lunedì 23 luglio 2012

Sebastiano Vassalli: "Un infinito numero"


Tempo fa. Dialogando con un libraio, ebbi la seguente informazione. “Amo i libri di Sebastiano Vassalli”. Mi fidai e presi “Chimera”. Consigliato. Ero diffidente. Un bel po'. Aveva vinto lo strega. È un premio che si assegnano gli editori. Una spartizione banale. Anche appartenere alla rosa dei finalisti fa pubblicità e incrementa le vendite. So solo di un caso nel quale si ritrovò nella cinquina di un premio italiani visibile, che non vuol dire valido.... senza saperne nulla e lui stesso, sconcertato, non sapeva come spiegarsi la situazione.

I premi.... e chi si fida più! Penso a Sakurov che vince il Leone d'oro a Venezia col film “Faust” e scopro, che il suo produttore è il direttore di quel festival... quel che mi dispiace è che la notizia, che mi infastidisce per la sua manifesta immoralità, va a creare un paradosso assurdo. Quel film meritava di vincere. Non ho dubbi. Quindi attualmente che si valga o meno è diventato necessario abbassarsi alla gogna di quel circo? Preferisco la compagnia del mio cane, la semplicità di una passeggiata nella natura e il dialogo con un amico, alla perdita di tempo di essere suddito e di lisciare chi dimostra di amare un ambiente celandosi dietro al vocabolo Arte con la a maiuscola, senza fare quel percorso, solitario, individuale eccetera, che porta alla comprensione delle grandi opere. Come ho sempre detto, per “sentire” il capolavoro” non serve l'intelletto. Questo si fa addirittura lente deformante, gabbia. Se non sei riconoscibile nei suoi schemi rischi di non esistere.

Pazzesco ma vero.

Ebbene. “Chimera” aveva vinto lo Strega. Pessimo inizio secondo la mia mentalità....

Il libro infatti non mi convince. È onesto. Scritto decentemente, ma non spicca il volo.

E poi accade qualcosa..... un dono del caso. Vado a fare la spesa e all'ingresso del supermercato c'è una bancarella che vende libri a peso. Cinque euro al chilo. “butto un occhio” e vedo “Un infinito numero” di Vassalli e “Una luce nerissima” della Capriolo. Quest'ultima ha già la mia stima da anni e accetto umilmente la lezione. Quel caso che raramente fa le cose a caso.... me li ha messi vicino. Vassalli e la Capriolo. Perché.... indago su Vassalli, il primo denominatore comune che mi salta all'occhio è che è schivo. Non quanto la Capriolo, ma abbastanza secondo i miei gusti e si sa,che per il mercato, essere schivi non equivale solo all'essere così di carattere e basta, ma anche anticommerciali. Chi non appare, non autopromuove se stesso. Ogni prodotto commerciale è un marchio che garantisce vendibilità se si mantiene presente, appunto visibile sui mass media.

Vassalli è uno di quei personaggi che in un'epoca come quella attuale, che vive solo di emozioni e di presente, viene dimenticato. E infatti io sono arrivato a lui grazie ad un raro caso di libraio che legge anche, razza in via di estinzione. Il problema fu che non mi feci consigliare su cosa leggere. Forse, ma non è certo, avrei raggiunto prima certi titoli che ora considero preziosi.

E comunque la vita è scandalosamente lunga... e per me che vivo senza tele da una quindicina d' anni, addirittura lunghissima e perdere un po' di tempo non è una tragedia.

Essere schivi nella nostra epoca. Come ce lo possiamo spiegare? Secondo me le vie sono due e possono sommarsi. La prima mi dice che è una questione di carattere, la seconda che è una reazione al fatto che, se lasci fare ai mercanti, ti rimane ben poco per il tempio.... i il tempio è il tempo, che insieme al talento, che in parte è dono di natura e in parte è autoalimentazione.... può portare a frutti degni di essere ricordati.

Le generazioni di artisti precedenti ci avevano abituato a un artista che offre due opere. La vita e l'opera, e ognuna di esse può portare a un reddito. Può essere da anni che non scrivi più ma i media ti chiamano e ti pagano per farti vedere. Ormai sei scrittore, o altro, hai la tua bella etichetta e il fatto che non scrivi più, non è importante....

vi ricordate di D'annunzio? Di Wilde? Si, della loro vita senz'altro. Delle opere forse, dico forse qualcosina. Ebbene. Vassalli e Capriolo, ci danno un'opera sola: “l'Opera”. Ha senso? Si, poiché i risultati si vedono.

Mi permetto un altro esempio. Simenon. Per i mercanti era un pozzo senza fondo. Inesauribile e veramente di valore. Nella vita privata desiderava la semplicità di una famiglia. I media lo “disturbarono” molto. Ne fecero una leggenda. Tutt'ora qualcuno mi dice “sai, si portava a letto una donna diversa ogni giorno!”. E con questo fare da bar sport cosa è accaduto alla sue vera immagine? Alla sua opera? Che Simenon è etichettato come giallista e al nome di Maigret quando lui invece diceva che uno, Maigret appunto, era per campare e lo scriveva a macchina, il resto era “fare sul serio” e lo scriveva a penna. E così accadde che per anni evitai colui che pensavo fosse solo un autore di gialli e, solo il caso di un mercatino dell'usato che vendeva al prezzo di un caffè “Il piccolo libraio di Archangelsk” e “Cargo”, mi diede l'opportunità di scoprire un grande. È ben triste quando nessuno ti consiglia e quando lo fa o è roba usa e getta, oppure squallidissimi prodotti intellettuali, freddi, gelidi già alla prima pagina, inconsapevoli che la misura dell'arte, di quella grande, va ben oltre il pensiero!

