mercoledì 12 dicembre 2012

Italianità misera e grande letteratura italiana


Pensavo che non avrei più scritto per un bel pezzo. Se non mi va non mi va e basta. Questo meccanismo di disaffezione mi è scattato pian piano, da quest’estate e curiosamente, i lettori del blog si sono invece moltiplicati.
L’indifferenza che mi è nata dentro è una delle tante forme dell’angoscia. Un senso di inutilità per quel che nel blog vado facendo … e non lo contraddice l’affluenza di lettori invisibili.
Scrivere per il blog è un gioco. Lo faccio col computer, di getto. Per la letteratura uso la penna, e divento avaro. Alcune cose le leggo e rileggo ormai solo io. E perché faccio così? Per una ormai completa mala stima dell’Italia e degli italiani. All’estero qualcosa mando. Mi si chiederà: “ma se ci stai male perché non te ne vai?” e rispondo che ci ho provato, ma partire non è semplice.
Ma cosa mi fa odiare gli italiani, ormai con sincerità e senza sentire la necessità di  nasconderlo? Eccovi un esempio. La letteratura italiana esiste ed è fra le migliori al mondo. Ma non è certo grazie agli italiani che lo scopro. Da Borges ho avuto in dono Papini, da Tonino Guerra, Manganelli, dal caso, l’Anonimo Triestino, Tommaso Landolfi, Alessandro Pavolini, Anna Maria Ortese, Salvatore Satta, Ennio Flaiano e Vitaliano Brancati. Ora, provate a scorrere onestamente questi nomi e dire quali vi son noti. Forse Brancati, ma per il resto in testa avete, tranne rari casi, il vuoto cosmico … ma non è colpa vostra … Tempo fa, qualcuno contestò in università, il fatto che si studiassero scrittori impresentabili. Fu portato un elenco con dei titoli che mi avevano affettuosamente estorto dopo una spaghettata notturna. Ebbene … ci fu la rabbia, l’irrigidimento, e le lezioni proseguirono con Sanguineti e altra robina di scarto del medesimo livello.
Se essere italiani vuol dire conoscere la propria cultura, di voi rimane un latrare banale allo stadio quando gioca la nazionale … ma, insisto, non è colpa vostra. Chi avrebbe dovuto, la famiglia, la scuola, l’università, la tivù, e lo stato italiano in generale, avrebbe dovuto offrirvi quelle gemme che potrebbero rendervi concretamente orgogliosi di essere italiani.
È ben vero che siete un popolo corrotto. Corrotto per tradizione. Lo conferma una statistica di questi giorni che vi pone al terzo posto, (dietro a Messico e Turchia). Non si dimentichi, tanto per citare un esempio vecchio di cinquecento anni … che Lorenzo, indubbiamente Magnifico per arte e letteratura, per poter governare o eleggere i suoi, nella “sua” Fiorenza, sistematicamente corrompeva tutti coloro facevano parte dei consigli che dovevano decidere della cosa pubblica. Nella repubblica fiorentina c’era per esempio il sorteggio delle cariche che spesso duravano solo due mesi; queste strategie erano diventate necessarie per impedire l’illegalità e il Magnifico Lorenzo ereditò dal padre Cosimo detto il vecchio una città vestita da democrazia oligarchica, ma di fatto dittatura. Non per nulla i suoi rivali riuscirono a farlo vacillare, oltre che con tre tentati omicidi, col ristabilire, anche se per poco, il sorteggio … vedete come non è cambiato niente? Non è necessario pensare solo alla politica attuale per cogliere questa tendenza a farsi prima di tutto, anzi solamente, gli affari propri.
Qualche altro esempio … Si legga, dalle “Lettere luterane” di Pasolini, il capitoletto intitolato “Processo anche a Donat Cattin”. Spiego in poche parole. Pasolini ci rivela che sull’ Espresso del 10 marzo 1974, appare un articolo nel quale Andreotti minaccia Fanfani di fare rivelazioni sull’Affare Montesi (siderurgia a Gioia Tauro), in risposta alla minaccia di questi, di fare rivelazioni in proposito del finanziamento ai partiti…  Pasolini giustamente si domanda: ma non dovrebbe intervenire la magistratura? Quel che comunque ci risulta chiaro è che l’italia (minuscolo voluto…) del 1974 ben sapeva come stavano le cose.
Un'altra citazione: Leonardo Sciascia nel libro “Nero su Nero” racconta di aver sentito il seguente dialogo fra due onorevoli: “Allora, lo hai raggiunto il tetto?” l’altro risponde “non ancora, ma manca poco”. Sciascia non comprende e qualche tempo dopo chiede spiegazione ad un amico, anche lui onorevole, che rivela, facendogli anche capire che è uno sprovveduto, che il tetto è il miliardo di vecchie lire, il primo miliardo, che riesce ad intascare … Di questo libretto di Sciascia merita anche di essere ricordato, per questo contesto, quel capitoletto verso la fine, che narra delle disavventure di un palermitano che decise di scrivere la propria tesi di laurea. Non usava… Si andava in una copisteria, si diceva con quale prof ci si laureava e ti mostravano tesi pronte. Sceglievi, pagavi e il gioco era fatto. Era un mercato, c’era gente che ci lavorava dietro! Che un cretinetti decidesse di fare di testa sua era intollerabile … ma lo fece e fu … bocciato. Non sto scherzando.
