venerdì 27 luglio 2012

Artisti e intellettuali.....


Dopo aver affrontato l'argomento in vari scritti, in modo forse mai troppo chiaro e certamente impulsivo, provo ora ad approfondirlo con tempo, calma e decisione.

Unico “pasto” presente in questo pranzo di parole sarà il tentativo di rendere conto di come sento la differenza fra intellettuale e artista. Se mi son permesso di lanciare ogni tanto delle brevi insinuazioni è comunque perché ritengo che siano sufficienti per far intuire un problema enorme della cultura italiana e non solo, che ormai ha superato la soglia del ridicolo....da anni, e attualmente... una volta resi edotti della natura di questo mio e forse anche vostro sorridere triste, con l'aggiunta di un evidenza che si fa concreta, palpabile,spero, con questo scritto, penso che la situazione si trasformi in una farsa stupida, intollerabile, a meno che non si rientri in quella categoria che delle varie espressioni artistiche fa un atteggiamento e uno strumento di autoaffermazione, nascondendo anche a se stessi,reato più grave nel nostro compito non facile di cercare di dare un senso alla vita), nascondendo, dicevo, anche a noi stessi, la bugia sulla quale pretendiamo si regga la nostra personalità davanti agli altri.

Ritengo che l'autoaffermazione, quella vera, positiva, nasca dalla coazione del plauso altrui, quando spontaneo e dato da un “altro da noi” di indiscusso valore e non scelto quindi a nostro comodo, e dalla capacità di dialogare francamente con se stessi. Se si inizia a dire bugie anche a se stessi.... è finita. E bugia colossale è credere che l'intellettuale abbia a che fare col mondo dell'arte.

Inizio raccontando come Tonino Guerra ottenne la sua prima notorietà letteraria. Premetto che ne discussi con lui e di recente, la moglie che in partenza si era dimostrata scettica sul fatto che esistesse una versione diversa da quella che lui conosceva, ha ammesso, come Tonino stesso, che ero “nel giusto”.

Nel 1951, ad Elio Vittorini viene affidata la direzione della collana “I gettoni” di Einaudi. L'anno dopo viene pubblicato “La storia di Fortunato” di Tonino Guerra. Tonino gli fu sempre riconoscente. Gli dedicò anche il libro “L'equilibrio” edito Bompiani. La nostra discussione, (fra me e Tonino ovviamente), nacque quando lui mi prestò proprio quel libro dedicato. Gli feci notare che nulla, ma proprio nulla dell'opera di Vittorini, mi era mai piaciuto. Trovavo che avesse costruito i suoi libri con l'intelligenza e, influenzato da quel che accadde in arte dal primo dopoguerra, si era lanciato nel “gioco” ormai di moda di costruire una tecnica letteraria creata a tavolino.

Secondo me prima si ha l'idea, che si deve saper lasciare sgorgare dal profondo, e poi essa, se si è scrittori o poeti, si trasformerà in parole. E non si tratterà di parole costruite dall'intelligenza, dalla mente razionale. Quello stadio perfetto del pensiero nel quale esso ha l'idea pura disancorata da qualsiasi forma concreta, visibile ai sensi, si trasforma da sé, in parola o colore o musica o altro! E Vittorini progettava l'idea, la sua forma e i suoi significati. Non andava a “razzolare” nel suo io più profondo, in quel luogo dove l'io si fa anima del mondo, dove il linguaggio è simbolo arcaico ed eterno, in quel punto immenso e atemporale nel quale essere divinità e se stessi non presuppone alcuna differenza. Pensare diventa così creare, in modo inconsapevole. Tutto quel che l'artista ha fatto è stato il creare le condizioni perché questo sgorgare spontaneo, accadesse. Leggere e vivere, sono ingredienti che vanno nel crogiolo di quel luogo indefinito, e anche con questi compiti, si plasmano da sé quelle forme profonde. Leggere poi, è un'attività che può essere abissale e che riferisco solo alla letteratura. Si tratta dell'immersione nell'io universale percorso e raggiunto da un altro essere e, se ho l'umiltà giusta e la capacità di arrendermi al flusso del suo dono, posso vivere, anche se parzialmente la grande esperienza della creazione e goderne i frutti. Leggere comunque è come guardare la divinità della vita da uno specchio. Facile sarà confondere destra e sinistra (provate....) e non conta moltiplicare gli specchi. Si otterrebbe solo un infinito che si fa gorgo e perdita di orientamento. Leggere quindi come esperienza profonda, personale, incomunicabile, ma lasciata all'intuizione, al l'anima, al cuore.

