Pensavo che non avrei più scritto per un bel pezzo. Se non
mi va non mi va e basta. Questo meccanismo di disaffezione mi è scattato pian
piano, da quest’estate e curiosamente, i lettori del blog si sono invece
moltiplicati.
L’indifferenza che mi è nata dentro è una delle tante forme
dell’angoscia. Un senso di inutilità per quel che nel blog vado facendo … e non
lo contraddice l’affluenza di lettori invisibili.
Scrivere per il blog è un gioco. Lo faccio col computer, di
getto. Per la letteratura uso la penna, e divento avaro. Alcune cose le leggo e
rileggo ormai solo io. E perché faccio così? Per una ormai completa mala stima
dell’Italia e degli italiani. All’estero qualcosa mando. Mi si chiederà: “ma se
ci stai male perché non te ne vai?” e rispondo che ci ho provato, ma partire
non è semplice.
Ma cosa mi fa odiare gli italiani, ormai con sincerità e
senza sentire la necessità di nasconderlo?
Eccovi un esempio. La letteratura italiana esiste ed è fra le migliori al
mondo. Ma non è certo grazie agli italiani che lo scopro. Da Borges ho avuto in
dono Papini, da Tonino Guerra, Manganelli, dal caso, l’Anonimo Triestino,
Tommaso Landolfi, Alessandro Pavolini, Anna Maria Ortese, Salvatore Satta,
Ennio Flaiano e Vitaliano Brancati. Ora, provate a scorrere onestamente questi
nomi e dire quali vi son noti. Forse Brancati, ma per il resto in testa avete,
tranne rari casi, il vuoto cosmico … ma non è colpa vostra … Tempo fa, qualcuno
contestò in università, il fatto che si studiassero scrittori impresentabili.
Fu portato un elenco con dei titoli che mi avevano affettuosamente estorto dopo
una spaghettata notturna. Ebbene … ci fu la rabbia, l’irrigidimento, e le
lezioni proseguirono con Sanguineti e altra robina di scarto del medesimo livello.
Se essere italiani vuol dire conoscere la propria cultura,
di voi rimane un latrare banale allo stadio quando gioca la nazionale … ma,
insisto, non è colpa vostra. Chi avrebbe dovuto, la famiglia, la scuola,
l’università, la tivù, e lo stato italiano in generale, avrebbe dovuto offrirvi
quelle gemme che potrebbero rendervi concretamente orgogliosi di essere
italiani.
È ben vero che siete un popolo corrotto. Corrotto per
tradizione. Lo conferma una statistica di questi giorni che vi pone al terzo
posto, (dietro a Messico e Turchia). Non si dimentichi, tanto per citare un
esempio vecchio di cinquecento anni … che Lorenzo, indubbiamente Magnifico per
arte e letteratura, per poter governare o eleggere i suoi, nella “sua”
Fiorenza, sistematicamente corrompeva tutti coloro facevano parte dei consigli
che dovevano decidere della cosa pubblica. Nella repubblica fiorentina c’era
per esempio il sorteggio delle cariche che spesso duravano solo due mesi;
queste strategie erano diventate necessarie per impedire l’illegalità e il
Magnifico Lorenzo ereditò dal padre Cosimo detto il vecchio una città vestita
da democrazia oligarchica, ma di fatto dittatura. Non per nulla i suoi rivali
riuscirono a farlo vacillare, oltre che con tre tentati omicidi, col
ristabilire, anche se per poco, il sorteggio … vedete come non è cambiato
niente? Non è necessario pensare solo alla politica attuale per cogliere questa
tendenza a farsi prima di tutto, anzi solamente, gli affari propri.
Qualche altro esempio … Si legga, dalle “Lettere luterane”
di Pasolini, il capitoletto intitolato “Processo anche a Donat Cattin”. Spiego
in poche parole. Pasolini ci rivela che sull’ Espresso del 10 marzo 1974,
appare un articolo nel quale Andreotti minaccia Fanfani di fare rivelazioni
sull’Affare Montesi (siderurgia a Gioia Tauro), in risposta alla minaccia di
questi, di fare rivelazioni in proposito del finanziamento ai partiti… Pasolini giustamente si domanda: ma non
dovrebbe intervenire la magistratura? Quel che comunque ci risulta chiaro è che
l’italia (minuscolo voluto…) del 1974 ben sapeva come stavano le cose.
Un'altra citazione: Leonardo Sciascia nel libro “Nero su
Nero” racconta di aver sentito il seguente dialogo fra due onorevoli: “Allora,
lo hai raggiunto il tetto?” l’altro risponde “non ancora, ma manca poco”.
Sciascia non comprende e qualche tempo dopo chiede spiegazione ad un amico,
anche lui onorevole, che rivela, facendogli anche capire che è uno sprovveduto,
che il tetto è il miliardo di vecchie lire, il primo miliardo, che riesce ad intascare
… Di questo libretto di Sciascia merita anche di essere ricordato, per questo
contesto, quel capitoletto verso la fine, che narra delle disavventure di un
palermitano che decise di scrivere la propria tesi di laurea. Non usava… Si
andava in una copisteria, si diceva con quale prof ci si laureava e ti
mostravano tesi pronte. Sceglievi, pagavi e il gioco era fatto. Era un mercato,
c’era gente che ci lavorava dietro! Che un cretinetti decidesse di fare di
testa sua era intollerabile … ma lo fece e fu … bocciato. Non sto scherzando.