Questi due esempi. Uno tratto da un intellettuale, Pasolini, e uno da un grande artista, Sciascia, ci dimostrano che l’italiano sapeva e sa di sapere. Chiedeva fino a poco tempo fa, un velo, comunque sottilissimo, di omertà, una finzione nel dialogo, ma sapeva … e agiva. Provate ora a fare il calcolo delle date. Con quanto ritardo su ciò che tutti sapevano, si ebbe lo scandalo del finanziamento dei partiti noto come scandalo tangenti? Come giustifico quel ritardo se non ammettendo che l’italiano aveva creato un sistema? non solo il politico seduto in parlamento, non lo si pensi! Lui era solo il vertice di un agire  che aggirava la qualità, quella vera.
Un altro esempio dell’italianità che secondo me non cambierà mai, lo traggo dal Palio di Siena che per me rappresenta con un’esattezza a dir poco perfetta, la mentalità da secoli dominante. Esistono delle regole al Palio? Certo. Tutti le conoscono, ma si può andare, anzi, si deve andare oltre. Se qualcuno per esempio corrompe il fantino e questo decide di non vincere, non si grida allo scandalo. Se alla fine della gara il fantino è rimasto indietro la sua contrada ha perso e basta. Tutti sanno che potrebbe essere colpa del cavallo oppure… Ovviamente se il corrotto viene scoperto lo spellano vivo, ma quel che importa al senese è chi ha vinto il Palio. Come, non importa a nessuno e le regole servono solo per decretare una differenza di forma fra le cose che si possono e devono fare alla luce del sole e quelle che possono e si sentono in dovere di fare … diciamo all’ombra. Possiamo affermare che chi ha vinto il palio si è dimostrato primo in un sistema nel quale tutto è possibile e accettato. E tutti i contradaioli lo sanno…. Da qui si deduce che chi è corrotto, disonesto, finché la fa franca è meritevole del premio dell’invidia, e se invece lo “beccano”, non è comunque colpevole, ma solo poco sveglio. Il mondo, anzi, l’Italia, è dei furbi …
Se la legge, per l’italiano, è la struttura di regole da aggirare, ecco che tutto diventa ingestibile e la democrazia impossibile, ma, si badi bene, non solo quella. Qualsiasi forma di governo ha bisogno di regole. In italia anche un dittatore farebbe un buco nell’acqua e la storia ne ha dato testimonianza.
Un esempio celebre ma mai analizzato dai quotidiani con la necessaria lucidità, è quello di materazzi (minuscolo meritato) alla finale dei Monciali di calcio. La famosa testata di Zidane non nacque perché questo calciatore se vede azzurro eperde la testa come un toro daltonico … Si sa che materazzi ha pesantemente insultato qualcuno della sua famiglia. Zidane reagì e venne espulso. Ma nessuno in Italia si è indignato. Io avrei svergognato materazzi. Togliergli la maglia della nazionale per sempre e scusarsi pubblicamente dichiarando che non ci si riconosce in quel comportamento, sarebbe stato il minimo. Ma in Italia non va così. Importa chi vince la partita e le regole devi saperle “usare”. Rispettarle è da stupidi. E così i ragazzi italiani hanno capito la lezione. Se insulto un avversario, stando ben attento a non farmi sentire e riesco a farlo reagire, ottengo comunque un risultato utile per la squadra. Il minimo sarà che l’avversario, innervosito, giocherà male, ma potrebbe reagire! essere espulso! e così vincere sarà più facile. Ma, mi domando io, quel vincere, se non è pulito, che valore ha? E lo sport insegna quotidianamente che il mondo è diviso in fessi e furbi che è un modo più concreto di dire onesti e disonesti.
Eccovi un altro esempio più banale, se vogliamo, ma che porta in sé un grande significato. Passeggio col cane che decide di fare la cacca. Sono sempre munito dell’occorrente, la raccolgo e la getto in un bidone della spazzatura poco distante. Ma accade qualcosa che mi sorprende. Due signori mi fanno i complimenti. Vogliono pure offrirmi il caffè. Me ne sono andato facendo notare che gli abitanti di una nazione che vogliono premiare chi compie il più semplice dei doveri, così facendo ammettono, anche se in modo assai indiretto, che sono messi maluccio. E questo esempio me ne porta alla mente un altro che dispone di una carica simbolica ancora più forte e comunque sempre indiretta. Spesso vedo esimi cittadini che fumano in giardino, si avvicinano alla recinzione che da sulla strada, danno “l’ultimo tiro” e gettano il mozzicone di là. È importante e significativo. Pensateci! Di la, la strada, è per quelle persone terra di nessuno. Pensare che la strada è di tutti e anche sua è oltre ogni logica, per l’italiano. E vi sembra lungo il passo che porta al politico che considera di nessuno, quindi fruibile, il bene pubblico che può avere forma di contanti, case o altro e che esce dalle tasse dei cittadini o dai beni statali (e che vuol dire in fondo la stessa cosa?)