Vivere, l'altro ingrediente, si deve. Abbiamo un corpo, se lo trascuriamo o offendiamo, ci presenterà il conto e le visioni che sgorgano dal profondo saranno sane, grandiose se le asseconda la volontà di vivere, di dare un senso alla vita. ma.... vivere non è ovviamente uno sfinirsi nell'essere consumatori o nel “palestrarsi” e nutrire sempre e solo i sensi....il corpo è uno strumento del quale si può diventare schiavi. Non deve comandare, ma essere utilizzato per fini elevati. Così è anche per la mente. Pensare il pensiero per esempio, spaccare il capello in quattro sulla natura e struttura del linguaggio non ha molto senso per un artista che si ritrova a dover trasporre il simbolico profondo in linguaggio concreto....

Tonino, dopo una prima sorpresa causata dalle mie parole, mi disse che in “Conversazione in Sicilia” secondo lui, c'erano delle pagine splendide. Mi chiese se lo avevo letto. Risposi di sì e, poiché non mi dimostrai disposto ad accettare quel consiglio, il discorso cadde, anche perché me ne stavo andando. Tonino sapeva che quel che mi dava da leggere lo “mangiavo” prima di subito e già il giorno dopo mi telefonò per sapere cosa ne pensavo di quella sua creatura. L'avevo vista nella libreria dello studiolo dove di solito si chiacchierava in santa pace e, mentre lui “schiacciava” il solito pisolino del dopopranzo, mi ero steso in giardino, proprio sull'erba, e avevo letto una decina di pagine. Tonino quindi sapeva già che l'avevo trovata interessante e me la diede per saperne di più. Era una delle sue caratteristiche più piacevoli. Lui, che valeva tanto, si metteva in gioco, era curioso, veramente, di quel che ne pensavo. Al telefono il giorno dopo, gli dissi che era sicuramente un buon libro e gli dissi che “quella roba”, esattamente come “La storia di Fortunato” una persona come Vittorini non aveva gli strumenti per comprenderla. Mi chiese perché e gli risposi “vengo domani e te lo spiego”.

“Tonino, tu cosa sei, cosa ti senti di essere?”

“un poeta. Il resto, la sceneggiatura, i quadri, vengono dopo”

“posso dire quindi che sei un artista. Lo sai come la penso sulla definizione. Artista è colui che sa raggiungere e ascoltare la propria voce interiore e la rende visibile all'intelletto, sensibile, palpabile”

“ora..... cos'è Vittorini?”

“uno scrittore.....”

“secondo me è un intellettuale. Lui si limita a ragionare. Per questo i suoi libri attualmente li legge solo chi è costretto dall'università. Può incuriosirti, ma non ti rimane dentro. Non merita di essere ricordato.... come dice Borges”

“ma ti rendi conto che ha scartato -Il Gattopardo- ?

“son cose che possono succedere....”

lo disse con lo sguardo incerto.

“Tonino, tu stai difendendo una persona verso la quale hai un grosso debito di riconoscenza....”

Sorrise. Fu Elena croce, la figlia di Benedetto a dare al romanzo di Tomasi da Lampedusa, la spinta giusta....

Bisogna anche dire che una caratteristica della generazione di Tonino fu di essere riconoscenti a prescindere dalla situazione. Non la si valutava. Mi ha aiutato, lo ringrazierò in vari modi, e questi modi, agli occhi della mia generazione san di servilismo. Era così comunque, e basta.

L'Italia si è affrancata, sulla carta, dalla monarchia, solo con la fine della seconda guerra mondiale. Quel tipo di governo presuppone una struttura clientelare e il re è il grande elargitore. La democrazia italiana, trovandosi per forza di cosa ad utilizzare uomini allevati in quella mentalità, si strutturò in gruppi che elargivano, noti col nome di partiti, ai quali si affiancava la chiesa, potentissima al punto che per esempio, l'accademia militare di Modena, prevedeva, preferibilmente la raccomandazione di un religioso di grosso calibro. Dopo il crollo del Muro di Berlino, si stabilirono nuovi equilibri e quel che si ottenne fu un ridicolo (secondo me) compromesso fra un regno e una democrazia. Attualmente il presidente del consiglio dei ministri (minuscolo voluto...) è un re ad orologeria, a tempo. Accade anche in Francia e non solo...non ci si deve stupire quindi se la mentalità di un uomo che nacque nel regno e visse poi tutta l'epoca dello strapotere dei partiti, abbia agito così. Alla stima si mescolava anche una consapevolezza di potenza. Ti creavano e potevano distruggerti con la medesima rapidità. Tonino ebbe la meritata fortuna di affrancarsi da questo giogo quando personaggi di qualità spesso indiscutibile come Elsa Morante, Flaiano, Fellini, Antonioni, Olmi, i fratelli Taviani, Matroianni, la Loren e suo marito, Visconti, Moravia, Rosi, Forman, Carrière, e potrei continuare per un quarto d'ora, quando queste persone, di valore rovesciarono i ruoli. Non era più necessaria quella sudditanza. Tonino era un talento.