Approdai quindi per puro caso ad “Un infinito numero” di Sebastiano Vassalli. La copertina rigida dell'edizione Einaudi sgradevolmente scalfita per passarlo nella categoria detta “seconda scelta” e per il resto nuovissimo.

La sera stessa l'ho sfogliato e ho notato che aveva, non sapevo ancora se per calcolo o per caso, quelle caratteristiche che più piacciono a chi non legge con eccessiva passione. Capitoli brevi, spesso mezze pagine bianche, carattere tipografico abbastanza grande. Diceva un politico italiano che ho avuto il piacere di conoscere (l'unico dal quale, intellettualmente ho tratto questa sensazione...) che a pensar male si fa peccato ma ci si prende sempre”... e ho pensato che Vassalli aveva “fatto” un racconto lungo e l'editore ha fatto il possibile per trasformarlo in un romanzo, intendo sotto l'aspetto sensoriale. La dimensione del libro, il numero delle pagine portano a dire che romanzo è, e invece è più corto. Solite furbizie povere... ma racconto o romanzo che sia, ci deve interessare la qualità!!! e quella c'è... una scrittura estremamente semplice, nitida, pulita e un argomento che sembra del passato e invece ci parla chiaramente del presente.

Virgilio, il poeta, deve scrivere il poema che darà fama a Roma e al suo imperatore, il figlio adottivo di Giulio Cesare, divenuto a dir poco onnipotente. Mecenate, personaggio dal quale deriva quel bellissimo vocabolo.... lo ha aiutato ad ottenere il potere e gli ha fatto anche comprendere che la fama dura nel presente e poi è dimenticata se non viene eternata dai poeti. Virgilio è il prescelto. Lui deve, sia chiaro che è un ordine, sì deve scrivere quell'opera che noi oggi conosciamo e apprezziamo col titolo di Eneide. Il poeta non sa come iniziare e Mecenate lo invita a fare un viaggio in Etruria.... il resto non ve lo dico. L'esito è veramente profondo. La semplicità del linguaggio, quando non è tecnica calcolata a freddo, rappresenta la chiarezza interiore raggiunta da chi sta scrivendo. Ho sempre pensato che quando qualcosa “spinge” e vuole uscire, non sceglie il suo linguaggio. “parla” e basta. E ho la sensazione che in Vassalli sia accaduto questo. Fra le righe c'è la sua, la nostra, la mia epoca. Ha capito molto. Forse troppo per essere gradito ai potenti, ma a noi che il potere lo disprezziamo e non vogliamo saperne di averne nemmeno una briciola, quel che lui dice ci fa bene, ci schiarisce le idee. Non che il malato stia meglio se conosce esattamente il nome della sua malattia, ma fare i conti con qualcosa che potrebbe essere, più che sembrare, una versione della realtà, ci fa bene. Diceva un cantautore che fino a qualche anno fa era decente e ora si atteggia un po' troppo..... “il mio sangue non è acqua, ma fiele, e ti farà guarire”.

Penso che sia uno dei migliori libri italiani di un autore vivente.

Dopo aver letto, e riletto con piacere in questi giorni, l'opera che vi ho appena descritta, decisi di andare in “”biblio e di prenderne una “carrettata”. E ne ho trovato un altro che merita secondo me, di essere letto e riletto: “Marco e Mattio”. Non è al livello, secondo me, di “Un infinito numero” che considero il suo capolavoro, ma ...l'ho già riletto due volte... nulla in me è definitivo. Il tempo non matura solo il vino e le nespole. È possibile che fra qualche anno la compagnia che “Marco e Mattio” ha fatto alla mia mente, me lo renda assai più caro di quel che è per me ora.

È comunque un piacere per me rendermi conto che in Italia, due autori, Vassalli e Capriolo, meritano tanto. Il loro silenzio è una lezione, una reazione, ne sono quasi sicuro, ai media e all'eccessiva superficialità di ormai tutti gli ambienti. Ora i salotti più selezionati si distinguono per ricchezza e per potere, non per desiderio di comprendere. Io ho quindi posso. Questa equazione falsissima attualmente fa sentire autorizzata certa gente assolutamente insensibile a “sparare” sentenze, ma, corpo di mille balene... se ti sei arricchito a fare il bottegaio o l'industrialotto. Se sai fai baiocchi!!!! non è detto che capisci tutto. Sai far soldi, sai ingrassare, ma andare oltre il pensiero....è un'altra musica. Pensare, far mettere il cervello in gabbia, quello possono pagarlo. Le università, le scuole Holden e robaccia simile, servono a questo, ma l'arte è più in la. È un buio che si fa luce solo se ti arrendi alle apparenze che però ti sembrano vere se di esse ti sei nutrito sin da piccolo.

Grazie Vassalli: quando hai tempo, un altra robina così ce la scrivi? Ci, scusate... mi farebbe immensamente piacere.

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