Questi due esempi. Uno tratto da un intellettuale, Pasolini,
e uno da un grande artista, Sciascia, ci dimostrano che l’italiano sapeva e sa
di sapere. Chiedeva fino a poco tempo fa, un velo, comunque sottilissimo, di
omertà, una finzione nel dialogo, ma sapeva … e agiva. Provate ora a fare il
calcolo delle date. Con quanto ritardo su ciò che tutti sapevano, si ebbe lo
scandalo del finanziamento dei partiti noto come scandalo tangenti? Come
giustifico quel ritardo se non ammettendo che l’italiano aveva creato un
sistema? non solo il politico seduto in parlamento, non lo si pensi! Lui era
solo il vertice di un agire che aggirava
la qualità, quella vera.
Un altro esempio dell’italianità che secondo me non cambierà
mai, lo traggo dal Palio di Siena che per me rappresenta con un’esattezza a dir
poco perfetta, la mentalità da secoli dominante. Esistono delle regole al
Palio? Certo. Tutti le conoscono, ma si può andare, anzi, si deve andare oltre.
Se qualcuno per esempio corrompe il fantino e questo decide di non vincere, non
si grida allo scandalo. Se alla fine della gara il fantino è rimasto indietro
la sua contrada ha perso e basta. Tutti sanno che potrebbe essere colpa del
cavallo oppure… Ovviamente se il corrotto viene scoperto lo spellano vivo, ma
quel che importa al senese è chi ha vinto il Palio. Come, non importa a nessuno
e le regole servono solo per decretare una differenza di forma fra le cose che
si possono e devono fare alla luce del sole e quelle che possono e si sentono
in dovere di fare … diciamo all’ombra. Possiamo affermare che chi ha vinto il
palio si è dimostrato primo in un sistema nel quale tutto è possibile e
accettato. E tutti i contradaioli lo sanno…. Da qui si deduce che chi è
corrotto, disonesto, finché la fa franca è meritevole del premio dell’invidia,
e se invece lo “beccano”, non è comunque colpevole, ma solo poco sveglio. Il
mondo, anzi, l’Italia, è dei furbi …
Se la legge, per l’italiano, è la struttura di regole da
aggirare, ecco che tutto diventa ingestibile e la democrazia impossibile, ma,
si badi bene, non solo quella. Qualsiasi forma di governo ha bisogno di regole.
In italia anche un dittatore farebbe un buco nell’acqua e la storia ne ha dato
testimonianza.
Un esempio celebre ma mai analizzato dai quotidiani con la
necessaria lucidità, è quello di materazzi (minuscolo meritato) alla finale dei
Monciali di calcio. La famosa testata di Zidane non nacque perché questo
calciatore se vede azzurro eperde la testa come un toro daltonico … Si sa che
materazzi ha pesantemente insultato qualcuno della sua famiglia. Zidane reagì e
venne espulso. Ma nessuno in Italia si è indignato. Io avrei svergognato
materazzi. Togliergli la maglia della nazionale per sempre e scusarsi
pubblicamente dichiarando che non ci si riconosce in quel comportamento,
sarebbe stato il minimo. Ma in Italia non va così. Importa chi vince la partita
e le regole devi saperle “usare”. Rispettarle è da stupidi. E così i ragazzi
italiani hanno capito la lezione. Se insulto un avversario, stando ben attento
a non farmi sentire e riesco a farlo reagire, ottengo comunque un risultato
utile per la squadra. Il minimo sarà che l’avversario, innervosito, giocherà
male, ma potrebbe reagire! essere espulso! e così vincere sarà più facile. Ma,
mi domando io, quel vincere, se non è pulito, che valore ha? E lo sport insegna
quotidianamente che il mondo è diviso in fessi e furbi che è un modo più
concreto di dire onesti e disonesti.
Eccovi un altro esempio più banale, se vogliamo, ma che
porta in sé un grande significato. Passeggio col cane che decide di fare la
cacca. Sono sempre munito dell’occorrente, la raccolgo e la getto in un bidone
della spazzatura poco distante. Ma accade qualcosa che mi sorprende. Due
signori mi fanno i complimenti. Vogliono pure offrirmi il caffè. Me ne sono
andato facendo notare che gli abitanti di una nazione che vogliono premiare chi
compie il più semplice dei doveri, così facendo ammettono, anche se in modo
assai indiretto, che sono messi maluccio. E questo esempio me ne porta alla
mente un altro che dispone di una carica simbolica ancora più forte e comunque sempre
indiretta. Spesso vedo esimi cittadini che fumano in giardino, si avvicinano
alla recinzione che da sulla strada, danno “l’ultimo tiro” e gettano il
mozzicone di là. È importante e significativo. Pensateci! Di la, la strada, è
per quelle persone terra di nessuno. Pensare che la strada è di tutti e anche
sua è oltre ogni logica, per l’italiano. E vi sembra lungo il passo che porta
al politico che considera di nessuno, quindi fruibile, il bene pubblico che può
avere forma di contanti, case o altro e che esce dalle tasse dei cittadini o
dai beni statali (e che vuol dire in fondo la stessa cosa?)
