mercoledì 10 luglio 2013

Simenon : "Félicie"



(Questo scritto è "commestibile" solo per chi ha già letto il libro....)

Per forse più di un mese, non ho scritto per il blog. Ormai i lettori non son più una esigua schiera ma non mi sento un traditore. Nulla è dovuto, e si dona solo quando ci son le condizioni per farlo. A me serve, per scrivere cose che ambiscono alla letteratura, una condizione che non so spiegare. È un momento che matura e chiede di essere vissuto intensamente, scrivere per me non è, se non in un secondo tempo, spesso distante mesi, un'azione razionale. Una parte di me che la civiltà ha addomesticato, pian piano scioglie tutte le briglie e quando “sente” di essere nella condizione di libertà che è la sua aria, si esprime usandomi ne più ne meno di come faccio io con quell'oggetto inerte che chiamiamo penna. Potrebbe trattarsi di conati ambiziosi. Il destino di quelle parole, qualunque esso sia, eternità o oblio, non mi riguarda. Per quelle pagine non esiste la lotta della quotidianità. Esse semplicemente esistono. Non vivono ma saranno forse vissute.

A me preme dell'altro: vivere se è possibile e quando mi rimane quell'attesa che sembra oblio, che annulla il tempo, vivo le vite degli altri; lo faccio leggendo.

In questo periodo la lettura è stata piacevole e soddisfacente. Per me non si tratta, mai, di un gioco. Ricordate Fitzgerald …. non si scrive per dire qualcosa. Lo si fa solo se si ha qualcosa da dire. Non m'interessa la lettura che diverte e fa passare il tempo, in fondo come le parole crociate e i rebus che in fondo danno ai poveri di mente, la sensazione di mantenere allenato il cervello … immaginate una persona che percorre sempre lo stesso sentiero di montagna. Allena le gambe … il paesaggio cambia in grazia delle stagioni e delle nuvole, come il contenuto delle parole crociate che cambian indovinelli ma sempre a quel tipo di intelligenza, a quel sentiero, che si chiama nozione, appartengono.

Per me leggere è scoprire quel che aveva da dire chi ha scritto. Chi lo fa per vendere, quindi per arricchirsi, lo odio per questa sua disonestà verso il tempo degli altri e per la finzione che mette in atto. Ultimamente in testa a questa in grata graduatoria brilla di fetore Paolo Coelho. Ho letto “Il diavolo e la signorina Prym” e “L'alchimista”. Tanto misticismo da barbiere, diavoli, angeli custodi antichi re biblici, venti che parlano, e il sole e chi più ne ha più ne metta e accade che alla fine il premio non ha nulla di mistico. Soldi, tanti soldi. Una banalità meravigliosa. Frasi belle. Ogni personaggio dice cose celebri, che sembra meritino la nostra eterna memoria … un po' come i personaggi di Sylvester Stallone …

amen.

Ho letto poi Paul Auster, Murakami Haruki, anna Fine, riletto Simenon, Trilussa, Vecchioni, Meldini, Philip Roth, Primo Levi, Ortese, Michela Murgia e mi son fermato solo ora con due mucchi: la “roba” da eliminare e quelle che merita di essere ricordata e forse anche amata.

Il più profondo sicuramente Christopher Isherwood con “Un uomo solo”.

Ma mi piace riprendere la scrittura con Simenon e il commissario Maigret perchè mi son incarognito nel tentativo, secondo me ormai riuscito, di comprendere la sua anima. Quando dico anima intendo qualcosa di molto più semplice e possibile di quel che non si possa immaginare. Si tratta della somma di conscio e inconscio. Questo io solo pe pochissimi artisti è completamente consapevole. Kafka forse fu colui che portò il peso enorme di questa totale visione interiore di sé, meglio di ogni altro. Fitzgerald, Melville Bulgakov che stimo immensamente erano un io nel mondo. Nabokov e Kafka un io allo specchio. Niente di più difficile, poiché con se stessi si è troppo spesso, quasi sempre e inavvertittamente, indulgenti. Isherwood e Coetzee, son i due autori recenti che più hanno avuto “il coraggio dello specchio”. E i loro capolavori sono, secondo me appunto “Un uomo solo” per il primo e “Vergogna” per il secondo, raro caso di nobel recente dato a un artista meritevole e, fatemela dire una cattiveria …. essendo uno dei rarissimi azzeccati in mezzo secolo (aggiungo Singer, Bellow e Marquez ), direi che sia stato il caso ad aiutare i giurati e non l'ingegno ….

