Animali in bronzo, belli
da volerli toccare, da non stancarti di guardarli, perché come i
cieli di Turner non erano frutto del caso, ma scelti da un'artista,
li vidi al Bargello ed ero un ragazzino. Spesso andai a trovarli
negli anni seguenti. La meta prima era un viso di donna, anzi di
ragazza, candido, di Luca della Robbia. L'ideale femminile che
spesso, deluso dalla realtà, raggiungevo e contemplavo nella sala
grande, luminosa, riflettente l'eco di pochi passi, che anni fa quel
museo non era visitato come oggi.
Il viso sparì. Ce l'ho
comunque in me, e agli animaletti del Giambologna
mi ritrovai a
preferire quelle di Rembrandt Bugatti. Sapevo poco della sua vita.
Fratello del celebre “inventore” di automobili capolavoro come la
Atlantic, fratello di Carlo, inventore di mobili troppo speziati per
il mio gusto, figlio di un padre che era assai originale eccetera, ma
non mi sono mai interessato oltre e queste notizie di fatto, erano
passivamente entrate in me vuoi per un amico fissato e collezionista
di auto rare o un altro che aveva rimediato abbastanza pezzi da
organizzare un minuscolo salottino autentico che venerava e non
usava. Solo ora, leggendo il libro di Franzosini, “Questa vita
tuttavia mi pesa molto”, ho compreso come mai non mi interessai
alla vita dei questo bronzista con un nome pesantissimo ….
Rembrandt.
Se il pittore
celebrissimo, la stampa dei cento fiorini l'ho osservata con la lente
spesso e i suoi autoritratti sono dei gioielli …. se il pittore,
con la sua fama e la sua carnalità gioiosa lo abbia condizionato
all'inizio dell'esistenza, quando così lo chiamavano ed iniziava a
comprendere che avrebbe percorso la medesima via, allora ecco che
scegliere una “via” opposta, senza carne, rappresentare le ali ma
non l'angelo, divenne il suo tratto distintivo. I suoi animali di
bronzo … non ho aggettivi. Mi capitava di sapere che un antiquario
ne aveva uno e facevo un viaggio. Venivo lisciato come un futuro
cliente ma io guardavo solo e non sopporto il possesso in arte, mi
sembra assurdo. Del Giambologna il ricordo svanì. Ora vado al
Bargello per Michelangelo e il tacchino
lo trovo bello, ma non
sublime. Questo aggettivo che non so spiegare lo metto tutto
negli animali di Rembrandt Bugatti. Mi bastava guardarli, di lui,
dell'uomo, dell'artefice che li aveva fatti, mi dimenticavo. Esisteva
davanti a me, colata nel bronzo, un'animalità al di là del bene e
del male, qualcosa che rappresenta si per esempio la pantera, ma va
oltre essa, oltre la sua figura, e nel frattempo le somiglia in un
modo così forte da comprendere che mai prima di aver visto quelle
opere, mi ero soffermato veramente sulla pumità, sull'aura che quel
corpo ha e che non si esaurisce nella usuale meraviglia che si
consuma come paglia al fuoco, dello stupore di una novità.
Attualmente tutto viene sfiorato con lo sguardo. C'è una tigre?
Vediamola! E si consuma un rito più per avere un argomento da bar e
da salotto che per cercare di capirci qualcosa ... in questa
esistenza. E Rembrandt Bugatti, scopro dal libro di Franzosini, li
osservava per ore, per giorni. Ogni dettaglio del reale si sommava,
diveniva la polpa concreta di una misura spirituale … di quel
sublime che riveste il corpo di quegli animali. Un'opera mi colpì.
Una ragazza nuda che solleva un gatto. Mi sorprese il fatto che il
corpo di lei, aggraziato, non lo percepivo come sensuale. Era
semplicemente gradevole e nel sollevare il micio esprimeva una
serenità che non si banalizzava nella contentezza che è
soddisfacimento dei sensi. C'è chi accarezza un gatto perché è
liscio, c'è chi lo accarezza perché in esso è racchiuso, ma con
altra forma, il mistero dell'esistere.
Non sapevo che Rembrandt
Bugatti si era suicidato. Non sapevo come, non sapevo perché … e
mi sono commosso. Quando ho chiuso il libretto di Franzosini (115
pagine di un tascabile ma non si legge in un soffio...), ho preparato
da mangiare al cane, e sono andato avanti e indietro per casa come
smarrito. Il corpo si muoveva, scaricava l'emozione che io non sapevo
gestire.
Se nella parentesi ho
scritto che il libro è breve ma non si legge in un soffio è perché,
citando un autore, Borges, che Franzosini stima moltissimo (e
anch'io) la sua semplicità non è semplice, che questo è il tratto
caratteristico della banalità. La vera semplicità in arte, cela in
sé una segreta complessità, per questo ci si inoltra in quelle
pagine piano piano. Si soppesa tutto e tutto sembra leggero ma poi,
con il momento dell'eccidio di Anversa, il peso si fa, almeno per me
insopportabile.
Un altro autore ha toccato
questo argomento, la strage degli animali, come segno di assoluta
abiezione umana. Andrej Tarkovskij, scrisse “Andrej Rublev”. Di
solito si conosce il film, veramente un buon film, ma il libro …
ecco, il libro secondo me è ancora migliore. Per chi fosse curioso
dico che è un Garzanti non recente. Compresi allora che Tarkovskij
era più capace con la penna che con la macchina da presa e Tonino,
Tonino Guerra, alla mia domanda “perché fece film visto che il suo
talento era la poesia?”, rispose … “per non essere paragonato
al padre dai critici. Amava suo padre e trovava volgare questi
confronti che l'intelligenza si sente in dovere di fare”. Me lo
confermò la Achmadulina, quando le dissi che secondo me Tarkovskij
era sommamente poeta. Ma torniamo al libro “Andrej Rublev”. Per
farla breve, il fratello del signore di un certo territorio, sconfina
con i suoi uomini armati, nei territori che invidia e vorrebbe. Fa
strage di cigni e ricordo, spesso mi appare improvvisamente questa
immagine, il mucchio di cigni bianchi e in cima l'ultimo che sta
morendo e muove l'ala esanime.
