Sabato
15 dicembre 2012. Entro in un caffè nel centro di una città
popolosa. Sono in compagnia di altre persone. C'è molta gente che
sembra rilassata perché è appunto sabato. Riesco ad impossessarmi
di qualche quotidiano e con gli altri mi siedo ad un tavolino. Parto
dall'allegato de il “Corriere della sera” che si intitola “La
Lettura”. È un atto rassegnato, ma sempre un filo di speranza mi
spinge a sfogliarlo, un filo che anche oggi si è spezzato. Nella
parte centrale un disegno in colori pacati. Sulla sinistra un elenco
incolonnato di 35 nomi e cognomi. Son divisi in blocchi di cinque. Si
vede che qualcuno almeno sa che fino a cinque l'occhio non allenato
riesce a definire la quantità e non pensa ad un numero indefinito
che per essere calcolato richiede applicazione. Così, in blocchi di
cinque, quei 35 nomi sembrano sopportabili.
L'argomento
di questo numero di “La Lettura” è: “Mi piace e lo regalo”.
Sottotitolo: “scrittori e critici per orientarsi nelle librerie a
Natale”.
Diventa
chiaro che i 35 nomi della colonna di destra sono quelli degli
scrittori e dei critici, che elargiscono consigli. Li scorro e io,
che leggo mediamente da decenni più di cento volumi all'anno (non è
una battuta), mi rendo conto di conoscerne si e no una decina a
livello di opere lette e forse cinque o sei in più solo di nome.
A
questo punto mi viene un'idea. Sottopongo la lista a dieci persone e
vediamo quanti di questi scrittori e critici conoscono. Ho ovviamente
iniziato con alcune delle persone sedute al mio medesimo tavolino le
quali, conoscendo bene il locale e altri frequentatori, hanno
dilagato. Alla fine mi son ritrovato una trentina di “volontari”.
C'era di tutto; da laureati a un paio di sportivi di professione e il
risultato deve far pensare. Dieci non conoscevano nemmeno un nome,
qualcuno ricordava la lotta di Scurati con il premio Strega, e se
tolgo il suo nome arrivo a una quindicina di quote zero. Dei
rimanenti quindici, mediamente si conosceva qualche nome e raramente,
troppo raramente, qualcosa di più.
Veniamo
ora alla ridefinizione di un neologismo che ho utilizzato spesso nel
mio blog e che vanto essere di mia invenzione: l'emiliofedismo.
Trattasi di persona che ha un livello intellettuale che considero il
minimo assoluto per un vivente. La verifica pratica è la seguente:
lo capirebbe emilio fede? Se è un sì allora si tratta di un
concetto veramente elementare. È triste ironia, ma mi vedo costretto
ad accusare “La Stampa” di emiliofedismo cronico. Presentare
una lista di 35 nomi che hanno senso solo agli addetti ai lavori non
dimostra che non hanno colto lo scollamento fra quel che il mondo
editoriale propina e quel che i potenziali lettori recepiscono? 35
nomi quasi sconosciuti. Questo è un dato di fatto e oltre il resto
mischiare scrittori e critici che equivale a non aver capito le
differenze di ruolo e di uso di cervello e sensibilità di questi due
gruppi. È risaputo che i critici non sono molto amati. L'Italia non
ha avuto una persona buona e alla mano come Harold Bloom che sapeva
parlare al pubblico col cuore in mano. Savinio disse e scrisse che
nessuno farà mai un monumento a un critico. Per ora ha avuto
ragione. Chissà perché Si preferisce molte volte sapere cos'è
amato da uno scrittore ... Si ha l'impressione che sia la passione a dare
consigli e non il mestiere, come invece accade quasi sempre al
critico.
Mi
son poi divertito a chiedere a quelle persone di distinguermi i
critici dagli scrittori e qui si è entrati nella farsa. Qualcuno mi
ha fatto notare che si chiede all'artista di essere anche critico,
che questo accade troppo spesso quando invece dovrebbe parlare della
sua arte solo a livello affettivo. E comunque si tratta di un disastro completo
per le intenzioni di quell'inserto che, lo si capisce perfettamente,
è nato per supportare una becera operazione commerciale. C'è la
crisi. La gente fa regalucci e il libro può essere il presente che
costa anche poco. Quindi si fa pressione sull'acquirente … tutto
coerente e umano se lo si guarda da lontano, ma come è stata
impostata l'operazione? Nel modo più stupido che si potesse
immaginare. Un calderone di nomi e dentro spiagazioncine di libri
consigliati. Non entro nel merito dei consigli. Son sufficientemente
schifato dal metodo per lasciar perdere.
Ma
non si poteva agire diversamente? Un'idea per esempio. Produrre
durante l'anno degli inserti dedicati a un autore. Metterli in rete
in modo da essere sempre consultabili e ad ogni nuova uscita
segnalare come muoversi in internet per riesumarli e anche l'elenco
degli scrittori esaminati e intervistati. Il lettore viene così
trasformato da pollo passivo in essere vivente e attivo, ovviamente
se lo vuole.
