lunedì 24 dicembre 2012

Ennio Flaiano e Fellini: seconda parte


Per riuscire ad inoltrarsi in questo post è necessario avere la possibilità di vedere e rivedere certe scene de “La dolce vita” e di leggere e rileggere il racconto “Adriano” tratto dal volume “Una e una notte” di Ennio Flajano.
Cerco ora di posizionarli nel flusso storico. Il volume di Flajano è edito per la prima volta nel 1959. Il Film risulta datato 1960, ma so per certo che la sua lavorazione non fu immediatamente precedente a quella data. Veniamo ai fatti: ci fu un problema con il primo produttore e il secondo, che fu Angelo Rizzoli, il celebre editore fu protagonista di una vicenda che ho l'impressione sia poco nota, ma che diventa molto importante per quel che intendo scrivere: a Rizzoli il film non piaceva per niente, lo giudicava troppo esplicito come messaggio sessuale. La sua posizione fu così netta che preferì rimetterci il costo di produzione e diede ordine di archiviarlo senza metterlo sul mercato. Accadde però che a una sua segretaria chiesero un film della sua casa di produzione (Cineriz), da presentare ad un festival in Svizzera. Lei non sapeva del divieto di diffondere quella pellicola e la diede. Si deve quindi al caso l'uscita di questo capolavoro.
“Una e una Notte”, il volume che contiene il racconto “Adriano”, fu pubblicato per la prima volta nel 1959. Quel che mi interessa mostrare è il grande lavoro attuato dietro le quinte da Flajano, per portare a maturazione le scene del film e vedremo che il nocciolo delle idee fondamentali sono presenti al racconto “Adriano” che può essere considerato, come stesura, coetaneo del film.

Devo fare un'altra precisazione: la collaborazione seria, vera, profonda, di Fellini con Flajano, ebbe il suo battesimo vero ne “I vitelloni”. Dico battesimo vero poiché per la prima volta lo scrittore ebbe uno spazio notevole nella progettazione del film. Vi porto qualche esempio: il titolo, “I vitelloni”, non viene dal dialetto di Rimini come solitamente si pensa. Il vocabolo originario è “vudellone” che tradotto alla buona sta per budellone e indica quella persona che non non fa niente dalla mattina alla sera, sta al bar a giocare a biliardo o a carte eccetera. Esattamente il personaggio che nel film è interpretato da un ottimo Alberto Sordi. Negli anni che precedono la preparazione de “La dolce vita”, Flajano ha pian piano introdotto, nel rapporto con Fellini, un modo di lavorare che penso si chiarisca da sé con un esempio. Si consideri la scena de “La dolce vita” nella quale, a piazza del Popolo, viene caricata la prostituta in macchina, si recano a casa sua, eccetera. Vi racconto come si arrivò alla scena del film. Fellini e Tullio Pinelli, andarono a casa di Flajano e gli dissero che avevano in mente di mettere una scena nella quale Mastroianni e la sua avventuretta, avrebbero caricato una prostituta, si sarebbero fatti portare a casa di lei e così avrebbero potuto mostrare la tristezza della vita di questa donna che avrebbe di conseguenza rappresentato tutta la sua categoria, e non solo, poiché si intendeva riprendere anche il quartiere in generale. Vi invito a notare come la scena sia ancora profondamente attaccata al neorealismo … Flajano li ascoltò e poi rispose che la situazione non era così come loro l'avevano immaginata, quello era appunto neorealismo, che ormai, a differenza delle origini, non rappresentava più, come tutti pensavano, uno specchio fedele della realtà. Li portò a piazza del Popolo, fermarono una prostituta, che come nel film manifestò una certa diffidenza poiché si trattava di tre uomini ma cedette davanti al loro fare tranquillo e al fatto che la pagavano non per fare sesso ma per poter prendere il caffè a casa sua. Da qui inizia la scoperta di una donna che ha scelto la prostituzione non per miseria, ma come via molto più rapida di quella normale per ottenere una normalità che consisteva in un appartamento del quale doveva finire di pagare le rate e in tutta quella serie di piccole esigenze ormai indotte dal boom economico. Veramente Fellini Pinelli e Flajano camminarono sulle assi di un pianoterra allagato e presero il caffè sentendo le lodi del tavolino sul quale erano appoggiate le tazzine …
Penso che la conoscenza di questo fatto, renda evidente il lavoro grande di Flajano. Sgretolare i luoghi comuni presenti nella mente degli altri due, e porli davanti alla realtà senza i patetismi venuti di moda col neorealismo. Vedete, ci fu un modo di vivere, un uscire insieme e dialogare vivendo. Quel che accadde fra Fellini e Flajano non fu semplicemente un lavoro. Immaginate attualmente i compartimenti stagni dei un film. Si cerca un'idea (quasi sempre scollata dalla realtà ma affidata al senso comune come accadde con la scena iniziale della prostituta), si scrive un soggetto, qualcuno che spesso nemmeno dialoga col regista prepara la sceneggiatura, e … mettetela come vi pare, quell'unione di menti che si frequentano per arrivare ad una buona sintonia, e che richiede tempo, oggi non è considerata una variabile capace di influire sulla qualità di un film. É una voce che incide sul costo di produzione e quindi viene annullata. Quando accade, si tratta quasi di un miracolo. Così fu per esempio dell'incontro fra Wim Wenders e Peter Handke.