Veniamo a Simenon e quella sua ottima creatura che è il commissario Maigret. Nel blog si troveranno spiegazioni della mia teoria e l'applicazione di essa su alcuni testi. Primo riferimento “Maigret e il barbone”.

Ripeto brevemente la mia idea chiave: l'io inconscio di Simenon ha un valore fondamentale: La famiglia. Spesso quando si legge un giallo di Maigret, la sua intenzione (inconscia, insisto col ripeterlo) è quella di “rattoppare famiglie”, di spianare la strada alla coppia e ai figli. Accade così che chi è single è quasi sempre sacrificabile. Ovviamente intorno a questo nucleo centrale ruotano situazioni che contribuoscono a chiarire questo ruolo di Maigret come angelo della famiglia. Può capitare, come ne “La trappola di Maigret”, che un nucleo famigliare risulti irrimediabilmente marcio e viene annientato. In questo caso abbiamo un assassino seriale che uccide donne. In questo caso l'azione di Maigret, che mira a salvare famiglie o a fare in modo che ne nascano, e la necessità della legge coincidono. La legge non pensa. Cerca il colpevole e lo ingabbia. Maigret cerca il colpevole, vuole assolutamente capire perchè ha agito così e poi agisce, spesso oltre la legge, per rendere possibile … la vita.

Inizierò con “Félicie”, poiché si tratta di un caso affine a “Maigret e il Barbone” con un'aggiunta interessantissima.

Riepilogo velocemente “Maigret e il barbone”. Muore annegato il proprietario di un battello a Parigi. Assiste alla scena solo un barbone che quindi sa chi è stato. Questi viene malmenato per paure che parli, ma nonostante la legnata tace. Maigret ha compreso chi è il colpevole ma senza quella testimonianza non può procedere all'arresto. Perchè tace il barbone? Dopo aver lasciato passare un poco di tempo, il commissario va da lui nella sua povera postazione in riva alla Sanna e glielo chiede. Davanti a loro quel medesimo battello ed ecco che sboccia la comprensione. Una famiglia è nata da quella morte. La figlia del battelliere, che si ritrovava l'amore col mozzo di bordo, ostacolata dal padre ubriacone e non proprio angelico, ha ora un figlio, e quello che per la legge dell'uomo dovrebbe essere l'assassino, per la legge della natura è finalmente un padre.

Veniamo ora a “Félicie”. Questa ragazza di 24 anni è la domestica di Jules Lapie detto Gambadilegno.

Iniziamo a definire la figura di Félicie. Viene da famiglia povera. La sua possibilità di un futuro decente è minima. Si ritrova a lavorare da Gambadilegno, lontano dalla famiglia, causa una scorrettezza commessa al lavoro precedente. La sua vita mondana, la sua esca nel mondo, nella vita, è ridotta all'andare di rado in una balera dove si atteggia per quel che non è. Si comporta come se fosse qualcuno di importante e invece la chiamano “la cocorita” e non solo, per come si veste, si muove, e si trucca. In lei si cela la differenza sostanziale con “Maigret e il barbone”. Félicie non vive più nella realtà. Ama per esempio Jacques Petillon, nipote di Gambadilegno, ma lui non se n'è mai reso conto. È tutto un “viaggio” che accade nella mente di lei. Maigret, che ha compreso la natura genuina delle sue intenzioni, nonostante abbia aspetto e comportamento caricaturali, arriva a provarne letteralmente affetto. Per natura genuina intendo la volontà, sana, di farsi una famiglie, ed essa parte da un sentimento convinto. Maigret ha compreso che con le sue forze, Félicie, non riuscirà mai ad avviarsi verso il destino che desidera. Troppa irrealtà, troppa solitudine, troppa povertà, lo impediscono.

