(Questo scritto è "commestibile" solo per chi ha già letto il libro....)
Per forse più di un mese,
non ho scritto per il blog. Ormai i lettori non son più una esigua
schiera ma non mi sento un traditore. Nulla è dovuto, e si dona solo
quando ci son le condizioni per farlo. A me serve, per scrivere cose
che ambiscono alla letteratura, una condizione che non so spiegare. È
un momento che matura e chiede di essere vissuto intensamente,
scrivere per me non è, se non in un secondo tempo, spesso distante
mesi, un'azione razionale. Una parte di me che la civiltà ha
addomesticato, pian piano scioglie tutte le briglie e quando “sente”
di essere nella condizione di libertà che è la sua aria, si esprime
usandomi ne più ne meno di come faccio io con quell'oggetto inerte
che chiamiamo penna. Potrebbe trattarsi di conati ambiziosi. Il
destino di quelle parole, qualunque esso sia, eternità o oblio, non
mi riguarda. Per quelle pagine non esiste la lotta della
quotidianità. Esse semplicemente esistono. Non vivono ma saranno
forse vissute.
A me preme dell'altro:
vivere se è possibile e quando mi rimane quell'attesa che sembra
oblio, che annulla il tempo, vivo le vite degli altri; lo faccio
leggendo.
In questo periodo la
lettura è stata piacevole e soddisfacente. Per me non si tratta,
mai, di un gioco. Ricordate Fitzgerald …. non si scrive per dire
qualcosa. Lo si fa solo se si ha qualcosa da dire. Non m'interessa la
lettura che diverte e fa passare il tempo, in fondo come le parole
crociate e i rebus che in fondo danno ai poveri di mente, la
sensazione di mantenere allenato il cervello … immaginate una
persona che percorre sempre lo stesso sentiero di montagna. Allena le
gambe … il paesaggio cambia in grazia delle stagioni e delle
nuvole, come il contenuto delle parole crociate che cambian
indovinelli ma sempre a quel tipo di intelligenza, a quel sentiero,
che si chiama nozione, appartengono.
Per me leggere è scoprire
quel che aveva da dire chi ha scritto. Chi lo fa per vendere, quindi
per arricchirsi, lo odio per questa sua disonestà verso il tempo
degli altri e per la finzione che mette in atto. Ultimamente in testa
a questa in grata graduatoria brilla di fetore Paolo Coelho. Ho letto
“Il diavolo e la signorina Prym” e “L'alchimista”. Tanto
misticismo da barbiere, diavoli, angeli custodi antichi re biblici,
venti che parlano, e il sole e chi più ne ha più ne metta e accade
che alla fine il premio non ha nulla di mistico. Soldi, tanti soldi.
Una banalità meravigliosa. Frasi belle. Ogni personaggio dice cose
celebri, che sembra meritino la nostra eterna memoria … un po' come
i personaggi di Sylvester Stallone …
amen.
Ho letto poi Paul Auster,
Murakami Haruki, anna Fine, riletto Simenon, Trilussa, Vecchioni,
Meldini, Philip Roth, Primo Levi, Ortese, Michela Murgia e mi son
fermato solo ora con due mucchi: la “roba” da eliminare e quelle
che merita di essere ricordata e forse anche amata.
Il più profondo
sicuramente Christopher Isherwood con “Un uomo solo”.
Ma mi piace riprendere la
scrittura con Simenon e il commissario Maigret perchè mi son
incarognito nel tentativo, secondo me ormai riuscito, di comprendere
la sua anima. Quando dico anima intendo qualcosa di molto più
semplice e possibile di quel che non si possa immaginare. Si tratta
della somma di conscio e inconscio. Questo io solo pe pochissimi
artisti è completamente consapevole. Kafka forse fu colui che portò
il peso enorme di questa totale visione interiore di sé, meglio di
ogni altro. Fitzgerald, Melville Bulgakov che stimo immensamente
erano un io nel mondo. Nabokov e Kafka un io allo specchio. Niente di
più difficile, poiché con se stessi si è troppo spesso, quasi
sempre e inavvertittamente, indulgenti. Isherwood e Coetzee, son i
due autori recenti che più hanno avuto “il coraggio dello
specchio”. E i loro capolavori sono, secondo me appunto “Un uomo
solo” per il primo e “Vergogna” per il secondo, raro caso di
nobel recente dato a un artista meritevole e, fatemela dire una
cattiveria …. essendo uno dei rarissimi azzeccati in mezzo secolo
(aggiungo Singer, Bellow e Marquez ), direi che sia stato il caso ad
aiutare i giurati e non l'ingegno ….