Rincaro la dose. Colpisco in alto. Io studente non più di
primo pelo, alla facoltà di storia contemporanea di Bologna. Preside, Paolo
Prodi. Arrivo in orario di colloquio per parlare con un professore che … non
c’è. Alla terza volta mi rivolgo al preside che mi dice testualmente “avrà
avuto da fare, e poi una volta capita!” e mi liquida così. Non conta dire che
non vengo da troppo vicino, che ci rimetto la giornata. La volta dopo idem con
patate e medesima risposta. La volta dopo ancora, vedendo che il prof è sempre
placidamente assente, torno dal preside e chiedo di nuovo spiegazione. Ma
ha gente e questa volta l’ho
infastidito. Non reggo e gli dico: “Quella sull’attaccapanni è la sua giacca?”
mi risponde di si e controbatto: “bene, allora ora le rubo il portafoglio … tanto
… una volta non fa il ladro” lo vedo stizzito perché fa brutta figura con i
suoi ospiti ma non agisce ancora. Quando lo invito a non fare l’italiano, che
diversamente non lascio il suo ufficio fino a sera, allora, inviperito, alza la
cornetta compone un numero interno e il professore perennemente assente appare …
Altro esempio. Ero studente della facoltà di lettere e
filosofia e dovevo andare agli uffici. Arrivai e c’era la bolgia. Centinaia di
persone e solo uno sportello aperto. Mi venne un’idea e agii. andai all’entrata
dei dipendenti dell’ufficio e suonai. Chiesero chi è e dissi “il dottor e poi
aggiungo il mio cognome”. Si badi che dissi la verità. Nessuna furbizia. Avevo
una laurea e un cognome … veri. Si apre il cancelletto elettrico e mi ritrovo
in uffici pieni di gente. È lunedì. C’è chi legge la gazzetta, chi racconta ad
altri riuniti intorno a lui un’avventura domenicale; altre, non poche, al
telefono parlano e parlano e … ecco che esplodo. Mi metto a urlare che sono dei
maleducati, che la fuori ci son centinaia di persone che attendono e un solo
sportello aperto eccetera. E la mia rabbia funzionò e indovinate un po’ perché.
Non sapevano chi fosse quella persona che urlava. Arrivò la direttrice che
chiese spiegazioni. Gliele diedi e mi dichiarai indignato e, indovinate di
nuovo cosa accadde? Mi disse, “venga in ufficio, mi dia la sua pratica che la
facciamo subito”. Avete colto il significato di questo agire? Vengo rabbonito.
Si pensa che io sia arrabbiato perché ci sto rimettendo la mattina e non anche
perché la situazione che ho visto è vergognosa! Risposi che avevo un foglietto
con un numero e che sarei tornato a fare la fila. Non volevo privilegi ma
correttezza. Ero un ufo … o un deficiente, e in fondo per questa italia lo sono
ancora…
Avrei altri esempi di questo tipo, ci sarebbe da ridere e da
piangere … e so che anche voi ne avete a quintali ma, con una differenza, io da
sempre rispetto il numero della fila e raccolgo le cacche, voi solo a parole…
Ma … quel che collego a tutte queste tristi faccende è la
notizia fresca di ieri che alla presidenza della repubblica pensano di
candidare Romano Prodi e Mario Monti. Il primo, maestro di nepotismo, malattia
tutta italiana che i sociologi chiamano familismo amorale, l’altro, che ha
messo in ginocchio il popolo italiano per rifocillare quell’alta finanza che
aveva sbagliati qualche anno fa i conti per eccesso di cupidigia e che del crac
che aveva causato non voleva e non vuole essere responsabile. Monti:
denunciarlo al tribunale dell’Aja per genocidio sarebbe il minimo. Basti
pensare alle notizie occultate da un giornalismo servile in proposito dei
suicidi per carenza di lavoro, di
dignità, per vergogna davanti ai figli che non sanno come far arrivare a
domani… Quel Monti poi che, per eccesso di burla, è pagato dagli italiani e non
dalle banche per le quali evidentemente lavora…
Devo comunque aggiungere che non cambierà niente. Possono
eleggere chi vogliono, ma se il pensiero non cambia l’eletto, che altri non è
che l’espressione di una mentalità collettiva, continuerà a fare gli interessi
propri e quando proprio è in buona, quelli di chi rappresenta. Si può aggiungere
che, essendo vicini alle elezioni ci si potrebbe sentire emotivamente coinvolti
da questo circo che offre la sensazione, inesistente, di partecipare. Attualmente
il sistema bancario governa, e non da ieri. Si pensi a quante cariche politiche
importanti o importantissime, solo in italia, sono state coperte da personaggi
che lavoravano o gestivano il sistema bancario … esiste poi un altro aspetto di
non poco conto. Domandina. È più importante il parlamento di Strasburgo o
quello di Roma? Ormai conta di più Strasburgo e l’italia che arriva sempre con
qualche mese di ritardo, ci manda la gente come Borghezio e Mastella, che deve
farsi dimenticare per un po’, causa un eccesso di incorreggibilità manifestata,
che è perdonabile solo col tempo. Il tempo pulisce tutto, particolarmente in
quei popoli che ormai vivono solo nel presente.