Come il bimbo che si trova solo, con i genitori per esempio al lavoro, e le tate che parlano cirillico o arabescato, e decide di dare un nome agli alberi del giardino fino a farne tanti amici (Piersilvio Berlusconi), oppure dai ghirigori della moquette vede prendere forma qualcosa che con lui dialoga (Elias Canetti), o il protagonista di “Kafka sulla spiaggia” che dialoga con un inesistente corvo …. così Fèlicie, nell'impossibilità di vivere il sogno … lo sogna. E quella vita fittizia, si fa così intensa da supplire a quella vera senza collidere o combaciare mai. Lui, il sognato esiste. Lui è il supporto della fantasia e per quel passo che porta alla realtà, serve un Maigret che purtroppo spesso nella vita non si ha la fortuna di incontrare.

Descriviamo ora Jacques Petillon. Qui facciamo presto poiché si tratta di una figura tipica, spesso presente nella letteratura di Simenon. Si tratta del ragazzo che vive alla giornata, ai margini di se stesso e della vita, oserei dire senza un'idea vera di cosa la vita sia. Ne “Il crocevia delle Tre Vedove”, per esempio, abbiamo due esempi maschili e un raro caso al femminile poiché tendenzialmente, in Simenon, quando la donna non è “a regime” col mito della famiglia, allora è un'entità altamente distruttiva. Félicie in fondo è a posto, ha solo il difetto che vive, come me, coi piedi per terra e la testa fra le nuvole. Questo Nipote di Gambadilegno è un sensa famiglia, che equivale a non aver avuto all'origine gli stimoli giusti, fa il saxofonista in locali discutibili e ha “amici” che evidentemente non ha selezionato nemmeno un po'

. e infatti uno di questi si è nascosto nella sua stanza in quel breve periodo nel quale il nipote è stato ospite dallo zio Gambadilegno. In questo frangente l'amico poco affidabile, ha nascosto dei soldi, frutto di una rapina, all'insaputa di tutti in quella stanza. L'amico sgradevole finirà in carcere, ma una volta uscito cercherà di recuperare il contante. È così che ci scappa il morto che è Gambadilegno, e il nipote, maldestro e senza spina dorsale, è in parte colpevole per vari motivi: amicizie deplorevoli. Aver ospitato in casa d'altri qualcuno che è marcato stretto dalla polizia, e aver assecondato il bisogno del farabutto, di tornare in quella stanza per un motivo che anche Emilio Fede avrebbe compreso essere una scusa.

Veniamo ora a Gambadilegno. Si tratta di un'altra figura tipica di Simenon. Possiamo considerarlo alla stregua del proprietario ubriacone del battello e Félicie, come la figlia di questi. Se si osserva attentamente la situazione, questo scapolo asociale infatti, litigando spesso, pretendendo di controllare la sua morale, fa un po' troppo il paparino … Gambadilegno ha avuto una vita insensata. Una delle tante forme della frigidità comportamentale che porta a non far fiorire la vita, che non porta alla famiglia, per un difetto, diciamo di fabbricazione all'origine. Un ramo secco che la natura taglia senza esitazione. La casa-battello infatti andrà alla figlia-domestica …

Come ho spesso consigliato, quando si legge Simenon, non ci si deve fermare al giallo. Anche in questo caso l'effettivo epilogo non consiste nell'aver confermato la giustizia secondo le leggi, ma quella secondo natura. In essa, la colpevolezza scapestrata, quasi indolente di Jacques Petillo, il nipote, è annullata, è come se Maigret non la vedesse e sappiamo che se un vero uomo di legge agisse così verrebbe stigmatizzato, ma Maigret, divinità tutelare della famiglia, crea una situazione che è giustizia secondo la natura. Dopo l'ultima pagina sappiamo che per Félicie la strada è spianata e in discesa, L'amato è a letto da accudire e non ha nessuno, lei ha il suo amore che deve scendere fra i vivi, e la casa-barca pronta ad accoglierla. Il vero finale è quindi quello delle favole … e vissero felici e contenti.

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