Veniamo a Simenon e quella
sua ottima creatura che è il commissario Maigret. Nel blog si
troveranno spiegazioni della mia teoria e l'applicazione di essa su
alcuni testi. Primo riferimento “Maigret e il barbone”.
Ripeto brevemente la mia
idea chiave: l'io inconscio di Simenon ha un valore fondamentale: La
famiglia. Spesso quando si legge un giallo di Maigret, la sua
intenzione (inconscia, insisto col ripeterlo) è quella di
“rattoppare famiglie”, di spianare la strada alla coppia e ai
figli. Accade così che chi è single è quasi sempre sacrificabile.
Ovviamente intorno a questo nucleo centrale ruotano situazioni che
contribuoscono a chiarire questo ruolo di Maigret come angelo della
famiglia. Può capitare, come ne “La trappola di Maigret”, che un
nucleo famigliare risulti irrimediabilmente marcio e viene
annientato. In questo caso abbiamo un assassino seriale che uccide
donne. In questo caso l'azione di Maigret, che mira a salvare
famiglie o a fare in modo che ne nascano, e la necessità della legge
coincidono. La legge non pensa. Cerca il colpevole e lo ingabbia.
Maigret cerca il colpevole, vuole assolutamente capire perchè ha
agito così e poi agisce, spesso oltre la legge, per rendere
possibile … la vita.
Inizierò con “Félicie”,
poiché si tratta di un caso affine a “Maigret e il Barbone” con
un'aggiunta interessantissima.
Riepilogo velocemente
“Maigret e il barbone”. Muore annegato il proprietario di un
battello a Parigi. Assiste alla scena solo un barbone che quindi sa
chi è stato. Questi viene malmenato per paure che parli, ma
nonostante la legnata tace. Maigret ha compreso chi è il colpevole
ma senza quella testimonianza non può procedere all'arresto. Perchè
tace il barbone? Dopo aver lasciato passare un poco di tempo, il
commissario va da lui nella sua povera postazione in riva alla Sanna
e glielo chiede. Davanti a loro quel medesimo battello ed ecco che
sboccia la comprensione. Una famiglia è nata da quella morte. La
figlia del battelliere, che si ritrovava l'amore col mozzo di bordo,
ostacolata dal padre ubriacone e non proprio angelico, ha ora un
figlio, e quello che per la legge dell'uomo dovrebbe essere
l'assassino, per la legge della natura è finalmente un padre.
Veniamo ora a “Félicie”.
Questa ragazza di 24 anni è la domestica di Jules Lapie detto
Gambadilegno.
Iniziamo a definire la
figura di Félicie. Viene da famiglia povera. La sua possibilità di
un futuro decente è minima. Si ritrova a lavorare da Gambadilegno,
lontano dalla famiglia, causa una scorrettezza commessa al lavoro
precedente. La sua vita mondana, la sua esca nel mondo, nella vita, è
ridotta all'andare di rado in una balera dove si atteggia per quel
che non è. Si comporta come se fosse qualcuno di importante e invece
la chiamano “la cocorita” e non solo, per come si veste, si
muove, e si trucca. In lei si cela la differenza sostanziale con
“Maigret e il barbone”. Félicie non vive più nella realtà. Ama
per esempio Jacques Petillon, nipote di Gambadilegno, ma lui non se
n'è mai reso conto. È tutto un “viaggio” che accade nella mente
di lei. Maigret, che ha compreso la natura genuina delle sue
intenzioni, nonostante abbia aspetto e comportamento caricaturali,
arriva a provarne letteralmente affetto. Per natura genuina intendo
la volontà, sana, di farsi una famiglie, ed essa parte da un
sentimento convinto. Maigret ha compreso che con le sue forze,
Félicie, non riuscirà mai ad avviarsi verso il destino che
desidera. Troppa irrealtà, troppa solitudine, troppa povertà, lo
impediscono.
