Tempo fa. Dialogando con un libraio,
ebbi la seguente informazione. “Amo i libri di Sebastiano
Vassalli”. Mi fidai e presi “Chimera”. Consigliato. Ero
diffidente. Un bel po'. Aveva vinto lo strega. È un premio che si
assegnano gli editori. Una spartizione banale. Anche appartenere alla
rosa dei finalisti fa pubblicità e incrementa le vendite. So solo di
un caso nel quale si ritrovò nella cinquina di un premio italiani
visibile, che non vuol dire valido.... senza saperne nulla e lui
stesso, sconcertato, non sapeva come spiegarsi la situazione.
I premi.... e chi si fida più! Penso a
Sakurov che vince il Leone d'oro a Venezia col film “Faust” e
scopro, che il suo produttore è il direttore di quel festival...
quel che mi dispiace è che la notizia, che mi infastidisce per la
sua manifesta immoralità, va a creare un paradosso assurdo. Quel
film meritava di vincere. Non ho dubbi. Quindi attualmente che si
valga o meno è diventato necessario abbassarsi alla gogna di quel
circo? Preferisco la compagnia del mio cane, la semplicità di una
passeggiata nella natura e il dialogo con un amico, alla perdita di
tempo di essere suddito e di lisciare chi dimostra di amare un
ambiente celandosi dietro al vocabolo Arte con la a maiuscola, senza
fare quel percorso, solitario, individuale eccetera, che porta alla
comprensione delle grandi opere. Come ho sempre detto, per “sentire”
il capolavoro” non serve l'intelletto. Questo si fa addirittura
lente deformante, gabbia. Se non sei riconoscibile nei suoi schemi
rischi di non esistere.
Pazzesco ma vero.
Ebbene. “Chimera” aveva vinto lo
Strega. Pessimo inizio secondo la mia mentalità....
Il libro infatti non mi convince. È
onesto. Scritto decentemente, ma non spicca il volo.
E poi accade qualcosa..... un dono del
caso. Vado a fare la spesa e all'ingresso del supermercato c'è una
bancarella che vende libri a peso. Cinque euro al chilo. “butto un
occhio” e vedo “Un infinito numero” di Vassalli e “Una luce
nerissima” della Capriolo. Quest'ultima ha già la mia stima da
anni e accetto umilmente la lezione. Quel caso che raramente fa le
cose a caso.... me li ha messi vicino. Vassalli e la Capriolo.
Perché.... indago su Vassalli, il primo denominatore comune che mi
salta all'occhio è che è schivo. Non quanto la Capriolo, ma
abbastanza secondo i miei gusti e si sa,che per il mercato, essere
schivi non equivale solo all'essere così di carattere e basta, ma
anche anticommerciali. Chi non appare, non autopromuove se stesso.
Ogni prodotto commerciale è un marchio che garantisce vendibilità
se si mantiene presente, appunto visibile sui mass media.
Vassalli è uno di quei personaggi che
in un'epoca come quella attuale, che vive solo di emozioni e di
presente, viene dimenticato. E infatti io sono arrivato a lui grazie
ad un raro caso di libraio che legge anche, razza in via di
estinzione. Il problema fu che non mi feci consigliare su cosa
leggere. Forse, ma non è certo, avrei raggiunto prima certi titoli
che ora considero preziosi.
E comunque la vita è scandalosamente
lunga... e per me che vivo senza tele da una quindicina d' anni,
addirittura lunghissima e perdere un po' di tempo non è una
tragedia.
Essere schivi nella nostra epoca. Come
ce lo possiamo spiegare? Secondo me le vie sono due e possono
sommarsi. La prima mi dice che è una questione di carattere, la
seconda che è una reazione al fatto che, se lasci fare ai mercanti,
ti rimane ben poco per il tempio.... i il tempio è il tempo, che
insieme al talento, che in parte è dono di natura e in parte è
autoalimentazione.... può portare a frutti degni di essere
ricordati.
Le generazioni di artisti precedenti ci
avevano abituato a un artista che offre due opere. La vita e l'opera,
e ognuna di esse può portare a un reddito. Può essere da anni che
non scrivi più ma i media ti chiamano e ti pagano per farti vedere.
Ormai sei scrittore, o altro, hai la tua bella etichetta e il fatto
che non scrivi più, non è importante....
vi ricordate di D'annunzio? Di Wilde?
Si, della loro vita senz'altro. Delle opere forse, dico forse
qualcosina. Ebbene. Vassalli e Capriolo, ci danno un'opera sola:
“l'Opera”. Ha senso? Si, poiché i risultati si vedono.
Mi permetto un altro esempio. Simenon.
Per i mercanti era un pozzo senza fondo. Inesauribile e veramente di
valore. Nella vita privata desiderava la semplicità di una famiglia.
I media lo “disturbarono” molto. Ne fecero una leggenda. Tutt'ora
qualcuno mi dice “sai, si portava a letto una donna diversa ogni
giorno!”. E con questo fare da bar sport cosa è accaduto alla sue
vera immagine? Alla sua opera? Che Simenon è etichettato come
giallista e al nome di Maigret quando lui invece diceva che uno,
Maigret appunto, era per campare e lo scriveva a macchina, il resto
era “fare sul serio” e lo scriveva a penna. E così accadde che
per anni evitai colui che pensavo fosse solo un autore di gialli e,
solo il caso di un mercatino dell'usato che vendeva al prezzo di un
caffè “Il piccolo libraio di Archangelsk” e “Cargo”, mi
diede l'opportunità di scoprire un grande. È ben triste quando
nessuno ti consiglia e quando lo fa o è roba usa e getta, oppure
squallidissimi prodotti intellettuali, freddi, gelidi già alla prima
pagina, inconsapevoli che la misura dell'arte, di quella grande, va
ben oltre il pensiero!