Rincaro la dose. Colpisco in alto. Io studente non più di primo pelo, alla facoltà di storia contemporanea di Bologna. Preside, Paolo Prodi. Arrivo in orario di colloquio per parlare con un professore che … non c’è. Alla terza volta mi rivolgo al preside che mi dice testualmente “avrà avuto da fare, e poi una volta capita!” e mi liquida così. Non conta dire che non vengo da troppo vicino, che ci rimetto la giornata. La volta dopo idem con patate e medesima risposta. La volta dopo ancora, vedendo che il prof è sempre placidamente assente, torno dal preside e chiedo di nuovo spiegazione. Ma ha  gente e questa volta l’ho infastidito. Non reggo e gli dico: “Quella sull’attaccapanni è la sua giacca?” mi risponde di si e controbatto: “bene, allora ora le rubo il portafoglio … tanto … una volta non fa il ladro” lo vedo stizzito perché fa brutta figura con i suoi ospiti ma non agisce ancora. Quando lo invito a non fare l’italiano, che diversamente non lascio il suo ufficio fino a sera, allora, inviperito, alza la cornetta compone un numero interno e il professore perennemente assente appare …
Altro esempio. Ero studente della facoltà di lettere e filosofia e dovevo andare agli uffici. Arrivai e c’era la bolgia. Centinaia di persone e solo uno sportello aperto. Mi venne un’idea e agii. andai all’entrata dei dipendenti dell’ufficio e suonai. Chiesero chi è e dissi “il dottor e poi aggiungo il mio cognome”. Si badi che dissi la verità. Nessuna furbizia. Avevo una laurea e un cognome … veri. Si apre il cancelletto elettrico e mi ritrovo in uffici pieni di gente. È lunedì. C’è chi legge la gazzetta, chi racconta ad altri riuniti intorno a lui un’avventura domenicale; altre, non poche, al telefono parlano e parlano e … ecco che esplodo. Mi metto a urlare che sono dei maleducati, che la fuori ci son centinaia di persone che attendono e un solo sportello aperto eccetera. E la mia rabbia funzionò e indovinate un po’ perché. Non sapevano chi fosse quella persona che urlava. Arrivò la direttrice che chiese spiegazioni. Gliele diedi e mi dichiarai indignato e, indovinate di nuovo cosa accadde? Mi disse, “venga in ufficio, mi dia la sua pratica che la facciamo subito”. Avete colto il significato di questo agire? Vengo rabbonito. Si pensa che io sia arrabbiato perché ci sto rimettendo la mattina e non anche perché la situazione che ho visto è vergognosa! Risposi che avevo un foglietto con un numero e che sarei tornato a fare la fila. Non volevo privilegi ma correttezza. Ero un ufo … o un deficiente, e in fondo per questa italia lo sono ancora…
Avrei altri esempi di questo tipo, ci sarebbe da ridere e da piangere … e so che anche voi ne avete a quintali ma, con una differenza, io da sempre rispetto il numero della fila e raccolgo le cacche, voi solo a parole…
Ma … quel che collego a tutte queste tristi faccende è la notizia fresca di ieri che alla presidenza della repubblica pensano di candidare Romano Prodi e Mario Monti. Il primo, maestro di nepotismo, malattia tutta italiana che i sociologi chiamano familismo amorale, l’altro, che ha messo in ginocchio il popolo italiano per rifocillare quell’alta finanza che aveva sbagliati qualche anno fa i conti per eccesso di cupidigia e che del crac che aveva causato non voleva e non vuole essere responsabile. Monti: denunciarlo al tribunale dell’Aja per genocidio sarebbe il minimo. Basti pensare alle notizie occultate da un giornalismo servile in proposito dei suicidi per carenza di lavoro,  di dignità, per vergogna davanti ai figli che non sanno come far arrivare a domani… Quel Monti poi che, per eccesso di burla, è pagato dagli italiani e non dalle banche per le quali evidentemente lavora…
Devo comunque aggiungere che non cambierà niente. Possono eleggere chi vogliono, ma se il pensiero non cambia l’eletto, che altri non è che l’espressione di una mentalità collettiva, continuerà a fare gli interessi propri e quando proprio è in buona, quelli di chi rappresenta. Si può aggiungere che, essendo vicini alle elezioni ci si potrebbe sentire emotivamente coinvolti da questo circo che offre la sensazione, inesistente, di partecipare. Attualmente il sistema bancario governa, e non da ieri. Si pensi a quante cariche politiche importanti o importantissime, solo in italia, sono state coperte da personaggi che lavoravano o gestivano il sistema bancario … esiste poi un altro aspetto di non poco conto. Domandina. È più importante il parlamento di Strasburgo o quello di Roma? Ormai conta di più Strasburgo e l’italia che arriva sempre con qualche mese di ritardo, ci manda la gente come Borghezio e Mastella, che deve farsi dimenticare per un po’, causa un eccesso di incorreggibilità manifestata, che è perdonabile solo col tempo. Il tempo pulisce tutto, particolarmente in quei popoli che ormai vivono solo nel presente.