Il suo ideale era di sinistra, ma il partito che avrebbe dovuto incarnare questa idea, oltre ad essere un grande elargitore di poltrone, poltroncine e sedie, pretendeva di dare ordini agli intellettuali. Sì, agli intellettuali, perché all'epoca intellettuali e artisti erano considerati ormai la medesima cosa strumentale. Essere definitivamente riconosciuti come talento permise a Tonino di staccarsi dal partito. Quando diceva di essere un “comunista zen” intendeva proprio dichiarare che lui non si allineava con un partito che pretendeva l'obbedienza. Rimase qualche strascico con traccie fossili inconsapevoli di quel modo di comportarsi ereditato all'epoca dello sviluppo. Quando un bambino si fa uomo sotto un sistema regale e pure dittatoriale, qualcosa rimane, anche se appunto inconsapevolmente. Tonino, davanti alla mia pretesa di separare intellettuali e artisti si rivelò pienamente d'accordo. Gli toccò rivedere alcune categorie, alcuni rapporti che erano segnati dall'amicizia, dall'abitudine della frequentazione, particolarmente a tavola, davanti alle tagliatelle e al rubino del sangiovese. Si rese anche conto che con questa separazione di artisti veri ne rimanevano veramente pochi e lui, che ho sempre considerato artista puro, diventava una delle figura più importanti del dopoguerra non solo italiano, poiché grazie al suo lavoro per il cinema, da fenomeno romagnolo e poi nazionale, divenne di caratura internazionale. Quando per esempio gli dissi che Joyce, ed esattamente il suo “Ulisse”, era illeggibile, mi disse che anche lui era perplesso. Quando poi gli feci notare che Borges stesso lo diceva, e glielo feci leggere, si senti come sollevato da un peso.... allora si poteva dire! Gli regalai un volume di James Stephens, dicendogli che li dentro c'era l'anima dell'Irlanda, non certo in Joyce, che era sola moda e si sa, che finita la moda è finito tutto....

“Tonino, quello era un intellettuale.... poteva pensare, ma non andare oltre.... ha visto nel tuo scritto una tecnica che gli è sembrata nuova e ti ha messo nel mucchio dei pubblicabili insieme ad un'altra fila che ora è destinata quasi completamente all'oblio.....tranne te e appunto poco altro....”

(e dentro di me non potevo non pensare a quel che un amico bottegaio a Minneapolis mi confidò: “Qui negli Stati Uniti, la parola chiave per vendere è: -é nuovo, appena uscito!- , non c'è parola più magica e potente!” e nuova era la tecnica. Il contenuto doveva essere al massimo allineato o indifferente ai diktat di dominante o di partito).

“Ma una tecnica non è mai nuova per chi la usa, e non si emoziona scoprendo che è il primo ad applicarla. In un artista essa sgorga; è semplicemente la forma giusta per quel pensiero.”

Mi rendevo conto che era diventato curioso....

“Mi vuoi dire che mi ha pubblicato senza capire?”

“Esattamente. Ha applicato la gabbia concettuale che si era creato e nella quale si era rinchiuso. Tu rientravi nelle sue categorie perché la tua scrittura era secondo lui nuova, e sicuramente lo era, Tonino, ma tu non l'avevi scelta con l'intento di far notare una tecnica. Lui ha confuso l'uso con lo strumento. Lo strumento-parola, serve per dire qualcosa e il suo uso è sensato e duraturo se supporta un senso, non solo se stupisce.....e da quel qualcosa lui si era autoescluso con la costruzione della gabbia e infilandocisi dentro...”

“Ma... e Calvino, lui ha pubblicato anche Calvino!