Il senso delle due scene è
il medesimo. Tarkovskij ci descrive il massimo dell'orrore insensato
con la distruzione di animali che rappresentano per noi quasi un
archetipo di bellezza e col loro biancore spesso lancinante, di
purezza.
Franzosini sa che
Rembrandt era presente ad Anversa quando, durante la prima guerra
mondiale, il Belgio, per far fronte all'avanzata dell'esercito di
Guglielmo secondo, dette ordine di far abbattere tutti gli animali
dello zoo.
Se la coerenza, ci fa comprendere che era necessario farli
fuori, la sensibilità esplode, almeno in me, e Franzosini ha
probabilmente colto nel segno immaginando che Rembrandt, certo non
entusiasta dell'umanità, davanti a quella strage degli innocenti, e
poi al suo seguente servizio volontario come barelliere, che gli ha
mostrato la follia umana senza veli o attenuanti, ha immaginato, che
Rembrandt si sia disgregato. Il “viaggio” verso Dio, che non
soddisfa, la bella immagine dell'ultima opera che tenta di
realizzare, un crocefisso enorme, e quella fine, sensata, se sei così
profondamente diverso e quindi profondamente irrimediabilmente solo.
Come ho “incontrato” i
libri di Edgardo Franzosini.
In un mercatino dell'usato
trovo “Raymond Isidore e la sua cattedrale”. Prezzo di un caffè.
Ok, accetto il rischio che sta nei soldi che in questo caso quasi si
azzera e nell'eventualità di buttare via il capitale più prezioso,
il tempo. Non stimo la casa Editrice Adelphi quando fruga nel
contemporaneo. Quindi la mia diffidenza non era poca. Ammetto che
molto mi ha aiutato Raymond Isidore che mi fa sorridere e stimo come
artista. Male che vada ci guadagno con qualche notiziola interessante
anche se all'inizio mi sembra di aver a che fare con un racconto
lungo. Temo chi in questa epoca inventa. Raccontare è una misura
meno rischiosa e seminare la sensazione che si tratti di fatti reali
sembra sia un ingrediente fondamentale … e per me che leggo “Il
cacciatore Gracco” due volte all'anno … quest'epoca, non solo per
questo, va strettina... Questi i ragionamenti, gli ostacoli fra me e
il testo, ma comunque iniziai a leggere.
Colto, non lo nasconde ma
non capisco se lo ostenta. La mia diffidenza vede nero ovunque ed è
colpa di Calasso che ho già decapitato in un altro saggio.
Stima Borges e mi sembra
che un poco lo emuli, ma di fatto lo scritto, lo ammetto, mi piace
anche se non ho ancora messo a tacere tutte le mie remore. Vado
comunque in libreria e chiedo “datemi quel che avete di
Franzosini!” e così leggo “Sotto il nome del cardinale” mentre
“Questa vita tuttavia mi pesa troppo” è stato ordinato.
Il libro del cardinale....
diffidente come sempre, lo trovo all'inizio troppo strutturato,
troppo un saggio che non capisco dove vuole portarmi se non ad una
erudizione fine a se stessa … e poi qualcosa in me cede. Davanti
alle lettere di Giuseppe Ripamonti che spiegano senza possibilità di
errore cosa fece il cardinal Federico Borromeo … beh, indignato
come un cliente del bar sport quando la sua squadra subisce un rigore
inesistente, ho mangiato il libretto rapidamente e la notte medesima
mi sono immaginato a distruggere con la lima la statua di questo
enorme ladro delle capacità altrui. L'ho sognato davvero, non
scherzo, e ho immaginato che venisse messa al suo posto una statua
del Ripamonti seduto finalmente sorridente fra tutti i “suoi”
libri in elegante latinorum.
A questo punto ero
liberato da sospetti e timori di buttare via il tempo e quando è
arrivato in libreria “Questa vita tuttavia mi pesa molto”, mi son
buttato.
Lettura lenta ho detto,
anche perché serve spesso il vocabolario. Mi spiego. Ad ogni nome
che conosco poco o nulla vado su internet e mi informo; ad un'opera
citata, digito e scopro o riconosco. Questo rallenta ma perfeziona.
Non servono più le note nei libri e nemmeno una parte di immagini,
basterebbe, e lo consiglio a Franzosini e non solo, di aprire un sito
per esempio col titolo del libro, per accedere immediatamente
all'immagine della scultura di Kathleen Kahn che ritrae lo scultore,
o a quella di Walter Vaes che come la precedente non ho trovato. La
mia ricerca è stata incompleta, alcune fami insaziate, e spero che
l'editoria comprenda che serve quasi sempre allegare un sito per note
ed
immagini.
Ora comunque, fra gli
autori italiani che meritano di essere letti ne ho aggiunto un altro
e in libreria ho ordinato le altre due cosine che spero siano
reperibili.
E' un peccato anche che
escano libri degni di essere ricordati (altra citazione da Borges ….
la bellezza oggi è comune...) e che la pubblicità, che ci rifila
pannolini e pannoloni ad ore pasti ecc, non abbia spazio. Ma non è
possibile che nelle tivù di stato si possano promuovere a costo
zero? Almeno il furto del canone, per alcuni centesimi acquisirebbe
un senso....
Amen
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