 Ma, si può pensare solo su quel che ricordiamo …
Se abbiamo pochi ricordi, poca memoria, il pensiero che da questi esce sarà per forza di cose fragilissimo, inconsistente.
Torno ora alla letteratura. Mi son domandato come fosse possibile che in uno stato sgangherato come l’italia, nel novecento si siano espressi tanti talenti. E avendone conosciuti alcuni, quindi anche grazie all’esperienza, qualcosa ho dedotto. Se nasci e hai una sensibilità, è dura. Nessun rispetto. O lotti come gli altri o sei sotto. Quindi vite solitarie e anche difficili. Mi permetto di fare un parallelo col mondo anglosassone. La, se rendi economicamente, sei un grande. è sbagliato ma … potrebbe anche accadere la coincidenza che oltre a rendere vali. Per esempio Dickens, Virginia Woolf eccetera. Qui in italia valore e resa economica non coincidono se non per caso. Se qualcuno pensa per esempio che Fellini fosse abbiente, si sbaglia. Si tenga conto che diventava matto per trovare i soldi per fare un film. Lo stesso dicasi per Antonioni. Quando un artista non ne ha abbastanza per produrre un’opera è povero e soffre. E l’opera è un lascito eterno alla comunità alla quale appartiene … Chi scrive invece, può anche campare con poco. In fondo anche chi dipinge. La ricchezza per loro, sta nell’avere tempo e poco altro. I fogli, la penna, l’inchiostro, i colori. Si pensi a Giovanni Fattori che rifiutò titoli e incensi. Era padrone di quel livello esistenziale che gli permetteva di creare e non voleva turbarlo. Le medaglie e la grande notorietà distraggono …
Veniamo agli autori che ho citato.
Anna Maria Ortese. È stata riesumata per un attimo, solo un attimo, sul Corriere della Sera, qualche giorno fa. Nicola Salutati, capo redattore dell’economia di quel giornale, ha dato dei consigli di lettura. “Il mare non bagna Napoli” è il primo di questi. Questo è il libro. In esso si trova un racconto che considero perfetto. Si intitola “Gli occhiali”. Dire perfetto è di una rarità quasi assoluta. Mi vengono in mente Kafka, Fitzgerald, Melville e pochi altri. E questa scrittrice è quasi sconosciuta! Come l’ho scovata! In un mercatino dell’usato. Ne presi una decina. Nome sconosciuto, prezzo minore di un caffè. Proviamo. Ed è un gioiello anzi di più. Come diceva Borges … “oggi la bellezza è comune. Vale quel che va oltre la bellezza, vale quel che merita di essere ricordato …”
Giovanni Papini. Seppi da Borges che lo stimava profondamente. Quando per Franco Maria Ricci curò la collana di letteratura fantastica intitolata “La biblioteca di Babele”, gli dedicò un volume.
Di lui ho trovato libri di inizio secolo al prezzo di un bicchier d’acqua. Non scherzo. Il più caro è stato “Memorie d’Iddio”. Cinque euro. Quasi il prezzo di cinque caffè a Roma. È una terza edizione del 1919 di Vallecchi. La prima fu del 1911. Si sa che mandò la figlia in giro per librerie a recuperare copie perché fu osteggiato e poi, alla fine, divenuto credente, si sentì in colpa per quelle centoundici pagine. Quando Dio inizia la sua autobiografia dicendoci che lui non ha mandato nessuno, che chi dice di essere stato mandato da lui o di aver parlato a nome suo, lo ha fatto a sua discrezione ma che lui non centra niente, ecco, quando si inizia così, ci rendiamo conto che ogni pagina potrebbe essere l’ultima perché sembra che non ci sia più niente da dire. E invece l’autore forse più originale del novecento italiano, sa stupirci, sa portarci con saggezza oltre il pensiero.