Veniamo al racconto “Adriano”. È diviso in sette capitoli, ognuno con un titolo. In esso, in generale, sentiamo la presenza di un mondo vecchio e un mondo nuovo che sono sovrapposti. Il mondo nuovo prenderà definitivamente piede, e Adriano è in bilico fra le due realtà. La scena chiave è nell'ultimo capitolo. Il protagonista è in aperta campagna e sta cercando dei ruderi antichi. Ferma la macchina e cerca il sentiero. Non lo trova ma, incrocia casualmente una donna e le chiede la strada. Il momento è cruciale. Lei si presenta esteriormente come una ragazza di città. Riporto per comodità, il passo:
“ Da un altro sentiero, che saliva dalla pianura, vide allora avanzare una giovane donna. Doveva essere bella ed elegante e man mano che si avvicinava Adriano si chiedeva chi potesse essere: l'avanguardia di una comitiva di turisti? -una donna delusa che, come lui, andava a cercare la pace in quella desolazione?- una fidanzata che ha piantato di colpo il fidanzato per una lite e ora finge di volersene tornare a piedi in città? Sembrava una signora da album di mode, l'abito celeste ampio e sciolto, trattenuto giù ai polpacci da una cintura ornata di fiocchi, il viso imbambolato (come appunto richiedeva l'abito infantile), gli occhiali da sole ornati di lustrini, l'andatura dinoccolata”.

Nel linguaggio utilizzato si sente ormai il peso del tempo, e siamo solo nel 2012, quindi devo dare qualche chiarimento. Quasi più nessuno dice fidanzato o fidanzata, ma boy friend o semplicemente il mio ragazzo o la mia ragazza. I lustrini sono ora Pajettes. L'album di mode invece, si può dire che non esiste più: si trattava di una pubblicazione che conteneva i cartamodelli dei vestiti in voga. Immagino che molti abbiano mentalmente tradotto “album di mode” con “rivista di moda” immaginando una rivista come per esempio Vogue, ma si tratta completamente di un altro oggetto e con una funzione, in questo contesto, rivelatrice. Le riviste di moda, più o meno come le nostre attuali esistevano, ma se piaceva un vestito, ancora pochi lo comperavano confezionato. Si comperava l'album di mode e poi, o l'abito veniva fatto in casa, poiché tutte le donne sapevano più o meno cucire, oppure, per i più abbienti, si andava dalla sarta. Questa precisazione potrebbe sembrare una divagazione, ma non è così. Essa fa sentire a noi, anche per mezzo di un dato ormai storico e quindi non utilizzato come significante chiave dall'autore, quel passaggio fra due modi di vivere che si stava consumando all'epoca del racconto. Immaginate ora il popolo che si fa il vestito in casa e la borghesia che va dal sarto e che inizia ad andare nel negozio nel senso che lo intendiamo noi oggi. La scena che la ragazza presenta, così accuratamente alla moda, come una ragazza di città (e così anche Flajano la definisce in un altro passaggio), non è di rapida preparazione come quella di una ragazza odierna. C'è un lungo lavorare di ago e forbici, per costruire quella che l'autore, poche righe più sotto non esita a definire una “maschera”. Abbiamo dunque una ragazza di campagna, che parla in dialetto e ha modi che possiamo definire tranquillamente dialettali o popolani. Quell'abbigliamento che rappresenta l'epoca che sta avanzando, quella del boom economico, è quindi portato da una personcina appartenente al “mondo” che sta finendo. L'abito non aderisce ad uno stili di vita interiorizzato. L'insieme diventa così grottesco. L'imitazione del nuovo funziona finché lei tace, ma col dialogo questo essere in bilico fra passato e futuro si “sente” in tutto il suo stridore.