Come il bimbo che si trova
solo, con i genitori per esempio al lavoro, e le tate che parlano
cirillico o arabescato, e decide di dare un nome agli alberi del
giardino fino a farne tanti amici (Piersilvio Berlusconi), oppure dai
ghirigori della moquette vede prendere forma qualcosa che con lui
dialoga (Elias Canetti), o il protagonista di “Kafka sulla
spiaggia” che dialoga con un inesistente corvo …. così Fèlicie,
nell'impossibilità di vivere il sogno … lo sogna. E quella vita
fittizia, si fa così intensa da supplire a quella vera senza
collidere o combaciare mai. Lui, il sognato esiste. Lui è il
supporto della fantasia e per quel passo che porta alla realtà,
serve un Maigret che purtroppo spesso nella vita non si ha la fortuna
di incontrare.
Descriviamo ora Jacques
Petillon. Qui facciamo presto poiché si tratta di una figura tipica,
spesso presente nella letteratura di Simenon. Si tratta del ragazzo
che vive alla giornata, ai margini di se stesso e della vita, oserei
dire senza un'idea vera di cosa la vita sia. Ne “Il crocevia delle
Tre Vedove”, per esempio, abbiamo due esempi maschili e un raro
caso al femminile poiché tendenzialmente, in Simenon, quando la
donna non è “a regime” col mito della famiglia, allora è
un'entità altamente distruttiva. Félicie in fondo è a posto, ha
solo il difetto che vive, come me, coi piedi per terra e la testa fra
le nuvole. Questo Nipote di Gambadilegno è un sensa famiglia, che
equivale a non aver avuto all'origine gli stimoli giusti, fa il
saxofonista in locali discutibili e ha “amici” che evidentemente
non ha selezionato nemmeno un po'
. e infatti uno di questi
si è nascosto nella sua stanza in quel breve periodo nel quale il
nipote è stato ospite dallo zio Gambadilegno. In questo frangente
l'amico poco affidabile, ha nascosto dei soldi, frutto di una rapina,
all'insaputa di tutti in quella stanza. L'amico sgradevole finirà in
carcere, ma una volta uscito cercherà di recuperare il contante. È
così che ci scappa il morto che è Gambadilegno, e il nipote,
maldestro e senza spina dorsale, è in parte colpevole per vari
motivi: amicizie deplorevoli. Aver ospitato in casa d'altri qualcuno
che è marcato stretto dalla polizia, e aver assecondato il bisogno
del farabutto, di tornare in quella stanza per un motivo che anche
Emilio Fede avrebbe compreso essere una scusa.
Veniamo ora a
Gambadilegno. Si tratta di un'altra figura tipica di Simenon.
Possiamo considerarlo alla stregua del proprietario ubriacone del
battello e Félicie, come la figlia di questi. Se si osserva
attentamente la situazione, questo scapolo asociale infatti,
litigando spesso, pretendendo di controllare la sua morale, fa un po'
troppo il paparino … Gambadilegno ha avuto una vita insensata. Una
delle tante forme della frigidità comportamentale che porta a non
far fiorire la vita, che non porta alla famiglia, per un difetto,
diciamo di fabbricazione all'origine. Un ramo secco che la natura
taglia senza esitazione. La casa-battello infatti andrà alla
figlia-domestica …
Come ho spesso
consigliato, quando si legge Simenon, non ci si deve fermare al
giallo. Anche in questo caso l'effettivo epilogo non consiste
nell'aver confermato la giustizia secondo le leggi, ma quella secondo
natura. In essa, la colpevolezza scapestrata, quasi indolente di
Jacques Petillo, il nipote, è annullata, è come se Maigret non la
vedesse e sappiamo che se un vero uomo di legge agisse così verrebbe
stigmatizzato, ma Maigret, divinità tutelare della famiglia, crea
una situazione che è giustizia secondo la natura. Dopo l'ultima
pagina sappiamo che per Félicie la strada è spianata e in discesa,
L'amato è a letto da accudire e non ha nessuno, lei ha il suo amore
che deve scendere fra i vivi, e la casa-barca pronta ad accoglierla.
Il vero finale è quindi quello delle favole … e vissero felici e
contenti.
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