giovedì 13 dicembre 2012

Ennio Flaiano, prima parte


Flajano morì nell'autunno del 1972. Non glielo perdono facilmente e lo sa. Avrei desiderato conoscerlo in carne e baffi ma non me ne ha dato il tempo. Ho la sua opera, e lui mi viene a trovare spesso in sogno, ma poteva aspettare. Perché poi tanta fretta! … Era nato nel 1910 e poteva vivere ancora. Dipendeva da lui. È vero che aveva avuto un primo infarto due anni prima, ma lui, come sant'Agata, dopo aver dato abilissima prova di sé, so che ha detto col Creatore “ora basta, mi merito il paradiso” … e il Dio, al quale forse credo (ma non sono sicuro...), ma non nella forma barbuta dei cristiani, ha ammesso che era giusto. Gli ha detto “guarda che c'è qualcuno che vorrebbe conoscerti e forse esserti allievo, e ci vuole ancora qualche anno!”, ma a Flajano la vita andava ormai stretta. Lui era il Marziano che atterrò a Roma. Racconta Cesare Garboli: “per Flajano la favola del Marziano occupa un posto primario. Il Messia, il Cristo, l'abitatore di mondi sconosciuti il cui avvento in terra dovrebbe segnare la rinascita, il rinnovamento della società umana che potrebbe finalmente specchiarsi in una swiftiana immagine di bontà e di sapienza, viene progressivamente contagiato e ridicolizzato dal riduttivo, pettegolo e decrepito inferno di Roma. A Roma Flajano abitò e diede il meglio di sé, ma si sentiva appunto, un Marziano, In “Una e una notte” (del 1959) un personaggio dice di Roma che è un popolo che non mette nessuna cura nel piacere agli altri … e a chi l'ha vissuta un poco non solo con gli occhi del turista, questa considerazione apparirà tuttora come una verità intoccabile. Flajano coglieva certi cambiamenti epocali degli anni cinquanta e con felice mano d'artista li descriveva. Le sue trame e il loro grande significato, che spesso son entrate in celebri film, colpivano quel livello che sovrasta il pensiero e lo plasma. Spesso il discorso si faceva esplicito, perché solo così anche il povero di spirito poteva comprenderlo e non si trattava di crogiolarsi in un complesso di superiorità, allora come oggi assai diffuso. Cito da “Una e una note”:

A sera, tornando a casa, Adriano fu accolto da un urlare gaio e concitato. Per prendere fresco, un tale che abitava nella casa dirimpetto, aveva messo il suo apparecchio di televisione sul terrazzo e così seguiva lo spettacolo, con tutta la famiglia. “Ne avrò fino alle undici e mezzo” pensò Adriano. Avrebbe voluto uscire, ma era stanco e cascò in una poltrona. Impossibile leggere o pensare a qualcosa. L'unico pensiero che venne a turbarlo riguardava l'avvenire di una società che è arrivata a questo genere di divertimenti e non vuole più abbandonarli, e comincia anzi a credere che tutto si trasformerà in divertimento.”

Saltiamo qualche riga e riprendiamo … “Così trascorse quella serata. La famiglia dirimpetto continuò a guardarsi lo spettacolo e Adriano continuò ad ascoltarne l'eco. Gli sembrò un bel sunto della sua condizione. Pensava: “questi applausi mi incuriosiscono come un fenomeno di generosità collettiva, di ansia di sopravvivere, ma non sino al punto di voler conoscere a che cosa e a chi sono diretti”.

Provate ora a leggere a caso della saggistica che critica questo aspetto della società e vi annoierete perché di solito fatta da un personaggio che si traveste da artista ma che in fondo è solo un intellettuale che la sa più lunga dei colleghi su come prendere la sua epoca per la gola … Troverete i medesimi contenuti ma con un razionalismo di facciata che annoia e che deve atteggiarsi e non spiegare. La differenza sta nel fatto che Pasolini,(in questo caso mi riferivo particolarmente a lui), urla e pretende di dire una verità assoluta. Flajano, con le armi dell'arte sua, la certezza di certe dinamiche che stanno accadendo, ce la fa sentire, comprendere, con un linguaggio semplice, pacato, colloquiale, che tutti possono comprendere. Nessuno perde tempo a contestarlo perché quasi sempre si contesta chi urla certo non per quel che dice, ma per il fatto che urla, è Flajano al massimo è ironico, ma non grida mai. Tutto qui, e la lezione di Flajano, è un veleno gentile e non uno schiaffo. La televisione era nata da poco e già monopolizzava la massa. La situazione creata, e forse realmente vissuta da Flajano, con la tivù del vicino che invade tutto col suo volume, porta ad una conseguenza epocale, che si coglie solo ad una più attenta rilettura. Ci dice: “impossibile leggere o pensare a qualcosa” … queste quattro parole, sono la conseguenza dell'effetto invasivo della tivù. Ed è l'aspetto radicale del cambiamento. Si badi bene che Flajano non ci vuol dire che non si penserà e non si leggerà più. Sarà semplicemente più difficile farlo. All'epoca quello strumento era di uso collettivo, non come ora, che almeno nelle società che si credono più evolute, si è fatto individuale. Ognuno solo con uno schermo. Sarà quindi ancor più difficile leggere e pensare e ancor meno allettante.