Non
entro poi nel merito della qualità dei pochi nomi che ho
riconosciuto. Se fosse dipeso da me al primo posto avrei messo Paola
Capriolo e con lei si apre un'altra piaga. Di recente, in occasione
della prima alla Scala, sempre il “Corriere della sera” ha
prodotto un inserto dedicato al Lohengrin. In prima pagina, sulla
sinistra, di fianco a una foto di scena, c'era un articolo della
Capriolo con tanto di foto di dimensione tessera. Era venerdì 7
dicembre. Bell'articolo! Ma ha il difetto che da per scontata la
notorietà del valore di questa scrittrice che invece è abbastanza e
comunque troppo, sconosciuta. Ha scritto anche per “La Stampa”,
ma nessuno di questi quotidiani si è sforzato, e nemmeno il resto
dei mass media, per darle il posto che merita. È una bella
tristezza. Questo scollamento dagli effettivi valori artistico
letterari che si verifica con sistematica puntualità dal secondo
dopoguerra è un certificato di squallore che giornalismo e critici
possono condividere. Oppure si deve pensare che la pressione sui
media è in relazione ormai esclusiva con le direttive degli editori?
Mah, come diceva un personaggio ambiguo di questa bella Italia e che
ho avuto occasione di conoscere; “a pensare male si fa peccato, ma
ci si prende quasi sempre” …
Io
mi domando se un giornalista o un critico liberi, (poiché non nego
importanza al loro compito, ma se effettuato appunto in libertà e
con onestà,) avrebbero avuto il coraggio di dimenticare questa
scrittrice, come anche sicuramente Eco e Vassalli e Magris e Celati e
qui mi fermo, citando gli ultimi due per la sola certezza della loro
immensa e onesta cultura. Probabilmente avrei messo anche l'opinione
di De Gregori, Vecchioni, Paolo Conte e qualche nome veramente valido
della musica italiana.
Sarebbe
dunque stato semplice produrre un inserto un po' più goloso!
Penso
che i lettori esistino e siano disposti a pensare ma devono essere
“presi” con un po' più di rispetto. Dal dopoguerra la
comunicazione di massa ha preferito gli esiti immediati della
comunicazione emotiva, rinunciando ai risultati di quella
intellettiva che consistono nel vendere un prodotto pubblicizzato
anche dopo anni dal suo lancio.
L'attuale
sistema di vendita si propone un solo risultato: vendere subito, e
subito vuol dire, per un libro, al massimo sei mesi. Deduco questa
misura da un'analisi precedentemente condotta su un'operazione
pubblicitaria denominata Vintage e che è spiegata nei suoi esiti
sempre sul blog.
Facciamo
ora una domanda idiota agli innominati che hanno prodotto
quell'inserto e in generale a tutto un settore: come fa un testo di
valore a diventare un classico? Risposta: vende per un certo numero
di anni. Un pubblico si affeziona al prodotto e fa si che questo non
scenda sotto un livello di vendite tale da innescare il disinteresse
del livello commerciale del quale si deve tenere ovviamente conto.
Se
si utilizza solo la pubblicità emotiva, nulla, nemmeno una eventuale
opera che di fatto potrebbe nascere, di un livello superiore alla
Commedia, potrà entrare in quel binario senza attriti e forza di
gravità che ha sapore di eternità.
Mi
risulta che dal secondo dopoguerra solo “Cent'anni di solitudine”
è riuscita, nonostante i venti contrari, ad incanalarsi.
Si
faccia caso alla Russia. Viene riesumato “Il Maestro e Margherita”
di Bulgakov e il seguito è impressionante. Non solo la pubblicità,
sia emotiva che intellettuale, agiscono. Viene anche prodotto un film
a puntate di discreto livello (con musiche, nella scena del ballo di
Satana, di un eccellente musicista. Guardare su You tube …) e alla
tivù nazionale se ne parla spesso. Bulgakov, maltrattato da Stalin e
dalla sua epoca, è ora riabilitato e entra a far parte della
russità, di quell'essere russi che fa il paio con l'italianità, che
dopo Fellini e Antonioni, ora oscilla fra un Crialese troppo ignorato
e i Cesaroni …
L'altro
caso, sempre russo è quello del romanzo “Vita e destino” di
Vasilij Grossman. Nel 1961, gli agenti del KGB confiscano il
manoscritto al suo autore e riapparirà solo a Muro crollato. Si
pensa, e credo non a torto, che un certo Putin, che da Berlino Est
gestiva appunto quell'ente che si diede anche compiti da
inquisizione, abbia provveduto a recuperare il testo e a lasciarlo
libero di andare incontro al suo destino (per questo “si dice” ho
fonti certe che potrei definire dirette). Ebbene, il libro è un
capolavoro e anche in questo caso ne è uscito un film per la
televisione che considero di livello elevato. Riesce a vedere,
questa intellettualità italiana il fatto che questo movimento è
creato da una volontà russa che loro non hanno? Ricordo di aver
dialogato con allievi della scuola del cinema di Mosca. C'era
un'attenzione, una tensione verso l'alto, una volontà artistica, che
qui è costantemente annichilita. Da loro un Danelia, un Michalkov e
il frattellastro anche lui valido regista e insomma tutta una
mentalità, stanno ponendo le basi per una continuità di fervore
artistico che fa bella la Russia nonostante i suoi tanti e
macroscopici difetti.
Qui
quel che accade a Natale è di vedersi proposto un canestro di frutti
finti e di tornarsene a casa con la solita fame dell'anima che non
interessa a nessuno e che veramente ha il potere di annientare
l'identità di un popolo.
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