Ma, si può pensare
solo su quel che ricordiamo …
Se abbiamo pochi ricordi, poca memoria, il pensiero che da
questi esce sarà per forza di cose fragilissimo, inconsistente.
Torno ora alla letteratura. Mi son domandato come fosse
possibile che in uno stato sgangherato come l’italia, nel novecento si siano
espressi tanti talenti. E avendone conosciuti alcuni, quindi anche grazie
all’esperienza, qualcosa ho dedotto. Se nasci e hai una sensibilità, è dura.
Nessun rispetto. O lotti come gli altri o sei sotto. Quindi vite solitarie e
anche difficili. Mi permetto di fare un parallelo col mondo anglosassone. La,
se rendi economicamente, sei un grande. è sbagliato ma … potrebbe anche accadere
la coincidenza che oltre a rendere vali. Per esempio Dickens, Virginia Woolf
eccetera. Qui in italia valore e resa economica non coincidono se non per caso.
Se qualcuno pensa per esempio che Fellini fosse abbiente, si sbaglia. Si tenga
conto che diventava matto per trovare i soldi per fare un film. Lo stesso
dicasi per Antonioni. Quando un artista non ne ha abbastanza per produrre
un’opera è povero e soffre. E l’opera è un lascito eterno alla comunità alla
quale appartiene … Chi scrive invece, può anche campare con poco. In fondo
anche chi dipinge. La ricchezza per loro, sta nell’avere tempo e poco altro. I
fogli, la penna, l’inchiostro, i colori. Si pensi a Giovanni Fattori che
rifiutò titoli e incensi. Era padrone di quel livello esistenziale che gli permetteva
di creare e non voleva turbarlo. Le medaglie e la grande notorietà distraggono
…
Veniamo agli autori che ho citato.
Anna Maria Ortese. È stata riesumata per un attimo, solo un
attimo, sul Corriere della Sera, qualche giorno fa. Nicola Salutati, capo
redattore dell’economia di quel giornale, ha dato dei consigli di lettura. “Il
mare non bagna Napoli” è il primo di questi. Questo è il libro. In esso si
trova un racconto che considero perfetto. Si intitola “Gli occhiali”. Dire perfetto
è di una rarità quasi assoluta. Mi vengono in mente Kafka, Fitzgerald, Melville
e pochi altri. E questa scrittrice è quasi sconosciuta! Come l’ho scovata! In
un mercatino dell’usato. Ne presi una decina. Nome sconosciuto, prezzo minore
di un caffè. Proviamo. Ed è un gioiello anzi di più. Come diceva Borges … “oggi
la bellezza è comune. Vale quel che va oltre la bellezza, vale quel che merita
di essere ricordato …”
Giovanni Papini. Seppi da Borges che lo stimava
profondamente. Quando per Franco Maria Ricci curò la collana di letteratura
fantastica intitolata “La biblioteca di Babele”, gli dedicò un volume.
Di lui ho trovato libri di inizio secolo al prezzo di un
bicchier d’acqua. Non scherzo. Il più caro è stato “Memorie d’Iddio”. Cinque
euro. Quasi il prezzo di cinque caffè a Roma. È una terza edizione del 1919 di
Vallecchi. La prima fu del 1911. Si sa che mandò la figlia in giro per librerie
a recuperare copie perché fu osteggiato e poi, alla fine, divenuto credente, si
sentì in colpa per quelle centoundici pagine. Quando Dio inizia la sua
autobiografia dicendoci che lui non ha mandato nessuno, che chi dice di essere
stato mandato da lui o di aver parlato a nome suo, lo ha fatto a sua
discrezione ma che lui non centra niente, ecco, quando si inizia così, ci
rendiamo conto che ogni pagina potrebbe essere l’ultima perché sembra che non
ci sia più niente da dire. E invece l’autore forse più originale del novecento
italiano, sa stupirci, sa portarci con saggezza oltre il pensiero.
Di Papini consiglio anche “Gog”. È la disordinata
autobiografia di un uomo che è diventato ricchissimo e che quindi può
permettersi tutto. Si tratta di un capolavoro del paradosso che stupisce.
Abbiamo la sensazione, dopo aver letto, che il possesso di qualsiasi cosa,
quando si fa sicuro, completo, indiscutibile, perde ogni suo valore. E non
solo. Penso che se l’Italia avesse tenuto conto di opere così fantasiose, le
avesse date in mano alla gente da leggere, da pensarci un po’ sopra, forse
qualche “figlio d’arte” sarebbe nato. Ed è nato infatti, ma in Argentina.