E questo artista, senza rompere vetri, insultare astrazioni e altre strategie di bassa lega, sorprende ad ogni pagina. Ottimo il romanzo che vinse il primo premio Strega nell'immediato secondo dopoguerra: “Tempo di uccidere”. Eccellente “Le ombre bianche”, un capolavoro “Una e una notte” del quale spero di aver voglia di parlare prossimamente, e eccellente “Un marziano a Roma”. Nel quadro settimo di questa opera, si scopre che il marziano ha scritto un taccuino. Quando hanno curiosato sulla scrivania di Flajano, dopo il 1972, lo hanno trovato. Aforismi scritti da un essere di un altro mondo che visita il nostro e che scrive delle regole ciniche per vivere sulla terra. Si trovano in “Autobiografia del blu di prussia”, libro che contiene anche un altro apice struggente che è “La spirale tentatively”. I paragrafi 1, 2, 3, 4,8, 10 e 12 sono di un livello impressionante. Io personalmente sono catturato fino in fondo dal secondo, il quarto e i decimo, e da una parte del primo che .. non so resistere … lo trascrivo:

Se guardo a quello che ho fatto è povera cosa, un continuo rimestare le prove di un'inqualificabile crisi di volontà, il rinviare, il compromettere, il soprassedere. Tutto ha il senso di una finzione assurda. La futilità di aver vissuto ai margini fuori di ogni corrente decisiva e costruttiva, contro me stesso, gli altri, le donne soprattutto, uno sbaglio volutamente barocco che si pasce delle sue stesse evoluzioni in cerca di prevedibili analogie e nei fregi che invocano la polvere. Questi pensieri mi inchiodano al letto da dove sul muro del garage di fronte, un muro di terra rossa ridipinto di fresco, posso leggere la targa di Via Montecristo”.

La sensazione è fortissima. Come per Nabokov abbiamo le parole di una persona grande, consapevole del fatto che sta morendo. Ecco di cosa si tratta. In quelle poche righe c'è un'analisi di sé sincera fin nei minimi termini. Flaiano era così e quella era la sua grandezza. Mi piacerebbe che Sebastiano Vassalli, che stimo, leggesse e rileggesse queste poche righe, lui che rimpiange il periodi nel quale c'erano movimenti artistici, letterari eccetera. Esiste solo una grande individualità che ha un unico compito, essere onesta fino in fondo con se stessa. Quelle parole di Flajano sono la via della grandezza per chiunque. Il problema sta nel fatto che, quella regolina, così facile da scrivere, bastano poche parole, è difficilissima da mantenere. Non ci si può distrarre mai da lei, si crollerebbe e l'uomo che con quelle briciole viene ricostruito sarà definitivamente impuro … a se stesso. Potrà negarlo al mondo, recitare, ma lui saprà e questo decreta una fine. Rileggo “la Spirale” con profonda concentrazione. C'è ancora qualcosa che mi sfugge, ma la via è quella, lo sento e lo so. È la medesima che Fitzgerald consegnò ai taccuini e che ho scritto sul muro della mia camera. “Non si scrive per dire qualcosa. Lo si fa solo se si ha qualcosa da dire.” Frase senza scampo. Impossibile fraintendere.

Avevo iniziato questo scritto poiché in questo solitario pomeriggio avevo riletto per diletto alcune frasi dai taccuini di Cioran, anche questi trovati sulla sua scrivania dopo la fine. Son poi passato a leggere quelli del Marziano e avevo deciso di metterli nel blog. Alcuni aforismi sono grandiosi poiché contengono un frammento puro. Non oso dire che si tratta di briciole di verità. Ma se ci si ritrova a trascriverli e a desiderare di saperli a memoria anche solo per fare bella figura in società, ecco che abbiamo capito almeno un po', che si tratta di oro per l'anima. Ovviamente spesso usiamo il materiale celeste che la vita ci offre, per bassi scopi come brillare in un salotto. Nessuno che sia vivo può salvarsi dalla banalità, ma accade sicuramente che nell'arco della giornata si passi davanti ad uno specchio e ci si ricordi di se stessi, ed ecco che il rigirare nella bocca come una caramella squisita di quell'aforisma, potrebbe arrivare, non sempre dopo il primo tentativo, a dare una scossa all'anima, che frastornata dai sensi, non sa più nemmeno di esistere ... e lo stupore di esistere non solo col corpo è sempre il vero atto di nascita di un essere che ambisce a definirsi umano …

Buona lettura:

da Cioran

(la mia preferita …)

Talvolta ho l'impressione che tutta la mia carne, tutto quanto è in me materia, un giorno di colpo si dissolverà in un grido, il cui significato sfuggirà a tutti,

ma non a Dio ...