Di Papini consiglio anche “Gog”. È la disordinata autobiografia di un uomo che è diventato ricchissimo e che quindi può permettersi tutto. Si tratta di un capolavoro del paradosso che stupisce. Abbiamo la sensazione, dopo aver letto, che il possesso di qualsiasi cosa, quando si fa sicuro, completo, indiscutibile, perde ogni suo valore. E non solo. Penso che se l’Italia avesse tenuto conto di opere così fantasiose, le avesse date in mano alla gente da leggere, da pensarci un po’ sopra, forse qualche “figlio d’arte” sarebbe nato. Ed è nato infatti, ma in Argentina. Leggendo le opere di Papini che vi consiglierò, ho “sentito” la materia universale della letteratura prendere una forma definita e notevole nella mente di Jorge Louis Borges. Si sa che verso i quarant’anni in lui scattò qualcosa che lo fece diventare l’autore eccellente che ora conosciamo. Ebbene, “Finzioni”, “L’Aleph” e tanti altri suoi gioielli, sono un’estensione raffinata della mente di Papini. Lui ne è stato la miccia, la fonte, la guida. Sicuramente Borges lesse anche “Figure umane”, libretto apparentemente leggero che ci mostra questo scrittore nella sua casetta in collina che “lega” con i vicini. In esso racconti come “La mangiatrice di viole” stordiscono e commuovono per la sensazione immediata di profondità e bellezza. È un libro del 1943 che mi ricorda con affetto Tonino Guerra, che vagava per la Valmarecchia e scopriva gente originale, che poteva sembrare matta ma che, alla fine dei conti, era più vera di quel che noi crediamo essere la verità. Penso di quando mi raccontò, per esempio, di quell’uomo che aveva fatto grondaie che si infilavano su per gli alberi e concentravano tutta l’acqua in qualche botte. Tonino chiese “ma a cosa serve?” “per l’insalata. L’acqua della pioggia ha dentro i fulmini, viene più buona.”
Consiglio anche “Nipoti d’Iddio”. La mia copia è del 1942, con la salamandra di Vallecchi in copertina che se ne sta fra un erba che sembra fiamma o una fiamma che sembra erba. È sufficiente leggere i primi tre saggi sull’Alberti, Leonardo e Michelangelo per “sentire” la grandiosità e la sincerità minuziosa della sua mente. Una cosa comunque la devo spiegare. Tutti, secondo Papini, son figli di Dio. Gli artisti son nipoti  … e che il resto ve lo dia la lettura. Che questa ricerca vi faccia staccare le chiappe dal computer e muoverle un po’ che ormai sono quadrate! Questa roba non la trovate per ora sugli E book quindi vi tocca camminare e andare per mercatini o in qualche biblioteca che comunque la roba troppo datata non te la presta ma te la fa leggere nelle sue sale che per quanto belle non son mai comode quanto la poltrona di casa. Forse si trova ancora “Gog”, perché mi risulta che il quotidiano “Libero” abbia provveduto ad una saggia ristampa qualche annetto fa.
E ora la patata bollente: Alessandro Pavolini. Il nipote, finalista a un qualche premio letterario, con una bella testa ricciuta, segue le orme del nonno … che era un fenomeno.
Perché patata Bollente: perché era un fascista della prima ora e fu ministro della cultura popolare (la celebre  sigla minculpop, nome che starebbe benissimo su quel ministero del Lungotevere detto pubblica distruzione o istruzione … non ricordo esattamente, ma ho la sensazione che un vocabolo ormai valga l’altro …)
Fu poi fucilato con Mussolini e con lui penzolò a Piazzale Loreto. Era un duro e un puro. Era convinto e coerente. Veniamo ora ad un ragionamento. C’erano tre religioni laiche che si contendevano il regno del mondo. I capitalisti, i comunisti e i fascisti (undici stati solo in Europa erano di questo gruppo). Dopo il quarantacinque si ebbe la sensazione che avessero vinto capitalisti e comunisti. Da dopo il crollo del Muro, nel 1989 si ebbe la sensazione che avesse vinto il capitalismo. Attualmente si ha la certezza che non ha vinto nessuno e, anzi, che solo la gente comune abbia perso come sempre.
Queste tre religioni laiche, ebbero una loro letteratura. Ci manca quasi completamente all’appello quella dei fascisti. Ma … e se ci fosse qualcosa di buono?
Spero sia chiaro che non m’interessa la politica. Per me questa ha un senso solo se l’Uomo accetta delle regole fondanti e uguali per tutti. Se non accade, e più o meno da Adamo ed Eva va così, è una pagliacciata e basta. Ho cercato di vedere e leggere di tutto. Non sono immortale, o almeno così mi dicono, quindi immagino che mi sfuggiranno molti doni e quelli che goduto li devo, come nel caso del libro di Pavolini, al caso, ma quando una cosa vale, vale e basta. Ho visto i quadri di Hitler e non mi hanno detto niente, ho letto “L’amante del cardinale di Mussolini” e, giustamente, non ricordo nulla, ho letto le poesie di Mao e le ho, giustamente, dimenticate ho letto “Scomparsa d’Angela” di Pavolini e ho pensato tanto, troppo, per poter dire a me stesso e a voi che è il nulla. Vale e molto. Se partiamo poi dal presupposto che forse il fascismo uno straccio di ideale lo doveva pure avere e che la storia scritta dai vincitori ha deriso e svilito anche ciò che forse non meritava, dobbiamo metterci nell’ordine di idee che si deve agire, andare alle fonti, per farci un’idea decente dei fatti.