“Stessa musica....Lo leggi e senti che è finto come scrittore e veramente grande come saggista.... ”

“E' possibile....”

(su Calvino i dubbi si erano già dissipati da tempo. Esiste una edizione Einaudi intitolata “tra donne sole”,e che contiene anche la sceneggiatura di Antonioni per l'omonimo film e due lettere simpaticissime. Calvino scrive a Pavese che quel racconto proprio non gli piace. Si coglie immediatamente che non ci ha capito niente ma spara le sue stupidate con uno stile spavaldo che si schianta come contro il pugno della breve risposta del grande Pavese. Gli fa capire che è un pivello e noi lettori, se non ci facciamo guidare fuori strada come troppo spesso accade, dai critici, (in questo caso si chiama Ernesto Ferrero, e la mia rabbia non si stempera nemmeno davanti a quel cognome che sa di Nutella!) ce ne rendiamo conto benissimo. Anche la lettera scritta ad Antonioni, che prima “lecca” e poi frusta, diventa, dopo le prime le altre due, una farsa. Si sente che Calvino è diventato qualcuno in Einaudi, dove prima Pavese, gestiva con occhio e anima di artista vero quale era, e si permette di scrivere a nome anche di Giulio Einaudi e di altri non nominati.... Si sa che spesso gli intellettuali amano usare il plurale che spetta ai re perché in fondo è a un regno che mirano, un regno di questo mondo..... e quella lettera era indirizzata ad un altro che era del livello di Pavese, a quell'Antonioni che aveva scelto di fare un film da quel racconto proprio perché ne aveva intuito la grandezza.

Tonino dopo la lettura di quelle lettere, rise. Aveva conosciuto anche Calvino e mi disse che si divertiva ad immaginarlo mentre riceveva la risposta scritta di Pavese. Quando gli dissi che pian piano l'intellettuale Calvino era diventato una potenza che potevi solo lodare se non volevi diventare vittima dell'oblio generale, mi disse che era vero....Gli risposi che certa gente ha una faccia talmente dura che ci puoi schiacciare le noci senza che nemmeno se ne accorgano e secondo me Calvino non ebbe il minimo sussulto davanti a quel foglio che lo “smussava”. La lettera dimostrava e dimostra la sua nullità solo a chi aveva e ha l'abitudine di leggere in indipendenza. Evento più unico che raro all'epoca e quasi chimera oggi, quando il partito decideva anche i tuoi gusti letterari e da “grande fratello” subdolo quale era, ti convinceva della validità anche della robaccia più servile. E poi Pavese non c'era più. Il suo posto, che spettava ad un artista, era vacante, e se lo contesero personaggi che trassero vantaggio dalla confusione di significati fra intellettuale e artista. Dirigere. Decidere. Questo era affascinate! Un simile essere spregevole trionfò anche in Gran Bretagna. Si chiamava Eliot. Mi fa ridere amaramente ricordare che “The waste land”, nella versione originale era di un migliaio di versi. La diede a Ezra Pound da correggere e ne rimase un decimo, pure quello modificato. E il Nobel lo ha vinto Eliot, e non un Dylan Thomas o un Pound appunto! Ma un Eliot.....che più che il poeta ha saputo “fare”, agire, in modo assai poco poetico. Dimenticavo. Se lo dico io sarà considerato da molti un fare supponente, anche perchè li costringo a ristabilire una scala di valori... Io lo penso da anni quel che dico di Eliot. La sua poesia è fredda, le limature di Pound son note a tutti, è quindi questione di ragionare un attimo e di non prendere per oro colato tutto quel che la critica ci propina. Per chi avesse ancora dei dubbi, invito alla lettura di “Party sotto le bombe” di Elias Canetti.....

“Pensa poi che Vittorini è stato il primo a pubblicare Borges in Italia, sempre per quella collana... “

“beh, ammetterai che quella volta ha visto giusto...”

“Era dentro la gabbia..... come per te fu un caso. Borges è stato un grandissimo che infarciva di intellettualità. Era una maschera della sua saggezza. Vittorini vide solo la maschera e e pensò che fosse il volto...e poi, pensa a Fenoglio e Rigoni Stern.. Arrivava un loro dattiloscritto e veniva ordinato loro di correggerlo, di modificarlo un po' quello che accade oggi ad un Andrej Longo, e il gioco si è fatto talmente lurido e scoperto che al termine di “Chi ha ucciso Sarah?”, un giallino pallido pallido, l'autore si trova a ringraziare una editor per aver massacrato la sua libertà .... in poche parole dovevano e devono adattarsi alla gabbia. Fenoglio in un paio di racconti non parlò di guerra e affini, e fece qualcosa di valido....ma non fu libero di essere sé stesso. Stern era molto bravo, ma fu se stesso anni dopo...e Poi fai caso che Fenoglio, Calvino e te eravate di sinistra e reduci chi dai campi che dell'essere partigiani. Il mondo, anche quello dell'arte lo stavano coniando i vincitori.....voi avevate una giusta possibilità in più che però non doveva trasformarsi in proprietà al di là del merito.....”

