domenica 5 marzo 2017

Edgardo Franzosini: "Questa vita tuttavia mi pesa molto"



Animali in bronzo, belli da volerli toccare, da non stancarti di guardarli, perché come i cieli di Turner non erano frutto del caso, ma scelti da un'artista, li vidi al Bargello ed ero un ragazzino. Spesso andai a trovarli negli anni seguenti. La meta prima era un viso di donna, anzi di ragazza, candido, di Luca della Robbia. L'ideale femminile che spesso, deluso dalla realtà, raggiungevo e contemplavo nella sala grande, luminosa, riflettente l'eco di pochi passi, che anni fa quel museo non era visitato come oggi.
Il viso sparì. Ce l'ho comunque in me, e agli animaletti del Giambologna



mi ritrovai a preferire quelle di Rembrandt Bugatti. Sapevo poco della sua vita. Fratello del celebre “inventore” di automobili capolavoro come la Atlantic, fratello di Carlo, inventore di mobili troppo speziati per il mio gusto, figlio di un padre che era assai originale eccetera, ma non mi sono mai interessato oltre e queste notizie di fatto, erano passivamente entrate in me vuoi per un amico fissato e collezionista di auto rare o un altro che aveva rimediato abbastanza pezzi da organizzare un minuscolo salottino autentico che venerava e non usava. Solo ora, leggendo il libro di Franzosini, “Questa vita tuttavia mi pesa molto”, ho compreso come mai non mi interessai alla vita dei questo bronzista con un nome pesantissimo …. Rembrandt.
Se il pittore celebrissimo, la stampa dei cento fiorini l'ho osservata con la lente spesso e i suoi autoritratti sono dei gioielli …. se il pittore, con la sua fama e la sua carnalità gioiosa lo abbia condizionato all'inizio dell'esistenza, quando così lo chiamavano ed iniziava a comprendere che avrebbe percorso la medesima via, allora ecco che scegliere una “via” opposta, senza carne, rappresentare le ali ma non l'angelo, divenne il suo tratto distintivo. I suoi animali di bronzo … non ho aggettivi. Mi capitava di sapere che un antiquario ne aveva uno e facevo un viaggio. Venivo lisciato come un futuro cliente ma io guardavo solo e non sopporto il possesso in arte, mi sembra assurdo. Del Giambologna il ricordo svanì. Ora vado al Bargello per Michelangelo e il tacchino



lo trovo bello, ma non sublime. Questo aggettivo che non so spiegare lo metto tutto negli animali di Rembrandt Bugatti. Mi bastava guardarli, di lui, dell'uomo, dell'artefice che li aveva fatti, mi dimenticavo. Esisteva davanti a me, colata nel bronzo, un'animalità al di là del bene e del male, qualcosa che rappresenta si per esempio la pantera, ma va oltre essa, oltre la sua figura, e nel frattempo le somiglia in un modo così forte da comprendere che mai prima di aver visto quelle opere, mi ero soffermato veramente sulla pumità, sull'aura che quel corpo ha e che non si esaurisce nella usuale meraviglia che si consuma come paglia al fuoco, dello stupore di una novità. Attualmente tutto viene sfiorato con lo sguardo. C'è una tigre? Vediamola! E si consuma un rito più per avere un argomento da bar e da salotto che per cercare di capirci qualcosa ... in questa esistenza. E Rembrandt Bugatti, scopro dal libro di Franzosini, li osservava per ore, per giorni. Ogni dettaglio del reale si sommava, diveniva la polpa concreta di una misura spirituale … di quel sublime che riveste il corpo di quegli animali. Un'opera mi colpì.



Una ragazza nuda che solleva un gatto. Mi sorprese il fatto che il corpo di lei, aggraziato, non lo percepivo come sensuale. Era semplicemente gradevole e nel sollevare il micio esprimeva una serenità che non si banalizzava nella contentezza che è soddisfacimento dei sensi. C'è chi accarezza un gatto perché è liscio, c'è chi lo accarezza perché in esso è racchiuso, ma con altra forma, il mistero dell'esistere.


Non sapevo che Rembrandt Bugatti si era suicidato. Non sapevo come, non sapevo perché … e mi sono commosso. Quando ho chiuso il libretto di Franzosini (115 pagine di un tascabile ma non si legge in un soffio...), ho preparato da mangiare al cane, e sono andato avanti e indietro per casa come smarrito. Il corpo si muoveva, scaricava l'emozione che io non sapevo gestire.


Se nella parentesi ho scritto che il libro è breve ma non si legge in un soffio è perché, citando un autore, Borges, che Franzosini stima moltissimo (e anch'io) la sua semplicità non è semplice, che questo è il tratto caratteristico della banalità. La vera semplicità in arte, cela in sé una segreta complessità, per questo ci si inoltra in quelle pagine piano piano. Si soppesa tutto e tutto sembra leggero ma poi, con il momento dell'eccidio di Anversa, il peso si fa, almeno per me insopportabile.
Un altro autore ha toccato questo argomento, la strage degli animali, come segno di assoluta abiezione umana. Andrej Tarkovskij, scrisse “Andrej Rublev”. Di solito si conosce il film, veramente un buon film, ma il libro … ecco, il libro secondo me è ancora migliore. Per chi fosse curioso dico che è un Garzanti non recente. Compresi allora che Tarkovskij era più capace con la penna che con la macchina da presa e Tonino, Tonino Guerra, alla mia domanda “perché fece film visto che il suo talento era la poesia?”, rispose … “per non essere paragonato al padre dai critici. Amava suo padre e trovava volgare questi confronti che l'intelligenza si sente in dovere di fare”. Me lo confermò la Achmadulina, quando le dissi che secondo me Tarkovskij era sommamente poeta. Ma torniamo al libro “Andrej Rublev”. Per farla breve, il fratello del signore di un certo territorio, sconfina con i suoi uomini armati, nei territori che invidia e vorrebbe. Fa strage di cigni e ricordo, spesso mi appare improvvisamente questa immagine, il mucchio di cigni bianchi e in cima l'ultimo che sta morendo e muove l'ala esanime.
Il senso delle due scene è il medesimo. Tarkovskij ci descrive il massimo dell'orrore insensato con la distruzione di animali che rappresentano per noi quasi un archetipo di bellezza e col loro biancore spesso lancinante, di purezza.
Franzosini sa che Rembrandt era presente ad Anversa quando, durante la prima guerra mondiale, il Belgio, per far fronte all'avanzata dell'esercito di Guglielmo secondo, dette ordine di far abbattere tutti gli animali dello zoo.



