mercoledì 10 luglio 2013

Simenon: "L'ombra cinese"



(Testo commestibile a chi ha già letto il libro..."

Veniamo subito al finale. L'ossessione del denaro che distrugge irrimediabilmente due vite, quella del figlio e del marito, e gravemente quella del secondo marito. L'ossessione del denaro che rende una donna degna della clinica psichiatrica.

Abbiamo un uomo che desidera diventare ricco e le prova, onestamente tutte. Anni di gavetta e poi riesce. È il signor Couchet che viene trovato assassinato.

Quel che distrugge la naturalità dell'esistenza di molte persone è una donna, in questo caso, con l'ossessione della ricchezza che le è dovuta, non da guadagnare con impegno. Il primo marito tenta e ritenta. Le lo osteggia perché non riesce. Lo pianta per un dipendente statale che presenta un vantaggio, quando morirà lascerà a lei la dignità di una pensione. Ma accade l'imprevisto. Il primo marito diventa veramente milionario. Sposa un'altra e con rancore non vuole avere a che fare col la prima moglie. Ma c'è un figlio che vivacchia, stritolato dalla personalità della madre secondo quale certe cose son dovute e basta. Fra padre e figlio il legame non decolla. Il figlio si droga con l'etere e vive, se vita è, in un modo tristissimo, senza meta. Di lui, anzi, della sua stanza, dice Maigret: “L'Atmosfera della camera, con quel disordine, con quell'odore dolciastro, con quei due esseri senza spina dorsale, era come la quintessenza di un mondo ormai privo di illusioni.”

una descrizione semplice, perfetta, terribile.

Che squallore! Uno squallore tale da far passare la voglia di vivere su questa terra, dove nondimeno il sole brilla per diverse ore al giorno e gli uccelli volano liberi!”

La sensorialità con la quale Maigret/Simenon studia gli ambienti è eccellente. L'odore della resa, della sconfitta, dell'esistenza senza senso di questo figlio che si droga con la fidanzatina che vive di espedienti.

C'era un'atmosfera indefinibile. Non un'atmosfera da tragedia. Era qualcosa di diverso, qualcosa che stringeva il cuore. Forse per via di quella sregolatezza senza poesia...”

Dove non c'è poesia, io vedo morte … e dopo poco quel figlio di una “casa scoppiata”, come direbbe Enzo Siciliano, si getterà dalla finestra. Maigret ha intuito e gli ha chiesto l'arma. L'ha avuta con un sorriso, perchè chi non ha poesia, chi non ha speranza, o uccide o si uccide, due forme di morte che in fondo non sono così differenti come può sembrare, poiché ambedue sanciscono l'uscita dalla società. È vero che esiste anche l'uccidere come concretizzazione di un potere bestiale, ma non è il caso di questo Martin senior che ha compreso che il padre è stato ucciso dalla madre e che, a causa della sua vita, senza poesia, senza meta, lui è il primo indiziato.

La lezione di Maigret/Simenon è forte. Un pugno nello stomaco. Una famiglia distrutta dalla mania della ricchezza di uno dei suoi componenti. La sua ossessione riversata sul secondo marito. Dipendente all'anagrafe da trentadue anni. Semplice, tranquillo, onesto. Un uomo che ha passato gli anni di quel disgraziato matrimonio a calmare una moglie incontentabile che ora criticava perché lui non faceva carriera. Sempre gli altri che devono devono e devono. E quel povero marito spinto da lei al furto, ma perdonato dal sommo dio della giustizia naturale.

Siamo alle solite. La giustizia umana lo condannerebbe, il signor Martin, per furto, ma per Maigret, che vede più lontano di un codice, quella persona martoriata da anni di insulti, è una vittima e rimarrà a casa, nella casa ormai e finalmente vuota di quella donna che è impazzita dietro al suo delirio costellato di cadaveri.

È curioso quel finale. Sento due destini sospesi, quello della amante di Couchet, la sua terza donna, Nine Moinard, e questo signor martin così provato dal delirio vessatorio della moglie.

Io penso che, davanti al dramma del suicidio di quel figlio, Maigret si sia bruciato le ali come una farfalla bellissima che si è trovata disorientata dal tunnel della notte e ha confuso il sole caldo per una candela di fiamma.

C'è tutto il suo destino. La seconda moglie stronzissima e probabilmente malata come quella di questo libretto, la figlia di Simenon, tristemente suicida. Il crollo di un uomo, perché Simenon era un uomo, e la disperazione. Si leggano le “Memorie intime”. Io spesso interrompevo e andavo a passeggiare col cuore stritolato in mano, il suo, e lo guardavo allibito. Quel libro, le “Memorie intime”, è tremendo, tremendo perché non c'è invenzione, sai che è vero. Sai che veramente le ceneri di quella figlia erano nel giardino, oltre la finestra di un padre angosciato che si sentiva in colpa per non aver capito che razza di assurdità era quella seconda moglie.

Dicevo che Simenon si è bruciato davanti al fatto che la trama sia deragliata in un suicidio. Lui non progettava questi gialli che servivano per fare tornare c conti della serva. Iniziava da uno spunto e poi si lasciava andare. Ma quell'argomento, che la storia del Mondo già sapeva che avrebbe toccato il suo destino, quell'argomento, ha deragliato secondo me la trama, che immagino attenta ad un incontro fra la amante Nine e il signor Martin, perché per la prima volta i due sani della storia son lasciati a se stessi dalla divinità famigliare che l'inconscio di Simenon ha creato. Inconscio che sa più di noi e era consapevole di avere toccato un futuro dolore? È possibile, poiché la vita è un mistero che non si spegne in un grumo di intelligenza governata da cinque incertissimi sensi …

E ora osserviamo questa frase. Una delle donne della trama sta osservando Maigret.