Passiamo ora a “La dolce vita”. Non è importante cercare una figura identica a questa appena analizzata, ma quel significato. Abbiamo già una metamorfosi sconcertante nella prostituta precedentemente descritta, che quando dialoga a casa e serve il caffè, sembra in tutto e per tutto, e in effetti lo è, una persona qualsiasi con la sua vita ordinaria non sporcata da nulla di moralmente discutibile. Saltano certe norme, segno evidente questo, del passaggio alla nuova era del boom economico. La regola sacra diventa la seguente: ottenere! Questo è l'imperativo! Qualsiasi strategia è accettabile. Qualcuno qualche anno prima, un certo Michelangelo Antonioni, aveva già dimostrato l'esistenza di questo cambiamento, in modo forte nel film “I vinti” dando però una motivazione diversa. Egli descrive la generazione che diventa maggiorenne agli inizi degli anni cinquanta, che ha caratteristiche storicamente tremende. Nata e allevata sotto il fascismo, con culti e stili discutibili, ebbe poi padri assenti nell'adolescenza perché c'era la guerra. Tutto coerente nel film, e penso debba far pensare il fatto che la generazione descritta ne “La dolce vita” e “Adriano”, per motivi diversi, ovvero il cambio epocale del sistema di produzione con tutto quel che ne consegue, porta con se le stesse problematiche.

Quel che ne “La dolce vita” accade, non è, come nel racconto di Flajano, la costruzione di una persona antica con una maschera nuova, ma la coesistenza di persone antiche e nuove a diversi gradi di metamorfosi o alienazione nel tentativo di adattamento. Nel film, la fidanzata di Mastrojanni è indubbiamente carica di valori che son sentiti come vecchi. Sposarsi, la vita di coppia, sembrano assurdi ad un Mastrojanni che vive la dolce vita romana a piene mani. Un altro personaggio del vecchio mondo mentale è sicuramente lo scrittore che si suicida. Egli mima il nuovo modo di vivere, ma in lui la crisi si fa estrema. La sua uccisione anche dei figli, che teneramente ama e mette a letto come il migliore dei padri, equivale ad un liberarli da un futuro che non è accettato.
Esiste poi una figura che amo moltissimo e che per me è il capolavoro … di chi? Di Fellini? Di Flajano?
E qui ci si deve chiarire una volta per tutte. Ci hanno insegnato che il film è del regista, ma non è sempre vero. Spesso c'è dietro, o non troppo dietro, una mente notevole. Fellini aveva buone idee, un buon uso della macchina da presa e … una capacità eccezionale nel creare un gruppo, quel che cinematograficamente si chiamerebbe cast. Guardate che non è facile ammettere che il tale è bravo e tenerselo ben stretto! Il narcisismo, particolarmente fra artisti, crea situazioni inimmaginabili … Lui Fellini, lo fece e questa umiltà fu ripagata. “I vitelloni”, “La dolce vita” e “Otto e mezzo”, son considerati capolavori. Ebbe poi la buona idea, dopo aver vagato un po' quasi solitario, di legarsi a Tonino Guerra ed ecco altri due capolavori: “Amarcord” e “E la nave va”. Non fu il solo comunque. Antonioni col film “La notte”, che considero il capolavoro assssssoluto del cinema italiano, riuscì a riunire Flajano e Guerra, con la presenza del regista asssssssolutamente più innovativo a livello mondiale, nell'uso della macchina da presa qualcosa di eccezionale non poteva non nascere. Si può notare, oltre il resto, che questo film potrebbe essere considerato come una possibile puntata successiva a “La dolce vita”. Mastrojanni ha sempre il ruolo dello scrittore. Se ne “La dolce vita” sta scrivendo un libro, qui è ormai lanciato e si potrebbe pensare che la coppia in crisi di un film sia stata ripresa pari pari anni dopo, scoprendo così che si son sposati e che incontreranno un ultimo momento fragile, in quella “strana” “Notte”, sensuale e tentatrice per entrambi.