    Per scrivere ci vuole un minimo di interesse verso le cose. Bisogna anche credere che possano essere afferrate, o almeno sfiorate, dalle parole …

    Vivere significa venire a patti. Chiunque non muoia di fame è quindi sospetto.
    Si dimenticano tutti i dolori, ma non si dimentica nessuna umiliazione …
In genere i passionali, i violenti, sono dei deboli. Vivono in una continua

combustione a scapito del corpo …

E Ora Flajano: inizio con qualcosa che ho segnato su un taccuino:


Soffiare nell'orecchio degli amanti le parole che impediscono di impazzire al risveglio

Che vittoria, riuscire a farla sorridere …

era bella come gli antichi amori che erano uno scontro e una lotta, non una discussione come oggi …

Niente aveva un senso, ma soltanto un'apparenza, e di quella bisognava accontentarsi

Quando gli scienziati avranno finito, toccherà ai poeti dire l'ultima parola …

La nostra curiosità non aggiunge niente al pensiero, e la nostra fede non lo risolve…

… “Forse anche si divertono” disse. “Oh, impossibile” rispose l'altro. “In questo paese l'economia non può mantenersi all'altezza del vizio” …

Dopo il chiosco sostarono davanti alla vetrina del fioraio, dove i fiori spiccavano ben acconciati, tesi nel loro sforzo di perfezione come piccoli fuochi d'artificio. La loro solitudine, pari a quella delle donne sulle copertine, sembrava incolmabile …

(le ultime due evidentemente non hanno caratteristiche di aforismi, ma mi piacevano ...)


Passo ora a trascriverne alcune dal Taccuino del Marziano

La parola serve a nascondere il pensiero. Il pensiero a nascondere la verità. La verità fulmina chi osa guardarla in faccia …

...A vent'anni si tenta la poesia, a cinquanta si pensa che bisognava insistere …

L'attività erotica chiede uno o più complici, che non sanno tacere e si ritengono il fine, non il mezzo …

La prostituzione ci interessa perché è la nostra condizione, il delitto perché è la nostra aspirazione ...

Colui che crede in se stesso, vive con i piedi fortemente appoggiati su una nuvola...

In amore bisogna essere senza scrupoli, non rispettare nessuno. All'occorrenza, essere capaci di andare a letto con la propria moglie …

La serietà è apprezzabile solo nei fanciulli. Negli uomini saggi è il rancore della rinuncia, che diventa virtù …

La pornografia è noiosa perché fa del pettegolezzo su un mistero …

L'evo moderno è finito. Comincia il medio evo degli specialisti. Oggi anche il cretino è specializzato …

Ci lusinga di più il cieco favore della fortuna che il riconoscimento dei nostri meriti …

Il tiranno più amato è quello che premia e punisce senza ragione …

Offrire il fianco al ridicolo è norma ottima. Il ridicolo può uccidere nelle società colte o aristocratiche. Nelle società arriviste e democratiche è la condizione necessaria allo sviluppo della fama …

Chi nasce si preoccupi anzitutto di non nascere in una famiglia povera, o numerosa. La povertà sofferta durante l'infanzia o l'adolescenza, conduce l'uomo intelligente alla letteratura, alla politica, alle rivendicazioni sessuali. Scegliere una famiglia ricca e pretendere un'educazione basata sul principio che la ricchezza compra e giustifica tutto ...

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c'è uno di questi aforismi che mi ha dato da pensare … (anche gli altri in fondo, ma questo un poco mi riguarda)

A vent'anni si tenta la poesia, a cinquanta si pensa che bisognava insistere”.

Meditazione. È giusto tentare la poesia sempre. Se a cinquant'anni si pensa che si doveva insistere vuol dire che qualcosa della vita ci ha allontanati dalla poesia. Credo che per poesia, non si debba intendere espressamente il fare versi, scrivere poesie. Fare poesia è un modo di concepire la vita.

Trovo che si incastri bene coll'aforisma seguente: “la prostituzione ci interessa perché è la nostra condizione” che equivale, se invertita al dire di Cioran: “ Vivere è scendere a patti”.

Il poeta per Cioran, è quindi colui che “muore di fame”, che è “sospetto” poiché non si è uniformato scendendo appunto, a patti.

Essere Poeti quindi equivale a mantenersi coerenti con ideali che, mi permetto di credere, non si trovano nella società che ci circonda, ma sentiamo fiorire da radici profonde che abbiamo in noi … buona notte
















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