Leggendo le opere di Papini che vi consiglierò, ho “sentito” la materia
universale della letteratura prendere una forma definita e notevole nella mente
di Jorge Louis Borges. Si sa che verso i quarant’anni in lui scattò qualcosa
che lo fece diventare l’autore eccellente che ora conosciamo. Ebbene,
“Finzioni”, “L’Aleph” e tanti altri suoi gioielli, sono un’estensione raffinata
della mente di Papini. Lui ne è stato la miccia, la fonte, la guida.
Sicuramente Borges lesse anche “Figure umane”, libretto apparentemente leggero
che ci mostra questo scrittore nella sua casetta in collina che “lega” con i
vicini. In esso racconti come “La mangiatrice di viole” stordiscono e
commuovono per la sensazione immediata di profondità e bellezza. È un libro del
1943 che mi ricorda con affetto Tonino Guerra, che vagava per la Valmarecchia e
scopriva gente originale, che poteva sembrare matta ma che, alla fine dei
conti, era più vera di quel che noi crediamo essere la verità. Penso di quando
mi raccontò, per esempio, di quell’uomo che aveva fatto grondaie che si
infilavano su per gli alberi e concentravano tutta l’acqua in qualche botte.
Tonino chiese “ma a cosa serve?” “per l’insalata. L’acqua della pioggia ha
dentro i fulmini, viene più buona.”
Consiglio anche “Nipoti d’Iddio”. La mia copia è del 1942,
con la salamandra di Vallecchi in copertina che se ne sta fra un erba che sembra
fiamma o una fiamma che sembra erba. È sufficiente leggere i primi tre saggi
sull’Alberti, Leonardo e Michelangelo per “sentire” la grandiosità e la
sincerità minuziosa della sua mente. Una cosa comunque la devo spiegare. Tutti,
secondo Papini, son figli di Dio. Gli artisti son nipoti … e che il resto ve lo dia la lettura. Che
questa ricerca vi faccia staccare le chiappe dal computer e muoverle un po’ che
ormai sono quadrate! Questa roba non la trovate per ora sugli E book quindi vi
tocca camminare e andare per mercatini o in qualche biblioteca che comunque la
roba troppo datata non te la presta ma te la fa leggere nelle sue sale che per
quanto belle non son mai comode quanto la poltrona di casa. Forse si trova ancora
“Gog”, perché mi risulta che il quotidiano “Libero” abbia provveduto ad una
saggia ristampa qualche annetto fa.
E ora la patata bollente: Alessandro Pavolini. Il nipote,
finalista a un qualche premio letterario, con una bella testa ricciuta, segue
le orme del nonno … che era un fenomeno.
Perché patata Bollente: perché era un fascista della prima
ora e fu ministro della cultura popolare (la celebre sigla minculpop, nome che starebbe benissimo
su quel ministero del Lungotevere detto pubblica distruzione o istruzione … non
ricordo esattamente, ma ho la sensazione che un vocabolo ormai valga l’altro …)
Fu poi fucilato con Mussolini e con lui penzolò a Piazzale
Loreto. Era un duro e un puro. Era convinto e coerente. Veniamo ora ad un
ragionamento. C’erano tre religioni laiche che si contendevano il regno del
mondo. I capitalisti, i comunisti e i fascisti (undici stati solo in Europa
erano di questo gruppo). Dopo il quarantacinque si ebbe la sensazione che
avessero vinto capitalisti e comunisti. Da dopo il crollo del Muro, nel 1989 si
ebbe la sensazione che avesse vinto il capitalismo. Attualmente si ha la certezza
che non ha vinto nessuno e, anzi, che solo la gente comune abbia perso come
sempre.
Queste tre religioni laiche, ebbero una loro letteratura. Ci
manca quasi completamente all’appello quella dei fascisti. Ma … e se ci fosse
qualcosa di buono?
Spero sia chiaro che non m’interessa la politica. Per me
questa ha un senso solo se l’Uomo accetta delle regole fondanti e uguali per
tutti. Se non accade, e più o meno da Adamo ed Eva va così, è una pagliacciata
e basta. Ho cercato di vedere e leggere di tutto. Non sono immortale, o almeno
così mi dicono, quindi immagino che mi sfuggiranno molti doni e quelli che
goduto li devo, come nel caso del libro di Pavolini, al caso, ma quando una
cosa vale, vale e basta. Ho visto i quadri di Hitler e non mi hanno detto
niente, ho letto “L’amante del cardinale di Mussolini” e, giustamente, non
ricordo nulla, ho letto le poesie di Mao e le ho, giustamente, dimenticate ho
letto “Scomparsa d’Angela” di Pavolini e ho pensato tanto, troppo, per poter
dire a me stesso e a voi che è il nulla. Vale e molto. Se partiamo poi dal
presupposto che forse il fascismo uno straccio di ideale lo doveva pure avere e
che la storia scritta dai vincitori ha deriso e svilito anche ciò che forse non
meritava, dobbiamo metterci nell’ordine di idee che si deve agire, andare alle
fonti, per farci un’idea decente dei fatti.