Quell'uomo robusto dalle spalle larghe e dal collo tozzo che la guardava con occhi ingenui, quasi inespressivi, la intimoriva.”

Non “sentite” qualcosa della divinità? Socrate era uno strano essere. Su una cosa si è certi. Era bello dentro, ma fuori faceva concorrenza a Mastella.

Questa descrizione, se l'immagine corrispondente la si dovesse inventare, senza pensare agli attori che hanno interpretato quei ruoli … mi sembra un Buddha sornione. Spesso leggiamo di Maigret che sembra che abbia gli occhi chiusi, immerso in una immobilità che ha molto dell'assenza, almeno con la mente.

Se dovessi fare una regia, immaginerei un essere con un corpo sgraziato, goffo, grosso, che acquisisce fascino solo con lo sguardo e la parola.

La sua impenetrabilità, la sua capacità di comprendere della vita, delle situazioni, sempre più di chiunque altro, rappresenta una situazione simile, ma questa volta positiva, di quella creata da Robert Harris per il suo “Silenzio degli innocenti”.

Il dialogo con la dottoressa/poliziotta, quando si parla di agnelli sgozzati. L'abilità di questo essere cannibale, superiore a quella di qualsiasi altro umano … qualcosa, un'aura di divinità. Non viene ucciso. È vivo e temuto, nella sua stanza in galera, super controllata. Ferocia pura. Intelligenza in negativo. E Maigret? Un essere che va oltre gli uomini e che spesso si incarica di plasmare destini e non solo di sbattere qualcuno in galera. In un certo senso il super eroe normale. Non ha poteri come la forza o il volo. Apparentemente ti somiglia e in più è grosso e tozzo, ed è infinitamente positivo, nel suo tentativo di portare il destino dell'uomo alla legge di natura e non a quella del codice.

Sera del due giugno 1932. A Cleveland tre uomini entrano in un negozio di abbigliamento dell'ebreo Mitchell Siegel e portano via dei vestiti. Lui si accascia e le versioni sono due. Infarto per lo spavento oppure un colpo di pistola che qualcuno dice di aver sentito. Nel gennaio del '33, il figlio di questo signore, Jerry Siegel, sul giornaletto della scuola, “il regno di Super Man”, la storia di un cattivo tremendo. Nel 1938 Superman diventa l'eroe positivo che conosciamo, baciato dalla fama negli anni quaranta.

Vedete cosa fa il destino? Il dolore è vicino, troppo vicino, si vede nero ed ecco che l'assassino del padre diventa il mostro universale. Si cresce, la vita cerca di riguadagnare la stima e può accadere che il mostro subisca una metamorfosi...

Ecco, io penso che Maigret sia il super eroe di Simenon. Quell'essere che riscatta ciò che è giusto secondo una legge non solo umana, quella legge che aveva condannato il nonno al tracollo economico. Curioso è che, una volta famoso, Simenon, in una cena ufficiale alla sua città natale, si ritrovò a tavola con gli eredi di colui che aveva attuato quella rovinosa giustizia che ridusse la sua infanzia all'osso.

Potrebbe essere solo una mia fantasia, ma penso a Maigret come un supereroe dotato del solo potere di comprendere le situazioni. Non è poco. Non sarebbe poco nemmeno oggi e così questa lettura si fa positiva, accogliente, con l'unico fuoco nero del suicidio al quale la vitale mente di Simenon, non sa opporre resistenza.

Mi permetto un ultimo omaggio, negativo, al signor Antonio Scurati. In un suo articolo uscito su “La stampa” il 18 giugno del 2013, corrente anno, campeggia il seguente titolo: “Simenon, L'enciclopedia della gente modesta”.

Niente di più sbagliato. Nell'opera di Simenon ci sono tutti, i milionari, i nobili e i poveretti. Non bastasse che l'articolo è una lieta farcitura dell'ovvio che indubbiamente può far colpo dalla parrucchiera o al Bar Sport, ma far passare per populista Un autore che guarda tutti indistintamente negli occhi....!

Ricordo tanti anni fa, una professoressa che insisteva col dirmi che fra' Cristoforo era un populista! Ero piccolo ma indignato. Mi consegnò uno scritto di un certo Carlo Salinari che lo dichiarava e ci misi poco a dar del cretino a lei e a questo figlio di operai del sale. Anni dopo a Fano, casualmente, in libreria, incontro due persone canute che avevano conosciuto La Capria, Soldati, e nel mazzo mettono anche questo Carlo Salinari. Racconto il fatto e sorridono, confabulano e poi mi confidano che lo scrisse e lo disse nel secondo dopoguerra per tener buoni coloro che assegnavano le cattedre, ma quando la ebbe si rimangiò quell'assurdità spiegando che lo fece per sopravvivere … Ora. Scurati secondo me arriva a certe conclusioni non per sopravvivenza. Lui non ha tempo per fare sul serio. Troppi impegni, come ho già narrato per Daverio, che è arrivato al punto di definire “ideale femminile” una donna-mostro di Balthus.

Ci vuole tempo. Si legge, si lascia depositare, si rilegge, e si fa portare via il superfluo dalla corrente della quotidianità. Quel che rimane, filtrato così dal tempo, è oro. Con la fretta …. stavo per dire una bella volgarità .... Scurati. Ci siam capiti? Rallenta. Così avrai il successo e non la fama.....


















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