Vi faccio un esempio di risultato questa volta involontario, ottenuto lavorando su documenti trovati su una bancarella. Trovai a pochissimo prezzo un passaporto austriaco del periodo fra le due guerre. Apparteneva ad un austriaco, un viennese. Dai libri di storia sappiamo che la Germania hitleriana aveva annesso l’Austria. Nei libri troviamo proprio la parola originale tedesca: Anschluss. Quel che il libro di storia non diceva lo aggiungeva automaticamente l’onesto lettore che mediamente deduceva quanto segue: l’Austria era ormai una cosa unica con la Germania. Questo ragionamento era oltre il resto appoggiato dalla consapevolezza che Hitler era di Braunau, un paesino dell’Austria appunto. Si aveva la sensazione che con l’Anschluss il dittatore avesse reso legittimo il suo potere che fino a quel momento riguardava stranamente un altro stato e poteva puzzare di illegittimità. E invece quel documento trovato, mi rivelava una realtà diversa. Sulla copertina c’era stampigliato “Per stranieri”. Questo viennese, risultava quindi essere per la Germania, uno straniero anche dopo nl’anchluss, e un documento al suo interno mi diceva oltre il resto che era un lavoratore straniero che lo stato invasore aveva “mandato” a Vienna a lavorare, ma che poteva finire in qualsiasi altra azienda nazionale. La medesima procedura quindi che si usava per un italiano o un francese o un polacco dei territori appena annessi con la guerra. Vedete, capire che l’Austria non era parte della Germania, ma una colonia, e come tale trattata, è importante … ma non lo trovi sui libri …
E ora torniamo a “Scomparsa d’Angela di Pavolini”. È un libro importante prima di tutto per chi vuole capire l’ideale di quei fascisti puri che pure dovevano esistere. Non è possibile credere che si trattasse, come vogliono farci credere di un branco di caproni, anche perché si arrivò ad un punto che la maggioranza del popolo italiano era veramente e convintamente fascista … per quanto può valere la convinzione in un popolo corrotto …
Si deve decidere. Milioni di caproni in italia, una maggioranza di caproni, per un movimento senza idee?
Impossibile anche su questa bella penisola, perché, si ricordi, che all’italiano le regole servono per definire l’apparenza, per sapere cosa dover aggirare e come …
Ebbene, quel libro contiene un’ideale. È vero che per realizzarlo non si andava per il sottile, ma se penso ai morti dei vari comunismi, ai morti del capitalismo che spesso non hanno a che fare con guerre, fucilazioni e manganellate, ma con Porto Marghera, Acciaierie di Taranto fino al caso limite di Bophal il India e il disastro immane causato dalla Union Carbide … ecco, se penso a tutto questo o smetto di leggere le opere di ogni fazione che ha usato la violenza, o le leggo tutte e uso la mia testa … non va di moda ma a me piace …
Ma quel che accade con Pavolini, non consiste solo nello scoprire che l’acqua calda è calda. C’ è dell’altro e ve lo racconto così. Dissi a Tonino che avevo scovato un libretto del 1940 che era un gioiellino, non rivelai di chi era ma gli consegnai le fotocopie senza copertina. Lesse e mi disse che sì, era veramente bravo. “Ma di chi è! Lo conosco?” “si che lo conosci. Si chiama Alessandro Pavolini”. Tonino ne fu visibilmente sorpreso. “Quello?” “Si Tonino, quello”. Ebbe l’onestà, come sempre, di mantenersi coerente col suo pensiero. Mi disse comunque che la sua generazione non sarebbe riuscita a parlarne, la ferita era ancora troppo fresca. Toccava alla mia …
E quel che ha che non ti aspetti è che ti commuove. “Scomparsa d’Angela” ti porta alla tenerezza, all’esaltazione, e in certi casi a fruire di un senso estetico che ti sorprende. Il racconto “Fidanzata” si scioglie in noi con delicatezza. Ci troviamo ad essere in sintonia con i protagonisti, li comprendiamo fino in fondo e poi, quel finale cruento, che per un attimo sentiamo legittimo ci fa impressione poiché il nome dell’autore ci scivola dinnanzi agli occhi continuamente, e per noi che sappiamo, è un attimo rendersi conto che il finale rissoso equivale a rendere lecito il modo di agire del fascismo, delle squadracce. Ma … e se lo leggesse un ragazzo che di Pavolini non sa nulla? Il tempo per lui ha livellato quel nome e sarà solo uno scrittore fra tanti … ecco, quel ragazzo comprenderà la reazione, la approverà, poiché tutti hanno un’adolescenza dentro che in qualche modo è stata ferita e reagisce … approverà, ne sono certo, fino in fondo.