(Questo discorso aveva per noi due, già un senso che non si rivela così, da questo dialogo. Tempo prima avevo portato a Tonino le fotocopie di un libro edito da Mondadori il 25 gennaio del 1940. avevo tolto l'intestazione. Desideravo mi dicesse cosa ne pensava senza sapere di chi fosse. Mi telefonò qualche giorno dopo: “molto belli. Notevoli! Mi dici adesso l'autore?” ed era Alessandro Pavolini. Ministro della cultura popolare (il famoso minculpop) che fini appeso col duce in Piazzale Loreto.

Rimase di stucco quanto vi rimasi io qualche tempo prima. Lo comperai perché in un mercatino dell'usato costava quanto un caffè e la curiosità poteva valere l'investimento. Partii pieno di preconcetti, aspettandomi qualcosa di polposo e urlante, fra il futurista italiano che non amo e lo sgangheramento fascista da parata.... e invece si rivelò un gioiello. La sua scomparsa, giusta dal punto di vista storico e anche morale, visto che si narra fosse sì un fedelissimo irriducibile ma anche assai cattivello, era sensata dal punto di vista artistico? La medesima insensatezza che aveva fatto fucilare Lorca e Gumilev, e Mandel'stam con la testa spaccata contro un water in un campo in Siberia? E Bulgakov distrutto da Stalin? I loro ideali erano per lo meno puri, pensabili. E Pavolini....? il dubbio rimaneva, ma il valore del libro era ed è indiscutibile).

So che nel silenzio che seguì quelle mie parole su Fenoglio e Stern, ambedue pensammo a Pound e Pavolini...

e poi aggiunsi: “Non ho indagato su Ottiero Ottieri, e Lalla Romano. Anche loro furono” presi” da quella collana. Lalla Romano era indubbiamente sorprendente e interessante, per esempio, ma non si fa così Tonino!”

e lui mi diede ragione. Riconobbe che la sua notorietà partì in quel modo, ma la sua meritata fama prese ben altre vie.

Con Lora, poco dopo la definitiva “partenza” di Tonino, si parlò di queste cose. Il muro della sua diffidenza cedette di buon grado e anche lei disse che era tutto coerente aggiungendo che era molto stimato e fu “spinto” anche da Carlo Bo e Gianfranco Contini. Le ho risposto con le parole di Savinio: “Nessuno farà mai un monumento a un critico...” parole che per ora si son mantenute vere...

Carlo Bo era “Padrone” di una università. Contini dettava legge da una cattedra e si sa che quegli ambienti non brillano di correttezza. Tuttora capita che mi dicano “L'ha detto Anceschi! L'ha detto il tale o il tal altro!”. Frammento di medio evo che ancora sopravvive e che vuol dirci che il contenuto di un discorso dipende da chi lo ha enunciato e non dalla sua coerenza....” mi viene in mente Renato Barilli a Bologna. Mi disse: “perché non fa la tesi con me? Affronteremo il rapporto arte e letteratura!” Mi presentai il giorno dopo e vidi una ragazza uscire piangendo dal suo studio mentre Barilli diceva: “tu devi portare aventi le mie idee, non le tue!”. La portai a bere un caffè e mi raccontò che aveva preparato la tesi, un lavorone del quale potevo vedere la mole davanti a me. Era quasi cubica da quanto era lunga. Ma non era lei a dover crescere, sotto la guida di un “saggio?” e io che allora come oggi, amo trasformarmi in don Chisciotte andai da lui e mi arrabbiai “parecchio” rifiutando di fare la tesi con lui e sbattendogli in faccia la sua scorrettezza. Spiegai a Lora che le università come le scuole superiori vendono certezze e non esiste nulla di più assurdo. Forse mi si può contestare che anche io sembro certo, quasi dittatoriale, ma mi metto sempre e completamente in gioco... provare per credere.... E poi, quante sono le persone disamorate de “I promessi sposi” e di Dante solo per reazione alle istituzioni che hanno saputo solo imporle come un diktat? Caro studente. Questo autore e quest'altro sono bravissimi. Perché? Perché hanno saputo far rime incasinatissime e perché te lo dico io, ma trasmettere il nostro amore per quelle cose quando accade? si insegna al cuore, e poi lui guiderà la mente, e il cuore è in grado di insegnare anche i frutti freddi dell'intelligenza pura.