Vi faccio un esempio di risultato questa volta involontario,
ottenuto lavorando su documenti trovati su una bancarella. Trovai a pochissimo
prezzo un passaporto austriaco del periodo fra le due guerre. Apparteneva ad un
austriaco, un viennese. Dai libri di storia sappiamo che la Germania hitleriana
aveva annesso l’Austria. Nei libri troviamo proprio la parola originale
tedesca: Anschluss. Quel che il libro di storia non diceva lo aggiungeva automaticamente
l’onesto lettore che mediamente deduceva quanto segue: l’Austria era ormai una
cosa unica con la Germania. Questo ragionamento era oltre il resto appoggiato
dalla consapevolezza che Hitler era di Braunau, un paesino dell’Austria appunto.
Si aveva la sensazione che con l’Anschluss il dittatore avesse reso legittimo
il suo potere che fino a quel momento riguardava stranamente un altro stato e
poteva puzzare di illegittimità. E invece quel documento trovato, mi rivelava
una realtà diversa. Sulla copertina c’era stampigliato “Per stranieri”. Questo
viennese, risultava quindi essere per la Germania, uno straniero anche dopo
nl’anchluss, e un documento al suo interno mi diceva oltre il resto che era un
lavoratore straniero che lo stato invasore aveva “mandato” a Vienna a lavorare,
ma che poteva finire in qualsiasi altra azienda nazionale. La medesima
procedura quindi che si usava per un italiano o un francese o un polacco dei
territori appena annessi con la guerra. Vedete, capire che l’Austria non era
parte della Germania, ma una colonia, e come tale trattata, è importante … ma
non lo trovi sui libri …
E ora torniamo a “Scomparsa d’Angela di Pavolini”. È un
libro importante prima di tutto per chi vuole capire l’ideale di quei fascisti
puri che pure dovevano esistere. Non è possibile credere che si trattasse, come
vogliono farci credere di un branco di caproni, anche perché si arrivò ad un
punto che la maggioranza del popolo italiano era veramente e convintamente
fascista … per quanto può valere la convinzione in un popolo corrotto …
Si deve decidere. Milioni di caproni in italia, una
maggioranza di caproni, per un movimento senza idee?
Impossibile anche su questa bella penisola, perché, si
ricordi, che all’italiano le regole servono per definire l’apparenza, per
sapere cosa dover aggirare e come …
Ebbene, quel libro contiene un’ideale. È vero che per
realizzarlo non si andava per il sottile, ma se penso ai morti dei vari
comunismi, ai morti del capitalismo che spesso non hanno a che fare con guerre,
fucilazioni e manganellate, ma con Porto Marghera, Acciaierie di Taranto fino
al caso limite di Bophal il India e il disastro immane causato dalla Union
Carbide … ecco, se penso a tutto questo o smetto di leggere le opere di ogni
fazione che ha usato la violenza, o le leggo tutte e uso la mia testa … non va
di moda ma a me piace …
Ma quel che accade con Pavolini, non consiste solo nello
scoprire che l’acqua calda è calda. C’ è dell’altro e ve lo racconto così.
Dissi a Tonino che avevo scovato un libretto del 1940 che era un gioiellino,
non rivelai di chi era ma gli consegnai le fotocopie senza copertina. Lesse e
mi disse che sì, era veramente bravo. “Ma di chi è! Lo conosco?” “si che lo
conosci. Si chiama Alessandro Pavolini”. Tonino ne fu visibilmente sorpreso.
“Quello?” “Si Tonino, quello”. Ebbe l’onestà, come sempre, di mantenersi
coerente col suo pensiero. Mi disse comunque che la sua generazione non sarebbe
riuscita a parlarne, la ferita era ancora troppo fresca. Toccava alla mia …
E quel che ha che non ti aspetti è che ti commuove.
“Scomparsa d’Angela” ti porta alla tenerezza, all’esaltazione, e in certi casi
a fruire di un senso estetico che ti sorprende. Il racconto “Fidanzata” si
scioglie in noi con delicatezza. Ci troviamo ad essere in sintonia con i
protagonisti, li comprendiamo fino in fondo e poi, quel finale cruento, che per
un attimo sentiamo legittimo ci fa impressione poiché il nome dell’autore ci
scivola dinnanzi agli occhi continuamente, e per noi che sappiamo, è un attimo
rendersi conto che il finale rissoso equivale a rendere lecito il modo di agire
del fascismo, delle squadracce. Ma … e se lo leggesse un ragazzo che di
Pavolini non sa nulla? Il tempo per lui ha livellato quel nome e sarà solo uno
scrittore fra tanti … ecco, quel ragazzo comprenderà la reazione, la approverà,
poiché tutti hanno un’adolescenza dentro che in qualche modo è stata ferita e
reagisce … approverà, ne sono certo, fino in fondo.