Un racconto che non può lasciare dubbi, anche se non si sa nulla dell’autore, è “Una camicia nera”. Il cieco al piano, la moglie così gentile e premurosa, e l’uomo con la camicia nera che tutela, nonostante il caos che ha creato, quella dolcezza. E ce lo domandiamo. È un fascista, è il cattivo! Come fa ad essere contemporaneamente anche buono!?! Ma una risposta si impone con evidenza fastidiosa. Quell’affetto fra il pianista cieco e la moglie, quel mondo fragile è la meta, è quanto quel caos di violenza innescato vuol rendere possibile. Quello, per Pavolini, era l’ideale. Quella coppia non la toccava con la forza, perché quanto c’è di buono merita di sopravvivere ai tempi nuovi che da loro dovevano prendere esempio.
Ne citerò solo un altro: “Sotto il disegno dell’aquila”. Qui è chiaro il senso di ordine che a Guidonia, città costruita dal fascismo, si vuol rappresentare. Quella è la meta. Un mondo corretto, educato, nel quale tutto funziona …
E ci si domanda … ma allora così era il fascismo? Io che di storia ne ho studiata tanta (e non mi fermo), deduco che fu un ideale che, come il comunismo pensò di realizzarsi per mezzo della violenza diretta. Chiamiamola forza, che forse rende più l’idea. Ha vinto, anzi, ci mette più tempo a perdere, il capitalismo, che pure uccide ma in modo appunto indiretto, perché si sa che un bilancio vale più della vita della gente (vero Monti?). Si tratta di una differenza di tecnica. Ecco l’esempio. Il veleno mica lo prendi … perché si muore subito e non ci si trovano ne utilità ne piacere. La sigaretta si che la prendi. Per ora da piacere e domani ti secca … e infatti di quelle ne hanno vendute un’infinità pur sapendo. E so che sapevano.
Lavori all’acciaieria di Taranto? Oggi ci vai. Devi pur lavorare, e quindi ti avveleni per un’utilità immediata. Domani sei secco. Funziona … lo capite? È sufficiente che il veleno dia un attimo di soddisfazione di un bisogno o di un piacere e poi, se con calma ci rimetti la pelle … beh, fatalità. Si faranno battaglie di statistiche, si rimanderà la verità che verrà a galla solo quando non ci saranno più ne vittime ne colpevoli, tutti morti … seppelliti dal tempo.
Una precisazione devo farla. Se si legge “Mein Kampf” di Hitler, si capisce senza possibilità di fraintendimento, che alla base c’è una teoria razzista che è con ogni evidenza assurda e con essa si pretendeva di rendere lecito il genocidio. Nella teoria fascista italiana, l’antisemitismo interviene come ordine esterno inevitabile ma non desiderato. Il razzismo italiano esisteva ma non era truce e con idee di pulizie etniche totali.  È vero comunque che ambedue le ideologie intendevano “convincere” chi non era d’accordo, con la forza.
Tommaso Landolfi. Pago esattamente trenta centesimi “Racconto d’autunno”. Non mi sono fatto ammaliare dalla copertina. Un’opera di Redon che forse vuol essere lievemente inquietante. Ma odio queste tecniche povere fino al ridicolo, degli editori. Mi piacerebbe che anche le copertine le preparassero gli autori! Loro, gli editori, mirano solo all’emozione, sembra che il cervello serva solo per riempire quella parte di testa che da senso alle orecchie. Pensare? Dio mio no! Emozionare! Questa è la parola d’ordine!
Io invece son rimasto sorpreso di trovarmi fra le mani un autore del 1975 pubblicato dalla Rizzoli e a me sconosciuto. Ci si somma poi un giochino che ho ereditato da Alberto Savinio. Mi lascio trasportare dall’effetto che mi fanno nome e cognome. Tommaso Landolfi suona bene. È pieno, lo sento. Vale la pena di provare. E l’irrazionale consigliato da Savinio, che nell’aldilà se la ride delle mie dinamiche mentali, quell’irrazionale dicevo, ha colpito nel segno. Un gioiello. Il racconto fu scritto nel 1947 e qualcosa di Landolfi in fondo sapevo, poiché ho qualche sua traduzione dal russo che, per esempio per Pushkin non mi ha per niente affascinato. Ma non è colpa di Landolfi. Pushkin, come Mandel’stam, Achmatova e si può dire, tutti i poeti russi, è intraducibile. Si perde troppo. Se li vuoi almeno sfiorare devi fare come fece Landolfi; studi il russo e vai a fare un giro da quelle parti che non guasta. Io ho fatto più di un giro, ma per il russo come lingua, rimando purtroppo l’incontro. Devo decidermi.
“Racconto d’autunno” centocinquanta pagine, un sorso, per una favola che ci sorprende ad ogni pagina. Mai quel che immaginiamo accade. E quella figura femminile, ossessiva e al contempo totale nel sentimento, ci prende e ci respinge continuamente, senza sosta. Un CA PO LA VO RO.