Esiste poi un altro sottinteso nel dialogo con Tonino, ed è nel ruolo della sinistra nella cultura del dopoguerra. È evidente che l'ha monopolizzata. Il problema è che quando si ragionava per esempio come Vittorini, si andava ancora bene, poiché li c'era almeno la buona fede! Dico, con durezza, che la sinistra ha occupato i posti della cultura ma non ha fatto cultura, non l'ha promossa. Penso poi all'altra nazione che fu e forse è tuttora paralizzata dalla sinistra in ambito culturale, ovvero la Francia. Fate caso che dopo Proust, i francesi hanno prodotto solo saggistica e si sa che quest'ultima è figlia solo dell'intelletto. La gabbia della ragione ha fatto strage di artisti. O ti ci infili dentro e ti adatti, di fatto suicidando l'artista che è in te, oppure sparisci. Penso anche che i due grandi artisti che hanno scritto in francese dopo Proust, vengono dal Belgio....Yourcenar e Simenon e non mi si mettano sull'altro piatto della bilancia i Sartre, Camus e Gide, che nemmeno si vedono! di fianco a quei due grandi! E Gide.... come dimenticarlo.... fece il suo bell'errorino, per me indimenticabile e assai significativo...rifiutò la pubblicazione del primo volume della Recherche! Come fidarsi di lui?

ESSERE INTELLETTUALI E' UN MESTIERE ... ESSERE ARTISTI, UN BISOGNO DELL'ANIMA.

Ecco perché l'intellettuale ha dilagato. Si sveglia la mattina e, sistematicamente, come qualsiasi lavoratore, dedica la giornata al suo mestiere che, se gli va bene, è pensare per sé, se gli va meno bene è pensare per qualcun altro...

L'artista invece è un uomo qualunque che ogni tanto apre gli occhi interni e osserva profondamente quel che gli occhi comuni, fatti solo per le cose, non reggono. Non per niente Omero era cieco e Arsenij Tarkovskij nel 1907 e Levi nel 1945 ne “La tregua” ricordano, a nord del mar Nero, nell'attuale Uktaina, i cantori ciechi ancora esistenti... e non per niente la poesia è ancora quasi sciamanica in Russia, in Ucraina... e qui, nell'Europa tuttora ubriaca di troppo razionalismo, pretendono che si creda alla metamorfosi del poeta in intellettuale! E infatti non li legge nessuno e me la rido perché la gente cerca, desidera il vero poeta e boccia sistematicamente quel che l'ambiente intellattuale tenta di imporre. Non per niente la poesia è sopravvissuta grazie a personaggi che son “scappati” dal sistema intellettuale come Tonino per mezzo del cinema e del contatto diretto col pubblico tramite la sua Fondazione e de Andrè, de Gregori e Vecchioni, che le loro poesie le han cantate..... il poeta, come un tempo, si fa sciamano nel contatto vero, come accadeva a Tonino quando più che fare conferenze, più che pontificare, parlava con la gente. La tivù raffredda Non esisti mai veramente quando sei sullo schermo......e la poesia, come la letteratura in generale, deve cercare il contatto quasi fisico con l'artista. Devono sentire la sua concretezza, la sua sincerità nel bene e nel male. Anche Augusto Daolio (si scrive cosi?) era letteralmente amato, come anche Pierangelo Bertoli, perché potevi viverti la loro genuinità nella realtà sensoriale, in carne ossa e canto! Le persone, che assetate di poesia lo sono, devono essere contagiate dalla sua vitalità. Non ha senso imporli. Anzi, è ridicolo. E finiscono miseramente in quei cimiteri che si chiamano antologie. E se leggi i due versi che un intellettuale ha selezionato, non sai se sbadigliare o cosa pensare, perché dentro niente si è smosso, nessuna magia ti ha catturato. Se invece accade che non ti rendi conto nemmeno che ti applichi solo con la mente e ti ritieni appagato dal misero gioco del pensiero senza nemmeno supporre che si possa “viaggiare” oltre.... beh, forse allora si fa dura. Nessuno accetta di dare una sistematina alle proprie fondamenta se non mentre le si stanno costruendo, quindi in gioventù.... poiché più si accumulano anni, più si sente l'esigenza di nutrirsi di abitudini e rifondarsi dà la sensazione di distruggersi...anche la moda si fa fossile. Vi basta guardare quelle donne sulla settantina che continuano imperterrite a cotonarsi i capelli creando volumi che ci sembrano mostruosi, ma che non fanno altro che riprodurre il concetto di bellezza che a vent'anni avevano elaborato grazie all'imitazione.....