Domanda? Se Flajano era così bravo, perché Fellini ad un certo punto lo “mollò”? Accadde che, dopo “Otto e mezzo”, si dicesse con troppa insistenza “il film di Flajano” e questo fece male al narciso felliniano. Si limitò a “lasciarlo andare” verso altre collaborazioni, non proponendogli più nulla. Flajano, quando gli chiedevano spiegazione sul distacco spiegava che l'amico, con “Giulietta degli spiriti” si era inoltrato nello spiritismo, materia nella quale lui non si considerava competente. Risposta politicamente corretta? Sembra, ma è anche vera. Si vedano su You tube i video di Gustavo Rol e si comprenderanno molte cose ora dimenticate …

Dopo queste parentesi torniamo alle figure antiche o nuove, figlie del boom economico, presenti nel film di … Flajano. Verso la metà della pellicola, troviamo Mastrojanni seduto in un ristorantino che da sulla spiaggia. Una parte è in muratura bianca e un'altra è di … come definire quei muri fatti di canne che possono sì delimitare uno spazio ma ci rendono difficile affermare che siamo in una stanza? Osserviamo il fotogramma che segue. Vediamo il lato del ristorante fatto in muratura e, riflesso su questo uno dei “muri” fatti di canne. Ebbene, il vocabolo giusto ce lo offre Flajano nel racconto “Adriano”. Si chiama cannucciato. La ragazzina inquadrata è importantisssssima. Riepiloghiamo: la fidanzata del protagonista è in crisi nera (e poi scopriamo, dal film “La notte” che ce la farà...), lo scrittore prova a mettersi al passo con i tempi ma si suicida e libera del futuro anche i figli piccoli, ed ecco Paola, che rappresenta il mondo antico, quello che sta finendo, in tutta la sua purezza e il suo splendore, senza alcuno sforzo di adattamento al nuovo modo divivere. La scena inizia con Mastrojanni che telefona alla fidanzata e litigano. Ha fatto abbassare il volume del junke box ordinandolo in malo modo alla camerierina. Questa obbedisce e accetta il suo ruolo subordinato senza rancore. Mastrojanni torna alla macchina da scrivere che è a un tavolo della sala “all'aperto” del ristorante, e Paola, quella della foto, mentre apparecchia, canticchia. Mastrojanni si irrita nuovamente e chiede silenzio, ma si rende conto che non riesce a scrivere e dialoga con lei. Questo è il momento grande del film. Finalmente Mastrojanni “vede” la bellezza di quel mondo che sta finendo. Ricordiamo che “La dolce vita” è la seconda parte, diciamo così di qualcosa di più vasto che è iniziato con “I vitelloni”. Si fa presto anche a “incollare i ruoli”, poiché si sa che Sordi bramava il ruolo che fu dato al bel Marcello. Se Sordi lo avesse ottenuto, determinati ragionamenti, e il fatto stesso che i film erano collegati, sarebbe stato più evidente. Mastrojanni è dunque il provinciale che è giunto a Roma e che ha perso completamente il contatto con il suo passato e il suo significato. Per sottolineare l'enormità del cambiamento avvenuto, abbiamo la scena del padre, che viene a Roma a trovarlo. Egli non regge il ritmo del figlio e “sentiamo” che non è solo questione di età. C'è qualcosa che travolge anche la psiche più decisa quando ci si trova calati improvvisamente in un'altra realtà e poi, quando detta realtà contiene e offre senza alcuna fatica, ciò che eroticamente si è desiderato per una vita … si crolla, e si prende subito il treno per tornare a casa.
Siamo dunque al momento magico. Mastrojanni “vede” e “sente” tutta la bellezza di Paola. Le dice che è bella come gli angeli della pittura umbra, regione dalla quale proviene, e non si dimostra insensibile quando lei dice di arrivare quasi alle lacrime quando la domenica è li a lavorare e non