Un racconto che non può lasciare dubbi, anche se non si sa
nulla dell’autore, è “Una camicia nera”. Il cieco al piano, la moglie così
gentile e premurosa, e l’uomo con la camicia nera che tutela, nonostante il
caos che ha creato, quella dolcezza. E ce lo domandiamo. È un fascista, è il
cattivo! Come fa ad essere contemporaneamente anche buono!?! Ma una risposta si
impone con evidenza fastidiosa. Quell’affetto fra il pianista cieco e la
moglie, quel mondo fragile è la meta, è quanto quel caos di violenza innescato
vuol rendere possibile. Quello, per Pavolini, era l’ideale. Quella coppia non
la toccava con la forza, perché quanto c’è di buono merita di sopravvivere ai
tempi nuovi che da loro dovevano prendere esempio.
Ne citerò solo un altro: “Sotto il disegno dell’aquila”. Qui
è chiaro il senso di ordine che a Guidonia, città costruita dal fascismo, si
vuol rappresentare. Quella è la meta. Un mondo corretto, educato, nel quale
tutto funziona …
E ci si domanda … ma allora così era il fascismo? Io che di
storia ne ho studiata tanta (e non mi fermo), deduco che fu un ideale che, come
il comunismo pensò di realizzarsi per mezzo della violenza diretta. Chiamiamola
forza, che forse rende più l’idea. Ha vinto, anzi, ci mette più tempo a
perdere, il capitalismo, che pure uccide ma in modo appunto indiretto, perché
si sa che un bilancio vale più della vita della gente (vero Monti?). Si tratta
di una differenza di tecnica. Ecco l’esempio. Il veleno mica lo prendi … perché
si muore subito e non ci si trovano ne utilità ne piacere. La sigaretta si che
la prendi. Per ora da piacere e domani ti secca … e infatti di quelle ne hanno
vendute un’infinità pur sapendo. E so che sapevano.
Lavori all’acciaieria di Taranto? Oggi ci vai. Devi pur
lavorare, e quindi ti avveleni per un’utilità immediata. Domani sei secco.
Funziona … lo capite? È sufficiente che il veleno dia un attimo di
soddisfazione di un bisogno o di un piacere e poi, se con calma ci rimetti la
pelle … beh, fatalità. Si faranno battaglie di statistiche, si rimanderà la
verità che verrà a galla solo quando non ci saranno più ne vittime ne
colpevoli, tutti morti … seppelliti dal tempo.
Una precisazione devo farla. Se si legge “Mein Kampf” di
Hitler, si capisce senza possibilità di fraintendimento, che alla base c’è una
teoria razzista che è con ogni evidenza assurda e con essa si pretendeva di
rendere lecito il genocidio. Nella teoria fascista italiana, l’antisemitismo
interviene come ordine esterno inevitabile ma non desiderato. Il razzismo
italiano esisteva ma non era truce e con idee di pulizie etniche totali. È vero comunque che ambedue le ideologie
intendevano “convincere” chi non era d’accordo, con la forza.
Tommaso Landolfi. Pago esattamente trenta centesimi
“Racconto d’autunno”. Non mi sono fatto ammaliare dalla copertina. Un’opera di
Redon che forse vuol essere lievemente inquietante. Ma odio queste tecniche
povere fino al ridicolo, degli editori. Mi piacerebbe che anche le copertine le
preparassero gli autori! Loro, gli editori, mirano solo all’emozione, sembra
che il cervello serva solo per riempire quella parte di testa che da senso alle
orecchie. Pensare? Dio mio no! Emozionare! Questa è la parola d’ordine!
Io invece son rimasto sorpreso di trovarmi fra le mani un
autore del 1975 pubblicato dalla Rizzoli e a me sconosciuto. Ci si somma poi un
giochino che ho ereditato da Alberto Savinio. Mi lascio trasportare
dall’effetto che mi fanno nome e cognome. Tommaso Landolfi suona bene. È pieno,
lo sento. Vale la pena di provare. E l’irrazionale consigliato da Savinio, che
nell’aldilà se la ride delle mie dinamiche mentali, quell’irrazionale dicevo,
ha colpito nel segno. Un gioiello. Il racconto fu scritto nel 1947 e qualcosa
di Landolfi in fondo sapevo, poiché ho qualche sua traduzione dal russo che,
per esempio per Pushkin non mi ha per niente affascinato. Ma non è colpa di Landolfi.
Pushkin, come Mandel’stam, Achmatova e si può dire, tutti i poeti russi, è
intraducibile. Si perde troppo. Se li vuoi almeno sfiorare devi fare come fece
Landolfi; studi il russo e vai a fare un giro da quelle parti che non guasta.
Io ho fatto più di un giro, ma per il russo come lingua, rimando purtroppo
l’incontro. Devo decidermi.
“Racconto d’autunno” centocinquanta pagine, un sorso, per
una favola che ci sorprende ad ogni pagina. Mai quel che immaginiamo accade. E
quella figura femminile, ossessiva e al contempo totale nel sentimento, ci
prende e ci respinge continuamente, senza sosta. Un CA PO LA VO RO.
