sabato 26 gennaio 2019

REALTA' E ARTE


Da tempo ho le idee chiare sul rapporto arte realtà.
Spiego qual è secondo me il problema che da Zola in poi fa male alle arti….. Avete fatto caso che se sulla copertina di un libro o la locandina di un film si trova stampato "tratto da una storia vera" l'interesse di solito diventa maggiore che se la scritta non ci fosse? Io trovo sbagliata questa preferenza e ho cercato di meditarla. 
Poiché questa essa non mi attira, ho cercato di chiedere in giro e ho dedotto che i voli di fantasia sembrano a molte persone meno utili della trasposizione di un fatto realmente accaduto. Ma … e la "Metamorfosi" di Kafka o di Apuleio? e "Il Maestro e Margherita" di Bulgakov e "Il naso" di Gogol e "Sogni" di Kurosawa e "Alice nel paese delle Meraviglie" …? (e sappiamo che la lista di opere letterarie e cinematografiche potrebbe essere lunga ) che non utilizzano la realtà ma che stimiamo come capolavori allora … che senso hanno?

La risposta che mi sono dato è la seguente. 
l'artista del livello più alto, secondo me, "prende" immagini che gli sgorgano da dentro e che provengono da quel magma che rappresenta il nostro io totale. Una minima parte dell'io è consapevole, e quella si nutre di un tipo di ragionamento che definiamo razionale poiché ci serve per la vita quotidiana e per organizzare pensieri che mirano alla concretezza del fare. L'io totale ha invece un secondo linguaggio, quello simbolico, che può essere studiato e razionalizzato per poi essere usato da intellettuali che giocano a fare gli artisti … dico "che giocano" perché l'Artista , quello Vero, secondo me, potrebbe anche aver studiato i simboli e Jung e Neumann e alchimia ecc, ma "prende", per la sua opera, solo quel che spontaneamente sgorga dalla sua profondità in parte inconsapevole. L'Artista introduce nell'io completo i suoi studi che immagino essere frammenti di senso che poi si mescolano come in un crogiolo che raggiunge alte temperature con la sofferenza interiore. Le immagini non sono gestibili e una volta affiorate vengono, anzi, possono venir organizzate, in strutture altamente intellettuali come per esempio il tipo di rima usato da Dante per la Commedia. 
Il problema per il fruitore che si inoltra in un'opera che utilizza una dimensione diversa dalla realtà, è che dovrà fare i conti con l'incapacità di capire in modo razionale. L'opera che offre simboli di solito ma non sempre, viene intuita e questa parola per me ha un significato enorme. L'io completo, quindi con l'aggiunta di quella parte che "fa di testa sua" e che in modo simbolico ragiona e si esprime (vedi i sogni), un modo che precede la trasformazione del messaggio in una qualsiasi forma di linguaggio comunicabile, l'io completo dicevo, afferra la foresta di simboli o il simbolo unico e in modo non consapevole se ne impossessa. L'opera d'arte di questo tipo (e per me l'unica toccante) ci condiziona, ci cambia, ci fa crescere anche se il messaggio non è stato compreso dalla parte razionale nella quale, troppa gente dimentica, che il suo essere un io non si esaurisce.
L'opera con la dicitura "tratto da una storia vera", sembra più accessibile al fruitore prima di tutto per questo motivo ed egli aggiunge un alibi che non funziona, ovvero la sensazione che la conoscenza di un fatto reale potrebbe rinforzarlo nel caso che un evento simile capitasse anche a lui. 
Sembra quindi che l'invenzione pura, che invenzione non è perché l'artista "prende" del materiale che sgorga e del quale non è consapevole … possa essere definita un gioco, un lusso per pochi che non sarà utile a colui che deve costruire la quotidianità.
Fa eccezione la fantascienza che, nonostante abbia quasi conquistato il Nobel con Stanislaw Lem e con Philip K. Dick raggiunto vette notevolissime, prende a man bassa dalla fantasia e non esita anche a pescare nel magma dell'io completo. Perché alla fantascienza non è concesso ma è reso obbligatorio l'utilizzo di dimensioni immaginarie? perché si maschera di razionale e funge da fuga dalla realtà. Tutto qui. 
Un Bulgakov con "Cuore di cane" "Le uova fatali" e "il Maestro e Margherita" invece inquieta, ed è la medesima inquietudine che ci deriva dai sogni che troppo spesso, proprio a causa della loro irrealtà legata alla consapevolezza che da noi sono usciti … ci danno timore. Non inquieta la fantascienza perché esce dalla mente di un alto e ci fa comodo considerarlo border line come si fa con Dick, Ma l'immagine del "mostruoso insetto" che Kafka scrisse, sconvolse la sua epoca non meno di "Nella Colonia Penale" o il brevissimo "L'avvoltoio" che furono da lui personalmente letti in pubblico con esito assai particolare … gente che stava male, che usciva dalla sala sconvolta.