la famiglia. La famiglia … il frutto dimenticato. Lui, Mastrojanni è il fiore maschile, la sua fidanzata è il fiore femminile e il frutto, ormai antico, l'unione stabile, brilla nelle parole della quale la ragazzina con quelle parole che pronuncia, incarna il risultato. Osserviamola. Sarà figlia ancora per poco e poi donna. La scelta dell'attrice fu eccellente e si sa che Fellini dedicava mesi e mesi a questa selezione.
Per l'epoca, quell'attrice, si trattava di un frutto acerbo e secondo me riesce ad essere percepita un po' così, anche oggi, anche se per motivi diversi. É pulitina, ordinata, acque e sapone. Si direbbe un tipo di femminilità in via d'estinzione se non già estinta, nella cultura consumistico occidentale. Per tanta gente che la vede oggi, non si tratta di un angioletto della pittura umbra, che forse non ha mai visto, ma di qualcosa di quasi etereo. La nostra attuale percezione della femminilità è cambiata tanto. Per l'epoca invece, era sicuramente una ragazzina anche perché mancava della “polpa”, qualche chilo di carne, forse anche una decina, per avvicinarsi all'ideale femminile in voga. La Bardot, che era uno scricciolo, era un'eccezione. Si riconosceva comunque anche a questa Paola, a quel tipo di signorina, un fascino che aveva una matrice più intima, affettiva. Anche l'abbigliamento è stato scelto con cura. L'abitino a quadretti, chiuso fino all'ultimo bottone, rappresenta una visione che permette alla licenza erotica più grossolana, di appigliarsi solo ad un piccolo accenno di seno … e all'epoca non bastava. Negli anni cinquanta le donne non avevano gambe, ma cosce … non so se mi spiego, la carnalità proprio diversa.
Paola, la dolce camerierina, potrà riaccendere il junke box, ma quel dialogo ha sortito un effetto: Mastrojanni ritelefonerà alla bistrattata fidanzata. Si riapre quindi il dialogo e si dimostra a noi, che stiamo guardando il film, che non è impossibile immaginarli anni dopo, sposati e belli come nel film “La notte” nel quale, sempre Flajano, fu il burattinaio e creatore.

La ragazzina, l'angelica Paola, la rappresentazione bellissima dei quel che il boom economico sta sgretolando, riapparirà dopo più di un'ora di pellicola, alla fine del film.
Mastrojanni ha toccato il fondo. È in crisi nera anche come scrittore. Ha capito che quel mondo gira in tondo senza approdare a niente ed ecco che, dopo una cosa sgradevole che avrebbe dovuto essere una festa, con le macchine parcheggiano in una pineta e raggiungono il mare perché sono incuriositi da alcuni pescatori che stanno tirando le reti e … c'è stata una pesca strana. Osserviamo la scena. Pini e la spiaggia da raggiungere. Abbiamo dei Gay, delle donne che per l'abbigliamento e la somma delle scene viste, sentiamo sole, povere cose incapaci di darsi un senso in quella dolce vita che sa solo ripetere se stessa. Ora sono sessualmente libere, ma c'è libertà in un mondo senza regole? Gli omosessuali presenti rappresentano non una libertà sessuale conquistata, ma un'anarchia che uccide ogni senso. C'è smarrimento, e il loro camminare ridicolo, i loro comportamenti, tutto, sembra stupido. La comitiva si avvicina ai pescatori. La rete mostra un enorme pesce che ha anche del mostruoso, ed ecco che, nel rumore della gente e del mare, al di la di una piccola foce, riappare Paola. Lui vede questa ragazza che saluta e che tenta di dire qualcosa, ma le fa capire che non sente e che i suoi gesti, che mimano anche la macchina per scrivere, non sono compresi. Ho letto spesso che si pensa che lui semplicemente non la sente, ma per me la situazione è più potente. Lui non la riconosce. Quando lei mima lo scrivere a macchina lo fa per fare in modo che lui ricordi quel giorno al ristorante, ma non accade. La sua abiezione è giunta ormai a un punto tale che non c'è salvezza. Riconoscerla in quel momento, quando si è raggiunta la consapevolezza che quella dolce vita è vuota, equivale ad avere una possibilità di salvarsi. Mi raccomando, salvarsi non vuol dire che immagino che si mettano insieme. Mastrojanni è al minimo, è disilluso. Già una volta Paola, semplicemente parlandogli, lasciandosi vivere, lasciandosi guardare, aveva ottenuto, involontariamente, che lui richiamasse la fidanzata, e questo equivale a riconoscer un valore in chi fino a un secondo prima ne era destituito.



Questo fotogramma ci mostra Paola che saluta, ormai rassegnata. Mastrojanni ha appena fatto un gesto, ridicolo, finto, che sta a significare che non sa cosa farci se non capisce i suoi gesti, se non sente le sue parole. Una ragazza del gruppo lo chiama, lo prende per mano, lui si gira e se ne va.
Lei continua a salutare e poi accade una cosa che forse è sembrata inspiegabile ai più e lo dimostro col prossimo fotogramma:



Paola, termina il saluto che non ha più senso perché Mastrojanni si è girato e allontanato, e lei fa un piccolo movimento e guarda la macchina da presa, cioè noi. Noi, il pubblico, ma sgranandolo, individualizzandolo. Lei ci guarda e ci dice che esiste, ci invita, diversamente da quel che ha fatto Mastrojanni, a riconoscerla … e con lei quel che rappresenta.

