino è Eco, autore involontario del suo destino e spettatore incapace di reagire alla sua sofferenza. Ora lo sa che è così e si può solo guardare avanti, sempre più lontano. Un poeta disse “allegria di naufragi”. Ma c' è umorismo, qualcosa che testimonia una digestione del dolore che ci sembra ultimata e la vita che si fa accettabile nella sua frammentarietà così picaresca. Non è incredibile che dopo l'angoscia di “Se questo è un uomo” Levi abbia potuto scrivere “la tregua”? Quel viaggio di ritorno dai campi che brilla, di voglia di vivere e spesso fa sorridere? Ecco. Il passaggio è il medesimo. Di Levi sappiamo.
La tragedia fu personale e epocale nel contempo. Quella di Eco fu individuale? Non ne parla. Mette maschere e recita nella vita come nell'opera, ma per chi si sofferma, per chi non è trascinato dal tempo ma il tempo lo giostra a suo piacere, non sfuggono queste cose e dietro la maschera ecco apparire un volto. Un volto vero, umano. Ha avuto una vita disastrosa. Essere docente, anzi, per l'esattezza indocente è come accettare l'etichetta di laido e provare a conviverci. Ogni mestiere cambia chi lo fa. Rimane attaccata un'atmosfera, a volte anche un odore, che chi li indossa non percepisce. E poi certi modi di fare si fanno carne della loro carne ed è finita. Ricordo in un romanzo, Balzac che ci fa vedere il medico che salutando l'amico generale gli si avvicina più del dovuto e gli sussurra una confidenza. Non lo fa per quel che ha da dire, ma per poter cogliere dall'alito se il suo fegato sta meglio. Ecco quel che si diventa con certi mestieri. Esser docenti in Italia è poi qualcosa di talmente indecente da poter considerare il termine stronzo un sinonimo perfetto....

E ora, dopo molto tempo, non certo per antipatie o scelta, ho preso in mano “La misteriosa fiamma della regina Loana”. Sono a pagina trentaquattro. Ho sospeso la lettura per scrivere queste righe.
Bello. Scritto bene. Eco per ora sembra non intenda più usare il suo sapere universitese. C'è il suo mondo, i libri che ama. Son tanti e quindi i lettori scapperanno di nuovo. È un cioccolatino di Pejrano. Una delizia. Una persona si sveglia dal coma. Ricorda tutto ma non la sua vita, la moglie, i figli, i nipoti. Cita a non finire e fa sorridere.
Ecco un passo. “il libro era “Papà Goriot”. Balzac. Senza aprirlo ho detto: “Papà Goriot si sacrificava per le figlie, una si chiamava Delfina, mi pare, entrano in scena Vautrin alias Collin e l'ambizioso Rastignac, Parigi a noi due. Leggevo molto?”

Si, il personaggio del romanzo leggeva molto e Eco legge molto. Quelle poche righe, per chi non ha letto quel romanzo di Balzac, non son altro che una fila di parole che trattengono un segreto, un significato, la corposità di un piacere provato nella lettura. E quella battuta! “Parigi a noi due!” le parole finali del romanzo e la sfida del provinciale sconvolto dalla realtà immorale della grande capitale!

Chi non sa, chi non ha letto e gustato, ne è escluso. E si perde qualcosa di bello.
Poche pagine prima accade la medesima situazione per un altro libro: cito da Eco: “Il terzo uomo, Harry lime sulla ruota del Prater dice che gli svizzeri hanno inventato gli orologi a cucù...”

Graham Greene. Il romanzo è “I terzo uomo”. La scena sulla ruota è cruciale. Traffico illecito di penicillina in una Wienna distrutta dalla guerra. Anni dopo se ne fece un film. Alcuni soldati americani uscirono dalle sale assai scossi. Dissero che quei traffici ci furono davvero.

Vedete... non si tratta di un piacere puramente culturale del tipo “ lui sa e quando cita se io riconosco tutto il materiale mi sento un fenomeno”. Questo accade, ma non qui. In queste due scene indubbiamente colte accade invece che Eco, con poche magistrali pennellate riporta a galla tutto di quell'opera e se l'hai letta sfiori un mondo. Il fatto che sia condiviso, che lui l'abbia apprezzato e io anche, non guasta, ma non ci si deve fermare qui. È come il pittore che con due pennellate che sembrano tirate a casaccio ci mostra una rosa così come sentiamo che è e deve essere....

E ora veniamo all'idea generale del libro. Un uomo si sveglia. Non ricorda nulla della sua vita personale. Continua il filo degli altri libri? Si è reso conto che Baudolino-Umberto anche nel caos appena definito non riesce a non ricordare? Ecco l'artificio estremo. Il trauma. E il momento nel quale si chiude in camera diviene aria nuova, aria pulita nella quale, scegli cosa ricordare e cosa lasciar andare alla deriva. Posso dire all'uomo Eco, uomo che penso nessuno abbia mai incontrato integralmente negli ultimi vent'anni, dicevo che posso dire all'uomo Eco che quel che ci ha segnato, cambiato e spesso traumatizzato, non possiamo staccarlo da noi. Il corpo dimentica il dolore fisico con sorprendente immediatezza. Ci basta ricordare il mal di denti per sentirne la certezza di questa asserzione. La mente no. Si lega al dolore. Ne esce contorta. Secondo te chi è uscito da un campo di concentramento, tanto per portare un esempio, è in grado di vivere una vita normale. No. Può simulare. La maschera . In un romanzo di Isaac b. Singer, l'ebreo rifugiato a New York dopo aver passato mesi dentro un pagliaio per sfuggire ai nazi in Polonia, giunge a casa dopo una comunissima giornata di lavoro. Chiude la porta a chiave e con altri ordigni. Chiude anche quella del corridoio sempre con la chiave. Chiude quella del bagno e si mette nella vasca con la luce spenta. A questo punto pensa: “se arrivano ho ancora circa cinque minuti. Devono scardinare tre porte e poi capire che sono qui e col fatto che ho spento la luce forse ho guadagnato qualche attimo”.

Penso di avere reso l'idea.....

Se qualcuno non ha capito cos'è accaduto al Baudolino-Eco che tutti pensano di conoscere....che si sprema un po'. In fondo non è difficile.

Io mi inoltro nel suo libro sicuro che passerò dei momenti intensi.

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