Accade ancora e non pensavo. Di recente in occasione di una mostra conferenza contro una delle tante guerre che infestano questa epoca di finta pace che Auden definì "l'età dell'ansia", di recente, mi chiesero di produrre qualcosa. Io scrivo, ma un'idea mi frullava intesta (più d'una) e mi son dato da fare. Ho rimediato tre peluche di Winnie the Pooh, uno grande e due più piccoli quasi identici, ho fatto fare una processione a ragazzi vestiti da soldati e tre ragazze giovanissime hanno portato con fatica le croci, vere massicce, pesanti. Seguivano in fondo al corteo tre ragazze con i peluche che ora i soldati prendevano e crocefiggevano. Dalle zampe colava sangue (ovviamente sugo di pomodoro). La scena ha avuto una durata di circa cinque minuti e molte persone son venute a cercare chi aveva avuto "quell'idea". Mi hanno detto che era troppo forte, che non si poteva fare una cosa simile! e io ho risposto che la guerra era molto peggiore e comunque la morte dell'infanzia che avevo rappresentato è secondo me una delle sue conseguenze più folli. Non me lo aspettavo. Da un pezzo l'arte non ha più l'obbligo di essere bella e non era certo bello quel che avevo mostrato come non son certo deliziose le incisioni "I disastri della guerra" che Goya produsse fra il 1810 e il 1820, ma indubbiamente sensate. E comunque ci fu una reazione secondo me spropositata.
Questa mi ha fatto meditare sulla fortuna dei film Horror. Quello spavento sappiamo che non ha a che fare con la realtà e per questo viene accettato, ma … la realtà, se giunge a noi attraverso i simboli … quella si che funziona.
Il surrealismo ha "giocato" in modo intellettuale con queste cose. Asserire che l'incontro su un tavolo operatorio di un ombrello con una macchina per cucire produce un senso anche se apparentemente non sembra, equivale a rendere razionale, quindi accessibile all'intellettuale una possibilità di "fantasia fantastica" che prima si poteva vedere solo e non sempre, coi messaggi criptici delle opere alchemiche, Giorgione, Balthus ecc i quali, mettendo insieme particolari che gli esclusi dalla congrega con possono capire, potrebbero provare indifferenza oppure il disagio che si riceve dai propri sogni. Esistono anche esempi stupidi … Dan Brown ne "Il codice da Vinci" fa commettere omicidi ad un albino. Egli gioca sulla rarità di questa condizione non diversamente di "Dracula" di Bram Stoker che fa accadere i fatti in Romania perché all'epoca essa era quasi un oriente misterioso. 
"Non si scrive (o dipinge o compone ecc) per dire qualcosa, lo si fa se si ha qualcosa da dire" scrisse Fitzgerald nei Taccuini … e aveva ragione. L'arte, quella vera, può rendere economicamente, ma non nasce nell'artista per questo. Egli si ritrova fra le mani della mente consapevole un'immagine che rappresenta un senso profondo e scriverla, "gettarla" nell'opera gli da la sensazione, ce ho scoperto essere momentanea, di liberarsi di quel malessere.
Se quel malessere è almeno parzialmente anche il nostro, è fatta. 
Tutto qui … e non è poco.
Se la sorgente delle idee è in noi e viene da una parte più vasta del nostro io consapevole, ci sta che Esiodo dia per certo che Non sue ma delle Muse siano quelle immagini e che queste altro non siano che aralde, messaggere che trasmettono quanto la Divinità vuole che si sappia … ma noi, nel ventunesimo secolo … sappiamo che non di Dio si tratta, ma di qualcosa che è in noi che non si controlla. Sofferenza e gioia non si controllano. La sofferenza produce l'opera, la gioia ci fa vivere, spendere la vita.
Deduco di conseguenza che il prendere idee dalla realtà può essere interessante perché vuol dire che esse hanno smosso il nostro io totale, ma se il prendere dalla realtà non segue questa via, diviene un'operazione parziale, che appartiene solo ad una fetta dell'io, di noi … e non m'interessa.
Attualmente la scritta "tratto da una storia vera" mi mette a disagio e mi allontana da un'opera. Mi ci vuole molto per tornare sui miei passi e almeno "assaggiare", ma purtroppo quel che sembra arte è solo operazione commerciale, e quasi sempre, anzi sempre, mi rintano disilluso in Kafka, Bugakov, Dick Lem ecc che invece con la vita e anche con l'opera hanno fatto tremendamente sul serio 

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