Commovente. Grande.

Veniamo ora ai collegamenti di queste due scene col racconto “Adriano”. La spiaggia con la foce, il cannucciato. Ci rendiamo conto che lo scenario dei capitoli IV e V, è il medesimo del finale del film. Ma dal libro sappiamo qualcosa in più. A quella spiaggia venivano anticamente le sirene … e nel capitolo cinque abbiamo la sensazione che l'incontro mitologico stia per realizzarsi. La razionalità arriverà a far dire che si trattava di un delfino, ma si sente che il mondo del mito, della favola, dell'immaginazione non solo concreta e dimostrabile, appannaggio di quel passato che si sta spegnendo, quel mondo, stava per riapparire. Com'è potuto accadere?
Adriano, vive un primo capitolo da dolce vita notturna e annoiata stile Mastrojanni nel film:
nel secondo vaga in macchina,
nel terzo il suo vagare lo porta sul set da un amico regista,
nel quarto e quinto, a rifugiarsi, a nascondersi nella casa al mare rimanendo anche quando la stagione balneare è conclusa con pochi pescatori che vivono una vita quasi primordiale, elementare. L'ultimo capitolo, il quinto, è il ritorno a Roma e il senso di estraneità definitivo reso con la magistrale scena collettiva della televisione.

La possibilità del mito, nel protagonista, diventa concreta dopo mesi di distacco dalla città, quando si è riconquistato il contatto con la natura, con gli aspetti elementari dell'esistenza. È un attimo, sta per accadere, ma non accade. Nel secondo capitolo, abbiamo un accenno del diverso senso della realtà appartenente a quella dimensione che verrà stritolata dal boom economico. Adriano si ferma , in macchina, davanti ad un casolare. Sa che in quel luogo anticamente c'era una città e ora ci son solo campi. Scende. Ci son due contadini, uno giovane e uno vecchio, che stanno lavorando davanti all'edificio. Adriano chiede di chi è la casa, ma loro non rispondono e poi:

“Adriano non poteva andarsene così sconfitto. Additò allora un piccolo stemma della facciata, una colomba col ramo d'olivo nel becco e chiese: “è dei Doria?” Il contadino giovane rispose: “Prima si, era dei Doria” e infilate le mani nelle tasche del giubbotto fissò Adriano per fargli capire che non avrebbe aggiunto una parola. Invece il più anziano, scavalcando i secoli con quel breve senso del Tempo, che sanno i contadini, più legati al corso delle stagioni o a un modello di tempo misurato sulla vita dell'uomo, aggiunse quasi con alterigia: “Prima ancora era di Marc'Aurelio.”. “Marc'Aurelio? … l'Imperatore?”. “Non so se era imperatore” rispose il contadino. “Era un antico romano. Era Padrone di tutto, da qui a Ponte Galeria”. E accennò lontano, verso il mare nascosto dalle colline”

Idea geniale o fatto realmente accaduto a Flajano? Non lo so, ma non dimentico che nelle culture orali, come di fatto fu quella contadina fino agli anni cinquanta del novecento, più o meno dopo la quinta generazione, la narrazione diventava mitica, entrava in una dimensione nella quale il tempo non era più qualcosa di lineare come accadde poi, e i contadini, fino a qualche anno prima di quello scritto, vivevano il tempo circolare della coltivazione, e quello lineare delle tappe individuali di infanzia maturità e vecchiaia. Questa contrazione del tempo che fa sentire nientemeno che Marc'Aurelio dietro l'angolo, in un ieri che sembra appena accaduto, è un altro di quei possibili contatti, o accessi ad una fantasia più vasta, che apparteneva a quel mondo che il boom economico ha destituito.