Ha una caratteristica alla quale le menti della sua epoca
non seppero adattarsi. Sentiamo odor di guerra, ma solo all’inizio, per creare
la situazione, e poi si entra in una dimensione che è favola e mito. E come
accadde a Marvin Peake con la trilogia di Gormenghast, pubblicata la prima
volta nel 1946, sorprese negativamente che dopo anni di guerra qualcuno si
buttasse nella favola o in qualcosa comunque che non aveva a che fare con la
realtà dei fatti accadenti o appena accaduti. Non entro in merito a questa
banalità. Seguo il dettato di Wilde che ci dice: “non esistono libri belli o
brutti, ma libri scritti bene o scritti male”. Frase vasta e subdola perché
presuppone che una qualche idea del bene o del male la si abbia in un’epoca
come la nostra nella quale ci vogliono convincere che bene e male non esistono
… Io preferisco parlare di piacere e mi sorprende che Wilde, che di piaceri era
sicuramente più sfrenato di me che comunque un poco me ne intendo, non ci abbia
pensato … oppure ci ha pensato e l’ha detto, e secondo me era coerentissimo con
la sua personalità che lo dicesse, ma non è stato colto da chi lo ascoltava
perché si sa che gli aforismi di solito son saggezze in forma sufficientemente
economica da essere apprezzati anche da ingegni a basso consumo, ma avolte
anche li si cela una densità eccessiva. Un libro deve dare piacere! È poi vero
che il piacere ha vari livelli. Parte dalla corporeità pura per arrivare alla
pura spiritualità. Non si perda tempo a decidere qual è la migliore! Non ha
senso, poiché noi fruitori, io per esempio, non siamo mai i medesimi. Ci
saranno momenti della giornata, della settimana, della vita, nei quali siam
puramente carnali e altri nei quali siamo più o meno o totalmente spirituali.
Tutto qui. Ovviamente la pura carnalità rappresenta attimi brevissimi, quasi
trascurabili … porto un esempio. Per una dama del settecento, l’amante non era
quello che soddisfaceva a letto o in carrozza certe esigenze fisiche. L’amante
era quello che principalmente a tavola, condivideva il dialogo … è un problema
spiegare queste cosucce in un’epoca come questa che ha l’ossessione del sesso.
Sembra, parlo da uomo, che una donna sia tua solo quando … e questa è miseria.
E infatti sento spesso parlare della pornografia come arte e in fondo lo si fa
per nobilitare un chiodo fisso che non ci fa onore. Se quel che comanda in noi
è più o meno a una spanna sotto l’ombelico, siam messi male … si tenga poi
conto che nel cinque-seicento più dell’atto sessuale in se affascinava
l’intrigo che a questo portava … quindi l’arte è un piacere che non deve essere
totalmente carnale ma può essere, anche se rarissimamente accade, completamente
spirituale. In Tommaso Landolfi e particolarmente nella figura femminile del
“Racconto d’autunno” la dimensione carnale interviene poiché questo amore
totale e folle ci affascina e ci ripugna. Anche noi, come il protagonista non
sappiamo che fare. Anche noi come lui, torneremo a quella casa strana e vedendo
lei non avremmo un motivo al mondo per non desiderarla.
Vedete, una carezza, se la pensi, se la dici, è nulla, se la
fai forse arriva al cuore. I sensi hanno un linguaggio, una poesia, una
delicatezza, una forza, un’angoscia, che la letteratura e anche le altre arti,
giustamente utilizzano. Noi siamo, su questa terra, per mezzo di un corpo.
Quando ve lo toglieranno (non sono ancora sicuro di essere mortale …), questo
limite di carne, diventerete abbastanza sottili, da poter cogliere intorno a
voi una dimensione della quale quella rivelata dai cinque sensi, è solo una
parte. Avete vissuto in un corpo perché dovevate conoscerla, quella parte. Ho
detto roba metafisica! Deduzione … se è vero son già morto … e nessuno me l’ha
detto. Sì, penso che sia possibile, poiché quella dimensione è nota solo a chi
il corpo lo ha lasciato e non si sa di nessuno che sia tornato o che ne abbia anche
solo avuto voglia. Solo i vivi che si immaginano morti ardono dal desiderio di
tornare. Chi è morto, chi ha lasciato il corpo, davanti ad una vastità come
quella che trova, non tornerà certo e forse anche si dimenticherà della vita.
Sì. Penso sia così, altrimenti come mi spiego che Carlo non mi ha ancora dato i
numeri che mi aveva promesso? E son passati un paio d’anni. Il tempo se avesse
voluto … ma, ecco, suonano alla porta, alla mia porta che da quindici anni ha
il campanello staccato. Sbircio dalla veneziana. È Carlo. Allora sono forse …
morto. Si avvicina. È un amico che non vedo da un pezzo. Quindi il dubbio
rimane. So cosa c’è dopo. Quindi se lo so forse …
E se è così non avrò più niente da dirvi. Dovrò guardare
avanti, in questa dimensione nuova. Capire chi sono. Quanto è inebriante la
solitudine! Tornano quasi tutti dal passato. Anche lei che mi diede pugni in
faccia con le parole. Ma, Carlo, Tonino, Mario sorridono, il passo unghiuto di
Mafalda, ed ecco Tata e Sophie… sto bene. Sì. Sto meglio. E comprendo che sto
scrivendo da un sogno
ciao