Ora un altro aspetto curioso e, mi sembra, mai purtroppo rilevato. Cerco di spiegarmi andando a spulciare nella vita di Arturo Toscanini. Il padre, Claudio, fu garibaldino e combatté sia sull'Aspromonte che per la conquista di Roma. Da sposato tornò alle battaglie e combatté sempre con Garibaldi, gli austriaci in Trentino. Era un sarto, di umili condizioni. A Parma nel marzo del 1867, quindi si può dire subito dopo l'unità d'Italia, mise al mondo Arturo. Si capì presto che era dotato ma non c'erano i soldi per mandarlo alla scuola regia. Il padre mandò una lettera di richiesta. Ne ho il testo. È evidente che Arturo fu accettato perché era figlio di una persona che aveva lottato per l'unità d'Italia. Questa “spinta”, questo aiutino il suo destino, lo ricevette. Se fosse stato uno a caso della marmaglia plebea, o della corrente opposta, sarebbero stati "volatili per diabetici", …..come disse quel celebre filosofo pugliese (Lino Banfi). Il resto ovviamente ce lo mise Arturo, con la sua memoria prodigiosa e questo innamoramento così precoce per Wagner!

Possiamo vedere quindi come quell'epoca, e giustamente, semplificò la via verso una eccezionale carriera di un grande e meritevole anche se aveva un caratterino che la Fornero in confronto ci sarebbe sembrata Biancaneve....

Essere stati garibaldini o rivoluzionari o figli di questi, fu un grimaldello per molte carriere artistiche e non. È giusto? È sbagliato? Secondo me è semplicemente la storia.

Così accadde nel secondo dopoguerra. Essere stati partigiani o reduci dai Campi o di sinistra (cosa non semplice sotto il fascismo. Ammirevole, lo ricordo sempre, l'esempio dell'amato Emilio Lussu e non solo) o figli di questi, poteva semplificare la vita. E accadde spesso. Il problema fu che la sinistra, distributrice di posti, cariche e onorificenze, presto si corruppe a quella italianità più triste che si chiama raccomandazione. Certi posti dovevano essere occupati. Fare o non fare era secondario. La cosa importante è che non andassero al “nemico” e così nel dopo guerra certe posizioni son state occupate da personaggi decisamente insignificanti e ce ne siamo liberati solo con la loro “assunzione ai vermi”. Quel che doveva accadere era che qualcuno si ritrovasse la strada più libera, più semplice, ma poi, se non valeva, ciao e a casa, e invece se non fosse intervenuta Sorella Morte, sarebbero ancora li... . Ci tengo a dirlo. Non sono ne di destra ne di sinistra e nemmeno di centro che mi sembra voglia dire che si sta un po' di qua e un po' di la a seconda delle convenienze... devo essere libero e penso di esserlo. Scoprirò fra anni se è stata una illusione o se fui libero veramente. Diciamo che ci provo e non mi faccio intruppare da un partito per dire per esempio che Moretti è bravo anche quando non lo è più da anni....e non inneggio a Ezra Pound perché sono di destra, bensì...... perché era un grande.

Questa ondata del dopoguerra ci ha dato pochi fiori e molte erbacce. Il tempo sistemerà tutto, o almeno, ci proverà.

Quel che spero è che gli intellettuali si scannino fra di loro e lascino in pace gli artisti.