Ha una caratteristica alla quale le menti della sua epoca non seppero adattarsi. Sentiamo odor di guerra, ma solo all’inizio, per creare la situazione, e poi si entra in una dimensione che è favola e mito. E come accadde a Marvin Peake con la trilogia di Gormenghast, pubblicata la prima volta nel 1946, sorprese negativamente che dopo anni di guerra qualcuno si buttasse nella favola o in qualcosa comunque che non aveva a che fare con la realtà dei fatti accadenti o appena accaduti. Non entro in merito a questa banalità. Seguo il dettato di Wilde che ci dice: “non esistono libri belli o brutti, ma libri scritti bene o scritti male”. Frase vasta e subdola perché presuppone che una qualche idea del bene o del male la si abbia in un’epoca come la nostra nella quale ci vogliono convincere che bene e male non esistono … Io preferisco parlare di piacere e mi sorprende che Wilde, che di piaceri era sicuramente più sfrenato di me che comunque un poco me ne intendo, non ci abbia pensato … oppure ci ha pensato e l’ha detto, e secondo me era coerentissimo con la sua personalità che lo dicesse, ma non è stato colto da chi lo ascoltava perché si sa che gli aforismi di solito son saggezze in forma sufficientemente economica da essere apprezzati anche da ingegni a basso consumo, ma avolte anche li si cela una densità eccessiva. Un libro deve dare piacere! È poi vero che il piacere ha vari livelli. Parte dalla corporeità pura per arrivare alla pura spiritualità. Non si perda tempo a decidere qual è la migliore! Non ha senso, poiché noi fruitori, io per esempio, non siamo mai i medesimi. Ci saranno momenti della giornata, della settimana, della vita, nei quali siam puramente carnali e altri nei quali siamo più o meno o totalmente spirituali. Tutto qui. Ovviamente la pura carnalità rappresenta attimi brevissimi, quasi trascurabili … porto un esempio. Per una dama del settecento, l’amante non era quello che soddisfaceva a letto o in carrozza certe esigenze fisiche. L’amante era quello che principalmente a tavola, condivideva il dialogo … è un problema spiegare queste cosucce in un’epoca come questa che ha l’ossessione del sesso. Sembra, parlo da uomo, che una donna sia tua solo quando … e questa è miseria. E infatti sento spesso parlare della pornografia come arte e in fondo lo si fa per nobilitare un chiodo fisso che non ci fa onore. Se quel che comanda in noi è più o meno a una spanna sotto l’ombelico, siam messi male … si tenga poi conto che nel cinque-seicento più dell’atto sessuale in se affascinava l’intrigo che a questo portava … quindi l’arte è un piacere che non deve essere totalmente carnale ma può essere, anche se rarissimamente accade, completamente spirituale. In Tommaso Landolfi e particolarmente nella figura femminile del “Racconto d’autunno” la dimensione carnale interviene poiché questo amore totale e folle ci affascina e ci ripugna. Anche noi, come il protagonista non sappiamo che fare. Anche noi come lui, torneremo a quella casa strana e vedendo lei non avremmo un motivo al mondo per non desiderarla.
Vedete, una carezza, se la pensi, se la dici, è nulla, se la fai forse arriva al cuore. I sensi hanno un linguaggio, una poesia, una delicatezza, una forza, un’angoscia, che la letteratura e anche le altre arti, giustamente utilizzano. Noi siamo, su questa terra, per mezzo di un corpo. Quando ve lo toglieranno (non sono ancora sicuro di essere mortale …), questo limite di carne, diventerete abbastanza sottili, da poter cogliere intorno a voi una dimensione della quale quella rivelata dai cinque sensi, è solo una parte. Avete vissuto in un corpo perché dovevate conoscerla, quella parte. Ho detto roba metafisica! Deduzione … se è vero son già morto … e nessuno me l’ha detto. Sì, penso che sia possibile, poiché quella dimensione è nota solo a chi il corpo lo ha lasciato e non si sa di nessuno che sia tornato o che ne abbia anche solo avuto voglia. Solo i vivi che si immaginano morti ardono dal desiderio di tornare. Chi è morto, chi ha lasciato il corpo, davanti ad una vastità come quella che trova, non tornerà certo e forse anche si dimenticherà della vita. Sì. Penso sia così, altrimenti come mi spiego che Carlo non mi ha ancora dato i numeri che mi aveva promesso? E son passati un paio d’anni. Il tempo se avesse voluto … ma, ecco, suonano alla porta, alla mia porta che da quindici anni ha il campanello staccato. Sbircio dalla veneziana. È Carlo. Allora sono forse … morto. Si avvicina. È un amico che non vedo da un pezzo. Quindi il dubbio rimane. So cosa c’è dopo. Quindi se lo so forse …
E se è così non avrò più niente da dirvi. Dovrò guardare avanti, in questa dimensione nuova. Capire chi sono. Quanto è inebriante la solitudine! Tornano quasi tutti dal passato. Anche lei che mi diede pugni in faccia con le parole. Ma, Carlo, Tonino, Mario sorridono, il passo unghiuto di Mafalda, ed ecco Tata e Sophie… sto bene. Sì. Sto meglio. E comprendo che sto scrivendo da un sogno
ciao

Nessun commento:

Posta un commento