Se la coerenza, ci fa comprendere che era necessario farli fuori, la sensibilità esplode, almeno in me, e Franzosini ha probabilmente colto nel segno immaginando che Rembrandt, certo non entusiasta dell'umanità, davanti a quella strage degli innocenti, e poi al suo seguente servizio volontario come barelliere, che gli ha mostrato la follia umana senza veli o attenuanti, ha immaginato, che Rembrandt si sia disgregato. Il “viaggio” verso Dio, che non soddisfa, la bella immagine dell'ultima opera che tenta di realizzare, un crocefisso enorme, e quella fine, sensata, se sei così profondamente diverso e quindi profondamente irrimediabilmente solo.

Come ho “incontrato” i libri di Edgardo Franzosini.
In un mercatino dell'usato trovo “Raymond Isidore e la sua cattedrale”. Prezzo di un caffè. Ok, accetto il rischio che sta nei soldi che in questo caso quasi si azzera e nell'eventualità di buttare via il capitale più prezioso, il tempo. Non stimo la casa Editrice Adelphi quando fruga nel contemporaneo. Quindi la mia diffidenza non era poca. Ammetto che molto mi ha aiutato Raymond Isidore che mi fa sorridere e stimo come artista. Male che vada ci guadagno con qualche notiziola interessante anche se all'inizio mi sembra di aver a che fare con un racconto lungo. Temo chi in questa epoca inventa. Raccontare è una misura meno rischiosa e seminare la sensazione che si tratti di fatti reali sembra sia un ingrediente fondamentale … e per me che leggo “Il cacciatore Gracco” due volte all'anno … quest'epoca, non solo per questo, va strettina... Questi i ragionamenti, gli ostacoli fra me e il testo, ma comunque iniziai a leggere.
Colto, non lo nasconde ma non capisco se lo ostenta. La mia diffidenza vede nero ovunque ed è colpa di Calasso che ho già decapitato in un altro saggio.
Stima Borges e mi sembra che un poco lo emuli, ma di fatto lo scritto, lo ammetto, mi piace anche se non ho ancora messo a tacere tutte le mie remore. Vado comunque in libreria e chiedo “datemi quel che avete di Franzosini!” e così leggo “Sotto il nome del cardinale” mentre “Questa vita tuttavia mi pesa troppo” è stato ordinato.
Il libro del cardinale.... diffidente come sempre, lo trovo all'inizio troppo strutturato, troppo un saggio che non capisco dove vuole portarmi se non ad una erudizione fine a se stessa … e poi qualcosa in me cede. Davanti alle lettere di Giuseppe Ripamonti che spiegano senza possibilità di errore cosa fece il cardinal Federico Borromeo … beh, indignato come un cliente del bar sport quando la sua squadra subisce un rigore inesistente, ho mangiato il libretto rapidamente e la notte medesima mi sono immaginato a distruggere con la lima la statua di questo enorme ladro delle capacità altrui. L'ho sognato davvero, non scherzo, e ho immaginato che venisse messa al suo posto una statua del Ripamonti seduto finalmente sorridente fra tutti i “suoi” libri in elegante latinorum.
A questo punto ero liberato da sospetti e timori di buttare via il tempo e quando è arrivato in libreria “Questa vita tuttavia mi pesa molto”, mi son buttato.
Lettura lenta ho detto, anche perché serve spesso il vocabolario. Mi spiego. Ad ogni nome che conosco poco o nulla vado su internet e mi informo; ad un'opera citata, digito e scopro o riconosco. Questo rallenta ma perfeziona. Non servono più le note nei libri e nemmeno una parte di immagini, basterebbe, e lo consiglio a Franzosini e non solo, di aprire un sito per esempio col titolo del libro, per accedere immediatamente all'immagine della scultura di Kathleen Kahn che ritrae lo scultore, o a quella di Walter Vaes che come la precedente non ho trovato. La mia ricerca è stata incompleta, alcune fami insaziate, e spero che l'editoria comprenda che serve quasi sempre allegare un sito per note ed
immagini.




Ora comunque, fra gli autori italiani che meritano di essere letti ne ho aggiunto un altro e in libreria ho ordinato le altre due cosine che spero siano reperibili.

E' un peccato anche che escano libri degni di essere ricordati (altra citazione da Borges …. la bellezza oggi è comune...) e che la pubblicità, che ci rifila pannolini e pannoloni ad ore pasti ecc, non abbia spazio. Ma non è possibile che nelle tivù di stato si possano promuovere a costo zero? Almeno il furto del canone, per alcuni centesimi acquisirebbe un senso....

Amen

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