E che molti ruoli che agli artisti spettano, e non certo per diritto, ma per esigenza di un popolo, tornino a loro. Solo così forse, fra qualche anno. I ventenni sapranno finalmente dirmi perché sono italiani. Per ora le bandiere sventolano con gusto solo allo stadio e di questa miseria si “lodino” gli intellettuali poiché amare viene dal cuore, non dal cervello col quale vogliono dominare anche in territori dai quali sono esclusi. Ve l'immaginate una farfalla in cima al monte Bianco? Loro ci vogliono far credere a simili insensate bellezze....

e che dire di questa mia generazione e della prossima? Niente guerre che fanno vincere una fazione semplificando le carriere... è un bene' è un male? Io so solo che nel presente l'unico dio è il mercato che di arte non si si interessa. Vende salumi, pannoloni, libri e quadri con la medesima tecnica e in questo mondaccio, chi è artista deve sopravvivere. Coccodrilli i mercanti e coccodrilli gli intellettuali... unico gaudio quindi.... sei sei onestamente artista è dura sempre e comunque.

Un altro esempio del male dell'eccessiva intellettualità: il libro giallo.

Ne sfornano a milioni. C'è il buono, c'è il cattivone e il lettore si sente furbo se scova quest'ultimo prima del momento nel quale lo capirebbe anche un cretino. Son quasi sempre “libri panino”, nel senso che li “mangi” ed è finita così. Un giochino.

Ma se si leggono i gialli del commissario Maigret di Simenon ecco che accade dell'altro. Per esempio “Maigret e il barbone”. Il libro non termina con la scoperta del colpevole. Accade qualcosa d'altro, di molto più elevato. E poi, in generale, Scopriamo con Maigret un mondo, delle vite, e alla fine essere o no colpevoli si riduce all'aspetto esteriore di un “gioco” molto più profondo.

Porto un altro esempio, celeberrimo, e giustamente. “Dieci piccoli indiani” di Agatha Christie. Si ha il sospetto, per un sacco di pagine, che l'assassino, anzi, per essere corretti, il giustiziere, sia Dio.. sembra sempre che si vada oltre il giallo puro e semplice.

La sistematica vittoria sul male, spiegata in migliaia di strategie, faceva bene alla borghesia che amava il senso del possesso e doveva rivestirlo di giustizia, di moralità.

Ma ora, tranne pochi casi come appunto Simenon. La Christie ecc, perché si legge il giallo? Perché tanta gente è stata definitivamente convinta che non esiste nulla oltre ai giochi dell'intelligenza....

….ma sono comunque ottimista. Tonino mi ha insegnato ad esserlo.....

ora potete comprendere perché Tonino fu amato e letto da vivo e lo sarà anche dopo.

Potete anche comprendere perché oggi, in quest'oggi che sta durando da troppo tempo, gli artisti come la Capriolo e Vassalli, appaiono il meno possibile. Qualsiasi contatto con i media e con gli intellettuali falsifica quel che veramente e profondamente sono.

La loro realtà non è ingabbiabile dalle leggi di mercato, ma solo deformabile e il loro essere veri si rivela quando parlano con un pubblico ristretto, a tu per tu..... ma spesso ci si domanda se ne vale la pena …...e si rimane a casa ad accarezzare il gatto.










2 commenti:

  1. Non sono in grado di commentare un post dal contenuto così ampio e profondo... mi limito a dire che ho sentito con forza tutto quello che hai detto e che lo condivido in pieno. L'arte è una cosa per pochi.

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    1. ciao. ho letto solo ora. ultimamente il blog lo curo poco. sto diventando indifferente. l'indifferenza, sai, è una forma raffinata dell'angoscia. uno stillicidio minimo, continuo, in fondo non doloroso, ma debilitante. crolla in essa la fiducia nel mondo esterno.
      leggevo per la terza volta, di recente, le lettere luterane di Pasolini. ridevo di gusto, con tristezza ovviamente. quel che in lui ci sembra sincerità disarmante in un'epoca ipocrita come gli anni settanta, scopro nel brano intitolato "Le mie proposte su scuola e tivù", la sua finzione. si tratta di una risposta a Moravia. già la falsità si sente se sai che si conoscevano bene e si frequentavano spesso. della combricola faceva parte spesso anche Visconti che ci metteva la macchina. ebbene. Dice Pasolini che lui vive certi "mondi" concretamente e Moravia no. Falso. Moravia spesso spariva di casa con le tasche grondanti soldi e, come Pasolini andava a cercare una certa sessualità. semplicemente Moravia non amava sbandierarlo. quando sai queste cose e leggi, senti la falsa sincerità che si fa solitudine. arrivismo il suo, che usava strategie sul baratro, pericolose, ma con un grande ritorno di attenzione mediatica. Pasolini, come Calvino, altro non era che un intellettuale, che si atteggiava ad artista per indorare la sua immagine.
      ciao

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