Approdai quindi per puro caso ad “Un
infinito numero” di Sebastiano Vassalli. La copertina rigida
dell'edizione Einaudi sgradevolmente scalfita per passarlo nella
categoria detta “seconda scelta” e per il resto nuovissimo.
La sera stessa l'ho sfogliato e ho
notato che aveva, non sapevo ancora se per calcolo o per caso, quelle
caratteristiche che più piacciono a chi non legge con eccessiva
passione. Capitoli brevi, spesso mezze pagine bianche, carattere
tipografico abbastanza grande. Diceva un politico italiano che ho
avuto il piacere di conoscere (l'unico dal quale, intellettualmente
ho tratto questa sensazione...) che a pensar male si fa peccato ma ci
si prende sempre”... e ho pensato che Vassalli aveva “fatto” un
racconto lungo e l'editore ha fatto il possibile per trasformarlo in
un romanzo, intendo sotto l'aspetto sensoriale. La dimensione del
libro, il numero delle pagine portano a dire che romanzo è, e invece
è più corto. Solite furbizie povere... ma racconto o romanzo che
sia, ci deve interessare la qualità!!! e quella c'è... una
scrittura estremamente semplice, nitida, pulita e un argomento che
sembra del passato e invece ci parla chiaramente del presente.
Virgilio, il poeta, deve scrivere il
poema che darà fama a Roma e al suo imperatore, il figlio adottivo
di Giulio Cesare, divenuto a dir poco onnipotente. Mecenate,
personaggio dal quale deriva quel bellissimo vocabolo.... lo ha
aiutato ad ottenere il potere e gli ha fatto anche comprendere che la
fama dura nel presente e poi è dimenticata se non viene eternata dai
poeti. Virgilio è il prescelto. Lui deve, sia chiaro che è un
ordine, sì deve scrivere quell'opera che noi oggi conosciamo e
apprezziamo col titolo di Eneide. Il poeta non sa come iniziare e
Mecenate lo invita a fare un viaggio in Etruria.... il resto non ve
lo dico. L'esito è veramente profondo. La semplicità del
linguaggio, quando non è tecnica calcolata a freddo, rappresenta la
chiarezza interiore raggiunta da chi sta scrivendo. Ho sempre pensato
che quando qualcosa “spinge” e vuole uscire, non sceglie il suo
linguaggio. “parla” e basta. E ho la sensazione che in Vassalli
sia accaduto questo. Fra le righe c'è la sua, la nostra, la mia
epoca. Ha capito molto. Forse troppo per essere gradito ai potenti,
ma a noi che il potere lo disprezziamo e non vogliamo saperne di
averne nemmeno una briciola, quel che lui dice ci fa bene, ci
schiarisce le idee. Non che il malato stia meglio se conosce
esattamente il nome della sua malattia, ma fare i conti con qualcosa
che potrebbe essere, più che sembrare, una versione della realtà,
ci fa bene. Diceva un cantautore che fino a qualche anno fa era
decente e ora si atteggia un po' troppo..... “il mio sangue non è
acqua, ma fiele, e ti farà guarire”.
Penso che sia uno dei migliori libri
italiani di un autore vivente.
Dopo aver letto, e riletto con piacere
in questi giorni, l'opera che vi ho appena descritta, decisi di
andare in “”biblio e di prenderne una “carrettata”. E ne ho
trovato un altro che merita secondo me, di essere letto e riletto:
“Marco e Mattio”. Non è al livello, secondo me, di “Un
infinito numero” che considero il suo capolavoro, ma ...l'ho già
riletto due volte... nulla in me è definitivo. Il tempo non matura
solo il vino e le nespole. È possibile che fra qualche anno la
compagnia che “Marco e Mattio” ha fatto alla mia mente, me lo
renda assai più caro di quel che è per me ora.
È comunque un piacere per me rendermi
conto che in Italia, due autori, Vassalli e Capriolo, meritano tanto.
Il loro silenzio è una lezione, una reazione, ne sono quasi sicuro,
ai media e all'eccessiva superficialità di ormai tutti gli ambienti.
Ora i salotti più selezionati si distinguono per ricchezza e per
potere, non per desiderio di comprendere. Io ho quindi posso. Questa
equazione falsissima attualmente fa sentire autorizzata certa gente
assolutamente insensibile a “sparare” sentenze, ma, corpo di
mille balene... se ti sei arricchito a fare il bottegaio o
l'industrialotto. Se sai fai baiocchi!!!! non è detto che capisci
tutto. Sai far soldi, sai ingrassare, ma andare oltre il
pensiero....è un'altra musica. Pensare, far mettere il cervello in
gabbia, quello possono pagarlo. Le università, le scuole Holden e
robaccia simile, servono a questo, ma l'arte è più in la. È un
buio che si fa luce solo se ti arrendi alle apparenze che però ti
sembrano vere se di esse ti sei nutrito sin da piccolo.
Grazie Vassalli: quando hai tempo, un
altra robina così ce la scrivi? Ci, scusate... mi farebbe
immensamente piacere.
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