Un altro momento nel quale qualcuno, questa volta già con un piede nel boom economico, ci offre la visione di qualcosa di grande, è nel capitolo III. Qui, Adriano, dopo la noia della dolce vita romana e il vagare per i dintorni che lo ha portato ad un passo da Marc'Aurelio, arriva sul set da un amico regista. Si sa che si tratta di Fellini, e offro una conferma in più, che all'epoca, nell'ambiente romano era evidente e ora, se non lo si sottolinea, va perso. Fra le comparse per il film ci sono un boxeur, descritto magistralmente come “immerso nel suo stupore di colosso”, e Rob, un organizzatore e campione di gare di ballo di resistenza. Erano veramente due amici di Fellini. La mattina erano a casa sua assai presto e il boxeur faceva la parte di quel che attualmente sarebbe un personal trainer mentre l'altro assaltava il frigorifero. Quel che Fellini faceva erano due simulacri di piegamenti sulle ginocchia, in fondo, per dare una anche se insostenibile giustificazione alla loro assidua presenza. A chi gli chiese spiegazione rispose: “E' nel buio più completo che puoi vedere anche la minima luce” … e aveva ragione.

Veniamo a noi. Si deve riprendere la scena di un pellegrinaggio e accade che una delle donne si comporta in modo inaspettato. Tutti recitano: “Non era una folla chiamata alla fede, né spinta dalla speranza di nessun miracolo. Ma pure qualcosa successe, quando una donna, che insieme ad altre doveva chiedere a gran voce il miracolo, gridò che lei lo chiedeva davvero; e intanto vere lacrime le bagnavano il volto povero e informe ...”

Ci vengono in mente gli esperimenti che Pavlov fece sui cani, ma che valgono per tutti. Se io vedo un dolce, io che sono goloso, ho la salivazione che mi aumenta parecchio. Ecco Pavlov. Semplice. Ma mi basta anche pensarlo il dolce … e accade di nuovo. Ebbene, quella donna, elementare ma vera, in una simulazione di processione, alla richiesta ovviamente recitata, del miracolo, va oltre, torna in sé stessa, ed esprime il mondo del quale faceva e in fondo fa ancora parte, nel quale, la fede è un miracolo anche solo per il fatto che la richiesta la puoi fare. La cultura che verrà, troppo pragmatica, perderà questo effetto pavloviano che tornerà forse solo con le paure della malattia e della fine ultima.

Spero che ora, quando rivedrete la scena finale sulla spiaggia, col mostro marino nella rete, vi verrà in mente che quella era, per Flajano, la spiaggia delle sirene. Alla nuova organizzazione sociale, apparirà quindi solo un mostro marino, la deliziosa fascinazione che scatta ovunque, quando si hanno miti e ricordi ancestrali condivisi, è finita. Si faccia caso che i pescatori, nella scena, son contenti perché quel pesce vale molti soldi. Il popolo, nelle sue due forme, di città o del contado, non sa andare oltre la realtà. Solo le grandi paure, come il tuono, sono per alcuni di loro, foriere di immagini antiche che sgorgano incontrollate, ma un mostro marino nella rete non innesca nulla. Sta all'artista dare un mito, una fantasia, una lettura di sé a un'epoca. Come il nome vitelloni e la fantasia fljano-felliniana nell'immaginario di Rimini, hanno scalzato la realtà, divenendo esse stesse una realtà condivisa e accettata, così sta all'arte, anche nell'epoca del consumismo ormai imperante, creare una poesia che riabiliti la mediocrità del quotidiano.

Se è necessario dire che si tratta che si tratta della spiaggia delle sirene, perché dal film non lo si capisce, mi viene il sospetto che nel montaggio qualche battuta sia andata persa o sacrificata. È importante però saperlo, perché così il luogo del possibile mito risulterà spogliato da ogni possibilità di sogno e arido. La realtà cruda è l'offerta del boom economico, ma senza quella grande fantasia che l'epoca passata rispettava, vien difficile vivere. Noi non siamo solo corpi da nutrire, ma menti … e cuori ...

Flajano, magistralmente, ha fatto uscire l'Italia dal tunnel del neorealismo e ha dato a grandi persone, come Fellini, gli strumenti per mitizzare o almeno tentare di dare un senso, al tempo che stavano attraversando. E lo fece insieme a Pavese, l'altro grande padre, provvisto di una lucidità talmente forte e onnicomprensiva, da diventare una forma di sofferenza.

E la piccola Paola ... la ragazza umbra, come un ideale, fiorirà in tutta la sua forza, sempre, in grazia di quell'età femminile della quale ho sempre pensato: “guarda,sta per diventare un angelo ... e invece diventerà una donna” ...

Nessun commento:

Posta un commento